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Capitolo 32: Si aprono le danze

Firenze, 1471

«Allora, a che punto sei?» chiese Leonardo, sporgendosi sopra la spalla di Neri per sbirciare il suo lavoro.

«Non è piacevole, non è vero? L'attesa, intendo. Gira al largo e lasciami finire in pace. Ti chiamo quando ho fatto.»

Il giovane sbuffò infastidito, ma fece come gli era stato chiesto. Dopo qualche minuto aggiunse: «Sei proprio sicuro che non si accorgeranno della differenza?»

Neri mise giù la penna d'oca e puntò l'indice sporco d'inchiostro verso il pezzo di pergamena su cui stava imprimendo delle lettere con estrema maestria, lentamente, una dopo l'altra. «È questo il punto, non ci sono differenze! Ammetto che non mi è capitato spesso di farlo in passato, ma sono dotato di grande talento. Ho riprodotto la grafia in modo impeccabile. Non sei l'unico artista qui!» si vantò Neri, facendo storcere il naso all'amico, che nonostante ciò non poté contraddirlo.

Ebbene sì, aveva fatto anche quello nella sua lunga carriera criminale; non era mai stato un vero e proprio falsario, ma gli era capitato di contraffare una lettera o due. In realtà aveva avuto diverse occasioni per farne un mestiere vero e proprio, dal momento che saper leggere e scrivere non erano abilità molto comuni per la gente come lui, rendendolo quindi un elemento prezioso. Ma Neri non aveva mai amato l'idea di dover rispondere a qualcuno del suo operato, di essere alle dipendenze di qualche meschino manipolatore, soprattutto perché di solito il genere di clientela di un falsario apparteneva alla cerchia dei benestanti, e lui preferiva di gran lunga derubarli che aiutarli. E poi, gli piaceva essere libero da qualsiasi vincolo, scegliersi i colpi.

«Ecco. Sono pronti» sospirò ammirando con orgoglio il frutto del suo lavoro. I due biglietti erano curati in ogni minimo dettaglio e potevano ora essere consegnati ai rispettivi destinatari. Non era stato semplice procurarsi dei campioni delle grafie da imitare, ma grazie a Gittato e ad alcune sue conoscenze ci erano riusciti.

Neri non aveva alcun dubbio che se le cose quel giorno fossero andate come dovevano l'inganno sarebbe riuscito alla perfezione, e con un po' di fortuna i pedoni si sarebbero mossi sulla scacchiera proprio come loro volevano.

«Finalmente» esclamò Leonardo impaziente. Praticamente si avventò sulla scrivania per studiare il risultato finale mentre Neri scuoteva via la sabbia dalla pagina che teneva in mano. Il suo volto si rilassò immediatamente, aprendosi in un luminoso sorriso. «Avevi ragione, sono un capolavoro» disse.

«Lo so, lo so» rispose lui. «Ora andiamo a cercare tua sorella, è ora di aprire le danze.»

Trovarono Piera al piano di sotto, intenta a stordire a suon di chiacchiere il povero locandiere, che ormai li conosceva tutti per nome e sapeva a memoria i loro piatti preferiti. Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, su questo Neri ci avrebbe scommesso, ma l'uomo si era affezionato al gruppetto, che comprendeva anche Gittato naturalmente.

I tre si avviarono verso la loro meta a passo spedito. La piazza di Santa Croce non era poi tanto distante, tuttavia non sarebbero giunti a destinazione prima di un'ora – a meno che non avessero spiccato il volo. Le vie erano quasi impercorribili col marasma che li circondava: uomini e donne, grandi e piccini, ricchi e poveri, tutti si riversavano all'aperto in quella bella giornata di febbraio.

Il motivo era lo stesso per ognuno, ovvero la giostra.

Tra i vari giochi carnascialeschi esso era forse il più apprezzato, sia dai nobili che dai popolani: per i giovani rampolli delle famiglie aristocratiche era quasi un rito di passaggio con cui mettersi in mostra e sfoggiare eleganza nel cavalcare e abilità nello spezzare le lance degli avversari, acquistando così prestigio e autorità; mentre i cittadini traevano un immenso piacere da questa singolare ed esaltante forma di intrattenimento.

Non si trattava di un vero e proprio combattimento – più che altro era uno spettacolo coreografato – ma questo fatto non diminuiva l'interesse e l'eccitazione della folla che vi assisteva, incitando con ardore i cavalieri fasciati in sfarzose livree che sfilavano per le strade della città per poi radunarsi in una piazza o in uno slargo ed esibirsi nella lizza.

Come tutti gli anni, quel giorno vedeva una Firenze in festa e dimentica – per una volta – degli affanni e della povertà che l'indomani sarebbero stati ancora lì ad attenderla.

Neri e i suoi compagni si sarebbero uniti a tutti gli altri nei festeggiamenti, ma invece di assistere allo spettacolo lo avrebbero sfruttato per attirare in trappola i loro nemici, che senza dubbio sarebbero stati presenti a quell'evento. Tutto ciò che dovevano fare era gettare loro del fumo negli occhi.

Gli squilli delle trombe diedero il benvenuto al trio proprio nel momento in cui Lorenzo de' Medici salutava dalla tribuna d'onore il fratello Giuliano, pronto a scendere in lizza con gli altri cavalieri.

A vederli i due fratelli parevano l'uno l'opposto dell'altro. La natura era stata prodiga di forza con Lorenzo, ma certamente non di bellezza: era tarchiato, con spalle robuste e petto ampio, tuttavia le sue fattezze irregolari, con il naso schiacciato e il mento a punta, lo facevano apparire, secondo alcuni, meglio destinato agli intrighi della politica che a quelli del sentimento. Giuliano, al contrario, pareva nato per esser l'idolo delle dame fiorentine, elegante, slanciato, bello e forte com'era.

Entrambi i fratelli, però, erano accomunati dalla passione per la giostra. Quell'anno era il turno del minore di sfoggiare la propria divisa rosso carminio con sopra lo stemma mediceo, ma ancora veniva ricordata la celebrata vittoria del Magnifico, avvenuta appena due anni prima.

«Bene, eccoli» disse Neri facendo un cenno a Leonardo.

In alto, sul soppalco eretto per il pubblico aristocratico e benestante in occasione dei giochi, sedevano uno di fianco all'altro Domenico di Giovanni e Bernardo Bandini.

Proprio come previsto, pensò Neri.

«Leonardo, pensi di riuscire a farti invitare lassù con loro?»

«Naturalmente, nessun problema» rispose con fare spavaldo l'amico.

«Allora vai, e ricorda di fare come ti ho detto. Ma non esagerare!» gli raccomandò lui mentre si allontanava.

«È arrivato il mio momento credo» disse Piera al suo fianco con un velo di preoccupazione nella voce.

«Rilassati, andrà bene» la rassicurò Neri con una leggera stretta alla spalla. «Eccolo, Giuliano si avvicina. Fai il giro, così sembrerà che stai arrivando dagli spalti riservati ai nobili. E sorridi. Il sorriso di una bella fanciulla può ingannare anche il Diavolo.»

«Quindi mi trovi bella?» gongolò lei.

Neri la allontanò in modo non poco rude, borbottando fra sé e sé: «Vanesia, proprio come il fratello.»

La osservò farsi strada nella calca di gente esaltata che non desiderava altro che tifare per il proprio campione. Nel frattempo, però, gettò anche un'occhiata verso le tribune per vedere cosa facesse Leonardo; Bandini gli stava facendo posto accanto a sé sul sedile e si sorridevano a vicenda.

Per fortuna almeno quella parte del piano procedeva a gonfie vele.

Il richiamo gioioso delle trombe segnalò l'imminente inizio dei giochi e i primi due cavalieri montarono in sella, aiutati dai rispettivi scudieri, tra le urla di giubilo del popolo.

I vivacissimi occhi neri di Giuliano de' Medici scandagliarono insistentemente il pubblico, un cacciatore ardente alla ricerca della propria preda. E la trovò senza difficoltà: una fanciulla dalla pelle del color del latte e dai lunghi capelli d'oro, il cui meraviglioso sorriso avrebbe spinto alla follia più d'un uomo di saldi principi. Pareva un angelo sceso in terra.

Era Simonetta Vespucci.

Coetanea di Giuliano, con appena diciotto anni, la fanciulla aveva già acquistato fama d'esser la più bella dama dell'intera Firenze, attirandosi addosso gli sguardi di tutti gli uomini e suscitando grande invidia nelle altre dame del seguito del Magnifico, il quale nutriva notoriamente un apprezzamento personale per la giovane fin dall'arrivo in città col marito, Marco Vespucci, avvenuto poco dopo la sua ascesa al governo. Ancor maggiore di quello di Lorenzo, tuttavia, pareva essere l'attaccamento di suo fratello Giuliano per la bella Simonetta, nonostante il comportamento della giovane fosse, a detta di tutti, irreprensibile, e nulla facesse dubitare della sua fedeltà nei confronti del marito.

Ma le cose potevano cambiare, o quantomeno, Neri poteva fare in modo che Giuliano lo credesse.

Finalmente vide Piera raggiungere il lato della palizzata più vicino al cavaliere e fargli cenno con la mano. Non era l'unica però e farsi notare in mezzo a tutte le altre non era cosa semplice. La ragazza si sporse in avanti, sbracciandosi con entusiasmo. Alla fine una guardia la fece avvicinare.

Neri dovette prendere atto della sua abilità nel fare le moine, era una civetta nata. Povero il disgraziato che se la prenderà per moglie, pensò fra sé.

Giuliano de' Medici le sorrise, annuendo a qualcosa che lei aveva detto, poi allungò il braccio con il palmo aperto. Piera gli mise in mano un fazzoletto ripiegato e indicò gli spalti, in direzione della bella dama che pochi istanti prima lui aveva cercato con gli occhi. Il volto del giovane si illuminò all'improvviso e Piera gli rivolse un inchino con un ultimo sorriso raggiante prima di essere inghiottita nuovamente dalla folla radunata lì intorno.

Neri non vide cosa accadde in seguito, ma di sicuro Giuliano avrebbe trovato il foglietto di carta avvolto nella stoffa, con sopra la morbida e ordinata grafia della sua adorata Simonetta, che lo pregava di incontrarla in segreto di lì a due giorni. Non avrebbe esitato ad accontentarla, ne era certo.

Restava solo un'altra cosa, poi avrebbero dovuto pregare che tutto andasse per il verso giusto e aspettare che il seme piantato germogliasse.

Neri tornò allora a guardare in direzione di Leonardo, che si preparava a portare a termine la sua parte dell'inganno. Proprio in quel momento vide arrivare trafelato Gittato dalla parte opposta; come da programma, si accostò a Domenico di Giovanni, gesticolando in modo animato. L'uomo si alzò in piedi di scatto, bianco in volto, correndo via come se avesse il Diavolo alle calcagna.

Neri si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.

«A cosa si deve tanta contentezza?»

La nota melliflua nella voce dello sconosciuto alle sue spalle lo fece voltare con curiosità.

Non era uno sconosciuto, era Sandro Botticelli.

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