Ricordi capitolo 6.
Si dice che l'amore superi ogni ostacolo, ma si deve essere forti in due per uscirne vincitori...
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"Quel giorno, dopo essere tornata dal lavoro, la donna ricevette un biglietto dove lui le chiedeva di indossare l'abito che le aveva regalato per i loro sei mesi di fidanzamento.
La donna ricordò quel giorno di alcuni mesi fa: aveva provato a convincerlo quella sera a non comprarlo poiché troppo costoso ma lui l'aveva zittita con un bacio, dirigendosi velocemente alla cassa e consegnandoglielo subito dopo averlo pagato, vietandole di indossarlo fino ad allora.
La donna si rigirò fra le mani quel biglietto e sorridendo andò in camera aprendo l'armadio: tirò fuori il suddetto vestito e l'appoggiò sopra il letto rimanendo un attimo a fissarlo: era color champagne, una scollatura a V vertiginosa era delimitata da un piccolo triangolo di stoffa velata e, con lo stesso tessuto lieve, una piccola striscia andava a circondare la vita. L'abito continuava retto per tutta la sua lunghezza finendo con una coda a strascico che tendeva ad aprirsi a campana.
Nella parte sinistra, uno spacco a metà coscia si esibiva impavido mentre una cascata di strass, dello stesso colore, lo rivestiva completamente.
La donna posò ai piedi del letto delle décolletè dorate e accanto al vestito degli orecchini dello stesso colore dell'abito. Controllò di nuovo il biglietto e sorrise leggendo quelle parole:
"Puoi finalmente mettere quell'abito, ti vengo a prendere alle venti in punto
mi raccomando, cerca di non abbagliarmi più del dovuto
tuo Elijah"
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Angie
Infilare l'ago, tirarlo, infilare l'ago, tirarlo, inf.. «Ahi!» lasciai cadere la maglia che avevo tra le mani e strinsi l'indice che cominciò a mostrare un piccolo puntino rosso «Accidenti!»
«Ti sei punta di nuovo? Ti ho già detto un sacco di volte di usare il ditale Angie».
Vidi Emily alzarsi dalla sua postazione e avvicinarsi a me «Fammi vedere dai»
prese la mia mano «Conto quattro buchi oggi con questo»
Sollevai gli occhi guardandola intenta a ispezionarmi il dito, con un piccolo sorriso sulle labbra «La verità è che sono un disastro» sospirai e la vidi sollevare lo sguardo per guardarmi
«La verità è che dovresti darmi ascolto più spesso invece di fare sempre di testa tua e mettere questo» disse, infilandomi subito dopo un cappuccio sul dito che poi riconobbi essere un ditale.
«È che mi sento soffocare con questo coso»
mi lamentai riprendendo la maglia da terra per ricominciare il mio lavoro sotto la risata lieve di Emily.
«Sai, mi piace molto»
Mi voltai verso di lei per capire a cosa si riferisse e la trovai intenta a fissare il mio braccio. Seguii il suo sguardo guardando anch'io quella piccola chiazza nera.
Erano passati due giorni da quando, quella sera, avevo deciso il mio disegno: il tatuatore del negozio, un ragazzo asiatico, mi aveva fatto guardare un album pieno zeppo di figure, tutte splendide, ma solo quella era riuscita a catturare la mia attenzione.
«Grazie, i miei non sono della tua stessa opinione, sanno che questo sarà il primo di tanti ma non obiettano» dissi guardando Emily sorridermi.
«Io credo che sia molto bello ma, come mai proprio un gufo?» domandò curiosa.
Guardai il mio braccio sfiorando il piccolo tattoo raffigurante un gufo poggiato su un ramo «Ha una piccola storia molto personale»
Non ero sicura di raccontare o meno ciò che il mio tatuaggio significasse; i miei genitori non sapevano il profondo valore che avesse per me ma, guardando di nuovo Emily, mi ritrovai per la prima volta pronta a raccontare qualcosa di me a qualcuno. «È il mio animale preferito, lo è sempre stato e da piccola ne ho avuto la certezza. Quando ero solo una bambina, i miei mi portavano in una vecchia casa in campagna per il weekend. La prima casa che i miei nonni acquistarono prima di..» mi bloccai in tempo.
Quella casa era la prima dimora dei miei nonni paterni prima che cominciassero, ovviamente, a far fortuna ma se lo avessi detto avrei sicuramente mandato in aria il mio piano per non essere riconosciuta e trattata come una qualunque: io per Emily e tutti gli altri della sartoria ero Angie Ronald e tale dovevo rimanere. «Prima...prima di trasferirsi a causa del nuovo lavoro del nonno».
Obiettivamente quella non era proprio una bugia...
«A ogni modo io ne fui entusiasta cosi ogni weekend, armati delle nostre cose, passavamo quei tre giorni a contatto con la natura. Ricordo che una sera non riuscivo a prender sonno cosi ero andata ad aprire la finestra, sedendomi sopra il bancone a osservare la bellezza notturna ma all'improvviso, un movimento simile a un battito di ali, aveva catturato la mia attenzione» sorrisi al ricordo e poco dopo continuai «Nell'albero di fronte la mia stanza, era appena atterrato un gufo. Era bianco e aveva delle sfumature grigiastre sulla testa. Emily era splendido, non avevo mai visto un'esemplare così magnifico e da quella notte, ogni qual volta tornavamo in quella casa, io lo ritrovavo li ad aspettarmi nello stesso posto, su quel ramo a guardarmi e ad ascoltare ciò che avevo da dire. Poi i nonni vendettero quella casa e non lo vidi mai più».
Guardai Emily osservarmi con una strana espressione in viso «Credi sia pazza vero? Sì in effetti anch'io lo penserei, di certo non sono una persona normale a credere di parlare con un gufo e...»
«Bellissimo» mi precedette Emily «Tutto il tuo racconto, la tua espressione, è come se lo vivessi ancora» poggiò una mano sulla mia e mi guardò dolcemente.
Non avevo fatto nulla per meritarmi l'unica persona che mi aveva appena fatto da ascoltatrice, comportandosi da amica cosi buona al mio fianco anzi, mentirle sul mio vero cognome era angosciante ma andava fatto. Intrecciai le nostre mani ricambiando il suo sorriso.
Una volta finito anche questo turno di lavoro, io ed Emily ci ritrovammo all'uscita del negozio
«Ci vediamo domani» disse Emily abbracciandomi e io l'abbracciai a mia volta.
«Grazie Em, a domani» le dissi sorridendo e, una volta che la vidi andar via, mi guardai intorno: dal giorno che quell'uomo aveva fatto irruzione in quel modo nella mia vita, uscire senza che l'inquietudine mi divorasse era difficile.
Mi guardai ancora intorno, cercando di camminare a passo svelto verso casa ma quando arrivai vicino a quel vicolo ecco che la solita sensazione fece capolino dentro di me. «Cosa vuoi, vattene via» dissi esasperata e cominciai a correre, sempre più veloce: il cuore aumentò il suo battito vertiginosamente tanto da sentirlo salire su per la gola, il respiro si mozzava a ogni passo e la mia fronte cominciò a imperlarsi di goccioline di sudore.
Corsi ancora, voltandomi di tanto in tanto indietro per vedere se fosse già arrivato a prendermi ma venni fermata da due mani che bloccarono le mie spalle. Voltai il viso avanti a me, urlando spaventata.
«Calmati antifurto, sono io».
Cercai di mettere a fuoco chi fosse davanti e lo riconobbi: Victor «Cavoli, credo che quella sera tu gli abbia perforato i timpani all'uomo nero»
Lo guardai stralunata, il suo sarcasmo era decisamente fuori luogo. Come faceva a fare battute su una situazione del genere?
La mia domanda ebbe risposta ricordandomi di chi avevo davanti. Lo fissai ancora negli occhi e gli passai accanto superandolo e continuando per la mia strada, senza degnarlo di una parola.
Portai una mano dietro la schiena e sollevai il dito medio dritto nella sua direzione mandandolo al diavolo senza smettere di camminare.
Victor
Ok forse e sottolineo forse, quella volta avevo esagerato un tantino ma davvero avevo detto quelle parole per sdrammatizzare la situazione. Quel pomeriggio ero uscito con mio fratello Mike andando in città per controllare come al solito, che la situazione fosse sotto controllo.
«Victor qui mi sembra sia tutto nella norma, ora posso andare? Rob e Tim mi aspettano» aveva pronunciato a un certo punto Mike e io, dopo essermi accertato che davvero non vi fossero pericoli in vista, avevo acconsentito alla sua richiesta.
Una volta Mike andato via, avevo deciso di godermi un po' le strade della mia città ed era stato lì che l'avevo vista davanti al negozio della sartoria: accanto a lei, una ragazza di colore le aveva sorriso salutandola imboccando poi una via.
Guardando Angie ormai rimasta sola, mi ero accorto che aveva cominciato a camminare velocemente guardandosi intorno e avevo così deciso di farmi trovare a metà strada: ciò che successe dopo lo sapete già!
Mi ritrovai a guardarla camminare via, dopo che mi aveva letteralmente mandato a quel paese e si, stavolta me l'ero meritato a pieno! Corsi verso di lei «Angie aspetta» le presi una mano per bloccarla e farla girare verso di me, ma di nuovo la "scossa" ci sorprese facendoci indietreggiare. Io sapevo ormai come gestire quel dolore ma in lei avevo visto una cosa che non doveva assolutamente esserci: l'incertezza.
Con uno sguardo confuso si toccò la mano, piantando i suoi occhi celesti nei miei.
«Andiamo, ti accompagno a casa»
dissi quelle parole che sembrarono strane anche a me stesso.
Lei mi guardò stralunata «Non fai ridere Victor» disse storcendo le labbra in una smorfia: prevedibile la sua reazione
«Angie davvero io..» sospirai per poi fissarla «Tregua ok?» le chiesi.
Vidi il suo sguardo cambiare da confuso a scettico e sollevò un sopracciglio
«Sul serio?» disse e io annuii per poi mostrarle la strada verso la mia auto.
«Però carina» disse Angie riferendosi alla mia auto, una Volvo XC60.
«È solo un mezzo» risposi una volta dentro e misi in moto «Abiti lontano da qui?» le chiesi guardando la strada
«No, abito a pochi isolati, supera Starbucks e gira subito a sinistra»
Guardai fuori dal finestrino mentre il logo verdino della caffetteria americana più popolata cominciò a sbucare davanti a noi come un piccolo punto.
Continuai a guidare rimanendo in assoluto silenzio e guardando fuori mi soffermai su alcune persone in strada: un gruppo di amici si punzecchiavano fra di loro con fare divertito, un uomo e una donna tenevano una manina ciascuno del loro piccolo bambino, alcune ragazze uscivano da un piccolo negozio di alimentari e un ragazzo e una ragazza camminavano tenendosi per mano.
Quelle scene erano splendide da vedere, dove la spensieratezza, la felicità e l'amore facevano da protagoniste senza guerre e odio che, purtroppo, continuavano a dominare il mondo.
«A sinistra» mi ricordò Angie e io guardai il cartello luminoso dello Starbucks davanti a noi che come al solito straboccava di gente.
Mi voltai verso di lei osservandola: il capo appoggiato al finestrino e lo sguardo puntato davanti a se, spento. Frenai trovando uno spazio per la mia auto
«Ehi ma che stai facendo?» mi chiese, sollevando la testa per fissarmi.
«Hai bisogno di un po' di relax Angie, scendi e vieni con me»
Hello readers
E.....sorpresa! Avevo detto che avrei aggiornato domani ma eccomi qui contenti??
Come promesso ecco il secondo volto che vi mostro: diamo il benvenuto a Victor!
Che ne pensate? Ve lo aspettavate così?? Fatemi sapere qui sotto nei commenti le vostre considerazioni
Lasciate pure una ⭐️ se il capitolo vi è piaciuto
Noi ci rivediamo al prossimo capitolo
Un bacio 😘
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