14 - Gratitudine
La fervida fantasia contorta di Aphaia non mancò d'essere oltreché perfida pure dispettosa. Infatti, per il quartiere misto aveva designato un baluardo oscuro. Chissà, forse credeva che la gente del quartiere più a nord, che amava i colori sgargianti, potesse sentirsi in un certo senso avvilita nel fissare con timore un'ombra lugubre a soffocare la loro entrata.
Molti, pungolati dalla strizza avvertita, sentirono la pelle tendersi al punto che qualcuno credette si stesse strappando.
Quando poi la massa oscura del varco assegnato si dissipò, Muna Ka Nui intravide l'accesso a una specie di labirinto.
La sensazione di pelle strappata a quel punto contagiò anche il resto della combriccola. Semidei e labirinti non vanno bene insieme. Lo sapevano tutti.
Ad esorcizzare fondate paure che riportavano alla mente i dedali più letali della storia, come quello del minotauro il più noto tra tutti, ci pensò Muna attraendo con un gesto l'attenzione generale.
«Guardate la figlia di Ecate com'è sicura di sé!» si elevò un brusio d'ammirazione dai suoi sottoposti, forse anche per mitigare la paura del labirinto.
«Non mostra alcun timore nell'affrontare la prova, tutt'altro! Lei ha la magia!» ma il messaggio reale era chiaro: "va avanti tu che noi poi ti seguiamo", e Muna l'aveva inteso alla perfezione.
Incurante del cicaleccio rivoltole, ondeggiò le braccia lunghe e magre attorno alle quali Mea Huna, il suo serpente verde giada, scivolò a terra morbidamente.
«Mea Huna! hōʻike i ke ala!» gli ordinò d'indicare la via per superare il labirinto in lingua hawaiian, ma nessuno lo capì. Se ci fosse stata Dafny avrebbe riso per quel suo accento continentale. Comunque, l'ammirazione non calò.
«È così reattiva e immediata! Lei è forte, come non esserne affascinati!» intercalava ancora qualcuno ben lontano dalla caposquadra.
Mea Huna si allungò strisciando incontro all'ignoto dedalo labirintico. Muna in testa a tutti lo seguì.
Sotto sotto, tutti pensarono quanto era strano e suggestivo star dietro a un crotalo che al buio emanava luci verdine fluorescenti. Sembrava un tubo al neon molle e vivo. Comunque, diedero fiducia più alla padrona che a quel coso.
Un attimo prima di varcare la soglia, uno strimpellio di cetre annunciò l'apertura del primo portone. Muna sorrise. "So già chi è riuscito a entrare per primo nell'anfiteatro", pronosticò.
A proposito di pronostici, alla spettacolarità delle olimpiadi asteriane si univa il divertimento creato dal formulare previsioni e, perché no, anche lo scommettere sugli esiti delle gare. Chi voleva, poteva puntare dracme od oggetti di valore su questo o quell'eroe potenziale campione, anche su sé stessi. Gli organizzatori delle scommesse, manco a dirlo, erano alcuni figli di Ermes, divinità affine al gioco e al ladrocinio. Ma anche qualcuno d'Iride non disdegnava certe complicità nelle attività d'azzardo. Per loro un affare rimaneva pur sempre un affare.
Naturalmente nessuno era obbligato a partecipare.
La partecipazione di nuovi elementi alle gare garantiva un interesse sempre acceso alle scommesse. La venuta di Yuri poi, era ancora una novità tutta da sperimentare a suon di pronostici. I più informati erano al corrente della sua incapacità a usare arco e frecce; il fatto che non potesse nuotare, per causa ignota, era di dominio pubblico. Perciò, molti avevano le idee chiare su cosa scommettere.
Se qualcuno non era sicuro sul cavallo sul quale puntare, c'erano gli esperti della piromanzia da interpellare, dietro salato compenso. La piromanzia, cioè la lettura del futuro osservando la fiamma accesa su una torcia consacrata, era praticata solo da tre semidei In tutta Asteria. Muna Ka Nui era tra questi, ma lei non si faceva mai coinvolgere.
Certuni erano anche a conoscenza della speciale capacità di Yuri nel prevedere gli avvenimenti, quindi il dubbio che egli fosse più avvantaggiato degli altri baluginava pure nelle menti degli avversari. A chiarire il dilemma ci pensarono gli amici più stretti del figlio di Apollo, Justice in particolare. Lei spiegò, chissà quante volte e a quanta gente, che le antìlipsi di Yuri erano in grado di anticipare gli avvenimenti a breve termine, cosa che non sempre avveniva, e sì, era capace di ottenere delle vere e proprie profezie, ma in questo caso non era la sua volontà a decidere come e quando averle.
«Apollo ha agito in modo saggio. Ha voluto rendere la vita del figlio un'incognita come un qualsiasi altro semidio» concludeva sempre la figlia di Atena.
Tuttavia, alle parole di Justice si aggiungevano proprio quelle di Muna che annunciava con discrezione la sconfitta di Yuri per mano di un componente di Atena, una ragazza.
La notizia sfuggì al suo controllo, il che era prevedibile dato l'eccitamento dovuto all'unico evento olimpico previsto per quei ultimi giorni estivi. Fu anche prevedibile intuire che la figlia di Atena in questione era Justice oppure Astrid, le uniche più dotate.
Molto più in là della porta destinata al gruppo di Muna, Aliseo Storm di Ermes manifestava troppa euforia. L'entrata destinata al suo quartiere era a dir poco pungente. Un numero incalcolabile di spade orientate orizzontalmente ricopriva l'intera superficie delle ante serrate.
«Sembra il tappeto dei fachiri!» constatò l'inseparabile Gregorio.
«Nulla di cui preoccuparsi!» lo tranquillizzò Aliseo avvicinandosi alle punte delle spade, senonché, una di esse si allungò velocemente infilzandogli la maglietta.
«Credo che forse un pochino dovremo preoccuparci!» si corresse rimanendo a torso nudo a grattarsi la nuca. Vide la sua bella maglia, scelta con cura per l'occasione, venir crivellata come un colabrodo.
«Fortuna che sono più veloce dopo aver riavuto la gamba, altrimenti avrei fatto la stessa fine!» convenne con aria grata osservando da lontano colui che gliel'aveva restituita, Yuri. A quel ragazzo doveva un bel po' di cose. Gli aveva restituito anche la sua bella Monica, o almeno il suo fantasma assieme a quello di Mirko e Florence.
La muta gratitudine verso il figlio di Apollo lo distrasse. Più e più volte s'era lanciato contro le migliaia di spade mobili, e altrettante volte aveva rischiato di fare la stessa fine della maglietta crivellata. "Dannazione! Devo concentrarmi!" si rimproverò. Poi, scrollando il capo come a scacciare quei pensieri, fissò il letto da fachiro orizzontale ed ebbe un'intuizione.
«È impossibile anche solo avvicinarsi! Come fai un passo rischi un centinaio di affondi!» lamentava una sorella.
«Squadra Ladrona! Dobbiamo agire tutti insieme!» esordì serio Aliseo. «Estraete le spade e combattiamo il "letto del fachiro"! Ho idea che non potrà tener testa quaranta di noi!»
La scarsa convinzione aleggiò sovrana negli sguardi dei suoi ragazzi, però nessuno si tirò indietro. La sua presenza, dopo il lungo periodo di assenza dalle attività olimpiche li galvanizzò. Aliseo, data la ritrovata capacità di volare, si occupò da solo di tutta la zona alta del portone irto di xiphos, gladio, spade, sciabole e fioretti assortiti.
Contro ogni previsione, man mano che lo squadrone spadaccino avanzava, l'intensità degli affondi dell'ostacolo diminuiva. A un certo punto, le punte acuminate avverse si spezzarono una a una. Quando poi anche l'ultima arma cadde in frantumi, la luce del campo dell'arena apparve accecante. Ogni figlio di Ermes, col fiatone convulso e le braccia indurite a furia di stoccate, rimase sbigottito dal rumore sentito prima di mettere a fuoco la scena prospettata all'interno dell'arena. Solo in un secondo momento s'accorsero d'avere tutti i vestiti strappati a furia di schivare affondi. Non fecero caso nemmeno alla suonata di cetre in loro onore.
«Alla buon'ora gente!» scoppiò ridendo allegro Axel da lontano, alla guida di un quad quattro per quattro d'oro!
Insieme a lui, tutti i componenti del quartiere di Efesto pilotavano altri mini veicoli più o meno proponibili, anche se non di metallo prezioso come il suo.
«Ma che accidenti?! Questi qua si divertono!» esclamò un po' piccato Gregorio tra respiri profondi e vertigini dovuti allo sforzo.
«Complimenti Axel! Sei riuscito a entrare per primo!» emise accigliato Aliseo, deluso di sé stesso. «Ma come avete fatto a superare il vostro ostacolo?»
Axel raggiunse i nuovi arrivati e frenò sgommando a un passo dal capo gruppo di Ermes. Sentiva già lontano il ricordo della porta dedicata al suo quartiere.
«È stato facile. Noi abbiamo avuto come barriera una baraonda di rifiuti metallici, e così, mi è venuta in mente l'idea di riciclarli. A pensarci bene non abbiamo speso male il tempo. Ci siamo allenati ad aguzzare l'ingegno e ora ognuno di noi ha un bel veicolo personale. Aphaia ci ha dato il permesso di tenerceli i nostri gioiellini!» rise. «Ah! Comunque non è stato il mio gruppo a entrare per primo nel Foro» avvisò con scarso interesse infine.
Ciò che nemmeno Axel sospettava era che Aphaia aveva avuto un occhio di riguardo nei suoi confronti già quand'era in carcere. Non immaginava d'averla affascinata al punto di ritrovarsi agevolato pure nella prova, in maniera spudorata e macchiavellica. I rottami d'oro erano per lui, e Lei sapeva che li avrebbe scelti.
«Il tuo quad è davvero un gioiello!» emise una ragazza di Ermes mentre elaborava già un piano per rubarglielo. Azzardò ad accarezzarlo al che Axel espulse uno sbuffo di fumo dalla bocca. La ragazza tossì.
«Hei! bellezza! Se vuoi fare un giro chiedimelo durante un incontro galante!» sorrise beffardo prima di schizzare in direzione dei suoi fratelli di quartiere.
«Ma!» la semidea si sentì un po' offesa.
Aliseo le posò una mano sulla spalla. «Stai attenta, Axel non è un tipo da sottovalutare»
«Vedremo!» rispose arcigna osservando, cioè mangiando con gli occhi, il biondino tedesco che scherzava con i suoi.
Quando il capo quartiere di Ermes ebbe individuato il gruppo che era riuscito a entrare per primo avvertì le mascelle disarticolarsi.
Anche Axel con la mente aveva ripensato a Yuri. Quando era carcerato aveva ricevuto da lui una visita. Scoprì che quel ragazzo aveva sempre un asso da giocare. Se ne rese conto da come era riuscito a entrare nelle carceri. Aveva portato in offerta alla guardiana Aphaia, un barattolo di cetriolini sott'aceto, e lei, distratta dalle invitanti verdurine, lo aveva lasciato libero di circolare indisturbato nei corridoi. Chissà se Aphaia aveva colto la sottile ironia della conserva, dato che Yuri la chiamava "mia signora dei sott'aceti".
Axel sorrise ancora ripensandoci. Quella visita era stata breve purtroppo, ma fruttuosa. Gli disse solo:
«Axel! Quando ero cieco, e mi trovavo in una situazione di stallo, mi allenavo sulla concentrazione mentale. È un ottimo sistema per schiarirsi le idee».
Axel decodificò il termine usato dal figlio di Apollo in "meditazione".
Anche Sophie, sua madre mortale, gli ripeteva sempre: "pensa Axel, pensa! Ogni meccanismo ha una sua logica, e ogni cosa è viva purché le si dia uno scopo!"
Sorrise arricciando il naso nel vedere i suoi fratelli fabbri divertirsi con gli aggeggi appena costruiti. Gli tornò in mente la domanda che pochi minuti addietro gli aveva posto una sorella prima di superare la prova.
«Maestro Axel! Come facciamo a entrare?»
«È semplice! Ragazzi! Avete portato gli attrezzi?» aveva domandato a viva voce, estraendo dalla montagna di ferraia che ostruiva l'entrata nell'arena una manciata di detriti. La risposta unanime gli era pervenuta dal tintinnio dei ferri del mestiere che ogni figlio di Efesto portava sempre con sé come fosse un bravo boyscout.
«Bene! Dividiamoci in gruppi e creiamo ciascuno qualcosa usando il ciarpame che abbiamo qui a disposizione!» aveva ordinato.
Axel, prendendo parte in prima linea alla direttiva appena imposta, era ritornato a essere assorto nel ricordo della visita di Yuri. Proprio il suo suggerimento aveva messo in luce un lato di sé che ignorava. Era una dote che già sfruttava senza accorgersene. La calma forzata affrontata con la meditazione, diede la spinta decisiva per farla emergere.
Era seduto a terra, con le gambe incrociate. Le sbarre dinnanzi, fatte di metallo superiore, inattaccabile e infrangibile, lo separavano dalla libertà.
Concentrarsi a vuoto, senza un marchingegno su cui lavorare, gli era sembrato solo una perdita di tempo. Sbuffò. Poi, siccome non aveva alternative, chiuse gli occhi e si decise a meditate, o a concentrarsi come gli aveva detto Yuri. Aveva pensato di lavorare nella sua casa garage. Quando aveva sollevato le palpebre aveva visto frammenti e pezzi di sbarre fluttuargli intorno. Non erano moduli di metallo tangibili, piuttosto degli ologrammi destinati a essere percepiti solo dai suoi occhi blu.
Sospirò rumorosamente, come se avesse visto un fantasma… il che non avrebbe dovuto procurargli alcuno spavento avendo visto nella realtà cose peggiori. Il punto era che stato inaspettato. Vedere un progetto materializzarsi come una proiezione tridimensionale, a un passo dall'essere toccabile, lo aveva colpito profondamente. La sorpresa aveva interrotto la concentrazione, e con essa era svanita la proiezione del progetto.
Sorrise quel giorno. «Amico, Yuri! Grazie!»
E grazie a quelle nuova presa di coscienza, Axel aveva composto il suo veicolo dorato.
L'interno dell'arena cominciava a riempirsi velocemente. I quartieri mancanti entrarono quasi contemporaneamente. Rubelia e i suoi erano ancora storditi dagli effluvi alcolici, almeno fin quando quello stesso boato esploso prima non riscosse tutto il suo gruppo.
«Hic!» singhiozzò. «Ma che diamine sta succedendo? Dove mi trovo? Che giorno è? Ho una fame!»
Poi affinò la vista e vide un ragazzo volare in alto e cadere giù gridando maledizioni in raffinato dialetto greco antico. Un colpo di vento dalla forza studiata alleggerì il contatto del malcapitato con il suolo.
Rubelia sbatté gli occhi stupefatta. «Ah già! Le olimpiadi!» realizzò non del tutto convinta. «Voglio andare a dormire...» sbadigliò.
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