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Capitolo 12: Sono io la colpa

Tre anni prima, 31/12
Città di San Diego

Rimango seduto sul letto, completamente vestito e con la testa tra le mani, finché non sento il campanello suonare e Alexandra fare la sua entrata teatrale dentro questa casa.
Mi dipingo un sorriso finto sul volto prima di uscire dalla mia camera e raggiungo le due ragazze più importanti della mia vita, lasciando che l'ultima arrivata copra il mio corpo con il suo in un abbraccio fatto di affetto puro, mi godo questo momento per dimenticarmi della mia anima marcia e, quando si scosta, le spettino i capelli per vedere comparire un adorabile broncio sulle sue labbra chiare.
Dietro di lei, intravedo mia sorella entrare in cucina e mi viene un colpo: ho paura che la casa non possa sopravvivere a un altro suo attacco. Le corro dietro, terrorizzato come non mai per i guai che potrebbe combinare e tiro un sospiro di sollievo quando lei si volta, spaventata verso i rumori che la mia corsa ha prodotto, e la vedo con in mano un paio di vassoi che deve poggiare sul bancone.
«Sergio? Successo qualcosa?»
Mi piego sulle ginocchia per riprendermi dalla paura provata fino a un attimo fa e non rispondo, anche se Alex ci mette del suo per farmi sputare un polmone quando mi tira una pacca sulla schiena e risponde a Olly al posto mio.
«Nah, aveva solo paura che tu incendiassi la casa con le tue doti culinarie; sempre che così si possano chiamare.»

Alzo solo la testa per fissare mia sorella e vedere la sua reazione, che è definita da immobilità e silenzio. Dopo pochi secondi, poggia i vassoi ed esce dalla stanza senza degnarci di uno sguardo o di risposta.
«Ahia, amico mio! Mi sa che se l'è presa per davvero questa volta.»
Alex, non sei per niente d'aiuto.
La fulmino con lo sguardo e mi rimetto in posizione eretta, poi mi avvicino al tavolo e inizio a sistemare le pietanze che Summer ci ha fatto recapitare in completo silenzio.
«Ma come? Non vai da lei per tirarla su di morale o a dirle che stavi solo scherzando?»
Le domande della rossa, sincere e vogliose di risposta, interrompono i miei movimenti meccanici e il silenzio che cercavo di instaurare anche tra i miei pensieri, facendomi alzare la testa verso di lei. Le lascio la possibilità di studiare i miei occhi spenti e vuoti, poi torno a osservare quel che c'è da sistemare.
«È meglio che, oggi, quel ruolo spetti a te, LexLex.»
Mi costa molto ammetterlo, ma oggi ho troppa paura per poter avvicinarmi a lei senza risentire tutte le brutte emozioni di prima. Ho paura di poter sentire di nuovo quel mostro strisciare dentro di me.
Non voglio essere così.

La sento avvicinarsi e posare un suo braccio sul mio, in un tentativo di consolarmi e io poggio tutto il mio peso su quel contatto così leggero e fragile perché non riesco più a sopportare tutto quanto da solo.
Tiro su con il naso, cercando di fermare quelle poche lacrime che hanno ancora vita nei miei occhi e mi lascio sfuggire un piccolo singulto.
«Oh, Alex!»
Lascio le striglie ai miei sentimenti e mi accascio su di lei, senza pesarle e avvolgo le mie braccia attorno a lei: ho bisogno di aiuto, ho bisogno di una distrazione e ho bisogno di calore umano.
Alla fine, però, ho solo bisogno di lei.
Sento tutti i suoi muscoli rigidi a questo mio strano comportamento, ma anche lei ricambia la stretta e mi sussurra strane parole di conforto che non sento. Permetto anche alle ultime stille di dolore solchino le mie guance e poi mi stacco, asciugandomi il bagnato con la manica della camicia.
Regalo un sorriso mesto alla mia amica e le chiedo perdono per l'insolita situazione.
«Ehi S, lo sai che con me puoi parlare, vero? Sono tua amica e le amiche servono anche a questo.»
Annuisco alle sue parole e la stringo ancora in un abbraccio.
«Lo so, grazie. Non oggi però. Oggi è un giorno di festa, quindi armiamoci di sorrisi e andiamo a chiamare la musona di là.»
La mia allegria è tutta finta e non sono l'unico a saperlo; è questo che vuole dirmi l'occhiataccia di LexLex, ma fingo di non vederla.
Non c'è bisogno di rovinare ulteriormente questa serata.

«Finisco io qui, tu vai a fare pace con tua sorella; solo tu riesci a farla tornare a sorridere quando si arrabbia.»
Il sorriso sembra morirmi sulle labbra al suono delle sue parole, ma non controbatto ed esco dalla cucina per cercare mia sorella.
La cerco in salone, nelle camere, nei bagni e anche nel ripostiglio. Eppure, non c'è traccia di lei.
Dove ti sei cacciata, Olly?
Torno in camera mia, per un secondo giro di perlustrazione, e colpisco la finestra perché non riesco a trovarla e ora ho anche questo problema oltre a tutti quelli che già mi affliggono. Questa si apre leggermente e mi stupisco: di solito è sempre chiusa e non penso di essere abbastanza forte per poterla rompere così facilmente.
Esco sul balcone e vedo un piccolo bozzolo racchiuso in sé stesso che trema.
Sono peggio di quel che pensavo.
Rimango fermo, a un passo oltre la soglia, con il vento gelido che sferza i miei vestiti e li attraversa per ferirmi con i suoi morsi congelati a osservare mia sorella che piange per colpa mia.
Non avrei mai immaginato che la divorasse così tanto il fatto di non saper cucinare.
Resto immobile sul posto, incapace di dire alcunché o di compiere un altro passo verso di lei, mentre il mio cuore pare rallentare i suoi battiti a ogni secondo che passa.
«Olly?»
L'apostrofo, ma sembra più una domanda e lei fissa i suoi occhi lucidi nei miei, spenti e colpevoli.

Indugiamo in silenzio, rimanendo con i nostri occhi incastrati negli altri, come a dirci tutto quello che non riusciamo spesso a fare e, finalmente, riesco a trovare il coraggio di compiere un passo nella sua direzione.
Ne compio uno, poi un altro, fino a giungere al suo fianco e accovacciarmi sui talloni. Scosto una lacrima dal suo viso con le mie dita gelate e la vedo tremare per il contatto, così mi affretto a togliere la mano; lei però trattiene i miei movimenti e me la fa poggiare aperta sulla sua guancia. Imito la posizione anche con l'altra mano e cerco di darle il mio calore attraverso il freddo della mia pelle e resto a osservare le ultime lacrime che cristallizzano durante la discesa del suo viso. Lacrime che solcano, infine, le sue carnose labbra, rese ancora più invitanti dai segni dei morsi che si dev'essere data.
Sotto la luce della luna e delle decorazioni natalizie che ancora sono affisse in tutte le case, riesco a sentire che quell'amore non è una condanna che mi porto dietro, ma un dono del cielo. Attraverso il freddo che mi trapassa le ossa e mi brucia dentro, riesco a capire che questo amore che provo verso di lei è solo una maniera diversa di essere una famiglia, di essere fratello e sorella.
Perché ora so per certo che farei di tutto per lei, anche offrirle la mia vita.
Sarà un amore che non potrò coronare con un bacio o con un matrimonio, ma è un amore che corono ogni giorno con un suo abbraccio, con un suo sorriso e con le attenzioni che mi regala.

«Torniamo dentro, ti va?»
Le chiedo in un sorriso; un sorriso vero che contagia anche il mio cuore e illumina i miei occhi. La vedo rilasciare un sospiro e una nuvoletta di vapore si allontana dalle sue labbra, ormai viola. Sposto le mie mani dietro il suo collo e l'avvolgo per poterle dare ancora più calore ed evitare che si ammali o muoia di ipotermia, quando si sistema meglio tra le mie braccia, riesco a prenderla e a portarla dentro di peso. Inizia a dimenarsi e riesce anche a colpirmi il naso con un pugno, ma inizio a ridere e non rallento la mia andatura finché non riesco a sbatterla sul divano del salone.
Cerca di alzarsi per tornare al punto di partenza, ma mi sistemo meglio tra le sue gambe e la sovrasto rimanendo in piedi di fronte a lei.
Deglutisce lei e deglutisco io, vista la sua bellezza esaltata dal vestito nero che indossa e che si allarga sulle gambe, denudandogliele quasi interamente.
«Ora tu non ti muovi da qui finché non mi fai un sorriso grande come una casa.» Le dico, puntandole un dito contro e cercando di scacciare dalla mia mente quest'immagine meravigliosa.
Lei mi morde l'indice e trattiene un sorriso, mentre sul mio viso si fa strana una smorfia di dolore.
«Ma tu sei matta!» Mi abbasso su di lei e inizio a pizzicarle i fianchi con dolcezza per ripagarla del torto subito.
Si contorce su sé stessa e i miei pensieri cominciano a correre in direzioni vietate, ma poi sento le sue risate; il mio cuore può finalmente tornare a sentirsi in pace e completo.
Continuo finché non mi implora di smettere e mi siedo al suo fianco, passando un braccio oltre le sue spalle, per trattenerla a me.
«Non sparire mai più così, mi hai fatto spaventare a morte.» Le sussurro contro i capelli, anche oggi racchiusi in una coda alta. Respiro il suo profumo e mi metto più comodo al suo fianco.
«E tu non prenderti una cotta per la mia migliore amica.»

Buongiorno cuoricini!

Spero che il capitolo di oggi sia piaciuto a voi quanto a me; ho adorato scrivere di quando Sergio fa chiarezza nel suo cuore e riesce a vedere questo amore per qualcosa di bello piuttosto che come qualcosa di distruttivo e demoniaco -come lo aveva descritto nel capitolo precedente-.
Voi che cosa ne pensate?

Ci vediamo al prossimo capitolo!

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