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Capitolo 6

Ho la testa in confusione e non riesco ancora a metabolizzare ciò che è successo; mi sembra come se tutto ciò non appartenesse a me, come se la scena non mi riguardava ed ero solo una spettatrice immobile fuori dal contesto. Invece ero io quella che si dimenava, che implorava pietà da un uomo che mi voleva deturpare; lo stesso uomo che poco prima io stessa avevo chiamato. 

Per quanto Mark sia una persona sopra le righe non mi sarei mai aspettata un'azione così selvaggia e senza rispetto nei miei confronti. Non è la prima volta che qualcuno prova a farmi del male ma ciò che è successo stasera mi fa sentire in uno strano modo colpevole; alla fine sono stata io a chiamarlo, ero io che volevo passare una serata a divertirmi e involontariamente quando ho cambiato idea l'ho fatto arrabbiare. So che non dovrei pensarla in questa maniera ma è così che è andata in fin dei conti.

- Come stai?- mi dice questo ragazzo che per una qualche ragione si è trovato nel posto giusto e nel momento giusto per aiutarmi. Lo guardo e mi riporta alla realtà lontano, dai miei pensieri.
- Bene, credo. Grazie per quello che hai fatto, senza di te non saprei proprio cosa sarebbe successo.- gli rispondo accorgendomi in quel momento di essere fuori dalla discoteca e di avere freddo.
- Non mi sembra ci voglia molta fantasia per capire cosa ti avrebbe fatto...uomini come lui non dovrebbero essere chiamati tali.- mi risponde ma non voglio replicare con altre argomentazioni, vorrei solo entrare dentro perché sto iniziando a congelare.
-Scusami ma è meglio che entro dentro perché morirò di freddo se rimango ancora altro tempo qui fuori.- mi preparo a salutarlo e a ringraziarlo di nuovo ma blocca ciò che sto per dire.
-Non puoi pensare di tornare lì dentro con quel pazzo che sarà arrabbiato e cercherà te e anche me. Vieni, ho la macchina parcheggiata proprio qui vicino.- e mi prende la mano.

Ha ragione effettivamente, non sarebbe una grande idea ma certamente non posso aspettare qui fuori l'alba per il primo tram che mi porti a casa e chiamare il taxi non è un'opzione per le mie tasche. Però non è nemmeno molto saggio voler salire sulla macchina di uno sconosciuto anche se il suddetto sconosciuto mi ha appena salvata da un pazzo furioso. Ma ho troppo freddo per stare a pensarci a lungo e lo seguo. 

Entro nell'auto di questo ragazzo tutta tremante mentre lui inizia ad accendere il riscaldamento poi prende dai seggiolini di dietro una felpa e me la dà così che possa coprirmi e dopo un po' inizio già a sentire meno freddo. 
- Ti riporto a casa se mi dici dove abiti.- mi fa dopo alcuni minuti di silenzio.
- In realtà stavo pensando che ho lasciato la mia giacca in discoteca…- faccio per cercare di non complicare le cose sperando che mi lasci stare.
- Sei cocciuta eh?!- mi fa mezzo divertito- stai tranquilla, ti posso assicurare che non sono un maniaco, se lo fossi non staremo ancora 
qui a parlare a questo punto. In ogni caso per la giacca se hai ancora il numerino che ti hanno dato li chiami e gli dici che andrai a prenderlo domani o un altro giorno…- 
- Pare tu abbia la soluzione a tutto - rispondo sarcastica- effettivamente non è una giacca di grande valore e può rimanere una sera in discoteca senza che nessuno abbia voglia di rubarla...-
- Ecco che torni a ragionare.- mi dice sorridendo.
- E in ogni caso credo che accetterò la tua proposta di accompagnarmi a casa dato che non credo di avere altre opzioni migliori in questa situazione.- concludo arresa.
- Perfetto, e ti assicuro che puoi stare tranquilla, per quanto tu ti possa fidare di me.-
- Già- dico con poca convinzione ma senza altre alternative.

Chiamiamo la discoteca e avvertiamo che andremo a ritirare le giacche domani e ci rassicurano che non c'è nessun problema. 
- Bene, ora possiamo andare, dove è che abiti?-
-  Via dei cipressi- gli rispondo senza dirgli il numero civico per prudenza e anche perché la mia è una via con poche case e non bisogna specificare il civico per capire dove sto.

 Accende il motore e partiamo e proprio in quel momento mi torna in mente tutto ciò che è successo e inizia a diventare più reale e meno distante, inizia a prendere il sopravvento su di me e mi rendo conto effettivamente di ciò che è stato e dal niente scoppio a piangere. Me ne vergogno, non ho mai pianto davanti a nessuno, ho sempre cercato di non far vedere il mio lato più fragile,mi sento debole e non voglio sentirmi così davanti agli occhi degli altri. Però in questa situazione non riesco a controllarmi.

-Ehi, vuoi che mi fermi?- mi chiede questo ragazzo di cui non conosco ancora il nome.

- No, voglio solo tornare a casa, grazie.-  gli dico singhiozzando.

- Ok, ma se vuoi parlare e dirmi come ti senti ti ascolto, non è bello ciò che è successo e con quello stronzo non devi averci più a che fare! - mi dice con fare premuroso.

- Non mi conosci nemmeno,cosa dovrei dirti?- gli faccio retorica.

-Non c'è bisogno di conoscere una persona per parlarci.- 

Mi rannicchio sul seggiolino e continuo a piangere e a singhiozzare. 

-Io sono Kevin comunque.- mi dice mentre sta continuando a guidare come se conoscere il suo nome mi potesse  tranquillizzare.

Dopo un po' si ferma, però mi guardo attorno e non sono vicino casa mia. Mi inizio a preoccupare, mi sale l'ansia e ho paura di aver fatto la scelta sbagliata a salire in macchina con questo ragazzo.

Kevin si toglie la cintura e si avvicina a me e prova ad abbraccirmi. Rimango un attimo scioccata perché non capisco quali siano le sue intenzioni.
- Continua a piangere e a sfogarti, dai!- mi fa come se tutto ciò fosse normale.
- Perché fai questo?- gli chiedo sconcertata.
- Perché credo che chiunque farebbe ciò, non è giusto che tu pianga da sola, voglio solo consolarti.- lo dice in una maniera così innocente che non posso non fidarmi e quindi ricambio l'abbraccio.

Non mi ha mai abbracciato nessuno in questo modo, mi sento al sicuro. Non lo conosco ma mi fido lo stesso, è una cosa strana per me. 

- Grazie.- Non ho mai detto così tante volte questa parola a nessuno, questa è la prima volta che mi capita di continuare a ringraziare la solita persona in una sola sera.

-Piangi finché puoi, finché non ti sarai liberata da tutte le lacrime, perché le lacrime sono la rabbia che si impossessa del cuore e questo è l'unico modo affinché possa tornare a battere.- sembra capire ciò che mi sta succedendo dentro.

Dopo non so bene quanto tempo mi libero dalla rabbia e mi sento leggermente meglio e Kevin rimette in moto l'auto e mi riaccompagna a casa. 

- Ti puoi fermare qui, due minuti e sono a casa mia.- gli dico appena entriamo in via dei cipressi.
- Ok, come preferisci.- e si ferma.- e puoi tenere la felpa.- mi dice proprio mentre faccio per togliermela. 
- Grazie, come te la ridò poi?- 
- Te frequenti il Michelangelo, vero?-
- Sì…- rispondo un po' riluttante.
- Anch'io, ci si vedrà magari a ricreazione e me la restituirai.- mi risponde con semplicità ma a me questa cosa non va tanto a genio: non vorrei incontrarlo altre volte e data la dinamica di questo primo incontro non ho intenzione di iniziarlo a conoscere, non voglio essere il suo gesto di beneficenza.
- Va bene.- scendo dalla macchina, lo saluto e faccio per chiudere ma Kevin blocca lo sportello.
- Cosa c'è?- gli chiedo.
- Non siamo pari; tu sai il mio nome ma io non conosco il tuo! - effettivamente ha ragione e mi sento un po' stronza a non averglielo ancora detto.
-Mi chiamo Linsday. - 
- Ora siamo pari!- mi dice divertito.
- Insomma, ti devo tanto per quello che hai fatto stasera, davvero! Non so quante volte ti dovrò ringraziare ancora.- confesso a me stessa più che a lui.
- Chiunque avrebbe fatto così, non mi devi niente.- lo guardo riconoscente e ci salutiamo.









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