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Capitolo Trentasei

Cristiano

Se c'è una cosa che odio del mio lavoro, da quando più di dieci anni fa ho cominciato a fare il poliziotto, sono questi maledetti verbali. Mi sembra di scrivere ogni volta le stesse cose, utilizzare le stesse frasi, formule standard che devono solo essere riempite, ma allo stesso tempo non posso permettermi di fare errori, altrimenti chi la sente il Questore. Tuttavia, peggio di scrivere un verbale c'è il correggere un verbale di qualche sottoposto, specialmente di D'Alberti o Castaldo, che non hanno idea di cosa sia la consecutio temporum e hanno un brutto rapporto con le virgole.

Poso la penna sulla scrivania e quella rotola giù per terra. Impreco a mezza bocca, non ho voglia di raccoglierla. Mi tolgo gli occhiali da vista che in teoria dovrei indossare ogni volta che leggo, ma se ne dimentico sempre e inizio a massaggiarmi gli occhi che mi bruciano dalla stanchezza. Non ce la faccio a copiare i verbali al computer, lo farò domani mattina in ufficio o delegherò qualcuno, magari la nuova agente appena arrivata. Devono pur farsi le ossa i novellini.

Mi alzo dalla sedia e abbandono il mio studio, diretto a recuperare l'ultima sigaretta rimasta nel pacchetto del cappotto rimasto in soggiorno. Trovo la televisione accesa, gente vestita in modo strano sullo schermo, un corpo raggomitolato sul divano. Mi avvicino e mi siedo sul bracciolo.

«Che roba è?» domando prima di accendere la sigaretta. Una testa bionda fa capolino da una coperta verde.

«Peaky Blinders», risponde Veronica. «Lo sto rivedendo per la terza volta su Netflix.»

«Da quando ho Netflix?» domando, mentre Veronica mi ruba poco democraticamente la sigaretta.

«Sono entrata con il mio account.»

«Ah, ecco.»

«Te l'ho salvato sulla televisione, così puoi usarlo quando vuoi.»

«Non ho mai tempo per guardarlo», obietto. Ce l'avevo anche una volta l'abbonamento, ma poi mi sono reso che erano soldi sprecati.

«Va be', non si sa mai. E poi ci sono tanti programmi per bambini, molto educativi, Emma potrà sbizzarrirsi.»

«Come se non guardasse abbastanza televisione.»

Veronica rotea gli occhi verso l'alto e io capisco che sono stato il solito pesantone. Si solleva per farmi posto e io approfitto e mi metto accanto a lei. Sono le sette passate ed è arrivata solo qualche ora fa, quando è riuscita a liberarsi dai suoi impegni e io sono riuscito a scappare dalla Questura. Una volta a casa mi sono dovuto mettere a sistemare quei documenti, ma so che a Veronica non dispiace. Le piace ciondolare a casa mia, le basta trascorrere del tempo insieme a me e la sola consapevolezza che si trovi a qualche metro di distanza, nella stanza accanto, mi fa stare meglio. Sto bene da quando c'è Veronica. Stavo bene anche prima, ma ora è diverso. Se prima sorridevo quando pensavo a mia figlia, ora sorrido molto più spesso. Prima la mia vita era scandita da una fastidiosa routine, fatta di lavoro, il prezioso tempo trascorso con Emma, le lamentele del Questore, le cene di famiglia che sono sempre troppo numerose. Adesso c'è Veronica e per quanto tutto sembri un gran casino, e probabilmente lo è ma cerco di non pensarci, io sto bene. Per la prima volta dopo tanti anni, sto mettendo la mia felicità al primo posto.

Veronica gli riporge la sigaretta e poggia la testa sul suo petto. Finisco di fumare questi due tiri che mi ha lasciato e le metto un braccio attorno alle spalle. La sento afferrare il telecomando per abbassare il volume.

«Finito di lavorare?» Alza gli occhi chiari su di me e mi guarda. Faccio di sì con la testa e avverto una pesantezza proprio sulle tempie.

«Diciamo di sì, devo ricopiare i verbali al computer, ma posso farlo anche domani.»

Vengo interrotto dal suono del cellulare. Lo prendo dalla tasca e leggo il messaggio appena arrivato. Per un attimo mi convinco di essere riuscito a non far trapelare alcuna emozione.

«È successo qualcosa?»

E infatti. La guardo di nuovo. Non so bene cosa dire. Poi, opto per la verità.

«Riguarda il tuo stalker.» Me ne pento subito non appena noto il cambiamento di espressione sul viso di Veronica.

«Novità?» Cerca di mantenere un tono neutro, ma io ormai la conosco e avverto il suo stato di ansia. Le accarezzo una guancia.

«No, purtroppo. Stiamo monitorando da giorni la zona in cui il suo cellulare è stato localizzato, ma non c'è nulla di nuovo. Mi ha scritto Barbara che anche oggi è stato un buco nell'acqua.»

Annuisce, senza dire nulla. Mando giù a vuoto.

«Mi dispiace», mormoro, senza riuscire a trattenermi. Veronica sbatte le palpebre.

«E di cosa? Mica è colpa tua.»

«Sono io il poliziotto a capo dell'indagine, avrei già dovuto trovare quel bastardo.»

Se solo fossi stato più meticoloso all'inizio dell'indagine. Se solo fossi stato più attento, non avessi aspettato troppo, non mi fossi fatto influenzare dalla momentanea antipatia per Veronica... Ma poi, antipatia di cosa? A me già piaceva Veronica, dal primo momento in cui l'ho vista, su quel letto di ospedale. Dalla prima volta in cui mi ha ripreso, perché non mi sono inchinato davanti a lei e ai suoi genitori, da quando mi hanno infastidito così tanto i suoi modi spocchiosi e aristocratici, da quando i miei occhi neri hanno incontrato le sue iridi blu. Sono stato cieco, sono stato stronzo, e se l 'indagine sta andando a puttane è solo colpa mia.

«Mica li puoi arrestare tutti, vicequestore.» La sua voce si infila nelle mie orecchie, dolce e tenera. Scuoto la testa.

«Beh, lui lo voglio arrestare. Non riesco a pensare che sia lì fuori e magari sta progettando il prossimo modo di farti del male.»

Il solo pensiero mi fa venire voglia di andare a cercarlo di persona, casa per casa, in tutto lo sterminato territorio di Roma

«Cristiano, stai tranquillo.» Adesso è Veronica ad accarezzarmi il volto. Le sue mani piccole mi sfiorano le labbra. «È praticamente impossibile che ci riesca. Mio padre ha triplicato la mia sicurezza, vado in giro con cinque guardie del corpo, Josh non mi molla un attimo e quando non sono con lui sono qui con te. Non potrei essere più al sicuro.»

«Beh, non si sa mai», continuo io con la mia cocciutaggine. Lei sospira. Si rizza a sedere e stringe le mie mani. Il suo vestito color panna le va largo sulle spalle e si intravede la spallina del reggiseno. Sento l'irrefrenabile bisogno di tirarla giù e stringere tra le mani il suo seno morbido.

«Cri, guarda che io mi fido lo stesso di te, anche se non lo arresti. Sei il mio eroe ugualmente.»

«Smettila, sono serio.»

«Anche io. Non hai bisogno di dimostrarmi nulla, vicequestore.»

Non rispondo. Sento gli angoli delle labbra curvarsi appena verso l'alto. E allora mi sporgo verso di lei e la bacio. Ci siamo baciati troppo poco da quando è arrivata e a me piace davvero tanto baciarla. Come mi piace guardarla, accarezzarla, spogliarla, fare l'amore con lei. Come impazzisco anche solo a toccarla, certe volte sento come un istinto animale che non riesco a reprimere. Tipo adesso, mentre stringo i suoi capezzoli tra le dita e la sento gemere a ogni mio tocco.

Non pensavo che mi sarei sentito di nuovo così. Sono passati quattro anni da quando la madre di Emma mi ha lasciato e per tutto questo tempo non ho mai amato nessuno, esclusa la mia bambina. Ho alzato un muro col genere femminile, che buttavo giù solo quando si trattava di concedermi una fugace notte di sesso, che non gli lasciava addosso nient'altro che una profonda amarezza. Veronica è entrata nella mia vita senza chiedermi il permesso, infilandosi così, quasi sgomitando, e si è appropriata di un posto che non pensavo avrei mai concesso di nuovo a qualcuno e lo ha fatto con tutta la naturalezza del mondo.

Lo so che è sbagliata per me. So che non c'entriamo niente l'una con l'altro, perché io sono un poliziotto e lei è l'erede al trono della Nazione in cui viviamo. Lo so dall'inizio, ho provato a mandarla via, ad allontanarmi da lei, ma Veronica non me l'ha permesso. Con la sua bellezza semplice, la sua intelligenza, la sua spigliatezza, quel suo modo di fare caotico e coinvolgente, si è appropriata di una parte di me e io non riesco a lasciarla andare, perché non voglio. Io sto bene, con Veronica, come non sto bene da anni e mi sento quasi un ragazzino quando sono con lei, come adesso mentre la bacio con passione e la mia mano destra si fa spazio sotto la sua gonna per abbassarle gli slip. Ho dimenticato i verbali, la cena che va preparata, ci penserò dopo.

«Cristianoooo!»

Grazie a Dio siamo ancora vestiti. La porta si spalanca, una voce urla ancora il mio nome, subito seguita da un'altra, più acuta.

«Papà!»

Mi si gela il sangue.

«Merda!» impreco a bassa voce. Incrocio lo sguardo di Veronica e vedo del terrore. Dopo un momento di incertezza, torna in sé e si sistema il vestito con un gesto secco, mentre io mi rimetto in piedi. Cinque secondi dopo, mia madre ed Emma entrano in soggiorno.

«Papà!» Non appena mi vede, la mia bambina si apre in un sorriso, e anche io.

«Amore!» urlo di rimando. Mi abbasso sulle ginocchia ed Emma mi salta in braccio, stringendomi con le sue braccia piccola. Io punto gli occhi su mia madre.

«Suonare il campanello o avvisare, no, eh?»

Per tutta risposta, lei solleva le spalle. Non c'è nessuna aria imbarazzata sulla sua faccia, ma non ricordo che si sia mai sentita imbarazzata in vita sua. Le sarà bastato un solo sguardo per capire cosa stessimo facendo io e Veronica. E a proposito della Principessa, sento la sua voce dietro di me.

«Che figura...»

Con la coda dell'occhio la vedo ancora seduta, una mano che cerca di nascondere il viso. Non osa guardare nessuno dei presenti. Come ogni volta e come avrei dovuto aspettarmi, ci pensa Emma a rompere quel silenzio imbarazzante.

«Principessa! Che ci fai qui?»

La poggio a terra e lei si va a mettere dritta davanti a Veronica con il suo sorriso sdentato. Lei guarda prima me, poi la bambina. Le sue guance sono rosso fuoco.

«Ciao, tesoro», sussurra, mentre prova a sorridere. I suoi occhi ci mettono un secondo di troppo per focalizzarsi su mia madre. Ok, forse tocca a me.

«Ehm», biascico , prima che la situazione peggiori. «Veronica, questa è mia madre Tiziana. Mamma, questa è... Veronica.»

Non è di certo così che avevo immaginato il momento delle presentazioni. Non con Veronica sul divano, mezza nuda, entrambi in condizioni non adatte per ricevere degli ospiti. Lei si alza e io la guardo sorridere in direzione di mia madre, che sembra parecchio confusa sul modo in cui salutare la Principessa.

«Piacere, Principe... Altezza!» esclama, cimentandosi poi in una goffa riverenza che mi farebbe molto ridere in una situazione diversa. Il terrore si impossessa di nuovo di Veronica, che comincia a scuotere le mani a destra e a sinistra.

«Oh, no, no, non si preoccupi! Mi chiami Veronica, signora!» Non credo di averla mai vista così a disagio. Porge la mano destra a mia madre. Quest'ultima la scruta, incerta, poi, grazie a Dio, la stringe.

«Ma quale signora, Tiziana andrà benissimo!»

Si sorridono e il disagio sembra scomparire. Mi lascio andare anche io a un sorriso, finché non mi rendo conto che Emma mi sta tirando i pantaloni con una forza che non mi aspetto. Piego la testa verso il basso.

«Che c'è?»

«Io e nonna abbiamo portato la cena! È vero, nonna?»

«Certo, amore!»

«Ma certo che avete portato la cena, senza avvisare come al solito!»

Io e mia madre ci guardiamo, ma lei fa finta di niente, come al solito. Raccoglie da terra le buste con il cibo e se ne va in cucina. Trattengo l'aria qualche secondo di troppo. Emma mi tira di nuovo i jeans.

«Papà?»

«Dimmi, amore.»

Resta zitta. Lancia uno sguardo timido a Veronica e io capisco che ha qualcosa da dire ma si vergogna. Mi abbasso di nuovo e la prendo in braccio, riportandola verso l'alto.

«Che c'è, piccolina?» le domando a bassa voce, senza farmi sentire da nessun altro. Sento gli occhi di Veronica su di noi. Emma si avvicina al mio orecchio.

«La Principessa rimane a cena con noi?»

Trattengo un sorriso di tenerezza. Stringo le labbra e le sfioro il lobo destro con la bocca.

«Tu vuoi che resti a cena?»

Per un secondo ho un'irrazionale paura che dica di no. Che poi, non la biasimerei se lo facesse. Da quando sua madre è andata via, siamo solo io e lei, ed è molto protettiva nei miei confronti, per quanto possa esserlo una bambina di sei anni. E soprattutto, è gelosa. Odia tutte le donne che mi girano intorno, forse salva solo Barbara. Dopo qualche secondo di riflessione, fa sì con la testa.

«Sì, può restare.»

Quale onore. Soffoco l'ennesima risata.

«Vai a dirglielo, allora.»

«Che?»

«Che vuoi che resti a cena!»

Emma scuote la testa con forza. I capelli neri dello stesso tono dei miei mi sfiorano il viso. «No, diccelo tu!»

«Diglielo, si dice diglielo

«Diglielo tu!»

Sospiro. «Glielo diciamo insieme, va bene?»

Non aspetto che mi risponda e cammino verso Veronica, che è ancora lì ferma, in piedi accanto al divano. Ha le braccia attorno al corpo magro, i capelli biondi un po' arruffate e le guance sempre rosse. Quanto è bella.

«Veronica, Emma deve dirti una cosa..»

Emma Cuor di Leone Marconi nasconde la faccia nella mia spalla. Io non riesco a non ridere, ma cerco di non farmi sentire. Anche Veronica sorride e si avvicina piano.

«Che devi dirmi, tesoro?»

Mia figlia non risponde. La sento respirare forte, mentre giro il collo per carpire i suoi occhi. Dopo qualche secondo, la sua dignità torna in auge e alza la piccola testa.

«Principessa, resti a cena con noi?»

Alleluia. Torna subito a stringermi, senza guardare più Veronica. La ragazza incrocia i miei occhi. Si tocca le punte dei capelli e fa fatica a stare con gli occhi alzati.

«Cri...» comincia, ma io la blocco subito.

«Di' di sì.»

L'ho praticamente sillabato e quasi temo che Veronica non mi abbia sentito, ma volevo che fosse Emma a non sentire. Dal suo sguardo capisco di sì.

«Resta. Per favore», dico ancora, a voce un po' più alta. Allungo la mano e prendo la mano destra che ancora gioca nervosa con i capelli biondi. Voglio che resti qui, a cena con la mia famiglia, insieme a due delle persone più importanti della mia vita. Mi sorride.

«Sei sicuro?»

Dalla mano passo alla pelle del suo viso caldo. Ricambio il sorriso e poi mi rivolgo a Emma.

«Hai capito, piccola? La Principessa resta a cena con noi.»

La testa di mia figlia annuisce e io sento uno strano calore in fondo allo stomaco. Non so bene cosa sia, o forse non sono ancora pronto a scoprirlo.

«A tavola!»

***

«Grazie per la cena, signora Marconi»

«Tiziana mi devi chiamare, Tiziana!»

«Grazie Tiziana, era tutto buonissimo!»

È mezzanotte passata e per Veronica di tornare a casa, anche se non vorrei. I suoi genitori l'hanno chiamata più di una volta e Josh la sta aspettando fuori dal mio appartamento. Prima che scompaia nel freddo di novembre, mi avvicino per darle un bacio.

«Ti scrivo quando arrivo», mi sussurra, la bocca morbida sulle mie labbra. Non siamo riusciti a fare l'amore oggi, ma abbiamo fatto tante altre cose, forse più importanti.

«D'accordo. Buonanotte, Principessa.»

Mi lascia un ultimo bacio e poi corre verso l'automobile nera dai finestrini oscurati, il volto e i capelli coperti. Indugio qualche secondo sull'uscio della porta, in attesa che parta, poi rientro dentro quando la monovolume nera non c'è più. Mia madre sta lavando i piatti ed Emma si è addormentata da un pezzo.

«Lascia, poi finisco io», provo a dirle, ma lei ha già terminato. Si asciuga le mani con un panno che abbandona su una sedia e mi guarda.

«Veronica se n'è andata?» domanda, anche se sa già la risposta. Sembra che voglia dire qualcosa ma si stia trattenendo. Conosco bene questa espressione. Sbuffo senza poterne fare a meno.

«Dai, dimmi», la esorto.

«Dirti cosa?»

«Stai morendo dalla voglia di darmi la tua opinione. Ti conosco bene, mamma.»

Mia mamma sospira. Sposta una delle sedie che ha rimesso attorno al tavolino e si siede di nuovo.

«Che cosa stai facendo, Cristiano?»

Ed eccoci qua. Giro intorno al tavolo e mi siedo davanti a lei. «In che senso?»

«Hai capito benissimo in che senso»

Stringo le labbra. Sono settimane che aspetto che affronti questo discorso, anzi, mi stupisco che non sia avvenuto molto prima. È stata una bella serata. Veronica e mia madre si sono trovate subito in sintonia, nonostante l'imbarazzo iniziale, la lasagna era deliziosa ed Emma è stata molto contenta di rivedere la Principessa, nonostante l'imbarazzo infantile iniziale, stravede per lei dalla prima volta che l'ha incontrata. Ci sono state chiacchiere, risate, racconti di aneddoti, insomma, siamo stati bene. Temevo che Veronica non si sentisse a suo agio, invece si è sciolta subito e ha parlato più di me. Non che ci voglia molto. Le ho stretto la mano per quasi tutto il tempo, senza accorgermene.

«Non mi va di parlarne», è la mia risposta molto infantile, ma a mia madre non basta. Incrocia le braccia.

«È la Principessa di Sicilia, Cristiano.»

«Grazie dell'informazione, non me n'ero accorto.»

«Non fare del sarcasmo, è una cosa seria.»

Non sono passati nemmeno cinque minuti e già sono sulla via dell'incazzatura facile. Mi alzo di nuovo, non ce la faccio a stare seduto. Appoggio la schiena contro il muro e guardo ancora mia madre.

«Lo so chi è, mamma, ma non mi interessa.»

Ed è vero che non mi interessa. Credo.

«Dovrebbe, invece», continua lei, con un tono secco, grave, che riesce a mostrarmi tutta la sua preoccupazione. Soffio fuori l'aria che ristagna nel mio petto.

«Stiamo bene così.»

«E al resto non ci pensi?»

«A cosa?»

«A tua figlia, che ha sei anni!»

Mi passo una mano sul viso, imponendomi di tacere. Come può dirmi che non penso a Emma? Emma è la cosa più importante. Più importante di tutto e di tutti.

«Emma non c'entra niente con questa storia, è una cosa mia.»

E lo è davvero una cosa mia, per la prima volta dopo tanti anni. Mia madre scuote la testa.

«Cristiano, stai dando i numeri. Hai una relazione con l'erede al trono, te ne rendi conto?»

«E allora mamma? Qual è il problema?»

I toni si sono alzati. Nella famiglia Marconi abbiamo lo stesso identico modo di affrontare le discussioni, con rabbia cieca e voce alta. Mia madre ora è in piedi davanti a me e ci guardiamo da una parte all'altra del tavolo.

«Qual è il problema?» ripete le mie parole, rossa in viso. «Pensi davvero che durerà?»

«Perché non dovrebbe?»

«Credi che l'erede al trono sposerà un Poliziotto?»

Sposare? Chi ha mai pronunciato il verbo sposare? Sta delirando.

«Nessuno ha parlato di matrimonio, mamma, noi ce la stiamo solo vivendo come viene. Per la prima volta dopo quattro fottuti anni, sono felice.»

L'ho detto, finalmente, l'ho urlato. Perché è così che mi sento, felice, come tanto tempo fa. Perché mia madre sta cercando di rovinare tutto? Il sorriso debole che si disegna sulle sue labbra mi stupisce.

«Lo so che sei felice, si vede.» Il suo tono si è abbassato, ma non il suo sguardo. «Ma non è sana questa cosa, Cristiano. Non è normale. Perché Veronica non è una ragazza normale. È bella, intelligente, è così a modo, non ho mai visto una persona più educata di lei e si vede che ti rende felice, ma non si può, Cristiano. Non si può.»

Adesso è troppo. Il mio livello di suscettibilità è andato oltre la normale tollerabilità e devo interrompere la discussione, prima che degeneri e mi ritrovi a dire all'ultimo genitore che mi è rimasto cose che non penso.

«Smettiamola, non mi va più di parlarne», decreto, senza più guardarla.

«Non puoi evitare il problema per sempre», non demorde lei.

«Sei tu che ne stai facendo un problema, mamma. Io sto bene così.»

Spero che capisca che la discussione è terminata. Mia madre scuote la testa e sul suo volto stanco riesco a vedere tutti i suoi quasi cinquantanove anni.

«Bene, io quello che dovevo dire te l'ho detto. Ne riparleremo tra qualche mese.»

«Certo, ora però ho sonno. Ci vediamo domani.»

La sto congedando. Mia madre mi guarda ancora, poi si alza per andare a recuperare la giacca. Esce di casa sussurrando buonanotte. Di nuovo solo, oserei quasi dire finalmente, mi accendo una sigaretta, che fumo in fretta, quasi non me ne accorgo e quasi non la assaporo. Questa discussione mi ha avvilito. Per la prima volta, dopo tanto tempo sto bene, sono felice e non intendo rinunciarci. Non mi interessa ciò che dice mia madre o nessun altro.

Spengo la sigaretta ancora a metà e se ne vado a letto, piano, in modo da non svegliare Emma. Ho bisogno di farsi una bella dormita, tanto che mi dimentico di leggere il messaggio di Veronica che mi avvisa di essere tornata a casa. 

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