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Come una stella cadente

Capitolo XLVI

* Harry's Pov *


- Lou? Louis! Insomma potresti rispondermi, perchè sinceramente io sto entrando nel panico e non so cosa fare! - borbottai, sentendo l'ansia salire per lo stomaco e fermarsi in gola. Volevo rimettere, così che gettassi via anche ogni emozione negativa che mi stava percorrendo i muscoli. Avevo davvero superato l'inferno. Mio padre, la violenza e tutti i casini che mi si erano gettati addosso uno dopo l'altro. Se qualcuno mi avesse visto avrebbe pensato a un ragazzino ancora non maggiorenne che vive la sua vita, ma non sapevano che dietro questo ragazzino, c'era un uomo cresciuto talmente in fretta da essere stato violentato e minacciato. Non sapevo cosa fosse per me, l'unità familiare. Non sapevo cosa si provasse ad avere un padre che ti insegna a come fare conquiste. Io potevo dirti che l'amore uccide. Perchè l'amore che mio padre provava per mia madre, l'ha reso cieco e violento. Perchè secondo me, quello non era vero amore. Forse ero nato da uno sbaglio. Ero stato concepito nel momento sbagliato e senza volerlo. E quello stalker, molto probabilmente, avrebbe semplicemente voluto rispedirmi nel luogo dal quale ero arrivato. L'unica cosa che non sapevo fare, era specificare quel luogo. Inferno o paradiso? Era stato Dio a mandarmi sulla terra o ci aveva pensato Lucifero? Ero nel dubbio. Nella confusione totale. 

Da piccolo sognavo di poter amare una donna, come papà amava mamma. Crescendo, ho scoperto di non poter amare una donna e non ho più invidiato l'amore tra i miei genitori. Perchè mamma scappava... scappava dalla cecità di papà. E lui la rincorreva, portandola a un disastroso incidente e una morta senza uscite. Perchè mia madre non ha avuto la possibilità del coma. Non era mai stata su un filo tra la vita e la morte. Mia mamma aveva già superato la soglia. Ed ero grato a Dio per aver spalancato le porte del suo regno e per averla tenuta lontana da Lucifero. Non mi servivano prove per capire che mia madre era un angelo.

- Ho bisogno di Zayn! Ho bisogno anche di Liam e di Niall. Ho bisogno di tutti, qui, adesso - ordinò Louis, alzandosi dal letto e andando a prendere il telefono. Lo guardai confuso, cercando di capire come avesse potuto cambiare così repentinamente il suo umore. 

- Cosa devi fare con loro? Qui c'è in gioco la mia vita, non la vostra. Tienili lontani da tutto questo - 

- Shh. Pronto, Niall? Avrei bisogno del tuo aiuto e di quello degli altri ragazzi... potresti aiutarmi? Cosa? La febbre? No, non ho ancora letto i messaggi che ci hai inviato. Certo, tranquillo, ci vediamo presto. Ciao - staccò la chiamata e trafficò un poco col cellulare, ignorando la mia presenza. Dopo cinque minuti, decise finalmente di considerarmi.

- Niall sta fingendo di avere la febbre. Mi ha detto che è una storia lunga. Vai a chiamare Zayn, ho bisogno di lui ma non lo metterò in pericolo, va bene? - annuii distrattamente, uscendo e dirigendomi nuovamente nella camera di Zayn. Li trovai avvinghiati, mentre si scambiavano un bacio fin troppo lungo e passionale. Mi dispiaceva interromperli, ma era necessario -secondo Louis -.

Bussai due volte, giusto per non dover urlare, e attirai la loro attenzione.

- Che succede? - mi chiese Liam, probabilmente accorgendosi della mia espressione ancora sconvolta e confusa per la lettera.

- Louis ha bisogno di voi. Non so nemmeno per cosa. Non sa che Liam è qui, quindi... bho, fate voi - borbottai, uscendo dalla stanza e ritornando a quella di Louis. Mi sdraiai sul letto, immergendomi sotto le coperte. Sentivo qualcosa di pesante posarsi sul mio petto. Non avrei mai e ripeto mai, potuto immaginare di essere stato minacciato in quel modo. Mi avevano rapito e portato in punta di morte, ma addirittura dirmi chiaramente che un piano comprendeva la mia morte, era qualcosa che mi aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Se Rich e John erano in carcere, chi aveva deciso di separarci e minacciarci? Mio padre era agli arresti e non conoscevo nessun altro che avrebbe voluto vedermi sotterrato. Sbuffai lievemente, nascondendo il viso tra le dita aperte e vedendo Louis gironzolare per la stanza e metterla in disordine, come se stesse cercando qualcosa. Proprio qualche secondo prima che potessi chiedergli cosa gli stesse passando per la testa, la porta si aprì e vi sbucarono due teste. Liam e Zayn.

- Oh Liam... non pensavo fossi già qui. Ti avevo mandato un messaggio sperando che rispondessi - dichiarò Louis, girandosi e fermandosi.

- Si... be' ecco, io e Zayn... - balbettò Liam, bloccandosi perchè Zayn lo interruppe - Stiamo insieme. Si, Liam ha scoperto di amarmi e tutte quelle cose che succedono tra due persone. Cosa c'è di così importante? Stavamo parlando di una cosa delicata - 

- Pft... parlando - ridacchiai, ricordando come fosse passionale il loro modo di parlare.

- Si, parlando. Ci sono modi e modi di parlare, lo sapevi? E noi dialoghiamo in questo modo - aggiunse Zayn, strappandomi un mezzo sorriso.

- Mi è arrivata un'altra lettera e hanno minacciato indirettamente Harry di essere ucciso. Dice che c'è un certo piano B e che in questo piano B forse è prevista la morte di Harry e la mia presunta felicità. Pensano che possa essere felice creandomi una famiglia con una donna - disse Louis, interrompendoci tutti. 

- Cosa dobbiamo fare noi? - chiese Zayn e a quel punto strabuzzai gli occhi.

- Nulla! Loro non devono fare nulla Louis! Non voglio che ci vada nel mezzo la tua famiglia o i nostri amici. Loro non devono fare nulla! - urlai, alzandomi dal letto e rischiando di inciampare nelle coperte.

- Shh! - disse Louis, facendomi bloccare di colpo. Prese un foglio e lo mise di fronte ai nostri occhi. 

" Potrebbero esserci microfoni nella stanza. Ho bisogno di voi solo per metterla a soqquadro e trovarli" c'era scritto. Annuii e aiutai gli altri a cercare. Alla fine, decidemmo di dividerci le stanza. Liam si sarebbe occupato del salotto. Zayn della sua stanza. Io della mia e Louis della sua. Dopo un periodo che mi parve infinito e dopo aver messo letteralmente sotto sopra l'intera stanza, ero riuscito a trovare un aggeggio nero e piccolo tra la rete e il materasso e un altro lo avevo trovato sotto un mobile del bagno. Certo, era impossibile notarli. Un pensiero mi passò per la testa. Rick e John sapevano che io e Louis avevamo fatto l'amore... forse per il semplice fatto che c'era un microfono sotto il mio letto. Poi ricordai che non l'avevamo fatto nella nostra stanza, quindi scossi il capo. Non potevano essere stati loro. Dal carcere non avrebbero potuto spiarci. Tornai nella camera di Louis dopo quasi un'ora dalla mia scomparsa. Avevo perso troppo tempo a cercare e rimettere in ordine la stanza.

- Allora? - chiese semplicemente Louis, non volendo dire parole che qualcuno avrebbe potuto sentire. Gli porsi i miei due microfoni, scrivendo sul foglio i luoghi in cui li avevo trovati. 

- Tu? - gli chiesi. Nella sua stanza ce n'erano tre. Uno in bagno, uno tra i libri alti e mai utilizzati di una libreria e un'altra sotto al letto. A quel punto, lo stesso pensiero di prima mi varcò le porte della mente e lo scrissi su un foglio. 

- Potrebbe essere, ma non sono qui e mi sembra impossibile - disse Louis. Liam entrò nella stanza, con un solo microfono. Era dentro la stoffa del divano del salotto, aveva scritto. 

Aspettammo Zayn per scoprire cosa avesse trovato, ma nella sua stanza non c'era nulla. Neanche nella sala dove passavamo il tempo a vedere i film, avevamo trovato qualcosa.

" Ne parlerò con mia madre. Voglio andare alla polizia" aveva scritto Louis su un foglio.

" Fai bene. Non potremmo farcela da soli" aggiunse Zayn.

Ci trovammo tutti d'accordo, così Louis decise che avrebbe detto tutto alla sua famiglia, durante la cena. Daisy e Phoebe non sarebbero state in casa, quindi non c'era il rischio di traumatizzarle.

- Ho paura - sussurrai a Louis, sentendomi riportare indietro nel tempo, quando gli avevo detto la stessa frase perchè mi sentivo seguito da qualcuno ed ero arrivato a casa con una crisi respiratoria.

- Lo so. Ma questa volta non ti lascio andare. Ho commesso tante stronzate, troppe direi, ma per la prima volta in vita mia andrei contro tutto pur di proteggere qualcuno e questa persona sei proprio tu. Quindi vedrai che riusciremo a beccare chi è stato - mi rassicurò Louis. Gli fui grato per aver nascosto i microfoni dentro a uno stanzino ricco di tanti giocattoli e utensili per la casa. Grazie alla distanza e agli oggetti, nessuno - sempre se in giro non ci fossero stati altri microfoni - avrebbe potuto sentire quello che dicevamo. Prima di cena, Louis pensò di controllare la cucina, trovandola sprovvista di microfoni. Così, ci sedemmo a tavola, decisi a voler comunicare ogni singola cosa a Johannah.

- Mamma, dobbiamo parlare di una cosa importante e il fatto che siate tutte qui, facilita le cose. Non dovrò ripeterlo più volte - iniziò Louis, spiegazzando le lettere anonime che aveva in mano. Johannah si allarmò e con un gesto della mano, fece segno a Fizzy, Georgia e Lottie di stare calme. Poi annuì col capo e a quel punto Louis riprese il filo del suo discorso. 

- In questi giorni mi sono arrivate parecchie lettere anonime. Harry aveva l'impressione di essere seguito e le prime lettere erano state firmate col suo nome. In seguito, abbiamo scoperto che c'è qualcun altro dietro a tutto questo. Presupponiamo fosse un maschio, dato che la lettera è scritta al maschile... ma non sappiamo chi potrebbe essere. Il padre di Harry non mi sembra il tipo che vorrebbe ucciderlo quindi... - Johannah strabuzzò gli occhi e fermò Louis, facendolo sobbalzare con il tono alto di voce.

- Ucciderlo? Qualcuno vuole uccidere Harry? - domandò. Fizzy passò le sue mani sul viso e poi tra i capelli. Essendo la ragazza che mostra molto la sua corazza, non scoppiò a piangere come Lottie. Georgia l'abbracciò subito, decidendo di calmarla e Johannah intrecciò le sue dita a quelle delle sue figlie. 

- Così sembra. Nell'ultima lettera è stato fatto il nome di un piano B che comprende la morte di Harry e la mia presunta felicità - borbottò Louis, tirando le punte dei suoi capelli. Tantissime idee iniziarono a passarmi per la testa. Forse, se fossi ritornato a vivere con mio padre, ogni cosa sarebbe ritornata al suo posto. Subire le sue violenze non sarebbe stato così male, rispetto alla visione della famiglia di Louis che va in frantumi di disperazione. Avrei fatto qualunque cosa, pur di tenerli lontani da quell'impiccio. 

- Bisogna andare alla polizia. Dobbiamo denunciare queste lettere e mettere nel mezzo qualche servizio che possa proteggere Harry. Non possiamo di certo stare con le mani in mano -

- Lo so mamma, è per questo che ho deciso di parlarne con te. In giro per casa ho trovato dei microfoni sparsi in giro e ho deciso di non distruggerli perchè sopra potrebbero esserci delle impronte - continuò Louis. 

Tenni il capo abbassato e una domanda mi passò per la testa: Cosa avevo fatto per permettere alla mia infernale vita di essere trapassata da un raggio paradisiaco come Louis?

- Mi spiegherai ogni altro particolare in macchina. Adesso andremo alla centrale di polizia. Louis, prendi i microfoni e le lettere. Voi ragazze restate qui con Zayn e non aprite a nessuno. Chiamerò i nonni e li farò venire qui. Harry, tu ovviamente dovrai venire con noi - annuii leggermente, salendo al piano di sopra per mettere le scarpe. Zayn e Liam erano ancora rinchiusi in stanza, a parlare da chissà quanto tempo. Meglio così, almeno loro dovevano stare fuori da tutto questo. Mandai semplicemente un messaggio a Zayn dicendogli di occuparsi delle ragazze e che noi saremmo andati alla centrale di polizia. 

Non appena arrivai davanti al portone e trovai Johannah ad aspettarci, decisi di parlarle.

- Johannah, io ho pensato a una cosa - borbottai.

- Dimmi, tesoro -

- Se tornassi a casa di mio padre... tutto andrebbe meglio - la donna spalancò la bocca e mi circondò in un abbraccio.

- Mai e ripeto mai, permetterò a qualcuno di farti del male. Tu resterai qui, con noi, ormai questa è la tua famiglia. Lo siamo solo noi - disse, con le lacrime agli occhi. Sorrisi lievemente, staccando l'abbraccio una volta che anche Louis ci raggiunse. 

Johannah guidò fino alla centrale, con Louis alla sua destra che raccontava ogni cosa e io sui sedili posteriori a perdermi tra i pensieri. Il cielo si stava colorando di una sfumatura scura. In fondo, era pomeriggio inoltrato. 

- Ho bisogno di parlare con un agente - affermò Johannah, spalancando le porte della centrale e piazzandosi di fronte a uno sportello per le informazioni. Un uomo pelato, seduto su una sedia girevole, ci graziò subito con la sua attenzione, facendoci superare alcune porte e dirigendoci alla fine di un corridoio molto illuminato ma dalle mura tetre e rovinate.

- Spero che l'agente Kelis possa esservi d'aiuto - disse il pelato, bussando alla porta dell'agente e facendoci successivamente entrare. Louis mi afferrò la mano, stringendola una volta che fummo di fronte al presunto agente Kelis. 

- Salve. Accomodatevi pure e ragazzino, prendi la poltrona che c'è accanto a te e portala vicino alle altre due - mi indicò qualcosa alla mia destra, così lasciai la mano di Louis e trasportai la poltrona nel mezzo delle altre due. Avevo Johannah alla mia destra, pronta a parlare a raffica e Louis alla mia sinistra, apparentemente pacato. Afferrò nuovamente la mia mano e non seppi dire se fossi stato io ad averne avuto più bisogno oppure lui.

- Cosa succede? - ci chiede l'agente, anticipando per pochi secondi l'esplosione di Johannah.

- Succede che questo ragazzo, in mia presunta adozione, è stato minacciato in alcune lettere. Eccole qui. All'inizio vengono firmate col suo nome, ma alla fine si può capire che non è lui perchè qualcuno lo minaccia di morire. Abbiamo anche trovato questi microfoni sparsi nella mia casa. Non posso permettere a nessuno di fargli del male, capisce? - asciugò una piccola lacrima che era strisciata lungo la sua guancia e poi ascoltò la risposta dell'agente che stava esaminando gli oggetti.

- Queste lettere non mi sono d'aiuto signora... -

- Tomlinson. Signora Tomlinson. Loro sono i miei figli, Louis e Harry - il cuore mi fece una capriola dentro il letto. Mi aveva considerato suo figlio. Ero il figlio di qualcuno.

- Bene, signora Tomlinson. In queste lettere non si può minimamente capire chi possa essere lo stalker. Voi avete qualche idea? Attenzione, ho detto idea e non falsa accusa -

- Suo padre l'ha violentato e adesso è agli arresti domiciliari, attendendo il processo che avverrà fra un po'. Inoltre due uomini, successivamente arrestati, l'hanno rapito. Penso che possano essere delle idee perfette - comunicò Louis. Quell'uomo mi guardò così come si guarda un cucciolo ferito. Alzai il viso, giusto per fargli capire che non avevo bisogno di pietà.

- Potrebbero... ma tu stesso hai detto che uno è agli arresti domiciliari e gli altri due in prigione. Per quanto ne sappia, sono sotto controllo e non potrebbero spiare il ragazzo -

- Be' qualcuno di certo mi sta spiando. Sa' troppe cose di me, di noi... - borbottai.

- Le prove che mi avete dato non mi aiutano molto... posso provare a mandare questi oggetti in esame e vedere se ne esce fuori qualche impronta... ma non posso assicurarvi protezione fino in caso contrario - annunciò, aggiustandosi il nodo alla cravatta.

- Cosa? Lui rischia la vita e voi non potete mettere un'agente a proteggerlo? - 

- Signora Tomlinson, per quanto ne sappia queste potrebbero essere anche scuse inventate dal ragazzo. Se non riesco a rilevare almeno un'impronta, non ho prove e se non ho prove, il ragazzo stesso potrebbe essere accusato di falsa testimonianza. Chi mi assicura che lui non stia facendo tutto questo per attenzione? Inoltre nessuno gli ha ancora fatto qualcosa e questo non mi dà nulla per permettere ai miei agenti di non fare il loro lavoro qui e andare dietro a lui - 

- Agente Kelis, anche io ho pensato che potesse essere lui il colpevole, ma è impossibile. Non arriverebbe mai a tanto, perchè lo conosco e ci sono tante persone che vogliono davvero separarci, quindi mi creda se le assicuro che lui non c'entra nulla -

- Una bambina mi ha seguito un giorno, dandomi un foglietto con scritto che era meglio se scappavo. La stessa bambina, suppongo, ha dato un biglietto a Louis in cui c'era scritto che lo lasciavo. Poi Louis ha trovato altri biglietti. Perchè mai avrei dovuto fare tutto questo? E perchè, soprattutto, sarei dovuto venire qui? - sbottai, cercando di mantenere la calma. Perchè tutti pensavano che ci fossi io dentro a questa maledetta storia dello stalker?

- Ragazzo, io posso pure fingere di crederti, ma fino a quando non ho prove concrete, questa storia è inesistente - affermò l'agente, fissandomi deciso e poi abbassando lo sguardo sui fogli e i microfoni.

- Quindi mi sta dicendo che dovrebbe aspettare che qualcuno lo uccida, per avere protezione?  E cosa diamine dovrebbe proteggere? Il suo cadavere? - strillò Louis, stringendo la voce in gola e alzandosi. Gli afferrai un braccio, intimandolo a sedersi di nuovo. Johannah lo guardava severa.

- Se mi urli in faccia, di certo non posso cambiare la mia posizione. Il mio lavoro qui, è avere prove e fare qualcosa. Sai quante persone vengono, accusano qualcuno e poi tutto si rivela una bugia? Non posso perdere il mio posto di lavoro andando contro le regole e sostituendo agenti a caso - il tono dell'agente Kelis era pacato. Certo, lui non era al mio posto.

- Agente, con tutto il rispetto, lei ha figli? - Johannah si aggiustò sulla sedia, appoggiando le mani alla cattedra in legno. L'agente sospirò, poi congiunse le mani, intrecciando le dita. - Si, Signora Tomlinson. Ho una figlia e vorrei anche io proteggerla. Ma vede, non potrei fare nulla, se in mano non avessi prove. Almeno, io potrei fare qualcosa, ma questo ufficio non potrebbe aiutarmi. Ora, non vi sto invogliando a scovare da soli questo stalker, perchè sarebbe come mettere la testa nella bocca del leone. Piuttosto, vi invito a prestare attenzione e ad aspettare qualche giorno, giusto il tempo di ricevere la risposta delle analisi. Potete farlo? -

- Dovremmo chiuderlo in casa per qualche giorno? - domandò Louis, non rispondendo all'agente.

- No. Lui deve continuare a svolgere la sua vita. Evitate di lasciarlo da solo e cercate di assicurarvi che la casa sia sempre protetta e che non ci siano mai porte o finestre aperte. Non fidatevi degli sconosciuti, non fate entrare in casa nessuno, tranne che lo conoscete davvero bene e vi assicuro che se trovo delle prove, i colpevoli marciranno tra la polvere della prigione, chiaro? - annuimmo tutti e tre, Johannah lasciò il suo numero all'agente e poi tornammo a casa. 

Non volli davvero parlare con nessuno. Ero stressato, confuso. Per tutto il tragitto avevo involontariamente inarcato le sopracciglia, come se ci fosse in continuazione qualcosa che mi portasse a mescolare tutto. Nel mio cervello, passavano tante informazioni, tanti ricordi, troppi momenti che invece di disporsi in fila indiana, balzavano da una parte all'altra, mandandomi in una completa e monotona confusione. Chiusi gli occhi per solo un secondo, poi salii le scale e andai in camera mia. Per troppi anni mi ero sentito senza protezione e senza casa, poi Johannah mi aveva reso partecipe della sua vita e della sua famiglia, e in quel momento, circondato dalle abituali mura della mia recente stanza, non mi sentivo più nessuno. Come se i pensieri mi avessero annullato. 

Compievo gesti asincroni e a scatti. Tolsi le scarpe, solo per gettarmi sotto le coperte. Troppo tardi mi accorsi di avere addosso anche il cappotto e così decisi di sfilarlo via. Eliminai anche la felpa e troppo stanco per indossare la tuta del pigiama, mi incubai tra le lenzuola e chiusi gli occhi. Era come un eterno tornado. Mi aspirava, mi tormentava, mi sputava fuori solo per cercarmi e risucchiarmi ancora. La mia vita era un maledetto girone che non voleva mai fermarsi a un punto che mi stava bene. Mi ricordava quanto la felicità potesse essere lontana. Come quando fissi l'orizzonte e vedi quella linea sfocata, segno che sei troppo lontano per toccarla. E così erano gli scalini che avevo sempre desiderato di pestare. Lontani, sfocati, freddi, vuoti. Fiamme ardenti si scontravano con punte affilate di ghiaccio che scendevano dal soffitto. Io provavo ad attraversare quel tragitto e mi sentivo bruciare e ghiacciare. Un fuoco dentro, quando la rabbia ti brucia tutto e combatte per ardere. Ma un freddo fuori, quando senti la pelle ghiacciata, bloccata e ti accorgi che non puoi fare nulla. E le soluzioni a quel problema non erano molte. O mi scioglievo o mi spegnevo. O ero tutto fuoco o ero ghiaccio. 

- Harry... non hai mangiato nulla. Vuoi che ti porti qualcosa? - mi rigirai tra le lenzuola e sbucai la testa, solo per accettarmi che fosse davvero Louis e che la confusione al cervello non mi avesse mandato in tilt anche l'udito.

- No. Non ho fame, davvero - ritornai sotto le lenzuola e sentii la porta chiudersi. Mi rilassai, convinto che Louis avesse lasciato la stanza. Poi sentii una mano intrufolarsi nelle coperte e giurai di non essermi mai spaventato tanto in vita mia. Tolsi le coperte lanciandole in aria e con una mano all'altezza del cuore, cercai di controllare il respiro.

Inspira ed espira, Harry. Non arrivare al punto di usare l'inalatore.

Misi a fuoco l'immagine di Louis che mi guardava scioccato.

- Ma sei pazzo? Mi hai fatto venire un collasso, pensavo fossi uscito! - sbottai. Si, la confusione mi stava mandando in tilt l'esistenza.

- Harry sapevi già che ero in stanza, non potevo immaginare una reazione del genere. Ho solo messo una mano nelle coperte! -

- Si, ma l'hai messa dopo che hai chiuso la porta! L'hai messa proprio mentre i miei pensieri si intorbidivano e pensavo allo stalker! L'hai messa al momento sbagliato! E' tutto sbagliato! E forse sono io a non essere giusto! - cosa mi stesse succedendo non lo so nemmeno io. Sentivo le lacrime scorrere sulle guance e Louis, più preoccupato di quanto volesse far trapelare, mi si avvicinò e tolse via le lacrime dal mio viso. Mi circondò in un caldo abbraccio, facendomi appoggiare l'orecchio sul suo petto. Il ritmo veloce del suo cuore, faceva pompare il sangue nelle sue vene. E tra un singhiozzo smorzato e un altro, sentivo anche il mio, di sangue, fluire velocemente. Il fuoco che avevo dentro iniziò ad ardere e capii che non era arrivato il momento di gelarsi. Con Louis, che era il mio costante fuoco vivo, nessun arto mi si poteva congelare.

- Lo so, è una situazione stressante, ma piangi. Se riesci a sfogarti piangendo, allora piangi. Sai che io sarò qui con te e non permetterò a nessuno di farti del male - sussurrò, passandomi una mano tra i ricci.

- Se vedessimo la nostra vita dietro lo schermo di una televisione, ti accorgeresti di come un giorno siamo felici e il giorno dopo si piange. E' sempre così Louis... perchè non possiamo essere liberi e basta? - tirai su col naso, asciugando gli occhi e abbracciando Louis, costringendolo a sdraiarsi sul letto, accanto a me e al caldo delle coperte.

- Mi sono sempre chiesto perchè esistesse il male. Ma senza il male, non sapremmo cosa significa la parola "bene". E' tutto così. Siamo imprigionati solo perchè un giorno saremmo pronti per spiccare un grande volo. Solo che prima ci tocca affrontare tutto questo inferno -

- E chi ti dice che questo inferno ci porterà a un luogo paradisiaco? Chi di dice che una volta scalata questa montagna non ce ne siano altre mille? - borbottai, attutendo la voce nella felpa del mio ragazzo.

- Chi dice come sarà il tempo fra un mese? Chi ci dice cosa faremmo tra cinque anni? Nessuno Harry. Dobbiamo andare avanti, affrontare più problemi possibile, toglierceli dai piedi e non perdere di vista l'obiettivo. Dieci, venti, cento anni... nessuno sa dirci quanto tempo ci vorrà, ma è sempre meglio lottare all'infinito che non lottare affatto, no? -

- Il mio ragazzo è saggio proprio come il nonno Sean - biascicai, facendomi forza sulla braccia e lasciandogli un bacio sulle soffici labbra.

- Se non smetti di baciarmi arriveremo ben oltre, lo sai? - borbottò, con le labbra a pochi millimetri dalle mie.

- Vorrei baciarti ancora, ma oggi sono proprio sfinito, scusa - riportai la testa sul suo petto e aspettai che il fuoco che avevo dentro mi scongelasse ancora un po'.

- Sicuro di non voler mangiare? -

- Sicuro. Voglio solo dormire, svegliarmi e stare meglio -

- Allora è quello che faremo. Ci addormenteremo così e domani andrà tutto bene -

- Ma non sei scomodo con quei vestiti? - domandai, fissando la felpa nera ancorata al suo corpo.

- Hai ragione. Vedo a mettere una tuta e torno. Dovresti togliere anche tu, quei jeans. Sono fastidiosamente rigidi - ridacchiò, uscendo dalla stanza e sparendo dalla mia vista. Mi tirai su, asciugando le ultime tracce di lacrime rimaste, poi indossai il sotto del pigiama e ritornai nelle coperte. 

Louis non tardò ad arrivare, nella sua semplice tuta blu. Mi abbracciò subito e a quel punto sentii ogni nervo ritornare sotto il mio controllo. Perchè con lui non ero ghiaccio o fuoco. Liquido o solido. Con Louis ero semplicemente Harry. Quell'Harry che nella vita si vede rare volte, come le stelle cadenti.


* Zayn's Pov *

Baciai per l'ultima volta le labbra di Liam, appoggiandomi al cuscino.

- Certo che tra Harry e Louis ci sono sempre problemi - borbottai, inspirando il profumo di cocco. Dovevo usare lo shampoo di Liam, era davvero eccezionale.

- Veramente, di problemi, ne siamo tutti pieni - ridacchiò il mio ragazzo, stropicciando il bordo della sua maglietta. Annuii in accordo con lui, poi spostai lo sguardo al soffitto bianco.

- Devi ancora dirmi il tuo segreto - dichiarai, non appena quel pensiero mi mandò in tilt ogni fibra nervosa.

- Non ti sfugge proprio nulla -

- Ehi! Vorresti per caso non dirmelo? Ti ho svelato molte cose, io - 

- Lo so, lo so. Okay vediamo come posso dirtelo. All'inizio, ero scioccato pure io, quindi non prenderla male! -

- Poche chiacchiere e sputa il rospo, Payne - mi alzai un po', appoggiando la testa alle rigide sbarre del letto. Cercai di sopportare il fastidio del ferro freddo contro la nuca e inspirai profondamente. Liam non voleva annunciarmi di essere già stato a letto con qualcuno, vero? No, perchè probabilmente ci sarei rimasto male, dato che ancora non si sentiva pronto. Inoltre non poteva essere stato violentato, no? Ci mancava solo lui e poi potevamo creare un gruppo di ragazzi disagiati. Dal primo all'ultimo, dal più sfigato al meno sfortunato!

- Sono stato adottato - sbottò Liam, passandosi una mano sugli occhi.

- Cosa? Lidia e Billy non sono i tuoi veri genitori? Da quanto lo sai? Come lo hai scoperto? -

- No, a quanto pare mi hanno adottato quando ero ancora piccolo. Poi, quando ho rovistato tra le vecchie foto e i vecchi documenti, ho ritrovato un'immagine che ritraeva una donna col pancione. Non era Lidia. Nei documenti c'era scritto che appartenevo a un'altra famiglia. I Watson. Non li ho mai incontrati e non so nemmeno dove potrebbero essere. Ma da quel momento sembra che i miei genitori non fossero più tali. Mi ignorano, fingono di non vedermi. Diciamo che la bulimia è stata la causa di tutti questi eventi messi insieme. Solo che ho iniziato da poco questa cosa... ormai l'adozione è un segreto che mi porto dietro da anni. Forse tre - sospirò amareggiato, fissando il cielo scuro che si intravedeva dalle vetrate della finestra.

- Non ti è mai passato per la testa di cercare i tuoi veri genitori? -

- Non so nemmeno se sono vivi - borbottò. Ignorai il groppo che mi si era formato in gola a causa del segreto di Liam. 

- Sai, hai proprio ragione. Abbiamo pure le tasche dei jeans pieni di problemi. Ci tocca trascinarceli dietro, come dei dannati - sbuffai, passandomi una mano tra i capelli e confortando successivamente Liam, accarezzandogli la guancia.

- Però vorrei proprio sapere se i miei veri genitori sono meglio di Lidia e Billy, ma non so cosa pensare. Se non mi hanno voluto con se', forse è proprio perchè non mi volevano tra i piedi -

- Il più delle volte, si fanno scelte sbagliate perchè si viene trascinati dalla paura e dal dubbio. Faremo delle ricerche in più sulla tua famiglia, vedrai che riusciremo a scoprire qualcosa. Soltanto che non dobbiamo farci prendere dalle false speranze. Dobbiamo essere pronti a tutto, sia a buone che a cattive notizie, va bene? -

- Solo a una condizione - si alzò, staccandosi dal mio petto e guardandomi negli occhi. Inarcai le sopracciglia, preparandomi al suo accordo.

- Io cercherò la mia famiglia, solo se tu proverai a riallacciare i rapporti con la tua -

- Scherzi? - lasciai che una risata isterica lasciasse le mie labbra... perchè si impuntava tanto a farmi riappacificare con mia madre?

- No, non scherzo. Hai bisogno di chiarire con lei -

- Liam, mi ha rovinato gli ultimi quattro anni di vita, perchè dovrei fare pace? -

- Perchè so cosa significa non conoscere i propri genitori, Zayn. Fa davvero male non sapere chi sono, come stanno e soprattutto se mi amano. Ho vissuto la mia intera breve vita, nella casa di chi non mi ha mai messo al mondo e mi ha saputo facilmente ignorare. Fa male, so pure quanto può far male essere traditi o evitati. Ma tu hai la possibilità di prendere tua madre per un braccio e di poter risolvere le cose, mentre io non so nemmeno chi sia mia madre! - confessò, combattendo contro le lacrime agli occhi. 

- Liam... la mia situazione è più difficile di quanto possa sembrare... - cercai di farlo ragionare, sentendo già un enorme peso che mi si posava sul cuore. Non potevo incontrare mia madre, non ancora. Mi avrebbe sbriciolato più di quanto già lo fossi.

- Allora non cercherò la mia famiglia - disse deciso, scollegando il nostro contatto visivo e allontanandosi dalla mia stretta. Girai gli occhi al cielo, sentendoli umidi e pesanti. Cosa mi fai, Liam Payne?

Restai in silenzio per un po', ripensando a tutto quello che mi aveva detto mia madre. Mi definiva un mostro... perchè avrebbe dovuto volermi parlare? Forse, se mi avesse sbattuto la porta in faccia e basta, non mi sarei fatto tanto male. Provai a sfiorare il braccio di Liam, cercando un disperato contatto fisico dato che si era staccato dal mio abbraccio, ma il mio ragazzo si ritrasse, mise il broncio e voltò il capo. Stava giocando in modo sleale. Provai a chiamarlo ma non accennava a considerarmi.

- Va bene. Proverò a parlarle... - vederlo imbronciato faceva male. Non potevo rischiare di perderlo. Avrei cercato di incontrare Trisha... avrei cercato di stabilire un dialogo. E avrei sperato che una volta che avesse spezzato il mio corpo in nuovi frammenti, ci sarebbe stato Liam a incollarli. Stavo facendo tutto per lui. Per fargli conoscere la sua vera famiglia. Adottato... e chi poteva mai pensare a un segreto del genere?

- Grazie - si avvicinò di nuovo a me, collegando qualcosa di necessario. Le sue labbra, alle mie. Cioccolato e panna. Un mix perfetto.

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