25
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«Ebbene?»
La voce della Geisha risuonò con potenza all'interno della capanna. Il timbro era quello di un capo: forte, deciso, determinato.
«Datemi una spiegazione del perché così presto» continuò, guardando negli occhi Zeno, capendo al volo che era lui il sovrintendente di quegli uomini. «Di solito l'incontro in cui riconfermiamo i patti avviene due mesi dopo la nomina a Geisha. Perché tutta questa fretta?»
Zeno si avvicinò a lei fino a esserle quasi attaccato: l'altezza della giovane non superava la parte alta del suo petto, ma quella persisteva nel guardarlo incessantemente con quegli occhi scrutatori.
«Ma che razza di domanda è?» disse con quanto più disprezzo poteva, mescolato a un certo tono irrisorio. "Pensa come un Mortinou" si era imposto: perché la missione riuscisse bene e ottenessero una piccola prima vittoria per Tou Gheneiou, doveva calarsi completamente nel personaggio, per quanto gli facesse ribrezzo. «Mortino è impaziente, non capisci?» Si voltò poi verso i suoi compagni, ridacchiando. «Uomini, il capo dovrebbe aggiungere anche un'altra condizione perché una diventi Geisha: essere sveglia e perspicace».
«Ma perché mai?» replicò annoiato Milo, anche lui già calatosi dietro alla maschera. «Una Geisha intelligente o una Geisha stupida... Cosa cambia?» storse il naso, aggiungendo, poi, con un'espressione maliziosa. «Finché ha quello che deve avere, cioè qualche buco che soddisfi Mortino, va più che bene».
«Ti auguro di non averceli troppo piccoli, questi buchi. Stai per essere sfondata, cara verginella» gridò da dietro una delle Sentinelle, scoppiando in una risata sguaiata e volgare, seguito presto dagli altri uomini.
Soltanto Morag non riuscì a prendere parte a quell'osceno momento di ilarità, impietrito dalla situazione creatasi: con le indicazioni che gli avevano fornito i suoi compagni non aveva certo inteso che dovessero tramutarsi in simili mostri. Non aveva immaginato che i Mortinou fossero a tal punto brutali.
Lanciò un'occhiata alla Geisha, imperterrita nella sua posizione, un'aria appena infastidita sul volto. Morag era certo che, per quanto potesse dissimulare, quei commenti non erano affatto piacevoli. Si sentiva in colpa per essere partecipe di quella volgare messinscena contro la giovane, già sfortunata di per sé, ma dall'altra parte voleva essere di aiuto ai suoi compagni. Non doveva lasciarsi ingannare dalla docile apparenza del capo dell'altro clan; dopotutto, era stata lei a muovere la guerra contro di loro, a progettare il loro sterminio. Quella manovra, per quanto sgradevole, era necessaria. Ma intanto si interrogava se dovessero davvero giungere a tanto.
Perso in quei pensieri, notò Milo che, vedendo che non stava collaborando, gli lanciò un'occhiata torva: non poteva rimanere lì imbambolato senza fare niente. Non percependo unanime il gruppo, la Geisha avrebbe potuto insospettirsi e l'intero piano sarebbe fallito.
Ma Morag proprio non riusciva a essere disinvolto, anzi, non era in grado nemmeno di nascondere il proprio disgusto. Lo aveva capito già da prima, quando ancora non sapeva che i Mortinou fossero dei simili mostri, che sarebbe stato d'intralcio alla missione.
Si ritirò dietro a un Guerriero più alto di lui, per non farsi beccare dalla Geisha e dalla donna al suo fianco in un comportamento diverso dagli altri: forse non si era nemmeno accorta di lui.
«Quanto sangue aveva perso la neotera dell'ultima volta? Ho sentito dire da alcuni che era stata sbattuta così tanto da non sopravvivere» continuavano intanto a discorrere i suoi compagni, tranquillamente, come se quelli fossero argomenti quotidiani.
«E che ne so?» sbottò un Guerriero. «Magari mi chiamasse durante le sue serate... Invece mi manda sempre in missione: è già tanto se qualche volta riesco a fottere una neotera secca e mezza morta di fame, dispersa da qualche parte».
«Io ci sono stato qualche volta,» spiegò sulle sue l'altra Sentinella, «ma non è certo la stessa cosa che averne una tutta per sé: non puoi neanche goderti il momento che subito quelli che ci sono dopo ti mettono fretta! E la donna che ti becchi non è mai fresca, siccome se la sono già fatta almeno altri dieci uomini».
«Già, già,» annuì Milo, ridacchiando, «non c'è neanche più gusto! È divertente quando quelle cercano ancora di dimenarsi e sfuggire alla presa, mentre lì ormai sono rassegnate. Infatti è meglio trovarsene una durante una qualche incursione contro i clan dei neoteroi».
Quella conversazione sconvolgeva Morag parola dopo parola: dunque la Geisha non era l'unica a essere sfruttata per soddisfare la cupidigia di quei bruti. Probabilmente erano tutte neoterai, la categoria più debole dell'isola e di cui era più facile approfittarsi. Se quel fatidico giorno i Guerrieri di Tou Gheneiou non fossero sopraggiunti, probabilmente anche le due giovani del loro clan si sarebbero trovate in quella cerchia. La sua mente, contro la sua volontà, iniziò a proiettargli tutte le immagini descritte in precedenza dai compagni, ripercosse però sul corpo di Em. Si strofinò gli occhi, così tanto da farseli arrossare, per cercare di smettere di vedere nella sua testa quei dannati pensieri; eppure la vista di quella bellissima giovane, sovrastata dal corpo di Mortino mentre la violentava, continuava a ottenebrargli la sua lucidità.
Mai, mai, mai avrebbe permesso che ciò si avverasse. Prima o poi, se lo sentiva, quella condizione di precaria pace con Tou Mortinou sarebbe terminata, proprio come era accaduto con Tes Gheisas. Le mangrovie, allora, sarebbero davvero state capaci di proteggerli? E lui, lui che non riusciva neanche a immedesimarsi in un ruolo fittizio solo perché gli era sgradito, cosa avrebbe potuto fare allora?
Si sbatté una mano sulla fronte: doveva smetterla con quelle congetture. Zeno aveva assicurato che, perché Tou Gheneiou potesse essere conquistato, gli invasori dovevano padroneggiare l'arte delle liane, cosa che i Mortinou non conoscevano. Quel demonio, poi, avrà sicuramente avuto, durante la lunga storia dell'isola, altre occasioni per assoggettare il clan di Genew: perché mai avrebbe dovuto venirgli in mente questa idea proprio quando nel clan era giunto lui?
Per distogliere l'attenzione, tornò a guardare la scena che si stava svolgendo nella piccola capanna; i suoi compagni continuavano con i loro discorsi accrescendo sempre più il grado di oscenità e intanto la Geisha e la donna che stava al suo fianco li ascoltavano. La prima non si era ancora mossa dalla sua posizione, ma l'altra cercava di nascondersi dietro il capo, tremando tutta, con gli occhi sgranati dalla paura.
«Potete smetterla, per favore?» chiese a un tratto, educatamente ma con il solito tono solenne, la Geisha. «Francamente...»
«Uomini, uomini, l'avete sentita?» la interruppe Zeno, subito serio, rivolgendosi ai compagni che ammutolirono in un attimo. «Evitate di parlare delle vostre sconcerie in presenza di orecchie così delicate» disse, abbozzando un sorrisetto malizioso sulle sue labbra. «In ogni caso, quell'idiota là» affermò, indicando Milo, «mi ha fatto sorgere un dubbio: chissà se hai davvero ciò che Mortino desidera. Be', penso sia meglio controllare».
Si avvicinò ancora di più alla giovane, piegando il busto alla sua altezza per avvicinare il proprio volto a quello di lei, che si ritrasse appena. Imprecò nella sua mente contro se stesso per quello che stava per compiere. Non aveva neanche mai concepito qualcosa di così immorale, disonesto. Adesso che era implicato concretamente nella faccenda non era più capace di biasimare i Guerrieri che si erano rifiutati di partecipare o Rigel, che lo aveva rimproverato, durante l'esposizione di quel piano scabroso. Del resto, non poteva essere diverso: si trattava di imitare i Mortinou.
«Allora, bellezza,» disse, afferrando il mento della giovane, «cosa nascondi sotto questo mantello? Impazzisco pensando alle meraviglie che posso trovare! Addosso hai anche una tunica o solo questo? Avanti, lasciami guardare».
Posò una mano su un lembo del drappo bianco ma, mentre era in procinto di scostarlo, la Geisha gli afferrò il braccio con forza, mostrando entrambi i candidi arti superiori, esili ma estremamente tonici; con un movimento veloce, lo sollevò da terra e, dopo una rotazione, lo fece schiantare sul pavimento.
«Mortinou, come ben saprai, non posso andare contro il volere del mio signore» disse, glaciale, riservando a Zeno, steso sulle assi del pavimento e dolorante, un'occhiata ancora più fredda. «Forse dovresti fare lo stesso anche tu» concluse, per poi sferrargli un calcio in pieno volto.
Zeno si coprì subito la faccia con le mani, non tanto per il colpo incassato, che pure gli doleva, ma per la gioia che esprimeva il suo volto e che non poteva permettersi di far scorgere alla nemica. Il piano era andato a segno e quella era certa che loro fossero i messaggeri di Mortino: se all'inizio poteva aver avuto dei dubbi, ora, o grazie al comportamento tenuto dai suoi compagni, o grazie allo smarrimento da lei provato, ogni incertezza era scomparsa.
«Mi auguro che abbiate finito» proferì la giovane, squadrando gli altri uomini di fronte a lei. «Bene, allora: dite quello che dovete».
«Certo, certo» si affrettò ad annuire Milo, tenendo anch'egli la testa bassa per non mostrare il proprio entusiasmo. «Mortino ha saputo dal grande e potente spirito del vento che hai intenzione di muovere guerra contro Tou Gheneiou. È la realtà?»
«È così, ed è qualcosa di lecito, secondo gli accordi: io e il mio clan possiamo decidere di fare la guerra a chiunque, purché non sia un alleato di Tou Mortinou. Perché il mio signore se n'è interessato?»
«Per dimostrare la sua magnanimità verso il migliore degli alleati» rispose Milo con un tono quasi canzonatorio: l'avevano convinta che fossero di Tou Mortinou ma la loro farsa doveva perdurare. «Ha sempre desiderato vedere distrutto Tou Gheneiou e vorrà essere lì il giorno della sua fine. Ha dunque deciso che la scomparsa di quel clan sarà per sua mano: non può certo perdersi una simile occasione. I nostri eserciti si uniranno in un punto stabilito e vi affiancheremo a combattere: non pensi anche tu che quel popolo sia vissuto troppo a lungo? Clan così longevi possono esistere solo se è il grande Mortino a comandarli! In seguito alla nostra scontata vittoria, Mortino ti porterà nei suoi territori e lì riconfermerete gli accordi con l'unione rituale».
La Geisha era rimasta impietrita da quelle parole: un'ombra di terrore era passata sul suo volto e faticava ad andarsene.
«Va bene» disse, infine, cercando di riprendere la calma. «Dite però al mio e vostro signore che sarò io e io sola a uccidere Genew. Questa è la mia unica richiesta» aggiunse, poi, il tono quasi da supplice e la testa appena abbassata.
«Oh, che peccato!» esclamò Milo, fintamente dispiaciuto, mantenendo il tono irrisorio: lui, come anche gli altri, fremeva dal desiderio di sapere cosa spingesse quella donna a volerli attaccare ma, non potendo chiederglielo apertamente per non destare sospetti, doveva escogitare un altro modo. «E dire che era proprio ciò che voleva fare Mortino. Dovresti dargli almeno un buon motivo perché vi rinunci».
La Geisha rimase ancora una volta in silenzio: aveva abbassato del tutto la fronte e la sua espressione non si scorgeva più. Le braccia nascoste dal mantello, distese lungo i fianchi, a un tratto però ebbero un sussulto, come se le sue mani si fossero all'improvviso strette a pugno.
«Vendetta» mormorò per poi alzare subito la voce, quasi in un grido. «Pura e semplice vendetta! Sua madre... mi ha tolto tutto. Tutto. Tutto quello che avevo di caro al mondo mi è stato sottratto da lei, insieme a quello che avrei dovuto acquisire in futuro». Alzò gli occhi e li rivolse, gelidi e spietati, contro tutti i presenti. «Pensate davvero che io abbia scelto questo destino perché mi piaccia? Perché aspiri a diventare la schiava di Mortino, la sua hetaira, se vogliamo usare una vostra parola? Dopotutto, per voi è soltanto questa l'utilità di una donna: non mi sorprenderebbe se non arrivaste a capire il mio vero fine».
Iniziò a muoversi avvicinandosi mano a mano a ognuno degli uomini davanti a lei, celermente seguita dall'altra donna. «Sola, umiliata, infelice» scandì con disprezzo, senza diminuire il tono della voce. «Questo sono stata per tutta la mia vita. E questo continuerò a essere, perpetuamente sballottata avanti e indietro dalla mia giungla alle vostre lande, senza possibilità di scelta o di espressione del mio pensiero, in balìa delle voglie di un uomo che conosco solo per fama ma a cui dovrò dedicare la mia già miserabile vita». Si fermò di fronte a Milo, guardandolo negli occhi con quello che ormai era divenuto furore; poi tornò nella posizione in cui era stata per quasi tutto il tempo durante quell'incontro, abbassò di nuovo la testa, consapevole di aver esagerato con parole che lui non avrebbe gradito.
Morigeratamente concluse: «Prego, supplico il mio signore che mi conceda almeno quest'unica possibilità di riscatto, così di poco conto per lui, così importante per me».
«Si vedrà» concluse Milo, sbrigativo: "Discorso davvero toccante, ma noi siamo qui per ottenere delle informazioni". «Il luogo e l'ora?»
La Geisha si diresse verso la cassapanca ed estrasse tre statuine in legno: le posizionò a terra fino a formare i vertici di un triangolo e iniziò a illustrare il suo piano.
«Non avanzerò contro di loro frontalmente, dalla mia posizione» cominciò, indicando la figura più vicina a lei e spostandola un poco verso un'altra alla sua stessa altezza. «È l'unico confine pericoloso che devono proteggere, è probabile sia meglio equipaggiato. Poiché il mio signore si è proposto di prestarmi il suo aiuto in questa impresa, mi sposterò con i miei guerrieri a nord, fiancheggiando i territori di Genew» continuò, muovendo la sua statuina verso quella più in alto fino a porle attaccate, cercando di stare ben lontana durante lo spostamento da quella a cui si era avvicinata prima. «Ci troveremo a nord delle mangrovie, nel punto in cui queste si mescolano alla giungla».
«Ragazzina» la interruppe Milo: era improbabile che un interlocutore non ponesse domande o problemi durante l'esposizione di un piano. «Devo per caso ricordarti che noi non siamo pratici di quelle maledette piante oblunghe?»
«Lo so, ci avevo pensato. In quel luogo non è più sull'acqua che crescono gli alberi ma sulla terra, come avviene normalmente. In questi giorni farò costruire delle scale che vi portino abbastanza in alto: i rami, poi, da lì a Tou Gheneiou sono enormi e ci si può marciare sopra senza difficoltà. Altri dubbi?»
«Tutto chiarissimo» ghignò l'uomo.
«Da lì penetreremo nei loro territori la notte in cui la luna sarà a metà del suo ciclo calante». Spostò infine le figure che indicavano Tou Mortinou e Tes Gheisas fino a far combaciare anche queste con quella di Tou Gheneiou, che raccolse da terra; la mostrò bene agli uomini dinanzi a lei, e, con una mano, la mandò in frantumi. «Di loro non sopravviverà nessuno».
Dopo un primo attimo di sgomento, gli inviati di Tou Gheneiou iniziarono a esultare.
«E non se lo aspetteranno neanche!»
«Mi sembra un ottimo piano!»
«Ottimo! Ottimo! Balleremo sui loro cadaveri inneggiando a Zarkros!»
«Pazienza se non rimarrà nessuno. Chiederemo a Mortino di lasciarci invadere anche un altro clan, per raggruppare un bel bottino!»
«Così dunque è deciso» sorrise Zeno, appena rialzatosi, senza più il timore di mostrare apertamente il proprio entusiasmo. Era già come se avessero vinto. «Mortino sarà sicuramente soddisfatto».
«Me lo auguro: sono qui apposta, dopotutto» disse la Geisha, atona.
«E brava, verginella!» esclamò ancora Milo. «Vedo che sei già entrata nell'ottica giusta: Mortino ti apprezzerà molto».
«Bene, uomini, possiamo tornare al nord e riferire tutto quanto!» concluse Zeno, muovendo subito un passo verso l'uscita e trattenendo le labbra che, se fossero rimaste libere, avrebbero lasciato fuoriuscire una risata colma di gioia: avevano vinto! Non sarebbero scomparsi! I suoi cari, i suoi affetti avrebbero continuato a vivere tranquilli e sereni, senza alcuna minaccia! Considerata la situazione che avrebbe potuto verificarsi, in quel momento non riusciva a pensare a una sorte migliore.
«Potete andare a prendere le armi che vi occorrono per la battaglia, come d'accordo» sentì ancora alle sue spalle: la Geisha stava aggiungendo qualcos'altro. «In quest'ultimo mese abbiamo prodotto spade, frecce e lance a sufficienza per tutti voi combattenti. Ce ne sarebbero dovute essere di più ma non pensavo sareste arrivati così presto. Però alcune di quelle che vi avevamo fornito l'ultima volta dovrebbero essere ancora valide, se le avete trattate con un po' più di parsimonia del solito».
Gli uomini erano sbalorditi: chi si sarebbe immaginato che avrebbero potuto trarre ancora altri benefici? E che benefici! In questo modo sarebbero riusciti a sopperire persino all'inferiorità delle armi utilizzate. Tes Gheisas era un clan rinomato per la produzione dei suoi bronzi. La loro vittoria era ormai inesorabile.
«Ah, ecco di cosa ci eravamo dimenticati!» esclamò in fretta Zeno, prima che il troppo stupore potesse destare qualche sospetto: non dovevano rovinare tutto all'ultimo momento. «Brava, ragazzina, che ce l'hai ricordato. Andiamo a prenderle, allora!»
«Non dovete andare nella capanna principale, come al solito, ma scendete nelle fucine: non ho fatto in tempo a trasportare le armi di sopra. Lì troverete qualcuno che ve le mostrerà e valuterete se sono di vostro gradimento. Vi ricordo che ne ho fatto forgiare apposta una per il mio signore: il bronzo di cui è composta ha ricevuto un trattamento particolare, conosciuto solo dagli spadai di Tes Gheisas, che l'ha resa ancor più resistente, e presenta un particolare intarsio nell'elsa. Lo consideri come un mio dono, un mio pegno di fedeltà e devozione».
Zeno annuì, non avevano altro tempo da perdere: sarebbero andati a prendere le armi e poi dritti a Tou Gheneiou a portare le splendide notizie. Già immaginava che festa... Ma anche per quello non c'era tempo! Dovevano iniziare a preparare ogni dettaglio. Non appena fosse stato al clan ne avrebbe subito parlato con Rigel, il capo e altri Guerrieri.
«Aspettate!» Si erano già appressati alla porta, quando la voce della Geisha li raggiunse per l'ennesima volta. «Desidero parlare con quel giovane». Con un cenno del capo indicò Morag. «Voi intanto andate a prendere le armi e tu» apostrofò la donna che era stata con lei per tutto il tempo, «accompagnali».
Morag si sentì cadere, mentre i volti sbiancati dei suoi compagni lo squadravano biechi. Il suo comportamento li aveva fatti scoprire e la Geisha li stava mandando giù nelle fucine per catturarli? Vedeva come avrebbero voluto urlargli contro o persino assalirlo, ma in quel modo tutti i loro sforzi sarebbero stati vanificati. Scorse Zeno che con reticenza apriva la porta della capanna e usciva, seguito da tutti gli altri e la Gheisas.
Il respiro di Morag si fece subito affannoso. Lo aveva detto, lo aveva detto! La sua presenza sarebbe stata dannosa. Come sempre, si era rivelato un disastro. Poco importava se era diventato un Avventuriero: non aveva mai combinato nulla di buono nella sua vita. Perché avrebbe dovuto iniziare ora?
Ma mentre lui era immerso in quei pensieri, la Geisha si stava avvicinando a lui, ancora senza lasciar trapelare alcuna emozione.
"Devo calmarmi" si impose e, preso un respiro profondo, pose i suoi occhi in quelli della nemica, sostenendone lo sguardo.
«Ho visto come non eri capace di ridere alle oscenità blaterate dai tuoi compagni e come ti nascondevi per celare il tuo comportamento. Tu sei diverso da quelli» affermò: il tono era improvvisamente mutato, non più tagliente, ma quasi caldo, accogliente. Con quella cadenza la musicalità della sua voce veniva ancora di più accentuata.
«I tuoi occhi sembra che abbiano vissuto la peggiore delle esperienze» proseguì. «Dimmi, durante la tua infanzia... eri uno degli hetairoi, quei bambini che si dice siano oggetto del suo desiderio?»
Morag sgranò gli occhi: Mortino non si accontentava di avere a disposizione una grande quantità di schiave completamente al suo servizio, alcune delle quali anche condivise con i suoi compagni, ma la sua insaziabile voluttà bramava anche dei bambini? Tra tutti questo era certamente lo scandalo che più gli provocò ribrezzo. Ma quanti erano in tutto i poveri disgraziati che dovevano subire le sue violenze?
«Il tuo silenzio me lo conferma» proseguì la Geisha, abbassando la testa e prendendogli una mano tra le sue. «Che vita infelice devi aver trascorso. Perdonami se te l'ho rammentato, ma ho sentito questo forte bisogno puramente egoistico. Adesso che lo so è come se mi sentissi meno sola: non sono l'unica a essere odiata e tormentata dal destino. Forse però io sono stata più fortunata di te: almeno ho trascorso un'infanzia felice. Tu... no. E, ora che quel demonio non ti desidera più, non puoi nemmeno goderti il fiore degli anni, intrappolato nel ricordo di ciò che ti è accaduto». Sollevò di nuovo lo sguardo e puntò i suoi occhi celesti, vivacizzati da una strana luce, in quelli di lui. «Non senti un insaziabile desiderio di vendetta?»
«No...» mormorò incerto Morag: non era bravo a mentire, ma adesso non poteva sottrarsi dal recitare una parte. Se non altro, l'incertezza che provava poteva essere giustificata dal suo presunto passato travagliato. «Adesso sono un uomo libero, grazie alla sua magnanimità...»
«Parla liberamente» disse l'altra, stringendogli con più forza la mano, quasi volesse infondergli il suo ardore. «Sono tua complice. Dimmi la verità, non avresti voglia di penetrare il suo costato con un bronzo incandescente? Oppure di strappargli gli occhi dalle orbite con una punta di legno acuminata? Oppure ancora di infilargli una lancia nella gola e vederlo sputare sangue, mentre lo senti gemere dal dolore?»
A ogni domanda i suoi occhi si illuminavano sempre di più e la sua presa si faceva più stretta. Quando concluse il discorso, calò il silenzio all'interno della capanna. Morag stava riflettendo davvero sulle parole della giovane: ripercorse mentalmente tutti gli scempi che gli erano stati descritti, tutti quelli che aveva fatto, tutti quelli che avrebbe fatto. Era poi così sbagliato volere la morte di un essere tanto terribile? Ora sì che capiva a fondo il desiderio di ucciderlo che avevano tutti, non solo privarlo della vita, ma ammazzarlo lentamente, facendolo soffrire in un'agonia pari a quella che avevano provato tutte le sue vittime.
«Sì» rispose infine, con quanta decisione avesse in corpo.
La Geisha sorrise debolmente. «Ti capisco. Lo vorrei ammazzare già adesso, non conoscendolo nemmeno, sapendo solo tutto quello che ha fatto. Ma questo è impossibile e mi devo accontentare di uccidere il frutto dell'altra persona che mi ha rovinato la vita: quel demonio di Genew».
Morag rimase in silenzio: non era capace di figurarsi Genew come un demonio. Era stato grazie a quell'uomo se non erano stati catturati da Mortino e non avevano avuto una fine così misera. Non solo li aveva ospitati all'interno del suo clan, ma aveva fatto di tutto perché potessero trovarsi bene, pur con tutto l'odio che loro neoteroi avevano subìto a causa di alcuni componenti. Se solo l'avesse conosciuto... No, non sarebbe bastato. Nella testa sofferente della Geisha, la colpa della madre di Genew era stata ereditata anche dal figlio, ed egli, insieme al resto del popolo, avrebbe dovuto espiarla. Nulla, era chiaro, avrebbe mutato il suo giudizio.
«È troppo se ti chiedo come sia... lui?» La voce della Geisha lo riportò alla loro conversazione. Morag rimase un attimo in silenzio: cosa poteva rispondere? Era ovvio che fosse il mostro che tutti descrivevano. A cosa serviva chiederlo? La guardò negli occhi: dopo che ebbe formulato la domanda, erano scomparsi i sentimenti di ira e furore che l'avevano caratterizzata prima. Leggeva nelle due pupille appena dilatate una sorta di speranza, quasi fanciullesca: non desiderava una semplice conferma, ma voleva che le fosse detta la verità e in questa confidava ancora che non fosse orrenda come immaginava.
Fu allora che Morag si scontrò con la realtà: quella giovane non avrebbe mai visto Mortino. Durante l'attacco della notte con la luna a metà del suo ciclo calante, sarebbe caduta nella trappola ordita da loro e non avrebbe avuto più scampo. Il suo orgoglio non l'avrebbe tenuta in vita. Forse era meglio così, piuttosto che vivere assoggettata da quel mostro.
Intanto gli occhi della Geisha aspettavano una risposta, sempre più pieni di speranza a ogni istante che passava.
"Perché dovrei darle l'ennesimo dispiacere?"
«Con me... tremendo. Come con tutti gli altri che sono i suoi giocattoli» mormorò con un tono quasi sconsolato, ma cambiando subito espressione. «Però con la Geisha precedente ricordo fosse diverso: era come se si tramutasse quando era con lei. Veniva alloggiata in una capanna di fianco a quelle in cui eravamo ammassati noi e potevo sentire ciò che succedeva di là». Era partito per la tangente, iniziando a inventare anche i particolari: lei magari poteva conoscerli e, qualora fossero stati errati, sarebbe stato mandato tutto in frantumi. Ma ormai aveva deciso: la forza che trasmetteva quella giovane lo aveva messo nella condizione di mentire spudoratamente solo per accontentare quella speranza che vedeva scintillare nei suoi occhi. Tutte le altre che aveva covato dalla sua infanzia erano state infrante: che almeno l'ultima potesse essere ben riposta.
«Il mostro rude e brutale che era con noi diventava stranamente buono. La trattava con ogni cura, come se fosse sua moglie, e non le faceva mancare niente: non le urlava mai addosso, ma le parlava con parole gentili; non la picchiava mai, ma la toccava dolcemente. Certo, era una schiava, perché comunque doveva obbedire al suo volere, ma su di lei non veniva fatta alcuna violenza». Poi aggiunse, per essere più credibile: «Se hai sentito altre voci è perché lui non vuole dare una simile immagine di sé e quindi deve averla costretta a raccontare falsità. Te lo posso assicurare».
La Geisha gli sorrise: aveva un'espressione incredula, ma serena. Se non altro, rifletté con amarezza Morag, sarebbe andata in contro alla sua fine con la stessa tranquillità.
«Dimmi,» lo esortò ancora lei, la voce gioviale, «qual è il tuo nome?»
«Morag».
«Non l'avevo mai sentito» iniziò a riflettere, quasi tra sé. «Non so cosa significhi, lo sapranno solo quelle perfide maghe. Io ero Alycia, ma in cuor mio lo sono ancora. Ti prego, ricordami con questo nome e non con l'appellativo che mi sono dovuta addossare».
«D'accordo, Alycia» cercò di sorridere a sua volta Morag.
La giovane si alzò sulla punta dei piedi e posò dolcemente le sue morbide labbra su quelle di lui. Si staccò quasi subito, tornando alla sua altezza normale e osservando Morag con uno sguardo giocoso.
«Oh, scusa, ma non riuscivo a sopportare l'idea che dovesse essere quell'essere disumano a darmi il mio primo bacio. E poi non voglio ricordarti come Morag, colui che durante l'infanzia è stato un suo hetairos. È meglio saperti Morag, colui con il quale ho fatto qualcosa per cui potrei rischiare la vita» ridacchiò, infine.
Un pesante senso di colpa gravò d'un tratto sulle spalle di Morag: aveva ingannato quella giovane tanto onesta, coraggiosa, determinata. Ma, d'altra parte, cosa avrebbe dovuto fare? Rivelarle i piani di quello che, praticamente, era il suo clan e tradire tutti i suoi compagni?
Com'era pietosa la profonda divisione che intercorreva tra i clan, occupati in una perpetua lotta gli uni contro gli altri! Se solo fossero stati tutti uniti, non solo avrebbero trovato il tesoro con maggiori probabilità, ma avrebbero risparmiato la morte invana di innumerevoli individui. Perché nessuno ci pensava?
La giovane si voltò a un tratto verso l'uscita.
«È meglio che tu vada, ora. Chissà cosa staranno pensando i tuoi compagni...» Il tono lieto e vivace in un attimo era scomparso, facendo di nuovo posto a quello glaciale. «Di' che sei stato trattenuto perché le maghe mi avevano dato una profezia secondo cui un giovane dai folti capelli rossicci sarebbe arrivato un giorno a portarmi una notizia. Non è vero, ma è abbastanza credibile».
Lo guardò un'ultima volta, tornando a sorridere. «Allora, Morag, arrivederci».
«Arrivederci, Alycia» rispose Morag, dirigendosi verso la porta e cercando di celare la malinconia. Sapeva bene che quell'arrivederci mascherava un addio.
~
Sta andando tutto così bene? Così tanto??? E invece non c'è trucco e non c'è inganno: per il nostro clan preferito, per oggi ci sono solo belle notizie. Comunque non esaltiamoci troppo: la battaglia avverrà comunque, tra cinque giorni, e per quanto conoscano tutto il piano della Geisha e abbiano persino delle armi serie, ciò non toglie che potrebbero esserci morti e feriti. È pur sempre una battaglia, all'interno di una guerra. Cosa potrà mai succedere adesso? Avanzate pure le ipotesi! Passiamo invece a parlare del comportamento scabroso dei Gheneiou; io posso dire solo che hanno interpretato correttamente i Mortinou. Scelta riprovevole certo, ma necessaria. In ogni caso, in questo modo avete avuto un assaggio di Tou Mortinou, che, come penso avrete capito, non ci toglieremo dai piedi molto facilmente... Infine abbiamo il discorso finale tra Morag e Alycia, che (speriamo!) abbia assunto caratteristiche più umane: scombussolata dai commenti dei finti Mortinou ha perso la concentrazione e si è lasciata ingannare e, poi, la vediamo che inizia a provare un certo interesse per Morag. Del resto, è ancora una ragazza, che tutto sommato non è davvero malvagia, ma solo accecata dal desiderio di vendetta. Dopo questo capitolo, avete cambiato ulteriormente idea su di lei? Fateci sapere questo e altro nei commenti! E adesso corriamo a correggere anche il 26 😵
~🐼🐢
N.d.t. sul lessico.
Hetairos/hetaira: il significato base è "compagno/a", ma spesso assume l'accezione erotica, in particolare per il femminile, il cui senso più comune è quello di "schiava sessuale" (per forza di cose le hetairai non erano donne libere, se possiamo parlare di libertà per le donne nell'antica Grecia e ad Atene in particolare. Se ci spostiamo in altre città magari sì, ma evitiamo di complicarci la vita!) Al maschile significherebbe piuttosto "amante", se si considera sempre il campo semantico dell'eros, però per non usare termini troppo diversi, anche per non confondere, ho attribuito la stessa accezione che presenta il femminile.
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