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Stava scendendo la sera e i raggi che penetravano tra il fitto fogliame erano sempre più radi, come gli uccelli variopinti che si scorgevano alla luce del giorno. Erano piuttosto i rumori della foresta a intensificarsi, tanto che le mangrovie stesse parevano caratterizzate solo dal gracidare delle raganelle o dal cicaleccio continuo degli insetti. Già si scorgevano, mentre volavano da un albero a un altro, specie di grossi pipistrelli o di lemuri, i sovrani indiscussi della notte.
Morag si emozionava ogni volta a vedere quel cambiamento repentino ma radicale che si svolgeva ogni giorno al calar del sole: una parte della fauna si assopiva completamente e veniva rimpiazzata da un'altra, in un ciclo che si susseguiva da sempre e che continuava indisturbato. La foresta mutava faccia, pur rimanendo la stessa, senza perdere la sua bellezza: anche la misteriosa e macabra aria notturna, con i suoi rumori e i suoi animali grotteschi, la rendeva affascinante come nessun altro posto.
Come poteva non amarla, in tutte le sue forme? Erano trascorsi quasi sette mesi dal suo arrivo, ma era come se all'interno delle mangrovie e di Tou Gheneiou avesse vissuto una vita intera. E così infatti era stato: non era più capace di considerare vita quella nell'Exo.
Con lo sguardo vigile osservava ciò che era sotto di lui e ascoltava attentamente qualora ci fossero altri rumori oltre a quelli cadenzati e ripetitivi delle bestie: il compito delle Sentinelle era essenziale per evitare che qualcuno o qualcosa entrasse di soppiatto all'interno dei territori del clan. Era stato promosso presto a quella carica, subito dopo la guerra contro i Gheisas, e da allora era spesso venuto a conoscenza di Sentinelle che avevano prevenuto l'arrivo agli oikaria di animali pericolosi, oltre ad aver spesso aiutato in prima persona in questi termini.
Quanto lo appagava, quel compito! Tanto che era rimasto quasi deluso quando, alla precedente Cerimonia delle Nomine, era avanzato di grado nel Percorso divenendo Guerriero. Così, quando poteva, sceglieva spontaneamente di tornare ai confini e vigilare ciò che accadeva. Era l'unica attività in cui era certo di essere bravo: neanche la scarsa fiducia in se stesso lo faceva dubitare di ciò, così riusciva a sentirsi davvero utile alla sua comunità, sapendo di proteggerla.
E non poteva negare che quel lavoro fosse appagante anche perché era il solo che gli imponesse di concentrarsi così tanto da smettere di pensare a Em, l'unica idea che non smetteva mai di assillarlo. Solo lì, completamente immerso nella natura, attento a ogni minimo rumore e a ogni singolo movimento delle fronde, la dolcezza della sua immagine e l'amaro del suo perenne silenzio andavano rimpicciolendosi, finché la sua mente non veniva occupata solo dal verde della foresta, e non delle sue iridi.
Ma quel giorno si aggiungeva un altro pensiero, più forte, più pesante, impossibile da scacciare: quel maledetto indizio per arrivare al tesoro.
"Dovrei essere contento, come tutti gli altri". Ricordava alla perfezione il momento in cui Germanico aveva terminato di tradurre l'iscrizione, le espressioni allibite dei suoi compagni, che stavano per scatenarsi in ogni genere di manifestazione di gioia. Ricordava l'urlo tirato da Genew, a cui si erano accodati tutti. Ricordava i sorrisi, sul volto di chiunque. "Ma non ci riesco".
L'Exo non era più così inarrivabile. La strada per il mondo dei sogni di ogni nativo dell'isola, dove non esistono guerre e problemi, la gente è felice e la vita perfetta, finalmente era stata aperta, anche se impervia e faticosa. Ma non esisteva alcuna terra promessa! Solo una realtà fatta di disuguaglianza, odio e individualismo. Giungere laggiù avrebbe solo segnato il principio di una lunga infelicità, per tutti loro.
Morag si scosse subito, sentendo un movimento provenire alle sue spalle. Brandì la spada ma poi udì una voce alquanto familiare: «Non è possibile che io riesca a impigliarmi sempre su questi affari maledetti!»
Em?! Cosa ci faceva lì? Il solito tepore gli riscaldò le membra, mentre il sorriso aumentava involontariamente sul suo volto: la concentrazione iniziò ad abbandonare il suo corpo. Riprese in fretta il controllo di sé e si sporse dalla sua posizione, per vedere cosa le fosse successo.
Em stava cercando di liberarsi da una liana che, in un qualche modo, era riuscita ad attorcigliarlesi intorno alla vita e alla gamba destra: si stava tirando a un'altra di queste, senza rendersi conto che stava solo peggiorando la situazione. Morag trattenne una risata.
«Serve una mano?» chiese, non riuscendo a reprimere un sorrisetto divertito.
L'altra, mentre si dimenava, annuì visibilmente, non accorgendosi neanche di chi le avesse parlato. Morag scosse la testa e afferrò una liana fino a giungere sul tronco più vicino a lei.
«Sarebbe interessante sapere come sei riuscita a intrappolarti in questo modo» borbottò, esaminando la situazione e guardando più attentamente la pianta, che si stringeva di più a ogni movimento della giovane.
«Sarebbe interessante davvero» replicò l'altra, con una punta di fastidio, mischiata all'evidente timore di precipitare.
Morag strinse le labbra per non ridere e si rivolse a lei, cambiando il tono e adottandone uno che la tranquillizzasse. «Ora sta' calma. Molla la presa e aggrappati a me» disse, accostandosi al suo corpo, di modo che la giovane potesse togliere le mani dalla liana che continuava a stringere e giungere tra le sue braccia.
«No, che poi cado!» esclamò l'altra, già allarmata.
«Metti prima un braccio attorno al mio collo e poi l'altro. Te lo assicuro: non cadi. Ci sono io» concluse, sempre mantenendo il tono pacato e avvicinandosi ancora di più, così che Em dovesse sforzarsi il meno possibile per trasferirsi su di lui.
Dopo ancora qualche attimo di titubanza, la giovane staccò celermente entrambe le mani dalla pianta e, con ancor maggiore velocità, strinse la schiena di Morag, piantandogli le unghie sulle spalle e appigliandosi a lui, del tutto spaventata. Già preparato a una simile reazione, l'altro strinse silenziosamente i denti, cercando di non pensare ai graffi che si sarebbe ritrovato poco dopo.
«Che ti avevo detto? Non sei caduta» disse, poco dopo, mentre Em allentava la presa e tornava a respirare normalmente, oltre che ad alzare di nuovo la testa per guardarsi intorno.
Morag passò a reggerla solo con un braccio, mentre con l'altro prese la spada e tagliò con un colpo netto la pianta a cui la giovane era rimasta impigliata. Riposta l'arma, tornò al ramo su cui si era appostato prima e adagiò Em nel punto in cui si era seduto lui, quello più largo e comodo.
«Grazie» mormorò quest'ultima, non appena trovò una certa stabilità. Sollevò per la prima volta la testa fino a guardarlo negli occhi, rivolgendogli un piccolo sorriso.
«Figurati» disse lui, ormai incantato dal verde delle iridi della giovane, intenso come quello delle mangrovie, dalle sue ciglia voluminose, dalle pupille che si stavano dilatando con il calare delle tenebre, persino dalla sclera bianca attraversata da qualche capillare: anche un elemento che non cambia in modo sostanziale da un individuo a un altro in lei assumeva una bellezza e una particolarità mai vista prima, inserendosi alla perfezione nel complesso armonico e ordinato del suo viso. Li aveva osservati con attenzione ormai tante volte, ma sempre, tornando ad ammirarli, riusciva a vedere un particolare in più, che precedentemente non era stato in grado di cogliere.
Ma quel momento durò solo pochi istanti, come sempre: non doveva certo essere piacevole sentirsi fissata. Appena imbarazzato, ricambiò il sorriso e pensò a cosa dire per colmare il silenzio: non poteva permettere che si riproponesse la situazione imbarazzante di quel pomeriggio!
«Allora, ti... ha mandata qualcuno a cercarmi?» le chiese, la voce tentennante e il colore delle guance appena intensificatosi.
«Veramente sono venuta spontaneamente» *rispose secca la giovane, continuando a guardarlo negli occhi, per poi sussultare appena e distogliere lo sguardo. «Cioè, sì, sono venuta... arrivata... perché...» continuò, quasi balbettando, «be', sei tornato solo oggi e volevo chiederti qualcosa sulla spedizione, visto che tu e Kairos eravate tanto elusivi, oggi».
Tra tutti gli argomenti possibili, proprio quello doveva scegliere!
«Eravamo elusivi?» tergiversò: trascorrere del tempo con lei a parlare della spedizione era un vero spreco.
«Decisamente» ridacchiò lei. «Vi abbiamo chiesto se avevate qualcosa di nuovo da raccontare e voi avete subito spostato l'argomento su Rose».
«Be', ormai l'hai capito, quindi mi toccherà parlarne» borbottò tra sé, senza accorgersi sul momento di essere diventato improvvisamente scontroso. Ma, dando un'occhiata all'espressione di Em, la vide rattristarsi per la brusca risposta.
«Scusami, forse non avrei dovuto...» mormorò lei. Morag sussultò, rimproverandosi mentalmente di essersi concentrato solo su se stesso: quando mai gli sarebbe ricapitata l'occasione di stare solo con lei, nel suo posto preferito? «Non dovrei nemmeno essere qui, in realtà: stai lavorando, ti ho-».
«No, davvero». Aveva già fatto per alzarsi dal ramo, quando Morag si slanciò verso di lei e le prese una mano, per impedirle di lasciarlo ancora. Si staccò subito, indietreggiando e avvampando involontariamente. Rivolse lo sguardo alla foresta, sperando che non si fosse accorta di nulla o che questo suo sbalzo di umore non l'avesse seccata.
«Non mi stai disturbando, è una serata così tranquilla» continuò, pensando a ogni scusa da addurre perché rimanesse. «Se ora senti dei rumori è solo Spiro, che sta giocando con le scimmie, come al solito. Nel remoto caso accadrà qualcosa, le sue urla faranno da allarme». Le sorrise e anche lei parve tranquillizzata.
«Scusami se mi sono irritato con te». Morag si strinse nelle spalle. «Insomma, che colpa hai?»
«Non preoccuparti, ma non riesco a capire. È successo qualcosa di grave? Kairos non mi sembrava agitato, mi sembra strano quindi che ci siano problemi» ragionava intanto lei, mentre il giovane si metteva nell'ottica di rivelarle il proprio tormento.
«Abbiamo trovato degli indizi per il tesoro».
Seguì il silenzio. Em lo stava osservando con gli occhi sbarrati e la bocca appena aperta.
«Una perla nei territori di Mortino, in un bosco, mi pare» specificò ancora, apatico, appoggiando il mento su una mano e sbuffando sonoramente.
Ancora nessun riscontro dall'altra parte. Em taceva, rimuginando su chissà cosa: magari lo credeva folle perché non riusciva a gioire della notizia che, per chiunque altro, era la migliore mai ricevuta. Avrebbe dovuto addurre le proprie motivazioni, perché il suo giudizio negativo si smorzasse, ma non era certo che avrebbero portato un miglioramento.
«Ecco spiegato tutto» sentenziò infine; Morag rizzò le orecchie. «Non vuoi tornare nell'Exo e non vuoi che gli altri lo vedano».
«Come hai-?»
«È l'unico motivo che hai per non essere felice di questo».
«E non è... strano?»
«No, per me vale lo stesso. Non voglio andarmene da qui».
Morag non si era mai sentito tanto vicino a Em. Aveva sempre creduto che il loro modo di pensare fosse incompatibile; forse perché non aveva mai davvero avuto l'occasione per parlarle seriamente, soli. Invece erano quanto più simili avrebbe creduto: era certo che lei fosse la sola con cui condivideva la repulsione per l'Exo. A un tratto, avvertì il bisogno di aprirsi di più.
«Una volta consideravo l'isola una prigione, perché vi ero stato confinato contro il mio volere. Non è così. Quello che noi chiamavamo il mondo reale era la mia vera prigione: le convenzioni che lo caratterizzano lo sono, quelle che ti impongono una maschera già dalla tua infanzia, perché tutto quello che conta è l'apparenza. Vivevamo in una società che non si fonda su altro, rendendo i più marionette uguali, con i medesimi comportamenti dettati dalla moda. Alcuni forse riescono a sfuggire a questo turbine di standardizzazione, ma così non è accaduto a me».
Forse stava parlando troppo, forse la stava annoiando. Gettò un'occhiata a Em, temendo di vederla sbuffare e alzare gli occhi, invece questi erano puntati su di lui: attendevano solo che proseguisse. Rincuorato, Morag obbedì a quello sguardo.
«Fin da piccolo non ero mai andato controcorrente, ho sempre fatto tutto ciò che ci si potesse aspettare da un ragazzino benestante, senza attitudini. Di gente come me se ne trovava a centinaia: avrei potuto specchiarmi e riconoscere in tanti altri, senza riscontrare differenze significative. Neanche ci pensavo, tanto la mia mente era stata appiattita. Tutto ciò che mi importava era apparire, esattamente come a tutti gli altri, di modo che potessero giudicarmi in una certa maniera. Mi conformavo agli altri, così da non risultare strano, e facevo ciò che serviva per poter essere considerato grande nel mondo che frequentavo. Tutta la mia vita girava attorno a due cose: denaro e apparenza. Loro erano me e, al contempo, le mie prigioni. Poi sono arrivato sull'isola e sono venuti meno entrambi. Allora penso di essere diventato un uomo libero».
La testa piegata da un lato, Em lo guardava sorridendo. «Buffo che per me valga la stessa cosa. Però, sai, io non mi abbatterei tanto perché è arrivato un primo indizio del tesoro». Morag le rivolse un'occhiata stranita, alla quale Em si limitò a sogghignare: cos'aveva in mente? «Magari non è uno strumento per andarsene dall'isola».
«Ah no?»
Em scosse la testa. «Se ricordi bene, le fate ci avevano detto che si tratta di qualcosa che tutti desiderano. Ora, se anche solo noi due non desideriamo tornare nell'Exo, non potrà essere questo il tesoro, dal momento che non tutti lo desiderano».
«Hai ragione!» Nessuno lo aveva mai messo in dubbio, ma quella era sempre stata un'ipotesi, la prima a sovvenire a qualsiasi naufrago, ma non per questo corretta. «Allora è un'ottima notizia!» esclamò, finalmente euforico come tutti gli altri, mentre Em ridacchiava tra sé. Morag se ne accorse e smise di agitarsi sul ramo: piuttosto, dovevano elaborare nuove teorie. «Ma... cosa potrebbe essere?» si chiese, picchiettandosi l'indice sul mento.
«Ciò che si desidera è qualcosa di cui sentiamo la mancanza».
«Ma a te manca qualcosa, ora come ora?» domandò, incerto che quella giovane tanto sicura di sé potesse ammettere che ci fosse qualcosa di cui sentisse un desiderio impellente. Per lui esisteva, eccome... Ma non poteva essere quello il tesoro!
Em attese parecchio prima di rispondere, mentre sul suo volto andavano di pari passo l'arrossarsi delle gote e l'ingrandirsi di un sorriso pieno di imbarazzo.
«In realtà una cosa sì...» si decise a parlare, esitante come non l'aveva mai vista. «Penso che non mi manchi altro, ormai».
«Davvero?!» esclamò il giovane, sempre più sbigottito da tutte quelle rivelazioni, per poi cercare di nuovo di correggere la propria impulsività. «Cioè... voglio dire... anche a me manca solo una cosa... La tua cos'è?» chiese infine, troppo curioso.
L'altra avvampò. «Dai, dillo prima tu» provò a svicolare, con un risolino.
Morag rimase un attimo interdetto: era la sua occasione, poteva finalmente riverlarle ciò che provava da tanti mesi. Ma, mentre stava per pronunciare quelle poche parole, qualcosa in lui, forse l'ancora radicato timore di un rifiuto, o la paura di infastidirla che lo affliggeva perennemente, lo bloccò.
«Non... saprei come dirlo».
«Nemmeno io» mormorò a bassa voce anche l'altra. «Le parole non mi basterebbero. Però, potrei...» Sollevò lo sguardo, cercando gli occhi di Morag e osservandoli con attenzione, quasi nello stesso modo con cui lui la ammirava. Senza distoglierli, si spostò timidamente sul ramo finché la sua gamba non fu attaccata a quella del giovane. Appoggiò la mano sulla sua. «... fartelo intendere».
Ipnotizzato dai suoi occhi e dalla dolcezza della voce, Morag propendeva verso di lei, finché la fronte non si appoggiò sulla sua. Chiuse gli occhi e percepì una lieve e piacevole pressione contro le labbra. Disserrò le palpebre e vide il suo sorriso; nemmeno lui poté fare a meno di piegare all'insù gli angoli della bocca, finalmente consapevole che stessero condividendo il medesimo pensiero. Entrambi grondavano della più bella delle emozioni.
Le loro labbra si sfiorarono ancora e diedero inizio alla fantasia che occupava da tempo la sua mente, resa ancora più bella dal fatto che non fosse più solo un'immagine chimerica. Era la realtà. Le schiusero, lasciando che anche le lingue venissero a contatto, le salive si mescolassero in un unico liquido, i respiri si confondessero nella sola cavità formata dalle loro bocche.
Si attrassero l'uno all'altro, stringendosi e diminuendo ogni spazio rimasto, mentre si esploravano a vicenda. Più si toccavano e più si baciavano, più il loro desiderio cresceva: pareva impossibile riuscire a estinguerlo. Un'euforia mai provata prima si era impossessata di loro.
Morag non avrebbe saputo immaginare una sensazione migliore di quella che gli imprimeva la lingua di Em che si intrecciava con la sua, oppure le sue mani, a un tratto immerse nella sua chioma e subito dopo più sotto, a sfiorargli la schiena, mentre lui le carezzava le tenere membra.
Quanto aveva desiderato tutto questo! La giovane che amava era tra le sue braccia, godendo lei stessa dell'amabile esperienza che lo infiammava e ardendo di desiderio insieme a lui. Insieme. Sentiva che quella parola sarebbe stata scolpita tra loro dai mille baci che si stavano scambiando, che non si sarebbero mai stancati di darsi. Era come se attorno a loro si fosse avvolto un resistente filo invisibile: la penna del loro destino sarebbe stata mossa da entrambe le loro mani, legate indissolubilmente, che, poggiate l'una sull'altra, erano pronte a scrivere, concordi su ciò che sarebbe accaduto.
Morag non era capace di prevedere oltre: la sua conoscenza del futuro terminava lì; ma il solo pensiero che Em sarebbe stata al suo fianco lo portava alle immagini più belle che potesse figurarsi. Teneva gli occhi chiusi, assaporava al meglio le labbra della giovane e già fantasticava sul seguito. Altri baci, altre strette, altre carezze lo caratterizzavano.
Prese il volto di Em tra le sue mani, intensificando il bacio e sentendo l'altrettanto energica risposta della giovane. Quella sensazione migliorava sempre, a ogni secondo che passava. Che gli importava, ora, del tesoro? Aveva già trovato il più grande che potesse desiderare.
«'Giorno». Una voce lo fece sussultare, e con lui anche Em, che staccò improvvisamente la bocca dalle sue labbra e lo abbracciò impaurita. Morag avvertì il cambiamento del suo respiro e subito si preoccupò di tranquillizzarla, carezzandole delicatamente la schiena.
Un'insolita rabbia ribolliva intanto in lui. Chi era stato? Avrebbe voluto strozzare l'essere meschino che era arrivato a interrompere quel momento magnifico. Si girò lentamente, per cercare di diminuire l'ira che l'aveva assalito, e vide infine il disturbatore: Spiro, tutto sorridente, che si ondeggiava su una liana.
Morag respirò più volte per non assalirlo: se quel maledetto amico delle scimmie se ne fosse andato in fretta, se ne sarebbe dimenticato; l'atmosfera ormai era stata rotta, però i sentimenti di Em non sarebbero comunque mutati. No, non dopo l'intensità di quel bacio. Sentendosi più calmo, squadrò il più vecchio dei Melitos, già pronto per allontanarlo, ma Em lo precedette; i suoi occhi lo fulminarono con un'aria omicida. «Cosa. Diamine. Ci fai. Qui?!»
«Un giretto» rispose Spiro, atterrando sul ramo su cui erano seduti ed esprimendosi in un'espressione compiaciuta. «Le scimmie sono andate a dormire e mi sembrava divertente venirvi a disturbare un po'».
«Bene. L'hai fatto. Ora potresti andartene?» sottolineò Morag.
«Oh no, non penso proprio. Se vuoi che me ne vado, devi aiutarmi a stanare una scimmia pestifera che mi ha provocato!»
«Spiro, io devo lavorare!» eruppe Morag, rendendosi conto troppo tardi della stupidità di quell'affermazione. Spiro scoppiò a ridere, indicando i due giovani ancora abbracciati. «Non sapevo esisteva un lavoro per baciare le belle signorine. Voglio farlo anche io!»
Morag non fece in tempo ad accorgersene che Em, in un veloce impeto, aveva sfoderato la spada dalla sua cintola, puntandola contro l'altro neoteros. «Spiro, sparisci! Subito!»
«Oh, e va bene» mormorò, non mostrandosi intimorito davanti all'arma e continuando a guardarla con un certo interesse, avvicinandosi cautamente. «Però, ora che mi ci fai pensare... Oh, sì, questa spada è proprio bella. Posso usarla per stanare le scimmie!» realizzò infine, strappandola dalla presa poco salda di Em, per poi spostarsi su un ramo piuttosto lontano, dove rimirò per qualche istante il bottino. «Ecco l'aiuto che cercavo: grazie, amico» disse infine, muovendo il capo in segno di saluto e tornando da dov'era venuto.
«Deficiente! La spada mi serve!» Morag non ebbe il tempo di pensarci un secondo di più: prese una liana e lo seguì, mentre la sua testa iniziava a riempirsi di pensieri. Si maledisse, sapendo perfettamente che non avrebbe mai dovuto intrattenersi con Em durante il suo lavoro. Che guaio aveva combinato!
Guardò davanti a sé: la foresta era fitta ma vedeva lo stesso la figura di Spiro muoversi un po' più avanti rispetto a lui. Raggiungerlo era fattibile e subito prese maggiore slancio per catapultarsi nella sua direzione.
Aveva ormai percorso un vistoso tratto, ma Spiro continuava a essergli davanti: da quanto era diventato così veloce?
"Sono stato un idiota!" continuava a rammaricarsi. Mai da quando era diventato una Sentinella aveva commesso un errore grave come quello di abbandonare la posizione: erano punti strategici e, se ne veniva lasciato vuoto anche uno soltanto, qualcosa in quell'area poteva penetrare nei territori del clan. Si augurava con tutto se stesso che qualche grande predatore non passasse proprio di lì quella sera.
Ed Em? Aveva lasciato sola anche lei, mentre stava calando la notte. "E se fosse spaventata? E se si fosse bloccata senza riuscire a tornare agli oikaria?" Avrebbe dovuto rimanere con lei, ma non poteva nemmeno restare senza la sua arma buona.
Velocizzò il movimento, prendendo sempre più slancio e vedendo, finalmente, che stava riuscendo ad avvicinarsi a Spiro. Avrebbe recuperato la spada, sarebbe tornato da Em, si sarebbe scusato e le avrebbe chiesto gentilmente di tornare al clan per la celebrazione. Avrebbe continuato il suo compito, senza altre distrazioni, fino all'alba. La situazione non era irreparabile: doveva solo raggiungere Spiro.
Improvvisamente quello si fermò e si voltò verso Morag, continuando a tenere in bella vista il bronzo.
"La finirai bene di prendermi in giro!" Velocizzato ancora di più il ritmo, Morag fece un ultimo balzo per catapultarsi* su quella seccatura umana. Ma Spiro si spostò all'ultimo e l'altro rovinò su un grosso ramo.
Appena dolorante, fece per tirarsi in piedi, ma una mano gli bloccò la base del collo. Una lama di metallo appena più in alto. Il suo sangue raggelò: cosa stava succedendo?
Dalle piante sbucarono uomini, in un numero spropositato. Erano tanti, indistinti ai suoi occhi, se non per alcuni tratti che li accomunavano: grandi cicatrici su ogni parte del corpo, ghigni malefici e decine, decine di armi. Il suo respiro si era fatto più veloce e il panico si impossessò di lui: chi erano e cosa ci facevano lì?
A un tratto riconobbe Spiro, con ancora in mano la spada, che gironzolava tranquillo in mezzo a quegli energumeni. Morag non riusciva a capire: perché Spiro non era stato braccato, come era successo a lui? E perché non sembrava affatto spaventato?
Ma un'ultima figura si fece largo tra la folla: un vero gigante, che camminava lento e sicuro nella sua direzione, accompagnato dal silenzio che scendeva non appena muoveva un passo. Morag rimase senza fiato: quella chioma rossa, quegli occhi azzurro ghiaccio, quell'espressione disumana... Li aveva già visti una volta. Era stato sette mesi prima. Si era augurato di non rincontrarli mai più.
«Ottimo lavoro, Spiro» disse l'uomo, sorridendo malefico al suo interlocutore, di cui subito si dimenticò. Puntò i piccoli occhi malvagi in quelli di Morag, terrorizzato e impietrito: aveva già provato la medesima sensazione, la prima volta che si era imbattuto in Mortino.
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Spazio autrici
Oggi abbiamo parecchie cose da dirvi, quindi non perdiamoci in chiacchiere:
1) Già vi avevamo anticipato che da questo capitolo sarebbero iniziate le cose; se questo sia un bene o un male sta a voi deciderlo. Panda si sta pentendo amaramente di quello che mesi fa aveva deciso... Ma, d'altra parte, la storia deve continuare.
2) Più volte ci avete chiesto l'utilità di Spiro in tutta questa vicenda: eccola arrivata. E nei prossimi capitoli la spiegheremo meglio. Se posso anticiparvi, però, non date giudizi affrettati!
3) Torniamo un attimo alla parte ancora serena e tranquilla: il fatto che siano successe un sacco di cose non toglie che quelle fondamentali siano quelle di prima. Siccome siamo ancora al capitolo 3, e non al 4 o al 5, avete la possibilità di pensare ancora positivo! Che bello, eh?
Dunque, che ne pensate della coppia Em-Morag? Spero che il fatto che siano entrambi così maldestri non sia troppo cringe, nel caso ditemelo che cerco di provvedere. Che ve ne pare invece della nuova prospettiva sul tesoro? L'idea di Em potrebbe avere un senso? Se volete proporre qualche altra idea, prego, fate pure! Vi anticipo solo che, per forza di cose, capitoli con qualche delucidazione in merito non arriveranno a breve 😅
Bene, è arrivato il momento di scusarci in anticipo per tutto quello che succederà d'ora in avanti. Se vi state chiedendo perché vogliamo così tanto mantenere l'anonimato... questo è un ottimo motivo.
A presto, carissimi
~ un panda e una tartaruga spaventate dalle reazioni dei lettori 🐼🐢😨
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