Il peccato dei deboli
Capitolo XXXIII
* ZAYN'S POV*
Credo che non esista dolore peggiore, che scoprire di essere ricaduto nel dolore stesso. Spesse volte camminiamo a testa alta, sperando che sia la soluzione migliore per ignorare i problemi o porsi più forti di fronte alla vita. Ma non ci accorgiamo che è come nascondersi dietro un dito. La gente finge, finge di non vedere la tua sofferenza... ma non tutti sono gli stessi. Quando cammini per il corridoio della scuola, noti come la gente può essere diversa. C'è chi corre per arrivare in anticipo in classe, in modo da non perdere il posto migliore. Allora capisci che se fa tanto in fretta è perchè gli amici che ha sono pochi oppure vuole approfittare dell'ultimo banco della fila migliore. Chi fa con calma e cammina da solo, è per semplice fatto che non ha fretta di fare le cose. La sua vita, i suoi gesti, le sue azioni sono indifferenti. Potrebbe sparire senza che nessuno se ne accorgesse. Chi viene picchiato ogni giorno è solo perchè non si sente sicuro di se stesso e preferisce chiudersi a riccio che scoppiare come una bolla. Quella gente, forse un giorno imparerà ad essere forte, oppure rimarrà chiuso nel suo riccio, finchè non cadranno tutte le spine che lo salveranno ancora. Ci sono anche i gruppetti di amici che stanno di fronte agli armadietti e parlano del più o del meno, indossando semplici vestiti scolastici. Quella gente andrà avanti senza il bisogno del giudizio altrui. Si creerà una barriera forte e indissolubile. Quelli che se ne stanno in un angolino, magari a leggere o ascoltare la musica, mentre aspettano la campana o osservano gli abiti scuri e gli anfibi che indossano, è la gente che spera di non essere notata, ma che, sarebbe indifferente ai giudizi altrui. Poi c'è la gente che ride sempre, anche quando viene colta da brutte notizie. La differenza tra questa gente e quella che ride davvero, sta nel fatto che quando il sorriso gli muore sul viso, non sentono lo stesso dolore di chi ha riso fin troppo. Quando fingi, tutto è morto. Se stai con chi non ti piace veramente, mostri sorrisi che quando muoiono non ti lasciano il segno. Se stai con chi ami, lo noterai non appena sentirai la mascella indurirsi e la forza di ridere ancora sparire, per il semplice fatto che è stata forzata fin troppo. Forse dimentico altre persone, come quelle che giocano nei campi, corrono sugli skateboard, si rincorrono nei corridoi... forse dimentico anche le coppiette apparentemente felici che si sbaciucchiano in angoli appartati o semplici amici che si organizzano per il fine settimana o per piccoli party. La verità, quella che fa più male, quella che vorrei evitare, è raccontare di quella gente che cammina per i corridoi, con lo sguardo alto e fiero, ma col cuore sbriciolato e distrutto. Vorrei non raccontare della gente che indossa una bandana al polso per non far vedere i segni del dolore. Vorrei non aver il bisogno di dire che quella gente non vede un futuro. Lo immagina, tenta di crearlo, ma ogni volta che si fa del male lo spezza, sperando che sia la soluzione migliore per crearsene uno nuovo. Quella gente, è la gente che finge di non sorridere mai, che si mostra fredda per non attirare le altre persone, che ignora per non soffrire più del dovuto, che si nasconde dietro uno scudo di vetro, rotto ormai da troppo tempo. Quella gente non si nasconde dietro un dito, quella gente non si crea problemi con il posto a sedere o con la disperazione del suono della campanella. Quella gente, forse non lo nota nemmeno. Piuttosto cammina come fanno le ombre alla sera. Saetta nel vuoto. Rincorre il vento, la lugubre sofferenza. Si accavalla alla velocità. La velocità dell'indifferenza. Quella gente, se siete stati bravi a capire, ero proprio io.
Ultimamente ero diventato il "duro", il "terribile" o il "pericoloso" sotto gli sguardi degli innocenti, ma il "debole" sotto chi mi guardava con il cuore e non con gli occhi. Ma la gente giudica troppo in fretta. Non si pone nemmeno una domanda, nemmeno un dubbio che corre subito a una sbagliata affermazione. Prova a camminare per la città indossando un semplice costume. Subito ti giudicano per un "cretino" se sei un lui o per una "puttana" se sei una lei, ma non sanno che magari, la tua destinazione è il mare e non l'autostrada. Perchè la gente fa proprio quello che non dovrebbe fare... soffia le candelina su una torta, prima che siano accese.
Notai come tutti avevano paura di me, dal fatto che mi scorrevano lontani. Scivolavano via come fanno le gocce d'acqua su un impermeabile.
Ero stato io ad averlo intenzionalmente indossato. Volevo che la gente si allontanasse da me alla stessa velocità con cui mi aveva fatto male. Un sorriso di troppo, un gesto inopportuno, un'occhiata fugace alla persona sbagliata e tutto sarebbe ritornato come una volta. Dovevo improvvisarmi attore, vivere una vita basandomi su delle bugie, pur sapendo che non sarebbero durate a lungo, ma speravo lo stretto e indispensabile per andare avanti e arrivare al traguardo più vicino. Poi, forse, tutto sarebbe ritornato come prima o magari meglio. Immaginavo di diventare di nuovo forte, di non farmi abbattere più e di vivere come desideravo. Siamo tutti bravi a dire "E che ci vuole? Rincorri i tuoi sogni, ignora chi ti giudica in continuazione!" ma come fai quando c'è qualcosa che ti sopprime? Come fai a correre con le gambe rotte? Come fai a parlare senza lingua? Come fai a vedere senza occhi? Non puoi rincorrere i tuoi sogni se non sai a che velocità andare. Non puoi evitare chi ti giudica se vivi nel loro stesso giudizio. Devi prima tirarti fuori da tutta quella merda e poi iniziare a correre. Allora potrai dare ragione a tutti quelli che dicono di fregarsene della gente. Perchè puoi correre se hai delle gambe e vedere se hai degli occhi, ma devi stare attento a non perdere in giro il cuore, senza quello, non puoi raggiungere nulla.
- Professore, potrei parlarle un attimo? - disse una ragazza del terzo anno, con in mano un blocchetto di assegni. Aveva intenzione di corrompere il professore. Intelligente, ma non troppo. La vera cultura non sta nei soldi. Ma la cosa che ti faceva imbestialire di più è che magari loro avrebbero comprato una laurea, mentre chi non può permettersi di studiare ed è un fottuto genio, non può andare da nessuna parte. Me ne fregavo. Volevo vivere la mia vita come cavolo mi pareva. Gli altri avrebbero solo dovuto andarsene a fanculo. Così come la gente che si diverte a prenderti in giro per puro divertimento. Sapevo solo che un giorno, avrei riso io guardandoli. Tempo al tempo. La vendetta va servita su un piatto freddo e Zayn Malik, sapeva già come vendicarsi a poco a poco.
Girai per l'ennesimo corridoio, sentendomi come dentro un labirinto e un ragazzo scontrò la sua spalle con la mia. Volevo lasciare perdere, ma non appena sentii un "frocio" come sussurro, mi girai e lo afferrai per le spalle, sbattendolo all'armadietto più vicino e facendogli venire la pelle d'oca.
- Usa di nuovo quel soprannome e ti farò mangiare le palle come spezzatino con i funghi, chiaro? - il ragazzo annuì spaventato, così lasciai la presa delle mie mani che si erano automaticamente avvinghiate al suo collo e che lo stavano soffocando. Alcune persone mi guardavano atterrite, altre scappavano terrorizzate. Ecco cosa ero diventato. Una macchina da guerra. Di distruzione. Di vendetta. Facevo a pugni col primo che osava prendersi gioco di me. Difendevo i deboli, perchè anche io lo ero e a volte tornavo a casa con una ferita sul corpo, ma una cicatrice risanata sul cuore. Arrivai di fronte all'aula della mia classe e mi fermai a vedere come un bullo di nome Eddie stava minacciando una ragazzina del primo.
- Eddie toglile le mani di dosso e vai via - il ragazzo si girò a fissarmi e lasciando la ragazza venne verso di me. L'aula era vuota, ma il coraggio e la mia determinazione riempivano tutto lo spazio libero.
- Che c'è frocetto, vuoi continuare la tua parte da ragazzo coraggioso? Non ti ecciti se ti metto le mani addosso? - ridacchiò spingendomi all'indietro. A quel punto la macchina di distruzione fu messa in atto e tirai un pugno sul viso di quel coglione.
- Che c'è Eddie, vuoi continuare la tua parte da bullo? Non ti senti meglio con un pugno sul viso, vero? Vuoi provare l'ebrezza di assaggiarne un altro? Per te c'è il 3x2. - mi inginocchiai su di lui e gli diedi altri due pugni. Scaricai la mia rabbia su quei pugni, con la stessa forza che lui, in passato, aveva usato su di me.
- Ricordati solo che la prossima volta non te la caverai con un occhio nero e del sangue sulle labbra - dopo averlo deriso un po', mi alzai e aiutai la ragazzina che mi ringraziava con gli occhi, colmi di paura. Scappò via dalla classe e ne approfittai per prendere posto, nonostante i gemiti di dolore di Eddie continuavano a darmi fastidio.
- Posso dirti una cosa? - domandò gemendo, mentre si alzava dal pavimento freddo.
- No - commentai gelido.
- Te la dico lo stesso. Fai tanto il duro, il fighetto, il minaccioso, ma so che sei debole Zayn. E so anche un segreto. La prossima volta che mi tiri un pugno, ricordati di legare meglio quella cazzo di bandana. E la prossima volta che avrai intenzione di farlo, ma che non lo farai, ricordati di quello che so. Prova a colpirmi di nuovo e la tua parte debole verrà sbandierata ai quattro venti. - subito dopo avermi lanciato un sorriso malefico, uscì dalla classe. Mi affrettai a portare lo sguardo sul polso e notai che non aveva mentito. La bandana nera si era allentata e si intravedevano tre linee rosse. Il peccato dei deboli è che non puoi nascondere per molto la tua debolezza.
*LIAM'S POV*
Mi trovavo nel bagno della scuola, a vomitare subito dopo il pranzo. Le prime tre ore erano passate in una monotonia assurda e l'idea di mettere del cibo nello stomaco, mi mandava il cervello in tilt.
Mi tirai debolmente su e aggiustai la felpa. Successivamente sciacquai il viso ed evitai di guardarmi allo specchio. Sapevo che mi avrebbe atteso un ragazzo con le occhiaie e l'espressione stanca, ma preferivo immaginare che vedere con i miei stessi occhi.
Uscii dal bagno e mi diressi nell'aula di filosofia. Non avevo intenzione di restare in mensa per un'altra mezz'ora.
Seduto all'ultimo posto dell'ultima fila di sinistra, c'era Zayn, col viso chino e l'espressione fredda. Giocherellava con la benda al polso e sapevo già che non avrebbe avuto il coraggio di smettere. Per lui sarebbe stata come una droga.
- Ti stai preparando psicologicamente per l'ora di filosofia? - chiesi, attirando la sua completa attenzione.
- No. Sto pensando. Tu piuttosto? -
- Io cosa? - mi sedetti sul banco vicino al suo e lasciai ciondolare i piedi.
- Ti stai preparando psicologicamente per entrare in un reparto psichiatrico? No, lo dico perchè con quelle occhiaie mi sembri un malato mentale. - concluse, sprofondando i suoi occhi nei miei e rigirandomi con le stesse parole che avevo usato con lui.
- Ho un virus intestinale. Non penso che in questi casi si abbia una bella cera - inventai sul momento una delle mie tante cazzate.
- Beh, in questo caso no - gli sorrisi come risposta, poi soffermai il mio sguardo sul suo polso.
- Sei pentito di quello che hai fatto? - gli chiesi, cercando di mettere in atto il mio lato da psicologo e scovare una risposta segreta, magari dietro ai tanti "certo che si" come se in realtà volesse dire "certo che no". Mi concentrai attentamente sul suo viso, cercando di capire ogni piccolo tremolio involontario, magari dell'occhio o delle labbra..
- No - disse sincero, facendo crollare tutte le mie ipotesi. Non c'era nulla da scovare. Zayn era diventato debole e non esitava ad ammetterlo.
- Ma ieri avevi detto... -
- Lo so cosa ho detto ieri - mi tagliò bruscamente, poi continuò dicendo - E adesso ho capito che non mi pento di quello che faccio. Questa vita è una merda e non mi meraviglio di nulla, tanto meno se la gente si fa del male sperando di cambiare le cose -
- Cosa stai cambiando tu? Dimmi tutto quello che ottieni facendoti del male! -
- Non ottengo un cazzo, okay? Oppure si. Non lo so più Liam. Non so cosa voglio, non so chi sono, non so come trovare quella parte di me che cerco da troppo tempo e che ho dato per disperso. Non so come dovrei sentirmi, non so se chiudermi in una stanza a marcire mi farebbe sentire meglio. Non lo so. So solo che sto bene così. - a quel punto mi innervosii, mi alzai di scatto e tirai giù la benda dal suo polso.
- Stai bene così? Davvero? Stai bene quando ti nascondi il polso per paura di creare sospetti? Stai bene quando ti ritrovi a piangere, sul pavimento freddo? Stai bene quando vedi tutte quelle maledette cicatrici sui polsi e capisci che hai vinto una guerra solo per metterne un'altra in atto? - mi fissò sbalordito. Forse per la mia inalterata reazione, forse per la verità che si celava dietro quelle parole, ma c'era una cosa che avevo capito. Anche io mi facevo del male, anche io mi sentivo bene facendolo, eppure giudicavo gli altri senza saper giudicare prima me stesso. Non era semplice smettere. E' come una droga, quando inizi non finisci più, oppure ci riesci solo con le cure giuste. Io lo stavo prendendo in giro, gli davo lezioni su una vita che non avevo capito nemmeno io come vivere. Eppure mi credevo forte e invincibile. Il contrario di quello che ero.
- Non ti capisco. Ce l'avevi fatta. Sei ancora in tempo per salvarti - tentai di persuaderlo.
- Forse non voglio farlo. Forse voglio lasciarmi annegare -
- Forse aspetti quella persona che ti aiuti -
- Forse il mondo è vuoto di queste persone. Forse non voglio cercarle. Forse mi sono stancato di essere capito. -
- Oppure vuoi semplicemente sbagliare, ancora. -
- Forse ho smesso di capire la differenza tra una cosa sbagliata e una giusta -
- Allora che farai? -
- Tutto ciò che mi viene in mente. Se annego, annego... se salgo in superficie, respiro. -
Il suono della campanella distrusse quella piccola e privata conversazione. Andai al mio posto, evitai di vedere il ragazzo debole che mi aveva sempre dato forza. Lui aveva deciso di prendere le occasioni al volo. Io ero un po' più riflessivo. Ci tenevo a riflettere cento volte su una cosa, prima di farla. Avrei portato un salvagente nel mio mare, così da essere più sicuro di respirare che di annegare.
*HARRY'S POV*
Tutte le ore scolastiche erano finalmente volate via. Io e Louis passammo la maggior parte del tempo insieme, anche nell'aula di chimica. Avevo paura che mi facesse esplodere una provetta in faccia, ma nei rapporti ci vuole sempre fiducia.
Mi arrivò un messaggio non appena varcai il cancello, così mi fermai e lo aprii.
Da sconosciuto:
Amore vieni al retro della scuola, ho voglia di te.
Mi trovai a sussurrare un "che scemo" pensando a quanto potesse essere idiota Louis a inviarmi messaggi del genere. Fortunatamente il parcheggio si era svuotato in pochissimo tempo e quando raggiunsi il retro della scuola, era tutto deserto.
-Louis? Ma dove ti sei cacciato? - ridacchiai, cercandolo anche dietro le siepi. Mandai un messaggio a Zayn dicendo di non aspettarci e poi provai a chiamare Louis, ma proprio quando stavo per cliccare il tasto verde andai a scontrarmi contro qualcuno. Avevo un sorrisino compiaciuto sul volto, pensando fosse lui, ma morì non appena notai Rick di fronte a me.
- Ciao, Amore - quindi non era Louis il ragazzo dei messaggi...
- C-che vuoi? - indietreggiai, sperando di essere in tempo per correre lontano da lui, ma capendo le mie intenzioni mi intrappolò tra il suo corpo e il muro dell'edificio.
- Rispondi una sola volta. La risposta positiva ti farà guadagnare una cosa positiva, quella negativa, una negativa. Non mi sembra difficile... allora... vieni con me, adesso? -
- No - risposi sicuro. Avrei preferito essere picchiato che andare di mia volontà da quello psicopatico.
- Bene, hai scelto la cosa negativa. - prese il cellulare dalla tasca e compose velocemente un numero. Poi disse solamente: "adesso" e applicando il viva voce sentii il pianto di un bambino.
- Che hai fatto? - scattai verso di lui e lessi il nome sullo schermo: John.
- La senti questa bambina che piange? - quindi era una lei...
- Si, chi è? -
- Non so se la conosci, si chiama Daisy - sorrise soddisfatto mentre cercai inutilmente di strozzarlo con le mie stesse mani.
- Non devi toccare nessuno! Non devi osare farlo! Assicurati che stia bene! Chiama qualcuno! Non farla piangere! - sentii le lacrime agli angoli degli occhi e speravo di non piangere proprio davanti a quell'essere schifoso.
- Tu mi hai detto di no. E io lo ripeterò ancora nella mia mente. No. No. No. Non chiamerò qualcuno e non smetterò di farla piangere. Devi fare quello che ti dico e ogni volta che te lo dico. Se ti voglio con me, tu vieni, sono stato chiaro? - mi trovai ad annuire debolmente. Ero una marionetta nella sue mani e per il bene della famiglia che amavo, non potevo fare altrimenti.
- Bene, la prossima volta mi aspetto una risposta positiva - mi sorrise e se ne andò, lasciandomi crollare contro il muro. Poi pensai velocemente a Daisy e prima ancora di correre per strada, senza una meta precisa, trovai la chiamata di Louis.
- Luo? - era un soprannome che gli avevo involontariamente dato la mattina, subito dopo aver aperto gli occhi e averlo visto ancora dormire.
- Harry? Dove sei? -
- Mm... nel retro della scuola... tu? -
- Mi ha chiamato mia mamma dicendo che Daisy si è fatta male, sto andando da lei. Perchè non mi aspetti a casa? - pensai che andare con loro sarebbe stato solo un intralcio, così ricacciai indietro le lacrime e cercai di ricompormi.
- C-certo -
- Che hai? Stai piangendo? E' successo qualcosa? - iniziò subito a preoccuparsi. Un'altra cosa che amavo di lui: la dolcezza.
- No, no. Solo allergia a tutte le piante che sono intorno a me, adesso. Tranquillo, adesso vado a casa e ti aspetto lì, okay? - non appena mi rispose affermativamente, chiusi la chiamata, asciugai gli occhi e camminai verso casa. Non riuscii ad evitare di starnutire un bel po' di volte durante il tragitto e sentivo prurito in tutte le braccia e sul viso. Ringraziai il cielo quando arrivai sano e salvo, pur avendo qualche escoriazione in alcuni punti dell'avambraccio.
- Louis? Sei tu? - Zayn scese le scale e si fermò notando che fossi io.
- No, sono Har... -
- L'ho visto. Sono in camera mia, se ti serve, per forza, qualcosa - fece un sorrisino forzato e risalì dritto in camera sua. Ero di nuovo solo. Decisi che studiare un po' avrebbe impegnato la mente, così presi matematica con l'intento di far risultare almeno un'espressione... resoconto dei fatti? Non me ne risultò nemmeno una. Ero troppo distratto e sbagliavo anche i calcoli basilare. Moltiplicavo invece di dividere. La mia mente sorvolava sulla piccola Daisy. Se le fosse successo qualcosa, per un mio stupido "no", non so cosa avrei fatto.
Dopo cercai di studiare un po' di filosofia, sempre invano e rassegnato mi buttai a peso morto sul divano, ma il portone si aprì e così saltai in aria dalla sorpresa. La piccola Daisy fece il suo ingresso con la tutina alzata fin sopra le ginocchia e delle garze a circondare la rotula, sia destra che sinistra. Si potevano intravedere delle gocce di sangue. Aveva anche i palmi delle mani bendate e dei grandi lacrimoni agli occhi. Il labbruccio rosso e il nasino del medesimo colore. Mi si strinse il cuore a vederla in quello stato. Lei, che solitamente portava sempre risate e felicità, in quel momento attraversava la soglia della casa portandosi dietro una scia di tristezza.
- Cosa è successo? - feci finta di nulla e mi avvicinai alla piccola, che si arrampicò subito su di me.
- E' caduta mentre usciva da scuola. Diciamo che è caduta dalle ultime scale e si è graffiata un po' ovunque. - rispose Johannah, entrando in casa seguita da Louis e le sue sorelle.
- Niente di grave? - domandai, sentendo il sangue ribollire nelle vene. Quello stronzo l'aveva buttata giù per le scale.
- No, no, ma per qualche giorno deve ritornare in ospedale per medicare le ferite - sorrise dolcemente alla figlia e la prese in braccio, liberandomi dall'angioletto e facendo in modo che potessi vedere meglio Louis. Teneva lo sguardo basso e senza dire una parola si diresse verso la sua stanza. Lo seguii a catena.
- Che hai? - chiesi, sedendomi accanto a lui.
- Niente. Mi manca il fiato a vedere mia sorella che piange e urla. Lei è sempre stata attenta a scendere le scale o attraversare la strada. -
- Può capitare a tutti di distrarsi - in quel momento mi sentii davvero un verme. Mentivo... mentivo solo per il loro bene.
- Grazie - mi abbracciò e poi mi lasciò un bacio a fior di labbra. Lo lasciai riposare mentre mi dirigevo in salotto per prendere lo zaino e i libri sul divano. Notai un messaggio sul cell e così lo aprii frettolosamente, dato che i libri stavano in equilibrio su un braccio solo.
Da sconosciuto:
Io sono tuo zio e anche John lo è. Prova a mentire o a venirci contro e moriranno tutti.
Inarcai le sopracciglia, confuso dal senso di quella frase, ma ebbi poco tempo per pensarci che il campanello risvegliò il silenzio della casa. Johanna sfrecciò dal nulla e spalancò la porta, poi si fermò a fissare quelle persone e si girò verso di me.
- Harry... avevi degli zii e non me lo hai mai detto? - sconvolto mi avvicinai alla porta e intravidi Rick e John.
- S-siamo parenti lontani... - biascicai, beccandomi delle occhiate selvagge da quei due. In quel momento capivo il testo del messaggio.
- Oh... entrate, posso offrirvi qualcosa? - Johannah era sempre troppo gentile.
- Con piacere. Harry, nipotino mio, da quanto tempo non ti vediamo! - Rick mi "abbracciò" e senza farsi vedere mi palpò il sedere, facendomi uscire dalle labbra un verso di disgusto. Mi ammutolì John, pizzicandomi con molta forza il braccio e lasciandomi un segno rosso.
- Tanto. Troppo. Ma che ci fate qui? - continuai a recitare la mia parte, sperando di non far capire nulla. Johannah entrò in salotto, fece accomodare gli "ospiti" e portò loro delle cose da mangiare.
- Abbiamo saputo la situazione con tuo padre e siamo venuti qui. Sai che ti abbiamo sempre amato molto e adesso vogliamo starti vicino. Signora, sa se ci sono hotel da queste parti? Vorrei tanto fare poca strada per stare col mio piccolo Harry - Rick era un grande e perfetto bugiardo.
- Mmm... hotel no... ma... siete gli zii di Harry, perchè non state qui per un po'? Giusto il tempo di una sistemazione più adeguata. Fra qualche settimana c'è il prossimo processo e a Harry farebbe piacere, no? - mi trovai ad annuire entusiasta e dopo qualche finta lamentela, i due uomini accettarono.
Johannah era troppo buona, talmente tanto che non sapeva di aver firmato la mia condanna a morte.
- Harry aiuta i tuoi zii con i bagagli, io vado a preparare la cena - scomparve in cucina e io restai da solo con i tizi. Li portai nella camera "cinema" dato che non c'erano altre stanze libere e prima di uscire fui afferrato dalle loro braccia.
- Stasera ti vogliamo libero. E cerca di mentire bene, che per qualche settimana saremo i tuoi zii - John mi alitò sul viso, facendomi voltare il capo, schifato dal suo alito, ma quel gesto negativo mi fece arrivare con le spalle al muro e il suo corpo a sopprimermi.
- Stasera vedrai che ti faccio, così impari a reagire ancora. - mi spinsero fuori dalla stanza e per poco non persi l'equilibrio.
Sarebbero state settimane dure... molto dure e faticose da sopportare.
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LEGGETE E' MOLTO IMPORTANTE:
CIAOO <3 SE VOLETE QUESTA STORIA E' ANCHE SU EFP. IL MIO PROFILO E': littledream_28
GRAZIE A TUTTI PER I VOTI E I COMMENTI. VOLEVO AVVISARVI CHE HO SCRITTO UN LIBRO, UN LIBRO VERO E PROPRIO E NON ONLINE. VERRA' PUBBLICATO VERSO I PRIMI DI DICEMBRE. SE QUALCUNO HA INTENZIONE DI COMPRARLO, FATEMELO SAPERE IN UN COMMENTO O UN MESSAGGIO, COSI' VI AGGIUNGO NELLA MIA LISTA PERSONALE, CON TUTTI I CONTATTI CHE LO VOGLIONO.
GRAZIE ANCORA PER TUTTO, UN BACIONE EMI :*
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