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Capitolo Quarantanove

Cristiano

Mi è sempre piaciuta la Dottoressa Luciani. È una donna discreta, che non alza mai la voce, che nonostante l'ardua decisione di diventare Pubblico Ministero è riuscita ad avere due figli e a non separarsi da suo marito. Forse per questo è molto brava a parlare con le persone, oltre a essere una vera professionista nel suo lavoro. Arrivo in Questura insieme a Veronica e vengo subito avvisato che la magistrata si trova nel mio ufficio. Noto subito che non si è seduta al mio posto, dietro la scrivania. Lo apprezzo, anche se non mi sarei offeso se avesse occupato la mia sedia.

«Scusi il ritardo, Dottoressa.» Mi avvicino alla donna per stringerle la mano. Lei si alza in piedi.

«Non si preoccupi. Buonasera, vicequestore.»

Lascia la mia mano e i suoi occhi indugiano su Veronica. Probabilmente non è così che immaginava il suo primo incontro con l'erede al trono, in quelle condizioni, con il vestito sporco, il volto sconvolto dalle lacrime e dallo spavento. La Dottoressa Luciani sorride appena.

«È un piacere conoscervi, Altezza», dice, facendo una riverenza, com'è giusto che sia. Veronica fa un cenno con la testa, incapace di sorridere.

«Anche per me, Dottoressa»

Si accomodano. Osservo Veronica con la coda dell'occhio, senza poterne fare a meno. La preoccupazione mi logora dentro. Per quanto ostenti una forza e una sicurezza consone al suo ruolo, è una ragazza molto fragile, lo so bene. Vederla in quello stato mi fa male e non riesco a non pensare che in parte sia colpa mia. Se solo avessi arrestato quel bastardo prima. Se solo non mi fossi fatto distrarre dai problemi personali, dai sentimenti. Ho pensato a me stesso, a stare con lei, a vivere quella relazione che non va bene a nessuno. Non mi sono comportato come un poliziotto, ma come un adolescente alle prese con la sua prima cotta. Se avessi fatto il mio dovere, forse tutto questo non sarebbe successo.

«Allora, Altezza. Non è un interrogatorio, il mio, state tranquilla, ho solo bisogno di una vostra dichiarazione riguardo ciò che è successo.»

La voce del Pubblico Ministero è bassa e monocorde, quasi materna. Sta cercando di mettere a suo agio Veronica e ci sta riuscendo. Il suo volto si rilassa un minimo. Si sistema i capelli biondi dietro l'orecchio sinistro e so che quello è un gesto che compie quando cerca di tranquillizzarsi. L'ombra di un sorriso appare sulle mie labbra, ma Veronica non lo nota.

«È successo tutto molto in fretta. Un attimo prima stavo scherzando con Josh e un attimo dopo lui era a terra. Coperto di sangue.»

«Avete notato qualcosa di strano nella folla?»

«Solo un po' di trambusto, ma è normale in occasioni come queste. Non ho visto quell'uomo tirar fuori la pistola. Ricordo solo il rumore degli spari e Josh che mi butta a terra, per salvarmi la vita.»

«Siete molto legata a Josh, vero?»

Veronica fa una pausa. Vorrei tanto stringerle la mano.

«Sì. È il mio migliore amico, anche può sembrare strano che una Principessa diventi amica di una guardia del corpo.»

«Perché dovrebbe? Non ci sono classi sociali nell'amicizia», risponde la Dottoressa Luciani. «E forse nemmeno nell'amore.»

Non riesco a non guardare Veronica e lei non riesce a non guardare me. Il PM parla ancora.

«Vi ringrazio, Altezza. Vi chiedo di rimanere a disposizione, nei prossimi giorni, è probabile che avremo ancora bisogno di voi. Sto per andare a interrogare il vostro aggressore. Finalmente scopriremo perché ce l'ha così tanto con voi.»

Veronica annuisce. La conversazione è terminata. La Luciani si alza per prima, seguita da noi. Ci stringiamo le mani, in fretta.

«Vicequestore, la chiamo io se ho bisogno di lei. Non si preoccupi.»

Mi sta autorizzando a tornare in ospedale, a rimanere con Veronica. La ringrazio e nel giro di qualche minuto sono di nuovo fuori con Veronica. Il sole se n'è andato via da un pezzo e l'aria di gennaio è gelida.

«Stai bene?» le domando, parlando con lei dopo tanto tempo. La mia Principessa si passa una mano tra i capelli spettinati.

«Mi dai una sigaretta?»

Le porgo anche l'accendino. Veronica tira fuori il fumo un paio di volte.

«Non sei obbligato a venire di nuovo con me in ospedale, se non vuoi. Ti chiedo solo di accompagnarmi, poi puoi andare a casa dalla tua famiglia.»

Ha pronunciato queste parole senza guardarmi. Sta riacquistando lucidità piano piano. Sbatto le palpebre, incerto su come rispondere.

«Se non vuoi che io venga, non vengo.»

«Non rigirare la frittata, Cristiano.»

«Non sto rigirando alcuna frittata. Voglio accompagnarti, voglio sapere come sta Josh e non voglio lasciarti da sola.»

«D'accordo, fa' come vuoi. In ogni caso so badare a me stessa, non devi preoccuparti.»

Sono esausto, non sono pronto per un discorso simile dopo questa giornata infinita. Sono le sette e mezza, si è fatto buio da un pezzo, la cena con Barbara e la sua nuova ragazza è stata cancellata, Emma resta a dormire da mia madre.

«Lo so, ma credo sia meglio che venga con te», ribatto, ma me ne pento subito. Veronica volge gli occhi verso di me. Il suo sguardo è indecifrabile.

«Non ho bisogno di te. Non sono una Principessa da salvare. Mi hai lasciata, no?»

Parole dure e piene di risentimento. Mi sento sotto accusa.

«Questo cosa c'entra?»

«C'entra. Non puoi avere tutto quello che vuoi. Non puoi mollarmi in quel modo, lasciandomi a piangere sul pavimento della mia camera e poi pretendere di starmi accanto. Non è necessario.»

Tira rabbiosamente la sigaretta quasi terminata, per poi gettarla a terra. Soffia fuori gli ultimi residui di fumo, poi la butta via e si stringe le braccia al petto. Non so che cosa dire.

«Non ho mai pensato che tu fossi una Principessa da salvare», riesco a rispondere. «Lo so che sai badare a te stessa.»

«Allora che vuoi?»

«Starti vicino.»

«Non capisci che mi fa male? Non ti voglio vicino a me con la consapevolezza che non mi vuoi.»

«Pensi che io non ti voglia?»

«L'hai reso piuttosto chiaro.»

«Sei seria?»

«Ti ho detto che mi sono innamorata di te e tu te ne sei andato. Cos'altro c'è da dire?»

La voce di Veronica si incrina. Questo suono mi uccide. La guardo negli occhi per un lungo istante. Socchiudo le palpebre e respiro a fondo.

«Qui non si tratta d'amore», pronuncio, la voce che mi trema. «E nemmeno se io ti voglio o no.»

«Mi ripeterai che non possiamo stare insieme?»

«Perché, tu pensi che possiamo?»

È Veronica a non rispondere, stavolta. Si asciuga una lacrima sul volto. Faccio un passo in avanti, cancellando quella distanza mantenuta fino a quel momento. Mi azzardo ad accarezzarle i capelli. Nonostante tutto quello che è successo durante questo lungo giorno, non smetto di pensare che sia bellissima.

«Sono innamorato di te», confesso, cercando i suoi occhi. «Anche se sarebbe più facile se non lo fossi. Ti amo, Veronica.»

Non pronuncio queste parole da anni, da quattro, per la precisione. Ho amato solo un'altra persona nella mia vita e mi sono ripromesso che non avrei provato più niente di simile. Poi è arrivata Veronica, l'unica persona della quale non avrei dovuto innamorarmi. La guardo e i suoi occhi chiari sono di nuovo pieni di lacrime.

«Questo non cambia le cose, però, vero?»

È una domanda di cui conosce già la risposta. Curvo leggermente le labbra all'insù, in un sorriso triste e rassegnato. Le poso sulle sue, in un breve bacio.

«No», sussurro, consapevole di quanto facciano male queste parole, per entrambi. Le accarezzo la guancia, come qualche ora prima.

«Non volevo farti del male. Non volevo fare del male a nessuno dei due. Perdonami.»

Veronica fa sì con la testa. Chissà se ha capito. Non le ho mai detto della conversazione che ho avuto con mia madre, con la Regina, con Elisabetta. Non le ho mai detto che mi hanno proposto di rilasciare un'intervista in cambio di molto denaro, che io ho prontamente rifiutato, così come non ho mai risposto a tutte quelle telefonate in cui mi veniva chiesto di parlare di ciò che c'è stato tra di noi. L'ho tenuto per me, perché è meglio così, è più comodo, fa meno male. Preferisco farle credere che sono un codardo, piuttosto che confessarle che è stata sua madre a invitare il suo ex fidanzato a Torino, che mi ha detto quelle cose, è più semplice prendersi la colpa.

«Va bene», sono le parole della donna che amo, dopo un lungo silenzio. Si asciuga il volto, cercare di darsi un contegno, nel tentativo di riprendere padronanza di sé.

«Forse hai ragione tu», dice ancora, con un pizzico di sarcasmo. «Chissà.»

Chissà. Non so che cosa rispondere, mi sento svuotato. È lei a parlare ancora.

«Lo so che non dovrebbe interessarti e che non dovrei proprio parlarne, ma... Non sono tornata insieme ad Alfred. Non dar retta ai giornali, non è successo niente tra di noi e non succederà niente. Non voglio stare con lui, voglio stare con te. E se non posso stare con te, starò da sola.»

No, non era necessario che me lo dicesse, ma lo apprezzo. Il suono di un cellulare ci interrompe. È quello di Veronica.

«Pronto? Paolo?»

Il ragazzo parla così forte che anche io riesco a sentirlo. Il sorriso che si apre sul volto di Veronica non lascia dubbi.

«Josh sta bene? Oddio, sta bene!»

Per poco non si mette a saltare dalla gioia. Riattacca in fretta, senza più odio per Paolo, così come lui non ha più odio per lei, all'apparenza. Sorrido.

«Ti accompagno», propongo e per un attimo ho paura che dica di no. Al contrario, annuisce.

«Grazie.»

«Per te farei qualunque cosa.»

«Lo so.»

Lo sappiamo entrambi. Cammino verso la mia auto, seguito da lei. Vorrei stringerle la mano, ma non lo faccio. Vorrei fare tante cose, ma non posso farle. Mi limito a guidare fino al Gemelli. Mi limito a prendermi cura di lei, in qualche modo. È l'unica cosa che posso fare.

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