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33 - Tra sogno e realtà

Il rumore di cartacce infilzate da tre pinze telescopiche, era l'unico suono che spezzava il silenzio nel giardino della Hicksville High School durante il primo pomeriggio di punizione di Yuri, Moema e Steve. Solo Steve era il più propenso, col suo borbottio, a sciogliere il ghiaccio. Però, l'espressione irrimediabilmente incavolata della ragazza manteneva costante il gelo tra loro, e Yuri sapeva che non appena avesse aperto bocca, Moema l'avrebbe aggredito col sangue negli occhi. Perciò se ne stette in silenzio in attesa del disgelo spontaneo.

Chi dovevano ringraziare per la punizione?

La goliardata di Yuri non era sfuggita all'attenzione del direttore Growey, il quale era preoccupato per la sua permanenza, non solo perché gli garantiva una certa affluenza regolare di finanziamenti utili per i lavori di ristrutturazione della palestra, giardino e altre necessità che altrimenti sarebbero rimaste in sospeso. Ma dopo aver visto quel ragazzo correre nudo e inseguito da un folto gruppo di ragazzi in mutande, comprese che quello si sentiva fin troppo a suo agio nella sua modesta scuola. Yuri gli era simpatico. Ma nonostante ciò non aveva potuto esimersi dal trattarlo come un comune studente qualsiasi. Avrebbe potuto essere anche il figlio del Presidente degli Stati Uniti, la legge della scuola, della sua scuola, andava rispettata a prescindere. Seduto dietro la scrivania, aveva soffocato uno sbuffo cercando di mantenere l'atteggiamento ammonitore. Aveva fatto più male a lui colpire con lo sguardo intriso di rimprovero Yuri; un po' meno quando l'aveva rivolto a Moema Danielson, seduta a distanza dall'altro, perché sapeva della sua fama di teppista notturna, le voci di corridoio arrivavano ovunque.

Yuri aveva avvertito ogni minimo stato d'animo di quel poveruomo, e non era riuscito a evitare di provare compassione.
«Colpa mia» aveva esordito sorridendo. Moema, che fino a quel momento non l'aveva degnato di uno sguardo, mosse la testa di scatto.

«Ho pensato fosse una cosa divertente, ma non ho valutato le conseguenze. Moema e gli altri ragazzi non c'entrano nulla, perciò mi assumo la responsabilità»

«Non si tratta di assumersi le responsabilità, anche se ne prendo atto. Ciò che è successo è grave e non posso tollerarlo, altrimenti creerei un precedente, comprendi?»

Yuri, mentre ascoltava mister Growey, aveva individuato il suo pensiero e, sotto lo sguardo attento di Moema, lo anticipò nella speranza di farlo cadere in contraddizione.

«Se non c'è possibilità di porre rimedio, accetto di essere espulso»

"È una manovra scommetto", aveva intuito lei.

«Alt!» mister Growey era appena caduto nella trappola. «Qui nessuno verrà espulso!» "questo ragazzo è più intelligente di quanto voglia far credere". «Ti sospendo per cinque giorni con obbligo di frequenza delle lezioni, e trascorrerai le ore pomeridiane a svolgere lavori utili per la scuola» emise la sentenza con la disperazione negli occhi. Yuri era stato sul punto di sorridere, quando Steve, tutto sporco di vernice spray rossa, aveva fatto irruzione nell'ufficio del direttore.

«Confesso! Sono stato io a imbrattare i muri del lato est della scuola!»

"Ecco l'altro scemo!" aveva pensato Moema sospirando per sedare la propria coscienza che stava reclamando assoluzione indiretta e parziale.

«Lei, signor Tennet, non ha mai brillato per furbizia, ma se proprio mi implora... farà compagnia a Sevensuns!» il tono adirato.

«Ritornando al fattaccio di Sevensuns, signor Growey, non è giusto omettere la mia partecipazione di colpa. Non ho intenzione di spiegare i motivi, ma se deve punire Sevensuns, allora prenda in considerazione anche me»

«Non dubitavo che centrasse anche lei, signorina Danielson, bene, anzi male!, si unirà al gruppo, e vi terrò d'occhio...»

Ora, insieme a svolgere i lavori di pulizia delle zone verdi circostanti la scuola, il terzetto si ritrovò a condividere forzatamente il tempo. «Come mai hai voluto unirti a noi?» disse Yuri a Steve, esaudendo la sua voglia di parlare.

«Non mi andava di lasciarti solo, chissà cos'altro avrai in mente di fare...» emise una risatina sputando involontariamente il chewingum ruminato da chissà quanto tempo.

«Ti dirò cosa ho in mente di fare se mi dirai chi sei»

«Come chi sono!, sono Steve Tennet, chi altri dovrei essere?»

«Ragazzi, non ho tempo! Allora, io sono un semidio, figlio del dio della luce e di un casino di altre cose» giocò la carta della sincerità perché non ne poteva più di rincorrere quei due per cercare di strappare loro la verità. Non era curiosità fine a se stessa la sua, piuttosto una valutazione: se fossero alleati contro Fetonte avrebbe chiesto il loro aiuto, magari sapevano cose che gli sfuggivano.

A sorpresa fu Moema per prima a cogliere la palla al balzo, e lo sfidò. «Se sei figlio di Apollo, fa qualcosa per questo sole. Più tempo passa meno luce emana»

Yuri aveva presagito una reazione simile. Non era ancora capace di percepire la sua indole, o avere antìlipsi utili a scoprire qualcosa del suo passato, dovette osservarla per mesi interi come un comune mortale per inquadrarla.

«È vero, gli scienziati di mezzo mondo non fanno che ritagliarsi spazi nei notiziari e inondarci di paroloni come cresta solare, tempeste magnetiche, tempeste solari... secondo voi come si spiega?» glissò l'attenzione Steve, ma Yuri non cadde nel tranello.

«Posso dirti anche perché il sole sta irradiando poca luce se ti decidi a dirmi cosa sei. Perché è chiaro che sei umano solo in parte»

Steve mise in bocca un'altra gomma da masticare al gusto cola. Il volto imbronciato. Abbandonò la pinza telescopica e assieme Yuri e Moema. Non si presentò nemmeno il giorno seguente, né gli altri destinati alla punizione.

«Dimmi come hai fatto a tornare dal multimondo spiritico, e io ti rivelerò chi sono» disse Moema, l'ultimo pomeriggio dei lavori utili per la scuola. Yuri scansò un masso che intralciava la passeggiata del giardino interno; giorni addietro aveva rischiato anche d'inciampare.
«Prima o poi questa roccia la polverizzo!» esclamò.

«Non ci proverei se fossi in te. Quella è solo la punta, il corpo principale è sotterrato, ed è più grande di quello che credi»

«Sarà...» il figlio di Apollo adoperò la vista estesa per sondare la radice della roccia e «hai ragione!» disse. «La romperò solo in questo punto!» mosse un rapido pugno alla base dell'ostacolo pietroso. Moema sospirò. "Nessuno è tanto forte da spaccare rocce a mani nude..."

«Ti ho fatto una domanda, insomma, sto facendo il tuo stesso gioco!»

Yuri raccontò tutto ciò che gli era capitato mentre era stato sbattuto da una parte all'altra dentro il multimondo spiritico. Parlò anche del breve incontro con Capo Giuseppe.

«Capo Giuseppe mi ha raccomandato di parlare con te, per la storia della montagna nera che ho visto in ogni luogo dove sono stato»

Il respiro di Moema si appesantì. Crollò sulla roccia, ma quella non la resse perché si frantumò all'istante.
«Ma che caspita è successo?» disse malamente seduta a terra con gli abiti neri impolverati del bianco della roccia sgretolata. Sporse le labbra carnose, il volto imbronciato assunse un tono più piccato. Abbassò senza volerlo le sue difese e Yuri, accorgendosene, ne approfittò per stabilire una sintonia, e così ricavò la prima antìlipsi che la riguardava.

Vide lo scorrere della vita di quella ragazza, una vita semplice. Un fratello più giovane col quale litigava gli spazi di una piccola casa in un paesino di montagna. Vide i suoi genitori, esseri umani comuni, capisaldi della famiglia che avevano formato. Vide Moema crescere non senza problemi, tutti ascritti in un contesto di normalità, almeno fin quando lei non iniziò a sognare Capo Giuseppe che la istruiva su ciò che lei era: ovvero la discendente spirituale del più grande guerriero indiano, Geronimo. E quando per bocca del figlio del dio della luce, Moema sentì dire chi lei fosse in realtà, apprese che lui era Occhio-che-vede, cioè colui che la tribù aveva predetto sarebbe giunto per salvarla.

«Occhio-che-vede!» esclamò meravigliata mentre accettava la mano tesa che la sollevò da terra. «Che delusione però!»

Yuri, superato un attimo d'interdizione, scattò con la testa in avanti. «Delusione? E perché?»

«Bleach! Sei biondo, sei un Mandan!» si scandalizzò. «Non se ne vedono da... da non so quanti anni ormai di indiani biondi!, senza contare che sei pure svampito!, e penso sia la ragione per cui i Mandan si siano estinti» si voltò sconvolta, poi ritornò sulla questione principale. «La montagna nera che hai visto più volte nel multimondo spiritico è lo spirito oscuro che minaccia la mia gente, e tu, Occhio-che-vede, dovresti essere colui che lo sconfiggerà in qualche modo...»

«Per prima cosa non sono indiano ma greco, seconda cosa, non è detto che io debba aiutarvi a tutti i costi.» Si voltò giusto un attimo prima dello scadere finale del tempo della punizione. "Adesso tocca a te inseguirmi" ghignò.

«Ma non puoi tirarti indietro...»

«Tempo scaduto» disse il preside Growey giungendo alle spalle dei ragazzi. «Mi auguro che la lezione sia servita. Ora siete liberi» i ragazzi lo ringraziarono e dopo essersi sorbiti il discorsetto finale sulla disciplina, si divisero.
Mister Growey attese che gli alunni non fossero più visibili e poi si piegò sulla roccia frantumata. "Come avrà fatto? Forse è l'umidità che l'ha reso friabile..." ipotizzò avendo ancora fresca la scena di Sevensuns che le dà un colpetto. Individuò uno spuntone sassoso e provò a dargli un pugno; e trattenne per ore la necessità di gridare per il dolore...

Quando Moema raggiunse la sua stanza nel dormitorio femminile, infilò la mano nella tasca più bassa del jeans alla ricerca della chiave. Si sporse in avanti e i capelli crespi le solleticarono le guance, mentre sui lati del mento avvertì lo stropiccio della cordicella della sua collana; quella che Yuri le aveva sottratto. Si sbalordì.
«Come e quando me l'ha rimessa al collo?!» studiò il cerchio pendente senza trovare difetti. Si toccò una guancia e la sentì accaldata. "Che mi succede?"

«Chi immaginava quanto fosse dura la vita a scuola!» esclamò Yuri entrando nella sua stanza del dormitorio. Ad accoglierlo Jolly e il micro leone di Nemea che gli saltarono addosso. Sul collo della pecorella trovò un messaggio che sventolava come fosse l'etichetta di un peluche. Lo lesse.

"Spero tu abbia finito di perdere tempo, ho organizzato la visita in ospedale per domenica, cioè domani! Vedi di non svanire in multimondi sconosciuti! Dafny."

«E vabene, vorrà dire che a Steve ci penserò un'altra volta» "quel ragazzo non ha legami con Moema... eppure..." Lasciò in sospeso il pensiero perché avvertì qualcuno in procinto di bussare alla porta. Gli scappò un sorriso. Bisbigliò alle bestiole di avere pazienza e li nascose sotto il letto. Subito dopo entrò una commissione di sei ragazzi, nuovi amici di scuola con i quali trascorse il resto della serata.

Yuri sorvolò sul fatto che si erano degnati di fargli visita solo a pena scontata, timorosi di essere riconosciuti in mezzo a quel gruppo in mutande che aveva fatto più casino di lui. Quella prodezza goliardica aveva accresciuto la sua popolarità, e anche la curiosità di conoscere più cose di lui. Essi avevano saputo che Sevensuns li aveva messi al riparo della punizione accollandosela tutta quanta, e ora come minimo sentivano il dovere di offrirgli almeno una serata in pizzeria, o al McDonald's od ovunque avesse gradito. Yuri accondiscese. Per il momento non aveva nulla da fare, e poi grazie alla vista estesa aveva intercettato Dafny e l'aveva scoperta ad armeggiare con quello strumento piatto che la metteva in comunicazione con Axel. Non avrebbe avuto tempo per lui.

Durante la serata rise della simpatia dei nuovi amici, soddisfò le curiosità che aveva suscitato in loro, e quando ammise di essere un ex pastore ed ex cieco, li fece anche sbudellare dalle risate; qualcuno, rischiando di strozzarsi, sollevò una lattina di diet-coke fingendo di leggere: «chissà cosa ci mettono che fa dire tante cavolate alla gente» e di nuovo altre risate.

Yuri, al termine della serata, non riuscì a dare il nome alla sensazione che lo aveva pervaso; dovette spiegarglielo Dafny il giorno dopo che la parola che stava cercando era "spensieratezza".

Ma prima di arrivare al giorno successivo, Yuri sognò qualcosa. Non la solita premonizione fatta di immagini che si poteva manifestare nei sogni della maggior parte dei semidei, era piuttosto una visione tipo tempo reale. Era stato sempre capace di riconoscere un sogno, e quando vide Justice Kassidy scendere la larga scalinata di un austero edificio con alte colonne di marmo, l'evento non fece eccezione.

Gli si strinse il cuore vedere quel volto battagliero, sempre illuminato quasi di luce propria, spento e indurito. Se non fosse per la postura e la grazia dei movimenti, a stento l'avrebbe riconosciuta. Era arrabbiata, lo sentiva. Sentiva quell'energia negativa, odiosa, che non rispecchiava la persona forse più positiva che avesse mai conosciuto. Se ne fece una colpa. Una colpa più pesante della celebre montagna che aveva polverizzato. Allora non poté fare a meno di chiamarla giacché era di fronte, e avanzava a falcate rapide. "Anche se è un sogno mi ha sentito!"
«Justice!» ripetè. Justice, arrivata a un gradino di distanza si bloccò, e il figlio di Apollo presagì un ceffone.
«Me lo merito, come al solito...» sospirò, ma Justice si voltò indietro, l'espressione confusa. Yuri, deluso, la chiamò ancora, ma l'altra lo ignorò.

«Non mi vedi? Com'è possibile? Justice, JUSTIIICE!» in preda alla confusione cercò di attrarre la sua attenzione ma, esattamente come quando si era ritrovato nel multimondo spiritico, Justice non lo vedeva. Non ci fu bisogno di riflettere oltre che già Yuri aveva scoperto cosa stava accadendo. "Almeno questo viaggio ha più senso del precedente!" rimuginò mentre si stupiva a osservare una grottesca statua di Minerva, priva delle forme dei fianchi, con le braccia alzate e con in una mano una lancia e uno scudo nell'altra. «Secondo me non l'hanno mai vista la mamma di Justice...» borbottò confondendola con Atena, ma non si soffermò più di tanto, neanche soppesò il fatto che quella statua, posta su un alto piedistallo, sembrava stesse preparandosi a tuffarsi nella fontana a piscina ai suoi piedi, perché una persona gli attraversò il corpo.

«Allora è questa la "Coscienza di Roma"?»

«È l'università Sapienza di Roma, ...»

«Gret... cioè PERLA!» Yuri si lasciò sfuggire un bel do di petto mentre la chiamava, però, come Justice prima, anche lei si voltò dalla parte opposta alla sua posizione.

«Hai sentito anche tu?» chiese Perla.

«Cosa?»

«Non so, mi è sembrato che qualcuno mi chiamasse» ammise, e Justice sembrò soppesare quanto era accaduto anche a lei.

«Sarà solo suggestione» minimizzò. «Piuttosto, ho trovato qualcosa di utile per la nostra missione, non ci speravo più ormai. Qui ci sono segni di passaggio di molti semidei del passato e alcuni hanno lasciato degli indizi che testimoniano...»

«Justice, ho fame, e l'ora di cena è passata da un pezzo, o in due parole dici dove dovremo andare e dopo ci cerchiamo una pizzeria, o troviamo una pizzeria e dopo mi racconti tutto» propose.

Justice rise di riflesso e scelse la seconda opzione.

Yuri le seguì, e assistette a ogni frangente temporale. Prese assieme alle ragazze l'autobus cittadino, un vecchio scassone a otto ruote mezze sgonfie e pieno zeppo di passeggeri. Ma non lo trovò scomodo essendo lui incorporeo. Lo stesso non potevano dire Perla e Justice che non videro l'ora di arrivare a destinazione. E la destinazione non era meno affollata: Piazza di Spagna. Justice aveva prenotato in una pizzeria trattoria con superba vista sulla celebre, vecchissima, scalinata di Trinità dei Monti, dalla quale videro scendere come un'apparizione Nency Ledesma.

«Ma che fa?» chiese Perla prendendo posto al dehor dopo aver individuato il nome di Justice scritto a penna su un biglietto dai bordi traforati a mo' di pizzo.

«Te l'avevo anticipato prima che ci serviva una figlia di Afrodite, no? Nency è stata l'unica ad aver dato la sua disponibilità»

Nency impiegò tutto il tempo che le parve utile per mostrarsi in tutto il suo splendore, a partire dal sorriso che le illuminava il volto leggermente quadro, reso grazioso dai corti capelli, così setosi ed eleganti da darle l'aria di una stella del cinema. Il vestito poi, verde come lo smeraldo e con uno spacco laterale così vertiginoso da non lasciare nulla all'intuito visivo di un folto gruppo di turisti, tutti maschi, che la stavano fotografando manco fosse un monumento romano vivente! Le braccia nude a salutare elegantemente la folla, ondeggiavano a ogni gradino sceso con agilità, nonostante cavalcasse le décolleté bronzee regalatele da Afrodite. Quando una brezza improvvisa le sollevò il foulard dorato mostrando generose porzioni di grazie femminili, una decina di adoratori, felicemente sconvolti, ruzzolarono dalla scalinata.

«E BASTA NANCY!» tuonarono in coppia Justice e Perla dal lato frontale alle scale. Nancy orientò verso le due il sofisticato strabismo e un gruppo di residenti elargì un apprezzamento nel gergo locale: «aaaa bbbbonaaa! Me pare nna deaaa!»

«Uhuhuhu! Non esageriamo ragazzi!» fece spallucce camminando ora nel piano della piazza, ancheggiando verso le amiche che si stavano vergognando per lei.

L'ingenua sconsideratezza con la quale la figlia di Afrodite si era mostrata in pubblico, la rese bersaglio di tre ragazzi poco raccomandabili che, con vili intenzioni, la seguirono ridendo e scherzando. Yuri chiamò anche Nancy, e pure lei avvertì qualcosa, ma come le altre si voltò verso il lato opposto dalla sua posizione.
«Ma perché non mi individuano?» si esasperò, e quando uno di quei ragazzi fece per allungare la mano verso il fondo schiena di Nancy, Yuri lo redarguì e gli assestò un poderoso calcio nel suo, di fondo schiena. Il malcapitato volò fino alla Fontana della Barcaccia distante venti metri da dov'era prima. Gli altri due compari non lo soccorsero nemmeno, e appena la bella figliola si voltò, quelli corsero via a gambe levate.

"Posso interagire almeno fisicamente!" si stupì Yuri, ma non poté più rimanere in quella parte di mondo, il suo io corporeo avvertì la presenza di qualcuno oltre la porta della camera del dormitorio della scuola. Si svegliò. Accennò un sorriso. Jolly e il leoncino sbucarono da sotto il letto e puntarono minacciosi la porta. Yuri li calmò con un cenno della mano.

«Grazie Moema. Ti sei guadagnata il mio aiuto. Ma non adesso. Nemmeno domani. Domani sono impegnato con Dafny» disse sicuro che oltre la porta c'era chi lo stesse sentendo.

Moema difatti si trovava oltre la porta con in mano il ciondolo circolare, che altro non era se non l'acchiappa sogni originale, lo strumento magico col quale aveva consentito a Yuri di vedere le sue amiche oltreoceano.

"Se tu non fossi stato Occhio-che-vede non avrebbe funzionato..."

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Per chi vuole approfondire ci sono le note

Minerva: era la dea Atena per i romani.

Mandan: rappresentano un vero rompicapo per gli studiosi di antropologia: erano indiani biondi! Sì! Sono stati anche gli unici ad aver lasciato come loro testimonianza addirittura delle costruzioni architettoniche, seppur rudimentali. La loro origine è incerta, ci sono solo supposizioni in merito. L'ipotesi più accreditata vuole che navigatori vichinghi esplorarono le future terre americane navigando in linea quasi retta i gelidi mari del Polo Nord, e una volta approdati un non chiaro motivo li spinse a colonizzare le prime praterie tra Stati Uniti e Canadà. Come poi si siano estinti è un altro grande rebus.

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