XI. Selva
Quando Ombra cominciò a tagliare la carne umana sotto ai miei occhi esterrefatti dovetti deglutire più volte per non vomitare.
La macelleria era più arieggiata e fresca, iniziai a sentirmi presto Meglio, ma non potevo stare lì a lungo perché presto avrebbe aperto il negozio e accolto i primi clienti affamati.
I miei genitori dovevano essere molto preoccupati e non avevo idea di dove fosse Adanna, sapevo quindi che tornare di sopra era la cosa giusta da fare. Mio padre mi avrebbe tenuta nascosta finché qualcuno non sarebbe venuto a bussare alla nostra porta per portarmi via.
E se avessero fatto del male ai miei cari? Come se la situazione non fosse già difficile di per se, l'uomo che mi aveva presa dal tombino non sembrava voler rispondere alle mie domande. Se mi avesse consegnato alla strega tutto si sarebbe risolto, ma non era quello che voleva fare.
L'orologio segnava le quattro del mattino. Erano passati diversi minuti da quando Tamacti era salito a Minartas, dicendo di voler scoprire di più su quella storia. Dubitavo che avesse trovato qualcosa, visto che a quell’ ora tutti i cittadini stavano dormendo.
Avrei voluto andare insieme a lui, ma aveva ripetuto che doveva Prima controllare le strade per far sì che potessi rientrare in sicurezza.
Mi resi conto che se non fossi uscita di casa quella sera probabilmente non mi sarei ritrovata in quell’assurda situazione, ma non avrei comunque potuto evitare di venir catturata da quei Cuorassiti che mi avrebbero seguito dal lavoro a casa, o in biblioteca e al supermercato.
Forse era così che doveva andare e basta. Se davvero il mio Cuore era la cura per il morbo, avrei dovuto esserne felice. I miei cari non avrebbero più rischiato di venir mangiati e il mondo sarebbe ritornato come prima.
Tamacti tornò un’ora più tardi. Non sentivo più il caldo, e nonostante Ombra cercasse di tirarmi su il morale parlando di sciocchezze mentre macellava della carne che avrebbe potuto essere la mia, io non la sentii mai, concentrandomi solo sulla musica rock che usciva dallo stereo vicino ad un affettatrice.
-Allora? Posso tornare a casa?- mi alzai dalla sedia così velocemente da farmi male alla gamba ferita.
Il Cuorassita mi guardò velocemente, per poi cercare gli occhi della sua amica dietro alla vetrina del frigo. Quei due sembravano sempre interagire in una conversazione segreta con solo l'uso dei loro occhi felini.
-Non ancora. I soldati stanno setacciando le strade come mai prima d’ora. Sanno che sei uscita e ti stanno cercando. Per quanto assurdo possa sembrare, sei più al sicuro qua giù.-
-Lo sai che la troveranno. Se quegli stronzi verranno qua giù per cercarla…-
Tamacti la interruppe. -Lo so, presto arriveranno. Ho tutto sotto controllo, Ombra.-
Avrei voluto ribattere che non mi sembrava proprio vero, ma la sua voce si era fatta più grossa e spaventosa, e non era il momento di scoprire come si innervosiva un cuorassita nervoso.
-Andiamo, il negozio aprirà a momenti.-
Non gli chiesi altro, seguendolo verso l'uscita della macelleria, salutando con la mano Ombra, che ricambiò mandandomi un bacio.
Appena messo piede all’ esterno il caldo umido mi travolse.
Camminai a fianco dell’uomo senza vedere nulla, intimorita di quello che avrei potuto incontrare o calpestare in quelle gallerie buie.
Sentii dei rumori provenire dalle baracche, capendo che le creature della notte stavano rientrando nelle loro dimore, mentre altri si preparavano per affrontare la giornata. Non c'era il sole, il giorno e la notte erano la stessa cosa, che importanza aveva?
Per poco non scivolai quando salii su una delle tante travi che collegavano le mille caverne, ponti marci messi alla ben meglio che evitavano la caduta negli abissi più profondi.
Tamacti mi fulminò con lo sguardo dicendomi di stare attenta, che quelle pedane non erano per niente stabili, e mi tenne la mano per tutto il tragitto, stritolandomela nella sua, probabilmente la stessa mano con cui strappava i cuori.
C’era un’odore fastidioso, un misto di fogne e carne putrefatta, ma quando entrai nell’abitazione di Tamacti il mio naso si era già abituato.
Lo osservai muoversi agile nell’oscurità per accendere le numerose candele sparse per la casa.
-Non le accendo mai, tolgono l'ossigeno.-
Mi sedetti sul suo letto, sentendomi completamente a disagio.
-Se è per me non servono, posso stare al buio.-
Lui mi guardò come a dire che non era vero, ed aveva ragione. Quella poca luce mi faceva sentire più al sicuro, o forse era solamente la sua presenza, non sapevo dirlo con certezza.
-Hai davvero tutto sotto controllo?- chiesi senza guardarlo negli occhi. Mi veniva da piangere perché solo in quel momento capii che fossi veramente in pericolo, ma non volevo frignare davanti a lui. Aveva detto che ero solamente una mocciosa, non potevo peggiorare la situazione.
-Devo avvisare i miei genitori, daranno di matto…-
Tamacti fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, forse cercando di riacquistare la calma.
-Non mi piace ripetere le cose, ragazza. –
-Selva.-
-Sarai a casa tua prima che si possano preoccupare più del dovuto. Vado a farmi una doccia, tu resta ferma lì.-
Non doveva essere abituato a interagire per molto tempo consecutivo con le persone, dal modo impacciato in cui mi trattava, come se fossi un cagnolino.
Non dissi niente, perché in fondo era grazie a lui se ero ancora viva, e lo guardai raggiungere una stanza che non avevo notato nascosta solamente da una tenda rossa.
Riuscii a scorgere uno spazio all’ apparenza minuscolo, con il pavimento ricoperto di mattonelle e un secchio simile a quello che usavo io o mamma per la lavanderia, pieno di acqua.
Richiuse subito la tenda dietro di sé, lasciandomi sola in quella camera dall’aspetto quasi lugubre, Per via delle numerose candele.
Mi alzai, girovagando intorno alla stanza in cerca di scoprire di più su quell’uomo, ma non c'era veramente nulla di personale oltre ad un letto e un cucinino. Non una foto, un profumo o qualche strano oggetto.
Pensai alla mia camera, piena di ogni stranezza che mi rappresentava, dei miei libri usati che avevo preso in prestito alla biblioteca e mai restituito, e pensai a mia sorella e alla nostra scrivania traboccante di trucchi che usava solamente lei e i suoi accessori per i capelli che spesso le rubavo.
In quella stanza non c'era niente che mi raccontasse la storia di Tamacti, restava un mistero.
Mi avvicinai al piccolo armadio, aprendolo piano.
Come previsto, solamente vestiti da colori neutri, e meno di ciò che mi aspettavo. Non ero soddisfatta della mia ricerca, ma forse era solo un tipo molto riservato e impegnato in altre questioni più importanti che decorare la sua casa.
Chiusi lentamente l'armadio cigolante. Sentivo lo scrosciare dell’acqua dietro alla tenda a pochi centimetri da me.
Il telo non era del tutto tirato. Inclinai la testa di lato per guardare attraverso la fessura di pochi millimetri lasciata scoperta.
Sapevo che non avrei dovuto guardare, ma era una cosa che non avevo deciso, era successo e basta.
Era girato di spalle e sentii le mie guance andare a fuoco, sudando ancora più di prima. Era troppo impegnato a lavarsi per accorgersi di me. Passò più volte le mani fra i capelli lunghi, chinandosi poi per prendere l'acqua dalla bacinella ai suoi piedi.
La sua ampia schiena era ricoperta di schiuma, che scendeva lentamente verso il fondoschiena e poi lungo le cosce toniche e muscolose.
Non avevo mai visto un uomo nudo prima d'ora e mi sentii una peccatrice, non riuscendo a staccare i miei occhi curiosi sulle sue forme.
Deglutii più volte osservando minuziosamente ogni dettaglio di quel corpo maschile che tanto mi incuriosiva, sapendo che quello che stavo facendo era sbagliato, irrispettoso anche nei suoi confronti.
Scossi la testa per riprendermi e chiusi forte le palpebre, respirando profondamente cercando di riprendere il controllo della mia mente ma soprattutto del mio corpo e dalle reazioni strane che stava avendo, sensazioni che prima di allora ignoravo.
Tornai nel letto rischiando di far cadere una candela, stringendomi le gambe al petto e cercando di dimenticare ciò che avevo appena visto.
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