VII. Selva
Caldo.
Fu proprio il caldo e la sensazione di non riuscire a respirare a farmi alzare le palpebre. La mia vista era appannata e mi faceva male la testa, quella sensazione che si provava quando ci si svegliava da un lungo sonno tormentato, ma io non ricordavo nemmeno di essermi addormentata.
Fu quel caldo soffocante e la sete che provai a farmi riprendere coscienza.
Guardai confusa il soffitto di quello che sembrava legno sopra la mia testa quando ripresi del tutto la vista.
I vestiti che indossavo erano appiccicati al mio corpo sudato e lo erano anche le lenzuola scure dello scomodo materasso in cui ero stesa.
Deglutii più volte perché mi bruciava la gola così tanto che mi sembrava quasi di aver perso la voce, ma avrei dovuto parlare per scoprirlo.
Quello non era il mio letto e nemmeno il mio soffitto.
Mi alzai sui gomiti scoprendo che non era la mia stanza.
Ero all’interno di un piccolo spazio quasi totalmente vuoto, con una enorme porta sbarrata e le mura umide fatte di quella che Sembrava terra.
Non ricordavo come ci fossi arrivata o se stessi sognando, ma Sembrava proprio vero. Feci scorrere lo sguardo sulla piccola stanza quando vidi un uomo, vicino ad un vecchio fornello ed un mini frigorifero.
Era girato di spalle e non mi aveva vista.
Mi irrigidì e trattenni il fiato dalla paura. Forse avrei dovuto continuare a fingere di dormire.
Se ne stava in piedi a trafficare con un oggetto metallico su una vecchia scrivania scrostata.
Indossava solamente dei pantaloni mimetici che gli fasciavano le lunghe e toniche gambe.
La sua schiena larga era ricoperta da un leggero strato di sudore, oltre che da profonde e vecchie cicatrici che spuntavano sulla sua pelle chiara.
I capelli biondo cenere erano raccolti malamente in una crocchia sopra la testa lasciando qualche ciuffo sfiorargli il viso e le spalle.
Guardai la distanza dal letto alla porta in ferro, ma forse scappare non era la scelta giusta, visto che non sapevo cosa mi aspettava al di fuori.
Lentamente iniziai a ricordare gli istanti prima di perdere i sensi.
Stavo scappando da due Cuorassiti che avevano inizialmente preso di mira Gunter. L'ultima cosa che ricordavo era di essere caduta dentro ad un tombino.
L'uomo si voltò, posando il walkie talkie sulla scrivania.
-Finalmente ti sei svegliata.-
La sua voce roca e profonda aveva un’accento diverso da quello a cui ero abituata a sentire.
Indietreggiai spaventata fino alla parete in un angolo del letto sfatto.
Non avrei potuto dimenticare il volto di quel Cuorassita, il primo che avevo visto nella mia vita solo un giorno prima, quando mi aveva allontanato da quei due militari.
Non era affatto brutto e mostruoso come quelli che mi avevano inseguito poche ore prima. Avevo sentito che la maggior parte dei cannibali avevano gli occhi rossi o gialli con le pupille allungate, come quelli dei gatti. I suoi occhi però erano di un azzurro chiaro e le pupille scure meno assottigliate. Aveva tre cicatrici simili a dei graffi sull’occhio destro.
Rispetto al giorno precedente, la sua barba era leggermente più lunga e copriva una mascella pronunciata.
Sul petto tonico aveva dei tatauggi tribali che arrivavano a coprgli parte della spalla per scendere fino al braccio sinistro.
Il tizio fece dei passi verso la mia direzione ed io mi schiacciai Nuovamente sul muro di fango.
-Non avere paura, non voglio farti del mare.-
Era un uomo grande e grosso e avrebbe potuto strapparmi il cuore dal petto a mani nude, anche se il suo volto vissuto non esprimeva nessun tipo di cattiveria. Non sembrava avesse intenzione di mangiarmi,ma non potei chiedermi perché allora mi trovassi in quel posto.
-C-chi sei tu? Dove sono?-
Nel volto del biondo apparve quello che sembrava un sorriso a labbra strette e prese una sedia. La posizionò a pochi centimetri dal materasso e si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e piegandosi in Avanti.
Era troppo vicino e mi mise soggezione. In quel posto faceva caldissimo e sembrava patirlo anche lui.
-Sei caduta dal tombino. Ti ho presa per poco, avresti potuto battere la testa.-
Disse ovvio, non smettendo per un secondo di guardarmi dritto negli occhi.
-Che Posto è questo?-
Rifece nuovamente quel sorriso timido ma visibilmente più sincero.
-È la mia casa, so che non è una reggia, ma poteva andarti molto peggio. –
-Che cosa vuoi da me? Perché sono qui? Non dovrei essere qui…-
Il biondo si alzò, facendo stridere fastidiosamente le gambe della sedia. -Non puoi tornare di sopra al momento, i militari potrebbero vederci e ti punirebbero. Dobbiamo aspettare il cambio della ronda. Sei a casa mia perché se fossi la fuori saresti solamente un cadavere.-
Mi guardò dall’alto con quei suoi occhi glaciali ed intimidatori.
-Per quanto tempo sono rimasta senza sensi?-
-Un'ora su per giù.-
-Tu non vuoi mangiarmi?-
Per la prima volta evitò il mio sguardo e raggiunse un piccolo armadio di legno marcio. Prese una t-shirt rosso bordeaux con le maniche strappate e se la infilò.
-Certo che lo voglio. – Disse poi, appoggiandosi alla scrivania ed incrociando le braccia al petto. -Ma non lo farò. Non sei qui per placare la mia fame. Qual è il tuo nome? –
Guardai con timore il modo in cui ostentava la sua sicurezza. Quanti anni doveva avere? Le cicatrici sul volto mischiate con le rughe appena visibili e la muscolatura massiccia mi fecero pensare che ne avesse passate di ogni.
-Selva.- balbettai incerta, chiedendomi se si ricordasse di me. Come poteva? Ero solamente l'ennesimo pezzo di carne.
Inclinò la testa per studiarmi meglio. -E che cosa ci facevi Selva in giro a tarda notte?-
Improvvisamente il modo in cui mi osservava smise di ricordarmi la storia di cappuccetto rosso. Non ero la sua preda.
-Devo tornare di sopra. I miei genitori daranno di matto e devo andare a cercare mia sorella!-
-Sicuro, saranno molto preoccuparti, ma non sono gli unici a cercarti. Per quanto suoni assurdo, al momento questo è il posto più sicuro. Non è che io sprizzi di gioia ad avere una mocciosa fra i piedi.- disse serio l'uomo che sembrò alleggerirsi esattamente come me.
-Allora portami di sopra!-
-Te l'ho già detto! Quando il sole sorgerà, ti farò raggiungere Minartas. –
Sospirai, capendo che non potevo fare altro che aspettare. Non doveva mancare molto al mattino, avrei potuto aspettare ora che ero quasi certa che quel tipo non avesse brutte intenzioni.
Sentimmo bussare violentemente all’ porta.
-Chi è?- chiesi spaventata ranicchiandomi fra le lenzuola.
Non mi rispose e andò ad aprire sotto al mio sguardo timoroso.
-Che cazzo succede, Tamacti? Mi chiami col walkie talkie solo quando…-
Una ragazza minuta dalla pelle olivastra fece il suo ingresso nella stanza. I suoi occhi stanchi incrociarono subito i miei occhi impauriti.
-Porca troia.-
Rimase letteralmente a bocca aperta. Era una bella donna dai tratti esotici. I capelli arruffati erano neri e sciolti lungo le spalle larghe e allenate. I suoi occhi erano di un giallo tendente al verde e le sue pupille più allungate di quelle dell’amico.
Indossava dei pantaloncini corti e un top nero che lasciava scoperto parte dell’addome scolpito.
-Se mi hai chiamato per cenare assieme allora sappi che…-
-No, Ombra. È caduta e l'ho trovata io.-
La donna si avvicinò piano ma appena si rese conto che non mi fidavo si fermò, guardando confusa il biondo.
-Ciò non spiega perché sia in casa tua e ancora viva. Ho già mangiato, e stavo dormendo Tamacti!- lo rimproverò lei.
Tamacti doveva essere il suo nome, ricordando che io gli avevo detto il mio ma lui no.
La ignorò a lungo allontanandosi verso il frigorifero. La mora non la smetteva di studiarmi intensamente. I suoi occhi felini mi incutevano più terrore di quelli dell’uomo.
Tamacti tornò dall’amica e le porse una bottiglia di birra già aperta. -Penso sia la puledra che stanno cercando.- Aveva pronunciato quelle parole a voce più bassa ma avevo capito comunque.
La ragazza sembrò illuminarsi, prendendo un lungo sorso della sua bevanda ghiacciata.
-Che culo amico! Mama come ti ricompenserà?-
Tamacti sospirò facendo roteare il collo della bottiglia della sua birra. Osservava un punto nel muro alle mie spalle con aria preoccupata.
Ricompensa? Quale ricompensa? Il Cuorassita non mi aveva parlato di nessuna ricompensa, ma non doveva essere una buona cosa, almeno per me.
-Non lo so. Devo andare a parlare con Mama. Sta con lei e controllala e non aprire la porta.-
-Cosa?- chiedemmo insieme io e lei.
Non mi piaceva l'idea di restare da sola con quella donna.
-Faró presto.-
-Sul serio? Ora devo fare la babysitter?!-
Tamacti la ignorò e andò alla porta. -Non mangiarle il cuore, perfavore.-
Uscí di casa chiudendo la pesante porta alle sue spalle.
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