4. Buongiorno un cazzo
Adesso sarebbe da presentarmi in pigiama, guarda.
Questo qua sta male.
Ma dico io, un'oretta di preavviso no? No.
Mi trascino fuori dal letto tirando la valigia più piccola che ho fuori dallo sgabuzzino. Accendo la luce rimanendo accecata e barcollo per la stanza.
Recupero dei-questi cosa sono? Ah, calzini.
Recupero dei calzini, tre completi da lavoro e qualche vestito informale, visto che Mr. parto-alle-quattro-muoviti-veloce non mi ha detto per quanto tempo staremo via, e li spingo nella valigia con gli occhi semichiusi.
Ci metto dieci minuti a indossare la camicia, poi mi stufo e infilo una felpa dell'Università. Fanculo Ryan Helms.
I miei pantaloni Capri stonano leggermente con la felpa del college, soprattutto vista la mia faccia, che stona con tutto al momento, visto che dovrebbe essere sul cuscino. Non mi preoccupo nemmeno di truccarmi.
Alle quattro di mattina non mi ricordo neanche come mi chiamo.
Lascio la mia faccia costellata di lentiggini in bianco e mi sciolgo i capelli, raccattando spazzolino e dentifricio. Quando, venti minuti dopo, esco di casa, ho il passaporto in una mano e le chiavi nell'altra.
La mia minuscola valigia scende misericordiosamente le scale. No, ok, L'ho fatto rotolare di sotto.
Tanto sono solo vestiti. Possono sopravvivere.
Il problema si presenta quando sono io, a rotolare dalle scale. Impreco un paio di volte e poi esco dal portone, salendo sul primo taxi che mi capita a tiro.
Mi assopisco in macchina e a svegliarmi è il tassista, che mi ricorda che siamo arrivati da parecchi minuti. Pago la corsa e esco dall'auto rabbrividendo per la temperatura calata durante la notte.
Ryan Helm mi aspetta in tutta la sua perfezione all'entrata della stazione, vestito di un completo blu scuro perfettamente stirato mentre parla al telefono. Mi avvicino trascinando la mia valigia ancora mezza addormentata e lo affianco senza dire una parola. Lui chiude la chiamata dopo pochi secondi, degnandomi di una lunga occhiata.
«Non hai una bella cera» mi fa notare infilando il cellulare in tasca.
«Con tutto il rispetto signor Helms, ma mi ha svegliata alle quattro di mattina dicendomi di venire in aeroporto. Che cera dovrei avere?» ribatto pungente, assottigliando lo sguardo. Lui mi osserva in silenzio per qualche istante, prima di schiudere le labbra sensuali con aria divertita.
«Audrey?»
«Sì?»
«Chiamami Ryan».
***
«Adesso la ammazzo» ringhio a bassa voce, voltandomi per guardare in cagnesco la bambina che continua a calciare il mio sedile, neanche fossimo in un cinema scadente in periferia di Manchester. Lei, evidentemente americana fino alle ossa, mi scimmiotta marcando un pessimo accento del south England, gonfiando le guance come la peggiore delle smorfiose.
«Smettila» sibilo tagliente. «Sto lavorando»
«Stoh lavorandoh» ripete lei. Odiosa.
Sia sua madre che Ryan hanno gli auricolari, e fortunatamente nessuno dei due può sentire il mio litigio da matura ventitreenne con una bimba di sette anni.
«Taci» borbotto risentita. Le lancio un'ultima occhiataccia e poi mi volto verso lo schermo davanti al mio posto, occupato dalla prima scena di Harry ti presento Sally. E no, non l'ho fermato per colpa della bambina, ma per colpa di Ryan. Mi sento un tantino inutile se guardo un film mentre lui revisiona documenti con chissà quale conferenza in giapponese nelle orecchie.
Beh, in casi come questi si dorme.
Spero solo di non sbavare.
Mi addormento in un quarto di secondo, con la voce soffusa di Charlie Puth nelle orecchie e il cappuccio della felpa tirato fino a metà fronte. Mi risveglio solo a metà della nostra tratta Londra-Abu Dhabi. Ho davvero dormito per due ore e mezza?
Mi passo le mani sul viso e lancio un'occhiata a Ryan, ancora intento a revisionare i dati delle vendite di chissà cosa, assorto come sempre. I miei occhi vagano per qualche secondo sulla pelle vellutata, accarezzando le ciglia lunghe e le iridi verdi che scorrono infinite liste di numeri con attenzione. Il mio capo tiene una matita in una mano, che, con mia grande costernazione, mordicchia ogni tanto, addentandola con una serie di perfetti denti e sfiorandola con labbra rosse e carnose.
Ok, riprendiamoci un'attimo.
Tiro fuori dalla borsa i sudoku con l'aria di una che sta commettendo un crimine, ricordando perfettamente quando Jennifer ha scoperto questo mio hobby e ha piantato una tragedia sulla non-attrattiva di un'attività del genere. In più, aggiungete i miei occhiali dalla montatura nera e squadrata che servono allo scopo di non confondere un 1 con un 9.
Insomma, dov'è la mia medaglia per la sciattezza?
Inforco gli occhiali con un gesto rapido e passo in rassegna in primo schema, finendo a rosicchiare una matita mentre tento di ignorare il pianto di un neonato poco distante. Accanto a me, Ryan si strappa gli auricolari di scatto e lancia un'occhiataccia alla donna che sta urlando con il suo bambino per calmarlo, stringendo la matita fino a rischiare di spezzarla. Io mi sistemo gli occhiali sul naso con l'indice e continuo a cercare la soluzione del problema, scrostando la vernice del lapis fino a sentire il sapore strano del legno sulla lingua. Seguo i movimenti del mio capo con la coda dell'occhio, distraendomi inevitabilmente mente lui infila i documenti nello zaino e infine mi guarda per qualche istante.
«Ti stanno bene» esordisce con voce roca, facendomi sussultare. «Gli occhiali» continua poi, incrociando il mio sguardo. Si rimette gli auricolari senza aspettare una replica e inizia a scrivere una mail in tedesco al pc, muovendo velocemente le lunghe dita.
Serve a qualcosa dire che non ho concluso nulla da quel momento fino ad adesso? No, eh?
All'atterraggio perdo una cinquantina di battiti mentre comincio improvvisamente a pregare qualunque santo mai sentito, contenuta all'esterno solo perché c'è un'intera macelleria accanto a me. Nonostante i miei tentativi di contenimento però, alla bambina non sfuggono le mie lodi a San Pino, perché ridacchia e si alza di poco, indicandomi.
«Te la stai facendo sottoh» ride malefica. Io mi volto di scatto, rifilandole un'occhiataccia degna della matrigna cattiva, quindi aggrotto le sopracciglia e cerco di assumere un'aria professionale.
«Sono adulta» replico, più per convincere me stessa che lei, «Non ho paura» ringhio poi, trafiggendola con gli occhi da dietro gli occhiali.
«Mamma» frigna lei. «La signora mi fa paura» piagnucola puntandomi un dito contro. Io boccheggio, sgranando gli occhi mentre la madre si riscuote dal suo stato catatonico durato sette ore e mi guarda male.
«Signora a tua zia» sbotto risentita, «Non ho neanche venticinque anni» concludo aggiustandomi nuovamente gli occhiali sul naso. La mia voce irritata evidentemente attira Ryan, che si toglie gli auricolari mentre una hostess ci raggiunge.
«Scusatemi, siete pregati di allacciare le cinture e rimanere ai vostr-». La povera donna viene interrotta dalle grida disperate della bambina, a cui si uniscono ben presto quelle del neonato di prima.
«Lei è cattiva!» grida disperata, indicandomi con gli occhi di una che sa di avere il mondo ai piedi solo perché sotto i dieci anni di età.
«Ma io non-»
«Signori, dovete mettere le cinture»
«La signora sta dando fastidio a mia figlia» esordisce la madre, improvvisamente riemersa dopo ore di stato vegetativo.
«Ancora?! Ho solo ventitré anni!»
«Audrey» mi richiama Ryan.
«Zitto un'attimo tu» sbotta la donna. «E tu, ragazzina, vedi di portare rispetto per gli adulti» sputa con quel suo accento americano del cavolo.
«Ehi» esclamo irritata. «Sono già adulta»
«Signori, stiamo per atterrare. Sono costretta a-» ritenta l'hostess.
«Non osare dare ancora fastidio alla mia bambina» starnazza la donna. La bambina mi fa la linguaccia, lanciandomi contro un pennarello viola che mi colpisce una lente degli occhiali, mentre Ryan si scansa per evitare il secondo colore.
«Signori-»
«I miei pennarelli!» si lagna la bimba. Il mio capo intanto ha raccattato i due colori, e con un gesto colmo d'irritazione li rimette in mano alla madre della bambina senza proferire parola.
Lo so che vorresti sparare anche tu un sacco di parolacce. È inutile che fai il finto contenuto.
«Ne manca uno!» grida la bimba, cominciando un finto pianto che mi annienta i timpani.
«Erano solo due!» ribatto io.
«Audrey» ringhia Ryan, probabilmente irritato al limite massimo.
«È malefica!» soffio io, voltandomi di scatto verso di lui per ritrovarmi a mezzo centimetro dalla sua faccia. Deglutisco rumorosamente e mi accorgo solo ora che mi ha afferrato un polso, e le sue dita sono impresse sulla mia pelle con una presa salda.
«Lasciala stare» sbotta irritato, solleticandomi la pelle con il fiato caldo.
«I-io non-»
«Oh, insomma, mettete le cinture!» esplode la hostess, attirando l'attenzione degli altri passeggeri.
***
«Da quando hai le lentiggini?»
«Mi spuntano quando c'è un coglione che mi sveglia alle quattro del mattino» borbotto irritata, addentando la mia brioche davanti a Jack Wheels. Ryan è scomparso da quando siamo arrivati in hotel, e in compenso io ho trovato il giovane banchiere a farmi compagnia. O meglio, a farmi compagnia mentre mangia tutto quello che i cuochi dell'hotel sono in grado di cucinare. Il sapore della mia brioche stona un po' con il profumo di fagioli e pomodori proveniente dal suo piatto, ma non è il momento di fare la schizzinosa visto il buco nero nel mio stomaco.
«Aggressiva. Mi piace» ridacchia lui, buttando giù a lunghi sorsi un tè al limone. Io contraggo il viso in una smorfia e continuo a mangiare, masticando con flemma. I miei pensieri finiscono istantaneamente a Ryan, che non ha preso in considerazione neanche per un'istante di fermarsi a riposare.
«Capita spesso di ritrovarsi dall'altra parte del mondo con Ryan?»
«Più di quanto vorrei» replica lui, scrollando le spalle. «Non sembra in grado di concepire il concetto di riposo»
«E quindi non lo concepirò neanche io» borbotto afflitta, quindi finisco la mia brioche e verso un po' di latte nel mio tè.
«Esattamente. I miei permessi medici servono per fare vacanza» ridacchia.
«Fantastico. C'è altro che devo sapere?»
«Oh, tante cose» ribatte Jack, scuotendo la testa con convinzione. «A partire dal fatto che ha licenziato una segretaria perché aveva le unghie dipinte di verde, e lui odia il verde»
«Ma è-»
«Una cosa irrilevante e il colore dei suoi occhi, lo so. Per questo ti auguro di non vederlo mai con la luna storta»
«Sono ancora in tempo per licenziarmi?»
«Tranquilla, puoi aspettare che lo faccia lui»
«Grazie, Jack»
«Di nulla. Toh, ecco che arriva» esclama guardando alle mie spalle. Mi volto di scatto, scorgendo soltanto una decina di ragazze impegnate a lanciare urlerei eccitate. Guardano tutte oltre l'entrata, quindi mi volto verso il mio collega e aggrotto le sopracciglia.
«Ma ci sono solo ragazze»
«Sono ragazze in fibrillazione per un certo londinese» ride lui, indicandomi nuovamente l'entrata, dove una schiera di donne si sposta per far passare il metro e novanta di Ryan Helms.
Fantastico, lui arriva fresco come una rosa e io sono in condizioni pietose. Sparatemi, per favore.
«Chiudi la bocca però, ti esce la bava» ridacchia il mio collega. Io lo fulmino con lo sguardo, e tengo d'occhio la figura imponente di Ryan che avanza. Fingo con nonchalance di misurare lo zucchero per la mia bevanda con attenzione, finché la sedia accanto a me non viene occupata dal mio capo.
«Ma buongiorno» lo saluta Jack, con un cenno del capo.
«Buongiorno un cazzo» borbotta l'altro, sciogliendo il nodo della cravatta. Si sbottona ben tre bottoni della camicia e finisce il caffè lungo che si era portato dietro con un lungo sorso.
«I bilanci mensili della società» borbotta poi, allungando una mano verso di me. Impiego una manciata di secondi a comprendere l'ordine, quindi scatto verso la cartellina abbandonata nella mia borsa e mi alzo velocemente, spingendo la sedia all'indietro mentre afferro il plico e una voce sofferta mi arriva alle orecchie con un frastuono di cocci infranti.
E giuro che non so bene com'è successo, ma quando mi giro Ryan Helms è coperto di zuppa al pomodoro dalla testa ai piedi, e dietro di lui un cameriere si tiene la mano davanti alla bocca spalancata.
«Audrey» ringhia irato il mio capo, spezzando il silenzio mentre goccioline di zuppa cadono dai suoi capelli neri.
«R-Ryan?».
Ops.
Ma buongiorno, come va?
Lo so di non aver aggiornato per tre mesi, tranquilli. Eppure, eccoci qua. Ce l'abbiamo fatta, più o meno.
Il capitolo non è dei migliori, ma ci abbiamo guadagnato un Ryan Helms coperto di zuppa.
Scusate per l'assenza, davvero.
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
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