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Il giorno zero

Fu il molesto rumore delle campane a farla destare dal sonno, allungò gli arti e sbuffò stizzita. «Ma da quando don Luigi ha deciso di riprendere a suonare le campane?» domandò a sé; la mente era offuscata dall'intorpidimento onirico e non badò al dilemma primario: come avesse fatto l'anziano prelato ad arrampicarsi fino alla cima del campanile. Schiuse le palpebre una alla volta, tentando di abituarsi alla luce che filtrava dalle persiane e riverberava nella stanza. Allungò il braccio e tastò il comodino, laddove era certa che ci fosse il suo smartphone. Sfiorò la superficie lucida, benché ricordasse di dover avvertire la ruvidezza del legno grezzo, ma fu l'assenza dell'oggetto a farla scattare dal letto. Guardò il piano vuoto e le pupille schizzarono fuori dalla cavità oculare. Qualcuno aveva sottratto il telefono dal comodino, seppur fosse impossibile poiché viveva sola.

Si era trasferita nel villino ereditato dalla nonna materna, dipartita pochi mesi prima. Aveva abbandonato il monolocale posseduto in città, poco distante dall'abitazione dei genitori, e si era barricata nella casa della sua infanzia, laddove trascorreva le vacanze estive con la svampita vecchietta. La morte dell'anziana donna l'aveva scossa al punto di mettere in discussione la sua intera esistenza e lasciare l'opulenta vita cittadina a cui era abituata per trasferirsi, momentaneamente, in campagna. Aveva lasciato la casa così com'era, sostituendo solo il mobilio della sua vecchia camera da letto. Guardandosi intorno, però, rivide nuovamente le pareti tinteggiate di rosa e il poster dei Duran Duran, appartenuto alla madre, ricoprire l'anta di legno lucido del vecchio armadio. Strabuzzò gli occhi e, poi, richiuse le palpebre, nella speranza che tutto tornasse com'era quando le avrebbe riaperte.

«Per fortuna che sono astemia.» Provò a sbirciare, issando appena le ciglia e guardando un pezzo di stanza alla volta. Nulla. Niente era tornato al proprio posto. I vecchi mobili, donati all'unico orfanotrofio della provincia, avevano sostituito quelli comprati su internet con un semplice movimento del polpastrello. Era stato semplice, aveva fatto una rapida ricerca su Google e aveva spostato l'articolo selezionato nel carrello. Ora, però, era tutto sparito, il nuovo era stato rimpiazzato dal vecchio e, per quanto fosse immobilizzata dallo stupore, un pensiero la riscosse dall'intorpidimento. «Il telefono! Dove è finito il telefono e come posso fare senza?» Non poteva averlo lasciato in un'altra stanza, poiché era l'ultimo oggetto utilizzato la sera precedente. Era un rito, il suo; prima di addormentarsi, faceva una rapida ricognizione dei suoi social, controllando le notifiche e postando nuovi contenuti. Doveva essere una punizione dell'Altissimo per l'ultimo video blasfemo aggiunto su Tik Tok, non c'era altra spiegazione. Eppure, lo facevano tutti, era solo un modo divertente per promuovere la propria arte. «Perché capitano tutte a me?» piagnucolò, risentita. Come avrebbe fatto, ora, a controllare il gradimento dei suoi follower? Era una tragedia che rasentava una catastrofe naturale.

Saltò dal letto e guardò in ogni antro della stanza, finanche nel bagno attiguo alla camera, laddove controllò perfino nella tazza del water.

Una scampanellata provò a distrarla, ma lei non era intenzionata a interrompere la ricerca per andare ad aprire allo scocciatore. «Si può sapere chi usa ancora il campanello quando basterebbe uno squillo di telefono per farsi aprire? Così scoprirei anche dov'è il mio cellulare!»

Lo scocciatore, però, era privo della volontà di staccarsi dal citofono, anche perché era stato chiamato con urgenza; aveva dovuto disdire due appuntamenti per trovarsi lì di prima mattina e far cessare le lamentele della ragazza che, ora, sembrava non volesse aprire.

Dopo l'ennesimo suono molesto, la disperata giovane si decise a recarsi alla porta, non guardando l'ambiente che la circondava. Spalancò l'anta, priva di grazia, e urlò il proprio disappunto: «Ma chi è a quest'ora?» domandò, benché non sapesse l'orario, essendo stata derubata dell'indispensabile smartphone.

Trovò, innanzi alla porta, un giovane uomo, dall'aspetto curato nonostante indossasse un'anonima maglietta bianca a maniche corte e dei jeans sbiaditi, che fasciavano le toniche gambe. I riccioli scuri ricadevano sulla fronte ampia e le iridi nocciola la inchiodavano con malizia. Girò il viso alla sua sinistra e guardò la propria figura nella specchiera della vecchia credenza. Si sentì scialba e infantile, indossava un pigiama di cotone raffigurante un unicorno rosa, i capelli arruffati e la pelle bagnata dall'affannosa ricerca. Poi, guardò con più attenzione il mobile e trasalì. «Ma doveva esserci una crepa lì?»

«Lì dove?» il giovane avanzò, sporgendo la testa oltre l'uscio e sbirciando per capire cosa avesse inquietato la ragazza.

Greta si destò dall'intorpidimento e tornò a osservarlo; era infastidita dalla sua invadenza, benché fosse attratta dalla perfezione del suo viso. «Si può sapere lei chi è e cosa vuole?»
Le sopracciglia dell'uomo guizzarono verso l'alto. «È stata lei a chiamarmi e pure con una certa urgenza! Adesso, finge di non ricordare?» innalzò la mano con cui ghermiva il manico di una borsa per attrezzi. «Sono Fabrizio Aiello, il tecnico che ripara i televisori!» puntò l'indice contro un oggetto alle spalle della ragazza e lei si voltò.

Greta strabuzzò gli occhi e soffocò un urlo. «Cos'è quel coso?» guardava, atterrita, l'ingombrante e vecchia televisione con il tubo catodico che, fino al giorno prima, non era lì. «Dov'è il mio LCD? Cosa gli ha fatto?» fissò, torva, l'uomo. «L'ha rubato lei? E anche il mio smartphone?»

«Il suo che?» Fabrizio cominciava a stufarsi dei discorsi sconclusionati della cliente. Certo, era carina, nonostante l'aria stralunata, ma non ne poteva più del linguaggio incomprensibile. LCD, smartphone? In quale lingua parlava?

«Il mio smartphone! L'ha rubato, tanto che non ha annunciato il suo arrivo con una telefonata! E come l'ha fatto, invece?» domandò, beffarda.

«Bussando al citofono? Come ogni essere umano?»

«Senta, faccia poco lo spiritoso. Ho necessità del cellulare perché sono un'influencer e non...»

«Cos'è?» Fabrizio si grattò la nuca, avvilito. «Potrebbe parlare in italiano, non ho dimestichezza con le lingue straniere.»

«Ma quanto è boomer lei?» Greta singhiozzò, vittima di un'assenza incolmabile.

«Si calmi, non volevo offenderla.» Fabrizio si avvicinò a lei, cauto e accorto. Temeva che la ragazza avesse un crollo e, garbato, la accompagnò sul divano. «Si sieda. Vuole che le prenda un bicchiere d'acqua? Le preparo una camomilla?»

«Come faccio a restare in contatto con i miei follower? Non c'è più neppure la smart tv?» Un singulto spezzò la voce di Greta.

«Questi folli sarebbero suoi amici? Stia tranquilla, verranno qua a trovarla.» la consolò, Fabrizio.

«Io non so neppure chi siano! Non li ho mai visti.» il delirante sconforto s'impossessò delle viscere della ragazza, la quale sembrava inconsolabile.

La mano di Fabrizio si muoveva accorta sul capo di Greta, lisciava i lunghi capelli biondi e la bocca sussurrava parole di esortazione a reagire, benché non capisse l'origine del problema. Greta avvertì il calore di un contatto vero, bruciante di dedizione; i singhiozzi si attutirono e le lacrime si asciugarono, mentre fissò, incantata, le pupille in quelle di Fabrizio.
Occhi negli occhi, i due giovani avvertirono la stessa urgenza di avvicinarsi l'uno all'altra; calamitati, i loro visi furono a un respiro di distanza. Greta dimenticò tutto ciò che era sparito, era il suo giorno zero, poteva ricominciare daccapo con qualcuno che esistesse davvero.

Greta spalancò le palpebre e scattò dal letto, era madida di sudore e affannava. Voltò la faccia e puntò il ripiano del comodino, laddove si ergeva, imponente, il suo smartphone. «Sia ringraziato il cielo! È stato solo un incubo, opera dei discorsi di mamma su quanto si stesse meglio prima.» afferrò l'oggetto, maneggiandolo quasi fosse una reliquia, e lo rigirò tra le mani. Guardò tutte le notifiche dei social, like e mi piace impersonali, ma non trovò nessun messaggio da qualcuno a cui importasse davvero di come lei stesse. Sospirò e, poi, mugugnò: «E, forse, ha ragione mamma.»

Il citofono trillò e le orecchie di Greta guizzarono; saltò giù dal letto, incurante del telefono scivolato via dai palmi, e corse fino ad arrivare alla porta d'ingresso che, sgraziata nelle movenze, spalancò con impeto.

Un uomo si parò al suo cospetto; virile e impeccabile nel completo blu, allungò la mano e si presentò: «Buongiorno, sono l'architetto Fabrizio Aiello. Ci siamo sentiti telefonicamente qualche giorno fa, ricorda? Sono qui per farle visionare il progetto di ristrutturazione e mi scuso di non essermi annunciato con uno squillo di telefono, ma la batteria dello smartphone è morta!» l'uomo brandì il cellulare, mostrando di aver detto il vero. I ricci scuri non ricadevano sparpagliati sulla fronte, ma erano trattenuti in una perfetta piega. Le iridi nocciola luccicavano, ammaliate, vagando sulla figura avvenente, seppur disordinata, della cliente.

«Non si preoccupi. La sorpresa è stata gradita.» Greta ammiccò, suadente, e lo lasciò entrare nella realtà.

Fine.

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