Capitolo Trentaquattro
Veronica
Quando mi sveglio, non ho la minima idea di che ore siano. Chissà quanto tempo è passato da quando ho aperto gli occhi stamattina, ho fatto colazione, ho fatto l'amore con Cristiano... Più di una volta. Sarà pomeriggio inoltrato e mia madre avrà già chiamato i Servizi Segreti, ma in questo momento sto così bene che non me ne importa nulla. Socchiudo gli occhi, la testa poggiata sul petto di Cristiano, il suo braccio destro attorno alle mie spalle. Il suo odore mi stordisce, la leggera peluria che ricopre la sua pelle solletica la mia.
«Stai bene?» lo sento chiedermi e quasi mi sembra in ansia. Nascondo un sorriso.
«Mai stata meglio», rispondo, una sensazione di benessere lungo tutto il corpo. Alzo appena la testa e incrocio i suoi occhi. Lui abbassa la testa e mi bacia. Dio, non smetterei mai di farlo. Baciare Cristiano Marconi è come una droga, una cosa che continuerei a fare all'infinito, che non mi è mai successa prima e che se ci rifletto troppo mi spaventa. Mi stacco da lui per respirare e resto qualche secondo a guardarlo.
«Che c'è?» è la sua domanda dopo tre secondi netti. La persona meno paziente e riflessiva del mondo. Stringo le labbra.
«Non mi era mai successo.»
Le sopracciglia di Cristiano si inarcano. «Cosa?»
«Di sentirmi così, come posso dire... coinvolta. A trecentosessanta gradi. Con tutta me stessa.»
Sento il bisogno di parlarne, perché non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno con le mie amiche. Ho la necessità di dirlo a qualcuno e forse Cristiano non è la persona giusta, ma in questo momento sento di potermi fidare completamente di lui. Non dice nulla, si limita a guardarmi, come volesse incoraggiarmi a continuare. Mi rizzo a sedere e mi stringo il lenzuolo attorno al seno nudo. Cerco di incamerare più aria possibile, ma è difficile. Ho il respiro accelerato e il cuore ha cominciato a battere più forte.
«Io e Alfred siamo stati insieme quattro anni e, anche se non sembrano, quattro anni sono tanti. Non ricordo nemmeno come ci siamo messi insieme, so solo che erano tutti così felici che mi stessi frequentando con un lord inglese. I miei genitori, i giornali, l'opinione pubblica, persino i parlamentari sembravano elettrizzati dal fatto che uscissi con lui. Oggettivamente sembra l'uomo ideale. Biondo, occhi chiari, sangue reale, fa parte della casata reale più importante del mondo... Il fidanzato perfetto per l'erede al trono. Anche io pensavo che fosse perfetto all'inizio, perché mi piaceva, è un bel ragazzo, è simpatico, sveglio, insieme facevamo un sacco di cose. Stesse abitudini altolocate, amicizie famose e aristocratiche, balli, eventi sociali, partite di polo, ricevimenti di famiglia. All'apparenza era tutto perfetto, tutto giusto. Poi però ho capito che era giusto per la Principessa, ma non per me, non per Veronica. Non ci vedevamo quasi mai, tranne che appunto negli eventi ufficiali. Lui vive a Londra, io a Roma e non ci mancavamo. Non mi mancava. Facevamo sesso una volta al mese e mi andava bene così. Non era quello che volevo da una relazione, anche se per tutti lui era quello giusto, il Principe Azzurro che sarebbe stato benissimo sul trono d'Italia. Io ho capito che volevo altro.»
Mi taccio. Forse ho parlato troppo. Forse avrei dovuto tenere per me queste cose. Alzo gli occhi e incrocio quelli di Cristiano. Finora ho preferito fissarmi le unghie. Vorrei una sua risposta, un suo commento, qualsiasi cosa. Lui allunga la mano e mi accarezza la nuca, poi mi spinge con delicatezza verso di lui. Mi rimetto nella posizione di prima, a contatto con il suo corpo caldo. Le sue dita continuano a sfiorarmi i capelli.
«A me è successo», parla, pochi secondi dopo, meno di quanto mi aspetti. «Di sentirmi così.»
Questa frase è un cazzotto nello stomaco. Accuso il colpo. Non commento, sto zitta e devo stringere e nascondere le labbra verso l'interno per trattenermi dal far uscire qualunque suono dalla mia bocca.
«Con la madre di Emma, ormai quasi otto anni fa. Dio, quanto ci amavamo, quanto la amavo. L'avevo conosciuta in Questura, quando ero ancora un agente. Era venuta a denunciare il furto di un portafogli, gliel'avevano rubato in metro, il suo primo giorno a Roma. Era di Verona, era venuta a studiare qui Storia dell'Arte, perché diceva che questo era il posto migliore per farlo, nella culla della cultura. La invitai a uscire non appena mi consegnò il foglio della denuncia firmato. Fu poco professionale, lo so, ma non riuscii a resistere. Mi disse di sì e dopo una settimana stavamo insieme, tre mesi dopo convivevamo ed Emma arrivò entro l'anno. Successe tutto così in fretta che nemmeno me ne resi conto, però ero felice. Maledettamente felice.»
Tace, ma non credo abbia finito. Sono raggelata. L'ha amata davvero, quella donna. Ha già provato quella felicità che io sto sentendo per la prima volta solo adesso. Cristiano ha avuto una vita prima di me e l'ha vissuta molto intensamente. E io mi sento una perfetta idiota ad aver pensato che per lui fosse la prima volta.
«Una mattina,» riprende lui, con lo stesso tono monocorde di prima, «quando Emma aveva appena due anni, si è svegliata e mi ha detto che non ce la faceva più, che era troppo per lei. Aveva bisogno di una pausa e sarebbe tornata a Verona per qualche giorno, forse qualche settimana. Non è più tornata. All'inizio rispondeva alle mie telefonate, poi ha smesso. Ho tenuto le sue cose per un anno, poi le ho buttate. Dopo meno di sei mesi, Emma ha smesso di chiedere dove fosse la mamma. Ha capito, senza che io abbia mai avuto il coraggio di dirglielo.»
Non so che cosa dire. Non mi aspettavo che fosse andata così, o almeno, non pensavo che tra di loro fosse finita in un modo così netto. Credevo che si fossero lasciati e che lui avesse l'affidamento esclusivo di Emma, non che sua madre l'avesse completamente abbandonata. Come si fa a fare una cosa del genere? Come puoi abbandonare tua figlia e non tornare più, non chiamare più, dimenticarti del tutto di lei? Come è possibile mettere un taglio alla propria vita e a tutti gli affetti e i legami costruiti?
Cristiano resta in silenzio per un po', per dei minuti che non riesco a quantificare. Non dico niente neanche io. Ha raccontato la sua storia come se stesse parlando di qualcun altro, non di sé. Come se ciò che quella donna gli ha fatto non fosse importante, non fosse capitato a lui. E allora una cieca paura mi invade. La paura che non voglia più amare. La paura che abbia messo un muro tra se stesso e i sentimenti, che guardi tutto con distacco, come se niente lo riguardi più, come se nulla possa fargli più male. E la cosa più assurda è che paradossalmente lo capisco, lo farei anch'io se avessi passato ciò che ha subito lui. Resto in silenzio, ancora nella stessa posizione di prima, cercando di non far rumore nemmeno con il respiro. Non voglio guardarlo negli occhi scuri, ho paura anche di quello che potrei trovarvi.
Cristiano però non è della stessa opinione. La sua mano scende fino al mio mento e lo solleva piano. Non oppongo resistenza e ci guardiamo negli occhi. La paura scompare all'istante.
«Non credo di averlo mai raccontato a nessuno, non in questo modo, almeno.»
Il debole sorriso che mi rivolge mi scalda il cuore. Ci avviciniamo l'un l'altro per unire le labbra nello stesso momento, in un bacio semplice, senza pretese.
«Mi dispiace», riesco finalmente a parlare. «Non è giusto.»
«No, non lo è, ma è andata così, sono passati quattro anni ormai. L'ho superato.»
Chissà se è vero. Non riesco a fare a meno di pensarlo e dal modo in cui Cristiano mi guarda credo che l'abbia capito. Ora è lui a mettersi a sedere. Costretta dal suo movimento, lo faccio anche io e ci ritroviamo seduti, i volti alla stessa altezza, occhi negli occhi.
«Mi è già successo di sentirmi così, ma ciò non vuol dire che non mi ci possa sentire ancora. Anzi, che mi ci senta ancora.»
Credo di non aver capito bene. Vorrei chiedergli di ripetere, ma le sue labbra si avventano sulle mie e mi dimentico la domanda. Mi dimentico di tutto quando sto con lui: della mia famiglia, dei miei amici, dei giornalisti, di quello che rappresento. Cristiano sposta il lenzuolo che continua ad avvolgermi il petto e io resto di nuovo nuda davanti a lui. E non mi vergogno, non provo imbarazzo, assecondo la sua bocca che mi tormenta la mia pelle, mi piace come non mi è mai piaciuto prima. È questo che voglio. Voglio sentirmi così, provare queste sensazioni, fare questo sesso meraviglioso, stare con Cristiano Marconi e basta, senza pensare ad altro. Voglio essere felice, con lui.
***
Sono le quattro del pomeriggio quando recupero il mio telefono. Ignoro l'infinita lista di chiamate senza risposta e di messaggi. Mi limito a scrivere a Josh di venirmi a prendere, al resto ci penserò dopo.
«Ti serve una mano?»
Sorrido all'istante. Cristiano, che indossa ancora solo un paio di boxer, si avvicina e, con una lentezza estenuante, mi tira su la zip del vestito. Mi lascia un bacio sul collo e il mio stomaco fa l'ennesimo balzo all'indietro. Mi volto a guardarlo.
«Ci rivedremo, vero?»
La mia voce sembra quasi un lamento, ma me ne accorgo troppo. Lo so, è una domanda scema, me ne rendo conto, ma ho bisogno di saperlo, ho bisogno di sentirlo dalle labbra di Cristiano. Per tutta risposta, lui mi bacia i capelli.
«Certo che ci rivedremo. Non vedo l'ora di rivederti, Principessa.»
La gioia mi esplode in un sorriso. Lo abbraccio e appoggio la testa sotto la spalla destra, mentre le sue braccia avvolgono la mia schiena. Non sono sicura di niente, di cosa succederà, di come andrà a finire, ma non ho dubbi sul fatto che non voglio che tutto questo finisca, non adesso, almeno. Mi sciolgo a malincuore da quella stretta e mi metto in punta di piedi per cercare senza successo di raggiungere l'altezza di Cristiano.
«Allora mi chiami dopo, Vicequestore?» Mi scappa una risata. Il mio tutore della legge preferito annuisce.
«Sì, sempre se non vengo licenziato per non essere andato al lavoro.»
Il mio telefono trilla: Josh è arrivato. Bacio Cristiano un'ultima volta e poi corro verso la porta. Prima di chiuderla, lo guardo ancora.
«Allora ci vediamo, Vicequestore.»
«Ci vediamo, Principessa.»
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