Il Labirinto di Spine 2 - Capitolo 8
La vita è questa.
Nulla è facile e nulla è impossibile.
(Giuseppe Donadei)
"L'ho trovato così. A terra nella stanza della moglie, mentre stavo per uscire dopo il turno."
"Era debole e dev'essere svenuto. Però, infermiera Kamaka, avrebbe dovuto rimandarlo subito in reparto."
"Ne sono consapevole, solo che era sconvolto per la famiglia e mi ha intenerita. I suoi occhi erano vacui e pieni di dolore, tuttavia il modo in cui la guardava mi ha fatto emozionare. Deve amarla davvero tanto e non riesco nemmeno ad immaginare il calvario che sta passando. Ho agito senza pensare alle regole. Volevo solo dargli la possibilità di passare del tempo con la donna che ama. Sono davvero desolata Dottore. Sono stata impulsiva ed emotiva."
"Capisco perfettamente la situazione. Le alte sfere del consiglio di amministrazione ci dicono sempre di non farci coinvolgere, ma non si può. I nostri pazienti non sono solo numeri per raggiungere il fatturato, ma persone reali con dei sentimenti. Ha fatto bene ma ora capiamo se sta bene. Da quanto è sveglio?"
"Approssimativamente 5 minuti. Quando sono tornata dopo averla fatta chiamare aveva gli occhi aperti."
Ombre indefinite si muovono spettrali intorno a me.
"Jace mi sente?"
Le labbra di un uomo avvolto in un camice bianco si muovono provocando un'insopportabile ronzio. Non ho idea di che cosa voglia da me dal momento che non so leggere il labiale.
La sua fastidiosa luce mi buca le iridi e le orecchie riprendono a fischiare fastidiosamente. È intento ad esaminarmi come se fossi un esperimento mal riuscito.
"Riesce a sentire la mia voce?"
Altri volti curiosi e sfocati, avvolti in tessuti blu e verdi, spuntano come funghi attorno a me. Essere l'attrazione principale di questo circo mediatico proprio non mi piace.
"Jace, se mi capisce chiuda gli occhi."
Non riesco a comprendere quei borbottii confusi e non sono sicuro che stiano parlando proprio con me perchè questo Jace che cercano non so proprio chi sia.
Mi gira un po' la testa e ho male dappertutto nella parte superiore del mio corpo mentre, a parte un leggero torpore al bacino, poi non sento niente. Provo a muovermi, ma le gambe rimangono immobili. Non è normale. In panico provo a sollevare il resto del corpo reggendomi sulle braccia, ma quello che credo sia un dottore, me lo vieta.
"Le ho dato un leggero sedativo. È per questo che non ha sensibilità agli arti inferiori. Cadendo ha sbattuto contro uno spigolo, all'altezza del bacino, proprio dove le abbiamo prelevato il midollo osseo rischiando di lesionarlo. Ha un brutto taglio e ha perso parecchio sangue per tanto deve stare assolutamente immobile per qualche giorno. Ma é la testa a preoccuparmi di più, perciò la porterò a fare una TAC."
Continuo a capire solo qualche parola e non mi è chiaro cosa sia successo e il luogo dove mi trovi. Spero non sia un ospedale. Non so perchè, ma a pelle, credo di odiare gli ospedali.
Una brutta sensazione si insinua nel mio essere facendomi tremare.
Le luci del soffitto sfarfallano ad ogni passo su quel lettino metallico e cigolante, mentre mi spingono per un corridoio dai colori tenui sul grigio che mi mette i brividi. L'ascensore scende verso gli inferi. Ho come l'impressione di essere già stato in un posto così tetro, ma proprio non ricordo. Quaggiù è tutto immacolato. Sui muri però ci sono linee di differenti colori fatti da piccole piastrelle che indicano, presumibilmente, differenti reparti e strutture sanitarie. Sono sempre più convinto di essere, mio malgrado, in un'ospedale. Gli indizi me lo confermano sempre di più. Seguiamo la linea blu passando accanto alla zona con la riga nera, la cui porta semiaperta alla mia destra mostra un letto di acciaio e tanti loculi argentati che mi mettono i brividi. Per favore non voglio andare lì.
Fortunatamente proseguono sorpassando un corridoio che si dirama e porta, seguendo la riga rossa, alle sale operatorie. Noi ci dirigiamo lungo il corridoio con la linea gialla, verso i laboratori. Ma laboratori di cosa? Sono agitato.
Superiamo il laboratorio analisi ed entriamo in Radiologia, contrassegnata da un cartello "radiazioni" per niente rassicurante.
Mi scaricano su un lettino motorizzato diretto verso un buco nero che mi risucchia e mi scansiona.
Che sia stato rapito dagli alieni? È il mio primo pensiero ma non è plausibile. Ma allora cosa mi fanno?
"Rimanga immobile." dice una voce femminile nella mia testa.
Probabilmente dovrei chiudere gli occhi ma non mi fido, perciò cerco di sgranarli il più possibile per guardarmi attorno roteandoli, con l'intento di capirci qualcosa. Pessima idea visto che la luce mi infastidisce provocandomi un attacco epilettico. Alla fine credo di essere svenuto.
Non so. So solo che quando ho riaperto gli occhi non ero più in quel macchinario inquietante ma sdraiato in un letto che profuma di disinfettante. 100% ospedale. Che sfiga!
"Jace. Sei sveglio bell'addormentato?"
Cerco di mettere a fuoco ma gli occhi sono pesanti e la vista sfocata. Quando finalmente ci vedo, mi trovo davanti un bel ragazzo, che non conosco, seduto su una poltroncina accanto al mio letto. La luce solare entra nella stanza per mezzo di un'enorme finestra e mi acceca leggermente.
"Ehi bentornato tra i vivi! Hai deciso di farmi preoccupare anche tu? Ti avverto che il mio cuore potrebbe non resistere a tutti questi traumi." sorride nervosamente.
Chissà di che cosa parla.
"Ok. Mi... dispiace." farfuglio.
"Allora come ti senti?"
"Be... bene. Credo. Ma..."
"Oddio, ma cosa?"
"Tu chi sei?"
Scoppia a ridere. "Cazzone! Me l'avevi quasi fatta! Comunque giuro che riempio di botte quel cretino di Will che ti ha fatto scappare. Mi sono assentato due minuti. Due miseri minuti, per la miseria! Comunque, per la tua felicità, Vince sta bene. L'intervento è riuscito. Gli hai salvato la vita. Contento?"
"Evviva." dico spontaneo e non sapendo nemmeno perché.
"Vuoi che chiami i tuoi genitori? Ora sono con Vince."
"Chi?"
"Mi sa che sei parecchio confuso, Jace. Hai preso una botta!" sogghigna indicando la mia testa.
Porto la mano nella sua direzione e noto, al tatto, un'enorme fasciatura. Non è che sono pelato?
"Jace?" mi guarda curioso mentre cerco di constatare se ho ancora i capelli.
"Chi è questo Jace che cercano tutti?"
Mi guarda sorpreso con un cipiglio indecifrabile.
"Sei serio?"
Annuisco.
"Oh cavolo! Non di nuovo! Dottore!" urla cone un pazzo isterico facendo entrare mezzo reparto nella stanza.
"Cosa succede?"
"Non sa chi è. Ecco cosa succede." parla quasi sconsolato portando le braccia ai fianchi.
"Vediamo un po'. " mi sorride il ciclope di mezz'età, mentre appoggia quell'aggeggio di metallo tondo e ghiacciato sul mio petto procurandomi la pelle d'oca. È collegato a due fili neri che finiscono nelle sue orecchie. Inquietante è dire poco. Sento il petto accelerare.
"C'è una leggera tachicardia ma nulla di preoccupante."
Riecco quella fastidiosa luce nei miei occhi. Non può puntare la torcia a qualcun altro che non sia io? È fastidioso.
"La risposta della pupilla alla luce è nella norma."
Ora mi punzecchia facendomi male. Credo provi un sadico piacere a trattarmi come la sua bambola vudù.
"Riflessi perfetti. Le gambe sono ancora anestetizzate e ne testeremo la sensibilità e i riflessi tra un paio di giorni, ma non penso insorgano complicazioni visto che la circolazione degli arti inferiori funziona regolarmente. Ora dimmi Jace, cosa ricordi?"
"Cosa ricordo?" arriccio il naso confuso. Spero abbia una domanda di riserva perché a questo proposito devo ammettere che la mia testa è piena di segatura.
Ma ovviamente insiste.
"Di ciò che è accaduto ieri, cosa riesci a rammentare?"
"Di ieri?" sbuffo. "Nulla."
"Ok. E in generale?"
"Non so."
"Per esempio il tuo nome o quando sei nato?"
"Non ne ho idea."
Dalla sua faccia però, pare che invece dovrei saperlo. Vorrei sapere cosa ha da annotare su quella cartellina. Sembra un quiz ed io non sto andando molto bene.
"Il mese in cui ci troviamo?"
"Uno... soleggiato?" lo guardo fiero della mia risposta. Il sole è alto in cielo perciò credo di aver risposto correttamente. Chissà se ho vinto qualcosa.
"Le Hawaii, dove ci troviamo, fanno parte degli Stati Uniti d'America. Quanti stati in totale formano la nostra grande Nazione?"
"Mi sta interrogando di geografia? Perché confesso di non aver studiato."
"Come non detto. Prossima domanda. Osservando questa fotografia chi riconosce?"
È una foto di famiglia credo. Ci sono due adulti, un uomo brizzolato sui 45 anni, alto, con gli occhi di un bellissimo azzurro glaciale e una bella signora sui 40, coi capelli rossi e gli occhi verdi. Il verde. In cuor mio so di amare il verde prateria. Perchè non lo so, ma dalle sensazioni che provo, so che è così. Sento uno sfarfallio strano che parte dallo stomaco e mi fa battere il cuore fortissimo tanto che potrebbe perfino esplodere. Ma questo verde è di una tonalità più scura e cupa e non mi genera la stessa emozione. Mi riconcentro sull'immagine. Mi rimangono due soggetti: un ragazzino sui 14 anni e un ragazzo sui 25 anni penso. Entrambi con gli occhi del colore di quelli dell'uomo ma il ragazzino ha i capelli con il riflesso ramato che ricordano quelli della donna a cui assomiglia molto. Nella fotografia sono tutti belli e sorridenti a parte il ragazzo sulla destra che invece è un musone con la faccia depressa. Ha i capelli biondo scuro e gli occhi azzurri, freddi e inespressivi come Iceberg che non trasmettono alcuna luce o felicità. Sembrano immersi in un dolore profondo che sento di provare anch'io.
"Non riconosco nessuno, mi dispiace."
"Nemmeno lui?"
"Il depresso?"
"Esatto."
"No. Dovrei?"
"Beh, considerando che sei tu, sì dovresti, Jace. Il trauma cranico é più grave del previsto. Mi devo consultare con un neurologo."
"So... sono io questo?" chiedo al ragazzo del mio risveglio.
Mi passa uno specchio ridendo.
"Depresso uguale ma moooolto più figo di adesso."
Mi spavento guardando il mio riflesso. Il volto livido, la testa bendata. Non posso essere io. Mi soffermo a guardare gli occhi e non solo il colore è uguale ma ho anche lo stesso sguardo triste a darmene conferma.
Ok. Perciò il famoso Jace sono io. Un passo in avanti l'abbiamo fatto.
"Ora posso andare?"
"Andare dove?"
"Via da qui. Questo posto mette i brividi."
"Non puoi amico. Mi dispiace."
"Dannazione."
"Per fortuna hai me che sono uno spasso, a tenerti compagnia." Mi fa l'occhiolino facendomi ridere.
"Perché sono in ospedale?"
Mi guarda sbiancando e mi liquida con un "Hai avuto un incidente" ma ho come l'impressione che non sia tutta la verità. Pazienza. Tanto prima o poi lo scoprirò.
Passiamo la giornata a giocare a poker e a ridere per la mia incapacità a ricordarne le regole. A quanto pare Alec è il mio migliore amico. In effetti ho la sensazione di conoscerlo da una vita, anche se non me lo ricordo. Mi piace. È una bella persona.
"Vedo." ride puntando un budino al cioccolato.
"Rilancio anche se non so se con queste carte si vince." sorrido giocando la mela che mi ha dato l'infermiera, completamente ignaro delle mosse vincenti. Il budino però lo magerei volentieri.
"Io ho una coppia bello."
"Io ho queste." le giro sul letto. "Vanno bene per vincere?"
"Una scala reale? Mi prendi in giro forse?"
"È un sì o un no?"
"È un sì. La fortuna del principiante smemorato. Tieni il budino." mi guarda crucciato.
Sorrido felice come un bambino che ha appena scartato il regalo di compleanno e poi gli chiedo se vuole dividerlo e anche a lui si illuminano gli occhi.
Quando Alec se ne va, arrivano quelli della foto, che a quanto pare sono i miei genitori e mio fratello.
Quella che dev'essere mia mamma, piange preoccupata per tutto il tempo facendomi venire il magone. Ho come l'impressione che non sia la prima volta che piange per causa mia.
"Perché sono qui? Alec non me l'ha voluto dire."
"Hai donato il midollo a..." balbetta Regina.
"Il figlio della sorella di Alec perché eri l'unico compatibile e poi sei svenuto facendoti male. Hai sbattuto la testa molto forte contro il pavimento, ma starai meglio."
Le parole di mio padre sembrano sincere perciò annuisco.
Se ho salvato un bambino tanto male non devo essere. No?
"Ci vediamo domani amore." Mia mamma mi bacia con dolcezza la fronte.
Mi domando se sono stato adottato perchè da lei non ho preso nemmeno una vaga somiglianza e da mio padre... beh solo il colore degli occhi, ma chissà quante milioni di persone hanno le iridi azzurre come me.
"A domani mamma, papà e fratellino." sorrido in modo sghembo così da farli andare via sereni.
Rimango solo con i miei pensieri e mi rendo conto di avere la testa piena di domande a cui non riesco a dare una risposta. Il mio tentativo maldestro di ricordare chi sono non fa altro che farmi aumentare l'emicrania perciò alla fine mi rassegno e chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal caldo abbraccio di una meravigliosa Dea dagli occhi prateria.
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