Rapimento
Capitolo II
Rapimento
- Entra pure Harry, benvenuto nella tua nuova casa - mi disse Johanna. Scesi dalla macchina e ne restai incantato. Chiamarla casa era un eufemismo. La mia era una casa. Una catapecchia. Un orrore, in confronto a quella deliziosa villetta che avevo davanti agli occhi. Johanna mi fece strada per il giardinetto, con un prato all'inglese, pulito e ordinato. Arrivammo davanti al portone, nero lucido, che segnava l'entrata di quella struttura color panna, con qualche finestra che sorgeva qua e là e alcuni balconi. Dopo l' "incidente" ero rimasto in ospedale per un'altra settimana. Fortunatamente ritornai a camminare bene, anche se in quei giorni il sedere mi faceva un male incredibile. Per non parlare dei dolori alla schiena e dei lividi sui fianchi e sulle braccia, che ancora li sentivo addosso. Il mio avvocato mi aveva felicemente comunicato che mio padre era stato sbattuto in galera, non mi sono interessato a sapere il periodo, ma speravo per molto... molto tempo. Mi avevano pure fatto andare da uno psicologo, pensando che ne avessi avuto bisogno e se devo essere sincero, non è male come si pensa. Non è per i pazzi, piuttosto ti aiuta a riflettere su cose in cui hai dubbi. Mi aveva pure detto che ero stato fortunato a non aver avuto traumi gravi, d'altronde quello che faceva mio padre era come un'abitudine ormai, oltre che un problema.
Uscii da quell'imminente trance e mi concentrai su quel salottino ricco di oggetti e foto di famiglia. Un tavolino rotondo era affiancato da due poltrone marroni e all'apparenza comode. Accanto al muro invece c'era una libreria con parecchi e scommetto costosi libri. La cucina era in un'altra stanza, talmente grande da assomigliare a tutta la pianta della mia piccola e povera casa. Credo di aver detto il motivo per cui vivevo in quell'orrore no? Mio padre non mi riteneva degno di una bella casa... ecco un altro motivo per cui si divertiva a vedermi soffrire. Per quanto mi aveva detto Johanna, il padre di Louis era morto in un incidente parecchi anni fa e lo comprendevo benissimo dato che anche io ero senza una figura essenziale.
- Bene, ti ho fatto vedere il salotto e la cucina, adesso passiamo al secondo piano, dove ci sono le stanze e anche la tua - le sorrisi, per quanto mi costasse farlo, dato che non lo facevo da secoli, e la seguii su per le scale, dove un grande vociferare mi dava il mal di testa.
- Queste piccole pesti che senti sono le bambine più piccole. Dopo te le presento. - annuii col capo ed entrammo nella prima stanza di quel lungo corridoio. Era un bagno, comodo e accogliente. Johanna mi aveva detto che ognuno aveva il proprio in camera e questo fu un sollievo. Non mi andava l'idea di fare la fila con un asciugamano al braccio e i vestiti nell'altra mano. Già, vedevo troppi film in cui accadevano quelle cose.
La seconda stanza era una camera matrimoniale, che capii fosse della mamma di Louis dato che era troppo formale e ordinata per un adolescente. I muri erano tinti color miele, come le coperte del letto e i rispettivi mobili; comodini, armadi e altri cassettoni. Delle fotografie ne decoravano la superficie e tende color avorio coprivano l'enorme balcone e la piccola finestra alla nostra destra.
La terza stanza era una camera un po' più piccola, ma lo stesso confortevole. I muri erano rosa, ma non rosa confetto, piuttosto un rosa più scuro, tendente al fucsia. Johanna la presentò come la stanza di Felicitè (soprannominata da tutti Fizzy).
L'altra stanza invece era maschile e capii subito si trattasse di quella di Louis. Mi meravigliò molto trovarla in ordine e con un buon profumo di vaniglia. Poi capii il motivo; Johanna la puliva tutte le mattine prima di andare a lavoro. Al centro della stanza c'era un letto da una piazza e mezza, con delle coperte blu e il bordo nero. Gli armadi avorio stavano attaccati alla parete di fronte al letto e delle tende blu notte contrastavano il bianco-panna dei muri. Una poltrona era affianco al grande armadio, proprio vicino al balcone. Solo allora mi accorsi che ce n'era uno in ogni stanza.
La quinta stanza era quelle delle gemelle, Daisy e Phoebe. I muri erano rosa e tantissime barbie erano a terra, ordinate in uno strano modo. Lì in mezzo ci trovai due bellissime bambine, che giocavano e litigavano per chi dovesse vestirle e chi dovesse spogliarle. Mi scappò una piccola risata che fece piombare l'attenzione di tutti su di me.
- La bambina con quel neo sul collo si chiama Daisy, è così che le riconosciamo. L'altra invece si chiama Phoebe. Hanno nove anni e sono peggio di quello che hai appena visto - ridacchiò Johanna. Le bambine, subito dopo aver fatto le offese, mi si buttarono addosso, comprimendo qualche livido e facendomi sussultare sia per la sorpresa che per l'imminente dolore. Ma come mi era facile fare, finsi un sorriso e con la mia ormai affidabile maschera ignorai il dolore. Nessuno sembrò accorgersene.
- Lui è Harry e vivrà con noi per molto tempo - sorrise la loro mamma.
- Ciao Harry, non vedo l'ora di giocare con te. Voglio farti vedere le mie bambole -
- Non sono solo tue - dibatté la bambina col neo, Daisy.
- Io ne ho più di te -
- Non è vero. Ore le andiamo a contare -
- Scommetto che vinco io -
- No. - Daisy mise il broncio e andò dietro Phoebe, pronta a dibattere su chi ne avesse di più. Avevano entrambi i capelli castani e gli occhi azzurri, come quelli di Louis.
Uscimmo da quella stanza ed entrammo in una molto più carina. I muri erano panna, i due letti che affiancavano i rispettivi muri di destra e sinistra erano dello stesso colore. Un ampio tappeto univa le distanze create dai mobili.
- Questa è la stanza di Charlotte e Georgia. Sono le più grandi. La prima ha quindici anni e la seconda quattordici. Vanno molto d'accordo e a volte sono più mature di Louis - sorrisi e mi lasciai sfuggire una piccola risata prima di essere portato nella mia stanza.
Era piuttosto semplice, ma l'amavo. Un letto come quello di Louis era a centro della stanza. In uno dei lati c'era una porta che compresi portasse al bagno e poi l'altro lato era occupato da un armadio e da uno specchio della mia altezza. Le pareti erano anch'esse avorio, come i muri. Le tende e le coperte del letto erano blu. Non avevo mai avuto una stanza così bella. La mia comprendeva un letto rotto e arrugginito, un cassettone, zero finestre, mentre questa aveva un balcone e poi i muri di quella di prima erano colorati di grigio. Un colore che metteva tristezza, mentre questo avorio ti dava un senso di comodità e tranquillità.
- L'ultima porta in fondo al corridoio è la camera dello sfogo. Ci sono dei letti, la TV e dei videogiochi. Louis e i suoi amici ci passano molto tempo e non permettono nemmeno a me di entrare. Non voglio immaginare quanto sia disordinata adesso - si mise letteralmente le mani tra i capelli e le sorrisi comprensivo. C'era una cosa in cui non ero per niente bravo: fare amicizia. Potevo essere un perfetto attore, un perfetto masochista o chissà cos'altro, ma l'idea di intraprendere un discorso con qualcuno mi terrorizzava. Forse perché ero sempre stato preso di mira dai bulli? Oppure perché ero timido? O ancora perché avevo paura di far scappare la gente con i miei possibili orrendi discorsi? boh... sta di fatto che non avevo nemmeno un amico. Anzi, uno ne avevo, ma quando gli ho detto di essere gay mi ha guardato male, si è allontanato da me e l'ha spifferato in tutta la scuola. Ecco perché mi prendono in giro ed ecco perché non sono più riuscito a fidarmi di qualcuno.
- Oh quasi dimenticavo. Qui c'è il certificato medico, così verrai giustificato a scuola e ti copriranno le assenze. Domani te la senti di andarci? -
- Si, non voglio fare altre assenze - in realtà dentro stavo morendo dalla paura. Rivedere tutti era come un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi. Anni di insonnia e prese in giro.
- Ti lascio disfare la valigia. - aspettai che uscisse dalla stanza, chiudendosi la porta dietro, per poi portare il bagaglio sul letto e uscire a poco a poco i miei vestiti. Non erano molti e non erano nemmeno in ottime condizioni, ma non potevo dire a mio padre di comprarmi nuovi vestiti e non potevo di certo dirlo nemmeno a Johanna. Non volevo creare disturbo. Non appena aprii l'armadio restai quasi sconvolto. Era pieno di ogni tipo di vestito, di ogni colore e di ogni stile. Attaccato a una giacca c'era un biglietto che non persi tempo a leggere. Riportava questo testo:
Ho pensato che un nuovo abbigliamento potesse aiutarti a cambiare vita. Mi sono permessa di prendere le tue misure e credo di aver comprato parecchie cose alla moda. Charlotte mi ha aiutato con i gusti e chi meglio di una ragazza per consigliare un ragazzo? Non sentirti in soggezione e chiedimi qualsiasi cosa, i soldi che ci manderanno al mese saranno necessari per comprarti le cose, quindi non esitare.
Un bacio, Johanna.
Sorrisi. Quella donna era un vero amore. Una mamma che tutti avrebbero voluto avere. A quel punto lasciai i miei vestiti in valigia, intento a buttarli. Erano troppo vecchi pure per donarli. Aprii il cassetto del comodino, per metterci dentro quei pochi accessori che avevo, come cinture e orologi, e per mia grande sorpresa ci trovai un altro pacco con un altro biglietto.
Non so se hai visto l'armadio, pertanto ho pensato che avessi bisogno anche di un modo per comunicare con noi. Sai, non voglio problemi, e poi tutti gli adolescenti ne hanno uno. Se non dovessi trovare il terzo pacco ti consiglio di guardare sotto il letto. Questa volta è stata Georgia a consigliarmi. E' lei quella che se ne occupa meglio di tutti.
Un altro bacio, Johanna.
Aprii la scatola e spalancai la bocca. Un telefono totalmente tecnologico. Ero abituato a quelle scassette che non so come riuscivano a chiamare, trovare quel telefono fu come una sorta di miracolo. Gli occhi mi diventarono lucidi. Nessuno aveva mai fatto tutto questo per me. Mi abbassai sotto al letto e trovai un'altra scatola e un altro biglietto.
Okay, adesso credo di essere proprio stressante. Comunque sono felice di questa piccola sorpresa. Le gemelle si sono divertite molto a nascondere il tutto. Spero che anche questo regalo ti piaccia e poi vai in bagno. Ti aspetta un' altra sorpresa.
Chissà ancora quanti altri baci, Johanna.
Mi scappò una lacrima, che asciugai velocemente. Era raro riuscire a rompere la maschera che portavo, senza nemmeno essere violentato. Dentro alla scatola trovai un computer bianco, con una mela morsa stampata sopra. Avevo un computer tutto mio. Solo ed esclusivamente mio. Scappai in bagno e trovai una scarpiera. La aprii e vidi molti modelli di scarpe, di molti colori e di molte marche. Converse. Tom's. Sembrava un sogno. Io a stento ne avevo un paio rovinato e pieno di buchi. Fu a quel punto che mi abbandonai al muro e scivolai fino a toccare il pavimento, con le lacrime che sgorgavano dagli occhi. Non ero triste. Non stavo soffrendo. Ero solo felice di aver trovato quello spiraglio di luce in mezzo alla mia vita oscura. Non avrei mai pensato di trovare tutto questo. Mi sarei accontentato anche di un letto, ma avere addirittura cose nuove e una famiglia che stava imparando a conoscermi non era più quell'incubo dal quale non riuscivo a scappare, ma era un sogno che volevo non finisse mai. Alla mia destra trovai una lettera, la aprii e incominciai a leggere ogni riga, con le lacrime che non smettevano di scivolare via.
Ciao Harry,
Sono Johanna. Ho pensato che una lettera potesse essere meglio di tante parole dette a voce, così troverai il coraggio di leggere senza distogliere lo sguardo o rinnegare lacrime che vogliono uscire dai tuoi occhi. Mi dispiace davvero tanto per quello che è successo con tuo padre, so che può essere difficile e che non ci sono spiegazioni, ma voglio farti capire quanto tu sia importante per questa famiglia, adesso. Dovrai fidarti di noi, dovrai trattarci come se io fossi la tua vera madre e gli altri i tuoi veri fratelli. Se hai qualche problema non esitare a parlarne con noi. Non sentirti in colpa se qualcosa va male e non tirarti indietro se vuoi essere consolato o semplicemente abbracciato. Ho 6 figli, e sarò fiera di trattarti come il mio settimo figlio. Voglio darti tutto ciò che ho, ti prego di non rifiutarlo. Un grande bacio, Johanna.
Ciao Harry,
Sono Charlotte, la figlia più grande, oltre quello stupido di mio fratello. Purtroppo non ti conosco e non so nemmeno il motivo per il quale mia mamma mi stia costringendo a scriverti questa lettera, ma se può farti stare meglio, chiamami pure Lottie, come fanno i miei amici o Sorellina, se ti va di sentirti in famiglia. Voglio proprio conoscerti e sappi che puoi fidarti di me. Sembra strano, ma ti voglio già molto bene.
Ehi Harry,
Sono Georgia. Sono stata adottata anche io e ti posso dire che all'inizio non è facile, ma che non appena ti abbracceranno capirai il vero significato del nucleo familiare. Non farti abbattere da nessuno. Io adesso sono forte e riuscirai ad esserlo anche tu. Un abbraccio grande dalla tua nuova sorella.
Ciao Harry,
Sono Fizzy e parlo anche in nome delle gemelle. Loro non vedono l'ora di giocare con te e io non vedo l'ora di avere un altro fratello maggiore che non sia quello stupido di Louis. Per qualunque cosa puoi parlarne con me o con gli altri. Non ti consiglio le gemelle se non vuoi trovarti a pettinare bambole e credimi se ti dico che ne so qualcosa dato che adesso mi stanno picchiando per quello che sto scrivendo. Quindi, per non trovarmi altri bernoccoli, voglio augurarti una buona permanenza. Un bacio da noi tre.
Hei amico,
Sono Louis. Sono stato costretto da mia mamma a scrivere questa cavolata quindi, oltre ad essermi preso un pugno di insulti dalle mie sorelle e dato che sono di poche parole ti auguro semplicemente di trovarti bene. Per qualunque cosa io ci sono e puoi benissimo integrarti nel mio gruppo, anche se Zayn ha volte è scorbutico. Adesso vado a picchiare le mie sorelle, ciao.
Mi lasciai trasportare da una risata liberatoria per poi sciacquarmi il viso e togliere ogni lacrima che si era impossessata del mio viso. Scesi sotto e per mia fortuna o sfortuna li trovai tutti lì, con Johanna che teneva una torta tra le mani e il resto della famiglia che urlava un "Benvenuto". Aveva ragione Georgia, non appena tutti mi abbracciarono mi sentii di essere in una famiglia che da tempo non avevo. Era strano, era diverso, era splendido. Non c'era mio padre che mi picchiava e la notte avrei potuto dormire tranquillo, senza la paura di sentirmi chiamare e di venire abusato. Ero gay, non un giocattolo. Anche io ho un cuore e non è normale che la gente ti faccia del male e ti consideri diverso o malato. Perché amare non è una malattia, e nemmeno amare una persona dello stesso sesso dovrebbe esserlo, è sempre amore.
Passai una bellissima serata. Avevo memorizzato sul cellulare tutti i numeri dei componenti familiari e mi avevano già tartassato di messaggini, tranne le piccole, ma a breve anche loro avrebbero imparato come si fa.
Quando andai a letto, mi sentii terribilmente bene. Al caldo tra quelle coperte.
- Buongiorno Harry. Svegliati o farai tardi a scuola e per la colazione - sobbalzai un po' alla voce di Johanna. Non ero abituato a essere chiamato direttamente da una persona, solitamente ci pensavano le sveglie a buttarmi giù dal letto, ma quella era un'altra nuova e piacevole sensazione.
Mi lavai, mi vestii e fui pronto per andare a scuola, ma dato che avevo fatto un po' tardi, Johanna mi disse che Louis era già uscito con i suoi compagni e così dovetti andare a scuola da solo e a piedi. Ma lo avevo scelto io, mi sentivo in soggezione a essere accompagnato con la macchina dalla mamma del mio nuovo fratellastro.
A circa metà strada sentii qualcuno chiamarmi e così mi girai un po' spaventato e mi ritrovai davanti gli stessi uomini che mi avevano violentato insieme a mio padre. C'era sempre quello rasato e quello con i capelli corti. Sentii la paura crescere dentro di me e il cuore perdere qualche battito. Quella sarebbe stata la volta buona che ci avrei lasciato le penne. In effetti era tutto fin troppo bello. Famiglia perfetta, vita perfetta, casa perfetta. Tutto troppo perfetto e la vita non lo è per niente.
- Ta- Da - esclamò l'uomo rasato. Indietreggiai lentamente, ma l'altro se ne accorse e mi afferrò per lo zaino.
- Cosa volete ancora da me? - chiesi con la voce che tremava, proprio come le mani e le gambe che sembravano di gelatina.
- Oh piccolo Harry... tu sei un meraviglioso giocattolo. Sai, ti abbiamo cercato un bel po' prima di trovarti -
- Lasciatemi andare - urlai quando mi sfiorò una guancia, lasciando la sua umida e schifosa scia.
- Eh no... tu verrai con noi... per un bel po' - tentai di strattonarmi, di scappare, di allontanarmi, ma uno dei due mi diede una botta in testa e penso proprio che persi i sensi. La cosa peggiore? Che mi risvegliai in una stanza, imbavagliato, legato a una sedia, nudo e con due uomini con un coltellino in mano. Potevo scavarmi la fossa.
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Ciao a tutti, nello scorso capitolo non mi sono presentata, ma lo farò adesso. Mi chiamo Noemi. Fatemi sapere il vostro parere, così so se vale la pena continuare oppure no. Un bacio, Noemi <3
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