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Capitolo Quattordici

Veronica

Buoni propositi per l'anno nuovo, anzi, per il mese di ottobre: smettere di bere, di uscire, di fare qualunque cosa. Mi chiuderò in casa, anzi, nella mia stanza, senza vedere né parlare con nessuno. Butto via pure il telefono. Niente più contatti col mondo esterno, ne ho già avuti troppi tutti in una nottata. Sola devo restare, sola come un cane.

Ok, forse questa è una soluzione troppo drastica, anche perché è un po' fuori dal mondo che la Principessa d'Italia si rinchiuda dentro il Palazzo Reale e non esca più, nemmeno nel Medioevo accadevano queste cose. Questo escamotage potrebbe durare un paio di giorni, ma poi dovrò rimettere il naso fuori di casa e affrontare la realtà. Dovrò subirmi tutte le critiche, gli attacchi, mi vedrò vomitare addosso insulti, rimproveri da chi pensa di potermi giudicare senza averne il diritto.

Già mi vedo su tutti i notiziari e su quei maledetti programmi televisivi del pomeriggio, durante i quali gli opinionisti di turno faranno a gara per distruggermi. Però forse me lo merito. Ho combinato un casino e quando un membro della famiglia reale si mette nei guai, deve pagarne le conseguenze. Guardate Maria Antonietta.

«Veronica!»

La prima conseguenza si chiama Regina Isabella. Sono ancora sepolta sotto le coperte del mio amato letto quando odo la soave voce di mia madre rimbombare tra i corridoi del Palazzo del Quirinale. Poteva almeno aspettare che mi alzassi da sola, perché deve rompermi le scatole già a quest'ora del mattino? O almeno credo sia mattina, quanto ho dormito? Tiro fuori un braccio e afferro con non poca difficoltà il cellulare. Le 13.36. Ah, non è più così mattina.

«Spero che tu sia sveglia!» La Regina spalanca la porta, senza preoccuparsi di bussare. «Ti ho fatto dormire perché sei tornata tardi, ma adesso devi alzarti!»

Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Ho già ricevuto il cazziatone alle cinque di mattina, che cosa vuole ancora mia madre? Vorrei solo essere lasciata in pace.

«Allora, da cosa cominciamo? Dal Corriere del mattino che ti ha sbattuta in prima pagina col titolo "La notte brava della Principessa Veronica: sesso, droga e rock 'n roll"?

Droga? Sesso? Non ci sono stati né droga, né sesso, purtroppo. Mia madre non sembra aver intenzione di smetterla.

«Le Principesse non hanno notti brave!»

Ha gli occhi rossi, iniettati di sangue, quasi trema dalla rabbia. «De Monarchia invece dice che sei rimasta scioccata dall'attentato e sei diventata pazza!»

Ottimo, perché no, la pazzia è una buona scusa.

«Gira un articolo secondo il quale pare che tu sia finita in una rehab, mentre su Twitter si dice che tu abbia avuto un'overdose. Qualcuno ha scritto addirittura che ti hanno stuprata. Hai qualcosa da dire in tua difesa, Veronica?»

Provo l'impulso di urlare. Mi tolgo con uno scatto le coperte di dosso e trovo mia madre di fronte a me, con l'espressione arcigna e troppi quotidiani e giornali sparsi sul letto. Dio, che mal di testa.

«Non ho nulla da dire, no.»

Salgo su a sedere con tutta la calma possibile. Anche la spalla ha ricominciato a farmi male. La cara e adorabile Regina Isabella sembra sull'orlo di una crisi di nervi. Sono anni che mi crogiolo nella convinzione che prima o poi avrà un esaurimento nervoso e questo sembra proprio il momento giusto. Già immagino i titoli dei giornali, "Sua Maestà ricoverata per un esaurimento nervoso per colpa della Principessa Veronica e della sua vita spericolata".

«Ah, non hai nulla da dire, eh?» continua mia mamma, il tono che diventa sempre più alto e isterico. Nel frattempo, il mio cervello ha cominciato a canticchiare 'Vita Spericolata" di Vasco Rossi senza volerlo.

D'accordo, cerchiamo di risolvere questa situazione. Tiro su col naso, cercando di riempire i miei polmoni di tutto l'ossigeno di cui il mio cervello stanco ha bisogno. Mi sento gli occhi stanchi, necessito di un caffè.

«Mi dispiace, mamma. Ho combinato un casino e non volevo. Mi sono già scusata stanotte, mi scuserò ancora. Vuoi che rilasci una dichiarazione in cui do una giustificazione al mio comportamento e chiedo perdono a tutta la Nazione? Mi sono ubriacata e ho dato spettacolo, a te non è mai successo? Non è colpa mia se sono stata aggredita.»

«Se ti fossi comportata come una ragazza del tuo rango, non saresti stata aggredita!»

Ci rinuncio. Mi alzo da questo maledetto letto e impiego qualche minuto nel cercare le pantofole, per poi ritrovarle sotto al letto. Allungo la mano sinistra e le recupero. Mia madre fa una smorfia di disappunto.

«Potevi chiedere ad Amelia di prenderle. Ti sembra normale che una Principessa si pieghi per raccogliere delle ciabatte?»

Questa è proprio da ricovero. Alzo gli occhi sulla sua figura. «Beh, sono delle ciabatte Prada, madre, se proprio vogliamo essere precisi. La servitù non è degna di toccarle.»

Rimane a guardarmi, confusa. Nemmeno lei riesce a capire il sarcasmo. Amelia sì, difatti le strizzo l'occhio, con complicità.

«Veronica, dove stai andando, adesso?»

Gesù, per favore, basta.

«In bagno, devo fare la pipì».

«E non hai intenzione di rispondermi?»

«Ti ho risposto, non mi hai sentito!?»

Ho urlato. Non mi capita mai di urlare ai miei genitori, non è proprio da me. Però mi sento così nervosa, mi fa male la testa, ancora non ho preso il caffè e mia madre continua a darmi addosso, senza tregua. Perché non mi lascia in pace? Mi fissa, lo sguardo più duro di prima.

«Quando sei diventata così maleducata? Da quando fai queste cose? Cosa ti è successo?»

Socchiudo gli occhi. Già, che cosa mi è successo? Perché qualcosa deve essere successo alla Principessa Veronica, se si comporta così. Vado di nuovo verso il letto, mi sono persino dimenticata di dover andare in bagno.

«Non mi è successo niente. Ho fatto una scemenza. Scusami, di nuovo, scusa a te e a papà. Non accadrà mai più, ve lo prometto.»

Non so quanto ci sia di vero in queste parole. Ieri sera, nonostante la sbronza e l'aggressione, sono stata bene. Mi sono divertita con le mie amiche, con Josh, con le altre persone che erano lì e con cui ho fatto amicizia. Dopo tanto tempo mi sono sentita una ragazza normale. Tutto il resto è stato un disastro, ma non importa, insomma, può capitare, no? Non è successo niente di irreparabile. Credo.

«Avresti potuto farti male sul serio, Veronica. Se quell'uomo avesse tentato nuovamente di ucciderti? Devi stare attenta.»

Incrocio le braccia attorno al seno. Non ho dimenticato le parole del vicequestore Marconi. Le parole di mia madre mi riportano alla mente il mio discorso e quanto mi abbia dato fastidio essere sgridata da lui. Mi ha mortificata per il mio comportamento da bambina. E io odio sentirmi così.

«Lo so, mamma.»

La Regina Isabella fa qualche passo in avanti e si si siede accanto a me. Il suo corpo longilineo, più del mio, è a pochi centimetri da me.

«Noi vogliamo solo il tuo bene, lo sai. Non possiamo permetterci di fare errori, tesoro. Siamo la Famiglia Reale, non dimenticarlo mai.»

Come se fosse possibile scordarsi di una cosa del genere. Qualsiasi cosa, persona, in qualsiasi luogo e attimo della mia vita mi ricorda chi sono e cosa rappresento. Mi mordo con forza il labbro inferiore.

«Lo so», ribatto, ma a voce mi esce più incerta di quanto vorrei. Tento di fingere un sorriso e ci riesco. Mia madre ricambia.

«Bene, adesso ci parlo io con l'Ufficio Stampa. Cercheremo di calmare le acque, magari si può organizzare un evento particolare da farti presenziare. Tuo padre pensava di mandare te all'inaugurazione del nuovo ospedale di Bologna, è un'ottima idea, non trovi? Dobbiamo solo mostrare al Popolo che il tuo non è stato altro che un errore che può essere dimenticato in un batter d'occhio!»

L'abitudine e l'istinto mi fanno annuire. Non tento nemmeno di replicare, ormai è stato deciso. La Regina Isabella si alza in fretta.

«Vai a mangiare qualcosa, dopo pranzo andrai con tuo padre al Senato. Meglio cominciare subito a farsi vedere spendenti, sorridenti e soprattutto regali!»

«Ok, mamma.» Piuttosto che uscire preferirei bere dell'arsenico, ma non importa.

«Amore.»

Posa le mani sulle mie spalle. È davvero bella, nonostante abbia superato da qualche anno i cinquanta. Mi vuole bene, lo so, sebbene non ci troviamo quasi mai d'accordo su nulla e siamo molto diverse. Ma non si può amare solo chi è come noi. L'amore si incastra tra le persone, tra gli organi del corpo, ci si ficca dentro nonostante le differenze, le cose non dette, le delusioni.

«Dovresti richiamare Alfred. Sai che la tua popolarità era alle stelle quando stavi con lui.»

Ecco, appunto. Quando sento quel nome mi alzo di colpo. Sposto le mani della madre dal suo corpo.

«Alfred non c'entra niente con questa storia. Ci siamo lasciati e lui al momento è l'ultimo dei miei pensieri.»

Non potevo essere più sincera di così. Alfred non fa più parte della mia vita e mia madre deve riuscire a farsene una ragione. È costretta ad annuire.

«D'accordo, come vuoi. Ci vediamo dopo.»

Se ne va. Rimango qualche secondo in piedi, le mani sui fianchi, gli occhi socchiusi, tormentata dal mal di testa e dal nervosismo. Vorrei poter spegnere questa giornata.

«Vostra Altezza?»

Amelia è rimasta tutto il tempo lì, spettatrice accidentale di questo teatrino. La guardo.

«Vi porto un analgesico e un caffè?»

La sua domanda mi rallegra all'istante. «Ti ho mai detto che ti amo, Amelia?»

«No, ma lo apprezzo ugualmente.»

La domestica fa una riverenza e scompare. io mi reco in bagno, il telefono tra le mani, pronta a rispondere ai miei amici. Sono tentata ad aprire i Social Network e vedere cosa pensa la gente, decido che per il momento è meglio fregarmene. Devo ricostruire la mia immagine e anche in fretta. Meglio iniziare da subito.

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