XII. Tamacti
Smisi di strofinare il mio corpo nell’esatto istante in cui capii di essere osservato attraverso la tenda.
Non sapevo da quanto tempo fosse la, non volevo immaginarlo, ma quando uscii da quella specie di bagno che avevo costruito io molti anni prima, la ragazzina era stesa nel mio letto,la camicia aperta sul petto inesistente e la fronte grondante di sudore.
Mi sedetti sulla sedia vicino al letto e lei si apprestò a chiudersi la camicia e incrociare il mio sguardo stanco.
-Hai qualche nemico, Selva?-
-Come?-
-Qualcuno ti ha venduta o…non so, ha venduto i tuoi dati medici alla strega. Non eri da sola ieri sera vero?-
-No, ero col mio migliore amico, Gunter.-
Annuii fra me e me pensando più velocemente di una macchina, giungendo ad una conclusione che non sarebbe piaciuta alla mocciosa.
-È possibile, in qualche modo, che lui fosse d’accordo con…-
-Non mi venderebbe mai. Forse questa dannata strega ha qualche altro amico all’ ospedale, ma non Gunter. Non lo farebbe mai e poi mai.- esclamò seria.
-Il tuo amico lavora all’ospedale?-
Lei annuì solamente, evitando di guardarmi. -Non centra nulla, però. Lui non c’entra niente.-
Decisi di lasciare perdere, tanto non mi avrebbe mai ascoltato. Me ne sarei occupato successivamente, a trovare il colpevole di tutto quello.
Dovevo tenere la strega e gli altri Cuorassiti lontano da quella casa Finché potevo. Sapevo che presto l’avrebbero trovata, ed eravamo tutti e due in pericolo.
-Se senti caldo puoi farti una doccia, c’è solo acqua fredda, ma non penso sia un problema. Ombra mi ha lasciato dei vestiti per te. – le dissi indicando un fagotto ai piedi del letto.
-Vado a vedere se trovo qualcosa da mangiare di sopra. Non far entrare nessuno.-
-Tamacti è il tuo nome?-
Mi bloccai, stupito da quella domanda che non c’entrava nulla con quello che le stavo dicendo. Non mi piaceva parlare di me, ma ero contento che non avesse più paura. Non sarebbe morta per mano mia.
-Si. Hai capito cosa ti ho detto? Chiuditi dentro, con la sbarra.- Mi alzai sistemando la sedia al suo posto e avviandomi verso l'uscita.
-Ti prego, fammi almeno sapere se mia sorella sta bene ed è tornata a casa. Si chiama Adanna Jenkins. La casa si trova in Rohmer street, vicino al supermercato.-
Non le risposi ed uscii chiudendomi la porta alle spalle.
Avevo bisogno di stare da solo,di pensare senza la presenza di quella ragazzina che aveva scombussolato la mia quotidianità.
Mi recai esattamente nello stesso tombino dove avevo trovato la puledra. Non c'era traccia di soldati o militari, e quando sbucai nella strada desolata di Minartas che conoscevo bene, il sole stava sorgendo .
Usavo sempre quel tombino perché era uno di quelli più sicuri e si trovava in una via lontana dalle case e dalla popolazione.
All’ aria aperta faceva quasi freddo, la mia temperatura corporea si abituò velocemente. Non volevo rimanere per troppo tempo in città, spesso venivo inseguito dai soldati , che già mi conoscevano bene,ma non mi avevano mai preso.
Minartas di sopra mi ricordava vagamente una città fantasma, sempre grigia e cupa nonostante il sole cocente che si specchiava sui tetti di quelle case decadenti.
Avevano il sole,l'aria fresca e l'amore. Eppure erano tristi, non gli bastava.
Quel posto assomigliava più ad un paese dell’est Europa abbandonato a se stesso,non c'era più nulla che rimandava a quella che era una volta Holfox, colorata e piena di vita.
Percorsi quelle stradine vuote e silenziose fino ad arrivare alla piazza centrale.
C'erano già una dozzina di soldati che controllavano il centro, così rimasi per un po’all’ombra, guardando con occhi nostalgici i mercanti che allestivano le loro baracche per il mercato.
Rimasi nascosto per un po’ dietro alle mura della piccola chiesa protestante, aspettando che i primi cittadini facessero la loro comparsa, così da potermi mimetizzare fra di loro.
Sulla porta del retro della chiesa era appeso un volantino stampato in bianco e nero. C'era la foto di Selva, la frangia un po’ più lunga di com'era in quel momento che le copriva in parte gli occhi e la faceva sembrare ancora più piccola.
Sotto alla sua immagine era scritto il suo nome completo e la parola Scomparsa in stampatello, e sotto i numeri da chiamare in caso di avvistamenti, sottolineando il fatto di comunicare alla chiesa o all’ospedale civile il suo ritrovamento, e solo successivamente le forze dell’ordine.
Per quanto potesse sembrare un semplice avviso, sapevo che non era così.
Selva era scomparsa solamente da poche ore, troppo poco per affermare che fosse realmente scomparsa con le dovute indagini.
Raramente appendevano volantini dei giovani ragazzi che scomparivano realmente, e mai prima di tre giorni dalla sparizione.
La seconda cosa che non quadrava era il fatto che fosse espressivamente scritto di chiamare per ultimo la polizia. Era una cosa che non stava ne in cielo né in terra, perché avrei dovuto annunciare il ritrovamento di una ragazzina data per dispersa alla chiesa, o all’ ospedale?
Le mie ipotesi che qualcuno stesse lavorando con la strega e sapesse che Selva fosse la cura furono decisamente affermate.
C'erano così tanti soldati perché la stavano cercando ovunque, non per controllare le strade.
Strappai in uno scatto d'ira il foglio, rischiando di essere scoperto. Sembrava proprio che l'unico modo per risolvere quel problema era lasciarla al suo triste destino.
Uscii allo scoperto solamente quando la piazza incominciò a riempirsi, mescolandomi con maestria e nonchalance fra la folla troppo concentrata nel fare la spesa per accorgersi di un cuoarissita a piede libero.
Misi i miei occhiali da sole con le lenti nere e alzai il cappuccio della maglia cercando di coprire al meglio il mio viso, realizzando successivamente che avrei attirato maggiormente l'attenzione conciato in quel modo.
Avrei potuto aspettare qualche ora, quando la folla diminuiva e i mercanti si apprestavano a chiudere, buttando i resti delle verdure non vendute senza rischiare di essere visto, ma non mi piaceva l'idea di farle mangiare gli avanzi e gli scarti.
Era la prima volta dopo vent’anni che venivo al mercato ed era strano, mi sentivo così vulnerabile in mezzo a tutta quella gente. Avevo iniziato a dimenticare cosa si provava.
Passai dal retro delle bancarelle, dove non c'era quasi nessuno, solamente i camion contenente altra merce da vendere.
Pensare a cosa mi sarebbe accaduto se mi avessero preso non era mai rientrato nei miei piani, così quando fui sicuro che il titolare della bancarella di alimentari fu abbastanza distratto, allungai le braccia all’interno del camion e Presi un paio di uova fresche e bianche per mano, talmente fragili che rischiai di romperle mentre le nascondevo all’interno della mia vecchia borsa a tracolla fatta di pezze vecchie, un regalo di Ombra.
Presi anche delle mele lucide e verdi dal aspetto succulente ma fui troppo veloce, perché invece di centrare la borsa le feci cadere a terra, attirando l’attenzione del mercante, un piccolo uomo cicciottello con la pelle troppo abbronzata.
-Ehi, che diavolo stai facendo la dietro!-
Riuscii a raccogliere solamente una mela prima di correre via, saltando ed evitando le ceste di cibo disposte per tutta la piazza e facendo cadere le grucce coi vestiti di seconda mano che intralciavano il mio cammino.
-Al ladro! Prendete quell’uomo!-
Le donne si toglievano dal passaggio stringendosi con timore le loro borse al petto, i mercanti invece provarono a prendermi.
Nonostante stessi rischiando la mia pelle, il mio unico pensiero al momento erano le uova. Ero riuscito a prendere solo quelle e speravo di non averne rotta nessuna.
Come se la situazione non fosse già drastica, due militari si intromisero nella caccia all’uomo, mostrando le armi al cielo e intimandomi di fermarmi.
Non avevo più paura delle armi, soprattutto di chi come loro non sapeva usarle. Erano altre cose a spaventarmi, la malattia che uccideva ogni giorno il mio popolo, ad esempio.
Non era la prima volta che venivo rincorso dagli umani e per un certo senso era anche divertente, ma mai per aver rubato del cibo, perché non ne avevo bisogno. Stavo rischiando la mia stessa vita per una ragazzina che nemmeno conoscevo e che mi stava creando un bel po’di grattacapi.
Corsi più veloce che potei fino ad arrivare al mio amato tombino.
Sentii i passi pesanti dei soldati e dei loro stivali dalla punta in ferro ma non mi lasciai intimorire. Non mi avevano mai preso e non sarebbe successo nemmeno quella volta.
Alzai il coperchio di ferro che avevo svitato quella mattina presto e scomparii all’interno della vecchia strada di cemento, chiudendo il buco pochi secondi prima che i miei inseguitori mi raggiungessero.
Sentii il fiato mancarmi e il sudore inoltrarsi all’interno dei miei vestiti, ma ce l'avevo fatta e quello era ciò che contava.
Diedi un’occhiata veloce al contenuto della mia borsa: tutte le uova erano integre.
Non ricordavo più il gusto degli alimenti, di nessun tipo di cibo. Le mie papille gustative potevano sentire solamente il gusto dei cuori umani di cui mi nutrivo, e nemmeno volendo avreii potuto apprezzare il gusto del cibo dei puledri.
Come tutti i Cuorassiti, avevo capito di essere malato proprio perché non riuscivo più a sentire il gusto di quello che mangiavo.
I ricordi di come avevo vissuto prima della guerra stavano svanendo giorno dopo giorno, e quella era l'unica cosa che ricordavo.
Forse era quello il motivo per cui volevo davvero riuscire a portare a quella ragazzina le uova fresche e le mele lucide.
Mi ricordava me, mi ricordava che c'era ancora speranza.
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