3.
«C'è qualcosa da mangiare qua?», domandò l'alieno frugando in cucina. «Ho fame. Non mangio qualcosa da stamattina.»
Da quando eravamo entrati in casa non aveva chiuso bocca nemmeno per un secondo. Aveva ribaltato il divano perché non abbastanza comodo, criticato il colore delle tende e provato a mordere l'addetto che avevo chiamato per riparare la porta.
Al momento si stava lamentando con me per la mancanza di cibo in quel luogo.
«Fa freddo qui dentro.», disse infilando la testa nel frigorifero.
«Lo so.», risposi scuotendo la testa. «Non puoi tornare a stare in silenzio come prima?»
«Perché mai dovrei stare zitto?»
«Perché se ti sento parlare un'altra volta divento matta», esclamai esasperata.
«Bla, bla, bla... Fa silenzio.», mi denigrò lui mentre gettava carote e patate sul pavimento. «Portami del cibo vero.»
«No, sei parte del mio subconscio. Trovatelo da solo.», risposi secca.
Smise di lanciare in giro la verdura e si avvicinò a me. I suoi verdi occhi si puntarono sui miei dello stesso colore. Gli occhiali che portava quando assumeva l'altra forma erano riposti nel taschino all'altezza del cuore.
«Che cosa hai detto?»
«Non mi fai paura, tu non sei reale.», risposi guardandolo con aria di sfida.
Carneficina mi colpì con forza al petto facendomi cadere a terra. Alzai gli occhi sull'alieno che aveva tutta l'intenzione di volermi uccidere non solo con lo sguardo.
«Portami del cibo. Ora!»
«Ok, tranquillo, adesso ordino qualcosa. Ti va una pizza?», chiesi cercando di calmarlo.
«Cos'è una pizza?», domandò incerto.
«Qualcosa di buono.»
Il rosso ci pensò su per qualche secondo, poi annuì.
Mi alzai a fatica con la schiena dolorante e presi il cellulare cominciando a digitare l'ordine. Non sono una persona che ama le telefonate, per questo l'unico ristorante da cui ordino a casa è quello dove lavora un amico di Cleo, che rispetta il mio non voler parlare a voce.
«Fatto. Ti ho preso una Margherita, una Diavola e delle patatine, così dovresti non avete fame per un po'.», lo informai.
«Quando arriva?»
«Non lo so, di solito non ci mettono tanto. Aspetta una ventina di minuti.»
«E tu cosa farai?»
«Io mi chiuderò in camera mia a cercare l'ispirazione per il mio nuovo libro.»
Carneficina mi superò e andò a sdraiarsi a testa in giù sul divano, rischiando di far cadere gli occhiali fuori dal taschino.
«Non mi chiedi neanche di cosa parlerà?»
«Che cosa?», domandò lui senza un minimo di interesse.
«Il libro. Quello che devo scrivere il prima possibile altrimenti perdo la fiducia del mio manager.», gli ricordai.
«Ah. Non mi interessa.»
«Hai promesso che mi avresti aiutato a scriverlo!», esclamai.
«Io non ho detto nulla. Hai parlato con l'altro di questo.»
«Ok, non fa niente. Ci rinuncio a capire qualcosa di questo sogno.», dissi esasperata andando a chiudermi in camera.
Prima o poi tutti cresciamo e Ariele Bowtie se n'era accorto il giorno in cui l'altalena aveva preso a scricchiolare.
Era mezz'ora ormai che fissavo intensamente quelle poche righe scritte sul portatile.
Le pizze erano arrivate e Carneficina se ne stava buono in cucina a mangiare senza dare fastidio.
Avevo deciso il nome del protagonista, il che era già un passo avanti, l'avevo trovato in un elenco di nomi strani digitando su internet. Per il cognome invece avevo preso la prima parola con un bel suono che mi veniva in mente.
Ariele era un ragazzino di famiglia benestante, per questo aveva sempre tutto quello che voleva.
Ecco un altro passo avanti, la condizione sociale. Ora mi rimaneva solo da delineare il carattere e lo scopo di vita che doveva avere a che fare con il titolo dell'opera.
Ogni pomeriggio, dopo scuola, se ne andava al parco e si sedeva sulla sua altalena preferita. Gli adulti non capivano il perché volesse stare a dondolare su quell'aggeggio per ore e i bambini non si avvicinavano nemmeno all'altalena per paura che lui potesse arrabbiarsi. Difatti quando uno di questi prendeva coraggio e lo intimava a scendere, lui, lo squadrava dall'alto in basso e gli diceva: «Non posso, devo prima toccare il cielo.»
La sua convinzione era quella di riuscire nel suo intento di arrivare fino al cielo con la sua altalena.
Più volte era stato richiamato dall'insegnante perché beccato a fantasticare sulla leggerezza delle nuvole e al loro gusto. Si era convinto che fossero fatte di panna e che al loro interno vi ci fossero mille zuccherini. Il cielo invece era una carta di caramella gigante che ricopriva la Terra e ne conservava l'odore all'interno.
Aveva intenzione di raggiungere quella carta e di strapparla via. Così facendo, tutti avrebbero potuto osservare cosa c'era fuori e avrebbero aperto gli occhi. Molte più vite sarebbero state salvate, e lui sarebbe diventato un eroe.
Un protagonista che ha un grande bisogno di attenzioni e una grande immaginazione a disposizione. Questa storia non sarebbe andata a parare su niente di buono, bisognava equilibrarla per non creare un personaggio odiato dal pubblico.
La mattina si svegliava con questo pensiero in testa e attendeva con ansia di poter risalire su quell'altalena di legno e di provare ad andare più in alto degli altri giorni.
Si alzava dal soffice letto nella sua stanza e aspettava guardando fuori dalla finestra che l'orologio scoccasse l'ora giusta. Si vestiva rapidamente, indossando gli abiti che la cameriera gli aveva preparato la sera prima, e scendeva per l'abbondante colazione. Per quanto passasse molto del suo tempo a riempirsi lo stomaco il suo peso non accennava ad aumentare. Sfruttava quindi questa occasione per mangiare tutto ciò che solitamente si sconsiglia di ingerire in grandi quantità.
Disturbi alimentari? Potrei inserirli, ma è meglio farlo solo in futuro, riflettei.
Suo padre si trovava sempre seduto al tavolo a leggere il giornale di quella mattina e quando qualcuno gli passava a fianco borbottava qualcosa di incomprensibile sulla politica di quel tempo e sul clima perfetto che ci sarebbe stato quel giorno.
La madre invece dormiva ancora, ma presto la domestica l'avrebbe svegliata e aiutata a prepararsi per affrontare i suoi doveri di rappresentante del consiglio del quartiere.
Genitori assenti. Questo mi dava la possibilità di creare scene di incomprensione o fraintendimento delle emozioni del protagonista.
Finita la colazione, Ariele, andava in bagno a lavarsi i candidi denti e rinfrescarsi il viso ancora assonnato. Prendeva poi la cartella sulle spalle e si dirigeva a piedi a scuola, ma non prima di aver salutato i suoi genitori e i domestici che lavoravano alla villa.
Della sua media scolastica non c'è molto da dire, se non che aveva sempre avuto ottimi voti fin dalla prima.
Gli piaceva molto leggere, ma niente di veramente serio, solo libri fantasy che parlavano di strane avventure in altri pianeti.
Un sognatore. Più avanti lo farò cacciare nei guai a causa della sua sete di avventure.
Trovava il tempo di leggere quando le sue gambe non ce la facevano più di calciare l'aria per muovere l'altalena o quando i suoi fianchi iniziavano a sfregare troppo contro la catena a cui si reggeva. In casa aveva una grande biblioteca colma di libri, ma utilizzava comunque quella della scuola al quale si era abbonato con il consenso di suo padre.
Dopo scuola saltellava allegramente in direzione del parco dove lo aspettava il mezzo che l'avrebbe fatto sognare.
Passava così il resto della giornata, mangiando un panino comodamente seduto sulla panchina del parco giochi, il tutto per evitare di sporcare l'altalena.
La sera tornava a casa distrutto, dopo cena faceva i compiti della giornata e poi si infilava nel letto per continuare a sognare.
Quel giorno, Ariele, si era avventurato per il parco alla ricerca della sua altalena preferita. L'aveva chiamata Anemos perché un suo compagno di classe, Oliver Yorkes, pochi giorni prima aveva detto che significava "vento" o "soffio" in greco, e a lui era subito piaciuto.
Arrivò con passo veloce fino all'altalena, giunto lì si sedette lentamente sulla dura piattaforma e prese a volare. Però, più si muoveva, più si rendeva conto che c'era qualcosa che non andava, Anemos produceva un piccolo e sottile scricchiolio. Ciò lo riportò a terra, non era normale quel rumore, suonava più come un grido strozzato.
Anemos stava chiedendo aiuto. Che fosse andato troppo in alto e che gli stesse supplicando di tornare in dietro?
Oppure era solo un campanello d'allarme che indicava la sua crescita?
Osservò il suo riflesso nello scivolo del parco giochi lì accanto.
Più passava il tempo più lui cresceva.
Lo si poteva notare dai capelli arancioni appena accorciati perché troppo lunghi, dal viso che iniziava a prendere una forma più appuntita eliminando le guance paffute. Gli occhi uno azzurro e l'altro verde, come a sottolineare la sua missione di salvataggio Terra-Cielo, avevano cominciato a divenire via via più chiari.
Quel giorno era vestito con camicia a quadri blu e jeans grigi. I capelli accuratamente pettinati erano ormai nella confusione più totale per essersi addormentato sulla scrivania dello studio di suo padre, un noto e severo dottore.
Non si era mai soffermato a guardarsi e con il tempo l'aspetto era diventato la sua ultima preoccupazione. Forse era davvero cresciuto e non se ne era accorto.
A scuola tutti lo evitavano e non aveva più amici, un po' perché era considerato troppo ricco, un po' perché aveva un atteggiamento bizzarro.
Quando una ragazza gli chiedeva di uscire lui le diceva che non poteva creare legami con persone sulla Terra, perché un giorno se ne sarebbe dovuto andare via e lei avrebbe sofferto.
Allora, nonostante fosse popolare fra le ragazze per la sua bellezza, era tenuto lontano e deriso per il suo progetto. Ma a lui non era mai importato niente delle voci che giravano sul suo conto. Per esempio, un giorno a scuola gli era capitato di passare a fianco a un gruppo di ragazzi che appena l'ebbero visto avvicinarsi avevano cessato di parlare. Uno di loro, Dennis Pachett, un tipo molto cicciottello e con il moccio al naso, figlio del macellaio che lavorava in fondo alla via, vedendolo allontanarsi aveva detto a bassa voce a quello accanto: «Si dice che quello lì sia stato mandato con i pazzi, ma che nemmeno lì hanno voluto prenderlo.»
Così, con tutta la calma del mondo, lui, si era girato e avvicinato a Dennis. Si era piegato alla sua altezza, l'aveva guardato negli occhi e aveva risposto: «Ragiona prima di parlare. Se fossi andato davvero in un manicomio, certo non mi avrebbero più lasciato uscire. Ed anche se fosse, di sicuro adesso non sarei in una scuola, ma rinchiuso a casa per non far girare cattive voci sulla mia famiglia.»
Detto questo si era girato, diretto dalla sua adorata Anemos.
☆ Salve, sono qui per avvisarvi che arrivati a questo punto iniziano le parti della storia originale che prima componevano questo libro.☆
Riporto qui i premi che aveva vinto quando ancora il libro parlava solo di Ariele.
PREMI
☆ Cartoon Contest di _IlMioNomeSG_ 10^ posto categoria Jessica Rabbit.
☆ Contest a premi Galaxy 2020 di saretta26scandu 8^ posto lista Brownie.
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