Il grido della libertà
Capitolo I
Mi presento... Sono Harry.
- Harry! - il suo grido mi buttò giù dal letto, come ogni notte direi. Mi alzai a fatica dal pavimento freddo della mia stanza - se così si può chiamare - e sperai con tutto me stesso che non facesse il suo solito ingresso. Speranza inutile, dato che pochi secondi dopo vidi la porta spalancarsi e un uomo con una barba poco curata e degli occhi infossati e neri barcollare verso di me.
- Quando ti chiamo tu devi venire subito chiaro? - mi alitò a pochi centimetri dal viso. Non riuscii a non voltarmi dall'altra parte, sapendo quanto fastidio potesse dargli.
- Guardami negli occhi quanto ti parlo! - ecco che uno schiaffo partì diretto alla mia guancia, che subito dopo prese a bruciare. Stavolta non fui io a voltare il viso, ma ci pensò direttamente mio padre. Già, proprio quell'uomo che aveva contribuito alla mia esistenza e aveva felicemente sposato mia madre. Lei vedeva tutto, lei sapeva quello che mi faceva, ma lei non poteva fare niente. Lei era aria. Lei è morta. Da anni ormai.
- Sai cosa voglio adesso vero? - gracchiò acidamente. Per mia sfortuna sapevo già cosa mi toccava. Ogni sera dormivo con una leggera tuta e a petto nudo, nonostante facesse freddo o caldo e lui non ci metteva nulla a togliermeli. Si avvicinò cautamente a me, così come fa un leone con la sua preda e -dato che ancora mi faceva male tutto per la scorsa notte - decisi di provare a scappare, mettendomi in piedi e scattando in avanti... arrancai fino alla porta e mi aggrappai alla maniglia, pensando di avercela fatta. Sperandolo. Deludendomi. Mi afferrò brutalmente per le spalle e mi fece arretrare in quella piccola stanza, sbattendomi violentemente contro il muro e facendomi mancare l'aria per qualche minuto.
- Non provarci più - urlò talmente forte che il mal di testa che avevo fino a quel momento prese a diffondersi velocemente, mandandomi in confusione e facendomi vedere opaco. Ma niente e nessuno avrebbe vietato ai miei occhi di vedere quello che a breve mi sarebbe successo. Sentii le sue mani per tutto il mio corpo e dopo averlo, a modo suo, accarezzato e avergli lasciato dei segni rossi causati dalle unghia, si fermò alla mia tuta e la tirò verso il basso, lasciandomi semplicemente con i boxer.
- Papà ti prego smettila... - biascicai con un groppo in gola causato dalle lacrime ferme all'angolo degli occhi. Lui sembrò non ascoltarmi e mi abbassò pure i boxer facendomi rabbrividire piuttosto che arrossire.
- Ho voglia di divertirmi un po' - affermò girandomi di spalle, piegandomi a novanta gradi e infilandomi violentemente il suo membro nella mia apertura. Gridai per il dolore e le lacrime che poco prima giacevano sugli occhi presero a sgorgare via, come se il rubinetto che avevo tentato di riparare si fosse tremendamente rotto. La cosa più sicura è che nessuno avrebbe potuto curare il mio cuore. Rotto. Frantumato. Inanime. Chiuso. Sepolto. Ruvido. Tagliato.
- B-basta - balbettai per la pesantezza e la violenza delle spinte che si facevano largo in me. Lo faceva ogni sera, da quando aveva scoperto il mio segreto.
Lui non mi ascoltò e continuò la sua violenza fino a quando non sentii del liquido che mi scendeva per le gambe. Non era solo bianco... c'erano anche strisce rosse, segno del dolore che aveva causato. Uscii da me e mi tirò su, facendomi gemere per il dolore al sedere. Mi sbatté di nuovo al muro e si avvicinò al mio viso, sussurrandomi - Non sono ancora soddisfatto - prima di aggrapparsi alle mie spalle e farmi finire ginocchio, con la bocca a pochi centimetri dal suo membro. Sapevo cosa valeva, ma odiavo farlo. Odiavo farlo a lui.
- Non lo farò, non questa volta - tentai di scappare dalla sua forte presa, ma fu tutto inutile. Prese una corda che non pensavo nemmeno di avere alla mia sinistra e mi attaccò velocemente i polsi, dietro la schiena. Poi intrufolò le sue mani nei miei capelli e mi sbatté la testa al muro, facendomi appannare di più la vista che poco prima cercava di riprendere il colore degli oggetti. Tirò i capelli in modo che la mia bocca si aprisse come gesto involontario e senza nemmeno aspettarmelo vi infilò dentro il suo membro, facendomi spalancare gli occhi e tossire.
- Più stai fermo, prima verrò - continuò a tenermi la testa, mentre il bacino si muoveva avanti e indietro e i miei occhi non smettevano di lacrimare, la gola di bruciare, il mio corpo di soffrire. Avevo provato tante volte a scappare, ma non so come mi trovava sempre. Mi venne in bocca e si aspettò che ingoiassi, ma prontamente sputai tutto a terra e vomitai anche ciò che avevo mangiato per cena.
- Sei stato piuttosto bravo, ma la prossima volta ti conviene ingoiare - mi slegò i polsi e andò via, pronto a dormire e a dimenticare ciò che mi aveva fatto. Restai a terra ancora un po', tenendomi lo stomaco con una mano, a causa del bruciore e del dolore che mi aveva provocato vomitare. Asciugai gli occhi e la bocca e mi tirai debolmente su, andando in bagno per farmi una doccia veloce. Erano le quattro del mattino. Non appena tornai in camera, col dolore che si espandeva ovunque, dovetti pulire il disastro che avevo combinato e solo allora mi appoggiai nuovamente al letto, sapendo che ormai era troppo tardi per riprendere sonno ed era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Non volevo che quegli incubi mi ritornassero in mente e apparissero nuovamente reali, ci aveva già pensato la vita una volta, non volevo rifarlo altre e ogni notte.
Immerso nei pensieri e nel dolore aspettai che la sveglia delle sette suonasse per poi alzarmi, nuovamente a fatica, dal letto. Mi vestii con un paio di jeans e una maglietta, indossai le supra nere, cercai di ravvivare la mia faccia pallida e per fortuna scesi le scale senza il bisogno di zoppicare. Il dolore c'era, ma non mi impediva di camminare decentemente. Arrivato nella mia piccola cucina, della mia piccola casa, vidi mio padre leggere il giornale e immergere un'aspirina nell'acqua.
- Buongiorno - mi disse con un sorriso smagliante. Ecco cosa odiavo di lui. Beveva, usava il mio corpo e quando si svegliava non ricordava più nulla, riprendeva a sorridermi e a trattarmi da bravo figliolo. Sussurrai un fievole "giorno" e mi sedetti accuratamente sulla sedia, facendo irradiare debolmente il dolore. Prima di andare a scuola avrei preso qualche antidolorifico.
- Cosa preferisci per colazione? Ho fatto del pane tostato e delle uova strapazzate -
- Grazie, ma non ho fame - la mattina non mangiavo mai, era più forte di me. Qualunque cosa mettessi in bocca, subito dopo mi veniva da vomitare. Però a pranzo mi rifacevo di tutto quello che avevo a disposizione. Non mi piaceva l'idea di morire di fame, c'erano già altri dolori a rendermi la vita un inferno e altri ancora dovevo affrontarli ogni mattina a scuola. Non ero proprio una vittima di bullismo, ma ci voleva poco.
Salutai mio padre, bevvi dell'acqua con due pastiglie di antidolorifici e mi incamminai verso scuola, cercando di prepararmi psicologicamente agli insulti che avrei ricevuto.
Quando arrivai davanti al cancello il dolore era sparito, ma l'ansia e la paura avevano preso il sopravvento. Ed ecco che le persone che mi circondavano iniziarono a ridere di me. Della mia vita, della quale non sapevano nulla, e del mio essere.
- Ehi piccolo figlio gay... chi te l'ha inculata questa notte eh? - domandò un mio compagno di classe, credo si chiamasse Mark... si proprio Mark Burrow. Lo ignorai e camminai verso il mio armadietto trovando un fogliettino attaccato sopra con nuovi insulti. Ero abituato ormai a tutte le volte che mi chiamavano gay, perché in fondo era la verità, ma odiavo quando mi prendevano in giro su chi mi fossi portato a letto, dato che mio padre mi violentava senza neanche ricordarselo.
Afferrai i libri delle ore di lezione e mi incamminai verso la mia aula, fermandomi di botto non appena ricevetti una spallata. I libri stavano per cadermi a terra, ma fortunatamente non feci la brutta figura di raccoglierli. Mi girai verso quella persona che senza nemmeno chiedermi scusa o guardarmi se n'era andata via. Scossi la testa e ripresi il mio cammino, sentendo le occhiate di tutti addosso. Girai l'angolo e andai a sbattere nuovamente contro qualcuno, sicuramente non era giornata.
- Scusa - decisi di scusarmi dato che quella volta la colpa era mia, ma non servì a molto dato che quel ragazzo mi afferrò per le spalle e mi sbatté al muro.
- Ancora tu? Ma quante volte hai intenzione di venirmi contro ancora? - sbottò fissandomi con i suoi occhioni marroni. Non lo avevo mai visto prima.
- La prima volta non è stata colpa mia - cercai di difendermi ma aumentò la presa sulle mie spalle.
- Odio essere contraddetto e vedi di sparire prima che ti faccia mangiare un mio pugno - mi sbatté al muro, per la seconda volta e mi intimò a scomparire, cosa che non ci pensai due volte a fare.
Le cinque ore passarono nella stessa monotonia e il mal di testa che prima era cessato, in quel momento ritornò e più insistente. Fortunatamente sarei uscito a breve.
Non appena misi piede fuori dal cancello vidi una figura familiare davanti a me. Non veniva a prendermi a scuola dalla morte di mamma.
- Papà... che ci fai qui? - balbettai un po' notando che era ubriaco. Di nuovo.
- A lavoro ho bevuto un po' e mi è venuta una voglia matta di sfogarmi....Su di te. Quindi andiamo nel retro della scuola - mi afferrò il braccio e mi trascinò con sé, mentre la scuola si svuotava e nel parcheggio non c'era anima viva.
- No, papà. Non qui, potrebbe vederti qualcuno... andiamo a casa, va bene? - per quanto mi costasse ammetterlo era molto meglio essere abusato a casa che nel parcheggio di una scuola.
- Stai zitto se non vuoi che ti faccia male - Mi portò in un vicolo tra gli edifici della scuola e prese a sbottonarmi i pantaloni. Io cercavo in tutti i modi di divincolarmi dalla sua presa.
- Ti decidi a stare fermo? - mi diede uno schiaffo che mi fece voltare il viso e mancare il respiro.
- Papà smettila.. -
- Zitto! - mi abbassò un po' i pantaloni e iniziò a toccarmi da sopra i boxer.
- Non posso credere di avere un figlio gay... tu meriti di morire e stasera ho riservato una bella sorpresa per te - non amavo le sorprese di mio padre. Una volta mi aveva incatenato al letto per tutta la notte, dopo aver abusato di me ovviamente.
Mi accorsi di star piangendo solo quando le mie lacrime toccarono e inumidirono le labbra asciutte. Mio padre continuava a stimolare il mio membro, mentre la mia testa scoppiava sempre di più.
- Ti prego... smettila - ritentai di farlo allontanare, ma era impossibile. Quando voleva una cosa, la otteneva a tutti i costi.
- Ehi! Ma che sta facendo? - urlò qualcuno da quel vicolo. Approfittai della reazione che quella voce ebbe su mio padre per alzarmi boxer e pantaloni. Un attimo prima che quel ragazzo venisse verso di me, vidi mio padre scomparire per strada. Aveva rischiato di farsi vedere, ma mi aveva lasciato con la patata bollente in mano.
- Va tutto bene? Conosci quell'uomo? - mi sussurrò quell'angelo dagli occhi azzurro chiaro, con qualche leggera spruzzata di verde.
- Si.. No... Va tutto bene, grazie - riuscii a sfuggire dalla sua presa e ad allontanarmi a grandi passi, prima di essere raggiunto dai suoi amici. Qualcuno disse: - Ma chi è quel ragazzo? - un altro rispose - Harry Styles - un altro ancora disse - E quell'uomo? - solo quando qualcuno rispose - Suo padre - capii di essere davvero nella merda.
Mi fermai un po' al parco aspettando che si facesse ora di cena. Avevo molta fame dato che non mangiavo dal giorno prima. Non appena il sole si ritirò e lasciò il posto alla luna, decisi che era meglio tornare a casa. Mio padre ancora non c'era, così fui libero di prepararmi un panino. Feci in tempo a raggiungere il letto che delle voci maschili interruppero la mie quiete. Ecco la sorpresa di mio padre. Aveva portato dei suoi amici per farli divertire con me.
- Harry! - rieccolo che mi chiama e rieccolo sbucare nella mia stanza, provvista solo di un letto e un comodino con alcuni vestiti. Secondo mio padre non meritavo nemmeno una bella casa o una bella vita.
Mi accucciai indifeso contro il muro, vedendo il suo trionfante ingresso e quello di altri due uomini. Uno era talmente alto e grosso da fare paura. Un altro era meno muscoloso e meno alto, senza capelli, al contrario dell'altro che li aveva corti e neri.
- Come vi volete disporre? - annunciò scherzoso mio padre. Io spalancai gli occhi e iniziai a pregarlo di non fare niente di azzardato.
- A me piacciono le sue labbra - affermò quello rasato. Senza farlo aspettare, mio padre mi tirò verso di lui e quell'uomo si appropriò delle mie labbra, iniziando a morderle e a contaminarle con la sua schifosa e lurida saliva.
- Io preferisco il suo cazzo - mormorò eccitato quello con i capelli corti e neri. Mi sbottonò i pantaloni, mentre io con le mani cercavo di evitarglielo. Fu allora che mio padre decise di usare la corda della scorsa volta e di attaccarmi i polsi, mentre uno di quegli uomini continuava a mordere le mie labbra e l'altro continuava a toccare e leccare il mio membro. Poi mio padre mi divaricò le gambe e dopo aver stimolato prima il suo membro, entrò violentemente facendomi urlare nella bocca di quella persona. Nello stesso istante che le mie lacrime presero a sgorgare dai miei occhi mi accorsi di essere venuto nella mano di quell'uomo e poco dopo mio padre venne dentro di me. Fu il turno di quello rasato, mentre quello con i capelli corti si masturbava e mi baciava, pronto a divertirsi. Ero stanco. Stanco di quella vita di merda. Io soffrivo solo per essere gay mentre mio padre si divertiva a farmi del male e mi guardava con quel sorrisetto complice sul viso.
Anche il terzo uomo entrò violentemente in me, solo che lo fece in una posizione diversa. Mi trovavo in ginocchio e con le gambe divaricate, mentre l'altro cercava di mettermi il suo membro in bocca. Vinse lui e mi costrinse a fare ciò che voleva, mentre le sue luride mani toccavano il mio corpo, stimolavano il mio membro e tiravano i miei capelli.
- Voglio entrarlo anche io insieme a te - disse quello rasato a quello con i capelli corti. Fu allora che i miei occhi si spalancarono più del dovuto. Se uno faceva male, due ti aprivano a metà.
- No, per favore no. Papà ti prego. Per favore aiutarmi. Papà... papà... - ma lui non voleva ascoltarmi. Se ne stava sul letto, a masturbarsi mentre vedeva quella scena.
- Oh.. non sai come si sta bene dentro questo ragazzino... è così caldo e stretto - sussurrò quello con i capelli corti, ansimando vergognosamente e coprendo i miei urli disperati con la mano.
- Fanculo... me lo scoperei ogni giorno - continuò spingendo più volte e arrivando all'orgasmo.
- Aspetta, così entro anche io... - l'altro si avvicinò e non vedendo nemmeno come fossero messi iniziò a entrare pure lui. Sentii un liquido scendermi per le gambe e pensando fosse sperma non ci feci caso, mentre continuavo a piangere e ad abbandonarmi a quel dolore. La testa girava vorticosamente, più di quando mi trovavo nei posti alti, soffrendo di vertigini. Le forze ormai mi avevano abbandonato.
- Cazzo Rick fermati - disse uno.
- Perché? -
- Sta perdendo troppo sangue... merda... - subito dopo non capii più nulla. Caddi verso il suolo, con il corpo che non ubbidiva ai miei istinti e la mente che non pensava più, compresi gli occhi che vedevano tutto nero.
Quando li riaprii pensai di essere in una sorta di paradiso. La stanza era pulita, profumata e bianca. Ci volle un bel po' prima che la vista tornasse nitida e che mi accorgessi di essere in una stanza di ospedale. La gola era secca e la schiena e il sedere mi facevano un male incredibile. Era giorno, dato che il sole filtrava le serrande. Un fastidioso "Bip-bip" si era inoltrato nel mio sistema uditivo. La testa scoppiava, volevo che smettesse.
- Signorino Styles, ben tornato fra noi. Qualcosa le fa male? - un'infermiera venne verso di me, cercai di annuire lentamente e notai che con una siringa iniettava della roba dentro una sacca trasparente. La flebo. In pochi minuti il dolore su tutto il corpo cessò e la testa diventò più leggera.
- D-da quanto sono qui? - cercai di dire, ricordando ogni particolare di quella maledetta notte.
- Ha dormito per tre giorni... non ha gravi danni. Si riprenderà presto. Solo che avvertirà dei leggeri dolori, perché... beh credo lo sappia no? -
- Si - le fui grato per aver lasciato a me l'interpretazione delle sue parole. Sentirglielo dire sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
- Ricordi chi ti ha fatto del male? Un ragazzo ti ha portato qui, dicendo di averti trovato in mezzo alla strada, cosa ci facevi lì? -
- Non lo so. Io ero a casa mia -
- Chi è stato Harry? -
- N-non lo so - balbettai insicuro. Non sapevo se dirgli di mio padre oppure no. Avevo paura che qualcosa potesse andare storto.
- Tu lo sai... è normale avere paura, ma se non parli quella persona piuttosto che finire in galera continuerà a farti del male. -
A quel punto decisi di dire la verità. So che era pur sempre mio padre, ma mi aveva fatto finire in ospedale e molto probabilmente mi aveva pure lasciato per strada piuttosto che a casa. - E'... s-stato mio padre - dissi con un coraggio che non pensavo di avere.
- Bene... la polizia lo ha già arrestato. Un ragazzo ha ammesso di averlo visto mentre a scuola faceva atti osceni su di te e così lo avevano già arrestato, ma ora senza dubbio ti affideranno a un'altra famiglia -
- Cosa? Quale famiglia? Quale ragazzo? -
- Non so quale famiglia, ora arriverà il tuo avvocato. Il ragazzo mi sembra si chiami Louis... Tomlinson. - non lo conoscevo per nome, ma quando una figura entrò in stanza capii di chi si trattasse. Era lo stesso ragazzo che mi aveva visto nel vicolo.
- Come stai? - mi chiese, avvicinandosi. L'infermiera uscì fuori, lasciandoci da soli.
- Bene, credo -
- Ho parlato davanti al giudice di quello che ti è successo. Testimonierai fra qualche settimana. Nel frattempo ti affideranno... -
- A un'altra famiglia... lo so - completai il suo discorso. Tentai di mettermi a sedere, ma la schiena fece troppo male e così ci rinunciai.
- Vuoi una mano? -
- No... no... grazie per tutto Louis. - Lui mi sorrise e uscì fuori. A quel punto, come se fossimo in un bar, entrò un altro uomo, presentandosi come il mio avvocato.
- Hai già fatto amicizia con il tuo nuovo fratellastro? - mi chiese. Io in compenso inarcai le sopracciglia, non capendo cosa volesse dire.
- Ti abbiamo dato in affidamento -
- A chi? Che fine farà mio padre? -
- Tuo padre sarà arrestato e tu sarai nelle mani della famiglia Tomlinson, dato che hai ancora 17 anni - e fu lì che ricordai il ragazzo che era entrato prima. Quello che aveva deciso di confessare ciò che aveva visto davanti al giudice. Era lui. Louis. Ecco perché lo aveva chiamato fratellastro.
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