Allarme capitolo 3.
Victor
Sette giorni erano passati, sette dal mio scontro con Angie e sette da quando l'avevo vista l'ultima volta entrare nel bar dove, in quel momento, mi stavo togliendo la divisa per poter indossare il cambio e tornare a casa a godermi la mia mezza serata libera.
Averla lontana da noi e dalla gente doveva essere un toccasana per la mia anima che, invece, scoprii essere terribilmente inquieta e ansiosa. E se questa sparizione è solo un trucco? Una stupida strategia o peggio una trappola?
Al solo pensiero sentii il sangue ribollirmi nelle vene così, serrando i pugni, marciai verso la mia auto guidando fino a casa.
«Sono tornato!» dissi una volta entrato in casa «Mike, per l'amore di dio perché non abbassi quelle cose?» mi tappai le orecchie chiudendo la porta con un piede.
«Andiamo fratellone, ma la senti che roba? E poi guarda qui» mi comunicò mio fratello allungando il braccio verso due casse enormi, poste ai lati della televisione del soggiorno.
«I miei nuovi gioiellini, non senti come spaccano?» disse alzando il volume dal telecomando, divertito.
Mike era il minore fra noi due anche se la differenza in realtà non era poi così grande: erano bastati solo tre anni per far rimanere incinta mia madre del suddetto rompiscatole. Eravamo completamente diversi sia per gusti sia per aspetto fisico: i nostri capelli erano entrambi di una tonalità scura ma a differenza dei miei, lisci e indomabili come quelli di nostro padre, i suoi presentavano piccoli riccioli con delle sfumature ramate, caratteristica che aveva ereditato da nostra madre.
Il suo naso era accentuato e un po' all'insù mentre il mio rientrava nella categoria ''nasi normali senza nessuna caratteristica'', in quanto al fisico, io non avevo una corporatura troppo muscolosa ma nonostante ciò, il mio corpo era visibilmente asciutto e allenato mentre quello di mio fratello era piuttosto magro e leggermente più slanciato.
Molto diversi quindi se non per gli occhi, entrambi verdi e contornati da quella striscia grigia.
Mi avvicinai a lui prendendogli il telecomando dalle mani e spensi quei due affari infernali
«Se non la pianti vedrai come spaccheranno il bidone dell'immondizia, una volta che le avrò gettate» dissi dirigendomi in cucina.
Aprii il frigo e presi un bicchiere di succo sentendo lo sbuffare infastidito di mio fratello che, nel frattempo, mi aveva raggiunto
«Quanto sei noioso Vì»
in tutta risposta, mi poggiai sul bancone incrociando i piedi fra loro e alzai il bicchiere verso di lui per poi sorseggiarlo.
«Mamma e papà non verranno per cena»
disse Mike mettendosi davanti a me e rubandomi il bicchiere dalle mani, bevendo poi tutto il contenuto in un sorso.
«Ehi!»
lo fulminai lasciando andare le braccia lungo i fianchi
«Come mai non ci sono, guai in vista?»
domandai sospirando e mi voltai aprendo la credenza e prendendo un po' di marmellata. Afferrai due fette di pane spalmandocene un po' sopra e tornai a guardarlo
«Al solito fratello, loro sono qui.»
A quelle parole raddrizzai la schiena e mio fratello ne approfittò per rubarmi le fette di pane, cominciando a masticarle.
«C'è altro?»
domandai trafiggendolo con lo sguardo per il secondo furto.
«Beh, in effetti sì»
rispose Mike con la bocca piena sedendosi sul tavolo
«Ce n'é uno di loro che si aggira per la città e un secondo che, per adesso, sembra apparentemente innocuo»
Addentò la seconda fetta di pane e io cominciai a riflettere su quelle parole
«Quelli come loro non sono per niente innocui»
«Sì lo so bene» rispose mio fratello asciugandosi le labbra con la manica della felpa
«Tuttavia mamma e papà hanno detto che ancora non sa nulla. So che ti sembra strano ma per qualche motivo stavolta è diverso»
affermò fissandosi le gambe che lasciò dondolare
«Quindi non sa nulla di ciò che è» dissi pensieroso fissando mio fratello che annuì
«Sì ma chìssenè, noi dobbiamo solo tenerli lontani dalla gente di qui»
e così dicendo saltò giù dal tavolo posandomi tra le mani il bicchiere del succo, ormai vuoto.
«Vado a fare un riposino, a stasera fratellone sfigato»
A quelle parole sollevai il capo guardandolo correre su per le scale. Guardai il bicchiere e scuotendo la testa, lo poggiai nel lavandino e poi mi fissai la mano che, una settimana prima, aveva sfiorato quella di Angie... Angie, la mia testa si ostinava ancora a pensarla.
Decisi di andare in bagno a fare una doccia in modo da svuotare completamente la mente dai pensieri e una volta rilassato uscii asciugandomi, indossai un pantalone di una tuta e mi sdraiai sul letto, portando le mani dietro il capo. Assorto nei miei pensieri, mi ritornò in mente uno stralcio di conversazione...
"Perché ti ostini a parlarmi ancora? Ti ho scoperto piccola Angie, smettila o sai cosa succede"
Mi guardava completamente stralunata, quasi a convincermi di non sapere nulla
"Victor che stai dicendo, di che stai parlando?"
Sembrava così terribilmente sincera. Sospirai mentre a questa si sovrapponeva la conversazione avuta poco prima con Mike...
"Mamma e papà hanno detto che ancora non sa nulla della sua natura."
Possibile che la seconda persona nominata da mio fratello fosse realmente lei e quindi non sappia davvero nulla? Mi passai una mano nei capelli frustrato e decisi di andare a fare un giro, così mi sollevai dal letto indossando una t-shirt bianca, delle scarpe da tennis e una giacca a vento.
Guardai l'orologio segnare le 18:45 e scesi le scale arrivando alla porta d'entrata.
«Mike sto uscendo, torno per cena!»
gli urlai, consapevole di dovergli ugualmente mandare un sms più tardi e, dopo essermi accertato di aver dietro le chiavi di casa, uscii.
L'aria fresca giocò con i miei capelli scompigliandoli e, infilando le mani dentro le tasche, cominciai a camminare per la città. Un via vai di gente riempì la mia visuale: notai alcuni uomini ritornare da lavoro, donne uscire dai supermercati cariche di borse della spesa e studenti affrettarsi a raggiungere la stazione ferroviaria per tornare a casa.
Chiusi gli occhi un istante facendo un bel respiro; nessuno sembrava essersi fatto male, erano tutti assorti nella loro solita routine quindi nessun pericolo, ma, sollevando le palpebre, i miei sensi si attivarono immediatamente allo scorgere una figura appartata a una finestra di una sartoria, in fondo alla strada.
Sembrava stesse aspettando, o meglio spiando, qualcuno così mi avvicinai poco alla volta nascondendomi dietro un muretto poco distante e in un secondo, vidi quella figura fare la stessa mia identica cosa con un muro adiacente al negozio quando la porta di quest'ultimo si aprì, mostrando la sagoma di una ragazza. Dalla distanza in cui mi trovavo era impossibile individuarla ma, non appena la figura cominciò ad andargli dietro, nascosta dal suo cappuccio nero, ebbi la conferma che aspettasse proprio lei.
Rimasi ancora nascosto dietro il muro finché non vidi la ragazza svoltare verso un vicolo isolato e la figura fare altrettanto, così mi accinsi a seguirli ma la suoneria del mio cellulare mi bloccò. «Merda!»
imprecai tirando fuori quella bestia di tecnologia che, immancabilmente, sembrava sempre scegliere il momento meno opportuno per trillare.
Guardai il nome di Mike e sollevai gli occhi al cielo, se non avessi risposto subito mi avrebbe tartassato quindi accettai portando quell'affare all'orecchio.
«Una cosa veloce» dissi guardando il vicolo dove la ragazza e l'ombra erano spariti.
Uno sbadiglio mi arrivò dritto all'orecchio, attraverso il cellulare
«Ehi ma dove sei finito?» come immaginavo, non mi aveva ascoltato minimamente.
«Ti ho detto che stavo uscendo e che sarei tornato per c...»
un urlo mi paralizzò sul posto e guardai il vicolo riecheggiare ancora quello strazio.
«Mike a dopo»
Chiusi senza dargli il tempo di rispondere e corsi velocemente svoltando l'angolo, fermandomi giusto in tempo per assistere alla scena: l'uomo incappucciato teneva con una mano i polsi della ragazza mentre con l'altra la immobilizzava dal collo. Il volto della ragazza, coperto dai lunghi capelli neri, era irriconoscibile e le sue mani pallide coprivano quella che le serrava la gola. Adesso che ero abbastanza vicino i miei sensi si attivarono completamente dandomi una scarica devastante di adrenalina, le mani cominciarono a formicolarmi e seppi, con assoluta certezza, CHI fosse.
«Mollala immediatamente e vattene»
dissi notando la figura voltarsi verso di me.
Ebbi così conferma che, davanti a me, ci fosse un uomo: le sue mani enormi e le spalle robuste non rispecchiavano certo quelle tipiche di una donna LORO, il suo volto era coperto dall'impermeabile. L'unica cosa che riuscii a notare del suo viso, però, furono le labbra che si piegarono in un sorriso viscido.
«Non mi aspettavo ti portassi dietro un amichetto del genere, mi deludi sai?»
si rivolse alla ragazza che non aveva smesso un secondo di tremare.
«Ho detto di mollarla immediatamente»
dissi piegandomi sulle ginocchia, non riuscendo più a contenere il desiderio di combatterlo.
Quello mi guardò rivolgendomi ancora il suo sorriso e poi lanciò via la ragazza che vidi sbattere sulla parete del muro e crollare sul pavimento. «Vuoi davvero combattere ragazzino? Ti conviene smetterla di fare l'eroe e non sfidarmi, la ragazza mi appartiene e tornerò a prenderla, che tu lo voglia o no».
Sollevò una mano e una scia rossastra sbucò fuori da essa colpendomi allo stomaco e sbalzandomi qualche metro distante mentre quello, con un salto, sparì dal vicolo.
Scattai subito, pronto a seguirlo quando un gemito alle mie spalle mi fermò dall'inseguimento: mi voltai notando la ragazza muoversi a fatica mentre cercava di rimettersi in piedi, così mi avvicinai velocemente accovacciandomi accanto a lei e poggiai le mani sulle spalle.
«Ehi tutto a posto? stai bene?»
le domandai portando due dita sotto il suo mento per alzarle il viso ma, non appena sollevò le palpebre, rimasi folgorato dai suoi occhi celesti pieni di lacrime.
«Angie? Ma che...»
Improvvisamente la vidi balzare in avanti, buttarmi le braccia al collo e nascondere il viso in esso scoppiando poi a piangere.
Ancora frastornato cominciai a sbattere più volte le palpebre. Non può essere lei, avrebbe dovuto sapersi difendere, avrebbe dovuto saper combattere, avrebbe dovuto non essere così debole, pensai e invece era lì, così fragile e piccola che mi stringeva a sé, tra le lacrime. Dopo qualche istante d'incertezza, ricambiai l'abbraccio poggiando una mano dietro la sua schiena e l'altra dietro la sua testa e, mentre molteplici domande cominciarono ad affollare la mia mente, la strinsi più forte a me affermando deciso.
«Tranquilla, sono qui»
****************
"La donna raggiante e l'uomo dagli occhi celesti, da quel giorno, diventarono inseparabili, ansiosi di vedersi e di consumare il loro amore. Lui era il suo pericolo più grande, lei la sua rovina. Nessuno mai li avrebbe divisi... "
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