Ombre invisibili
Due settimane dopo
Le giornate passavano lente, ma stranamente erano diventate più tranquille.
Senza Carlos a invadere la mia vita, avevo ritrovato un ritmo più regolare: università, studio, qualche uscita con gli amici. Eppure, ogni tanto, il suo pensiero si insinuava, come un’ombra persistente che non voleva andarsene.
Non mi ero fatta sentire. Non gli avevo scritto, né chiamato. Non volevo essere io quella che si piegava. Se c’era una lezione che avevo imparato nella vita, era che non bisogna mai dare troppo spazio a chi è abituato a prenderselo senza chiedere.
Eppure, nelle sere più silenziose, quando mi ritrovavo a fissare il soffitto della mia stanza, mi chiedevo cosa stesse facendo. Se fosse davvero così sicuro di sé da lasciar passare tutto questo tempo senza cercarmi, o se c’era una ragione più profonda per il suo silenzio.
Un venerdì sera, mentre tornavo a casa dall’università, mi accorsi di un’auto parcheggiata non lontano dalla mia abitazione. Un modello costoso, ma anonimo, che attirò subito la mia attenzione. Forse era solo una coincidenza, mi dissi. Eppure, quella sensazione di essere osservata mi seguì fino alla porta di casa.
Chiusi a chiave, lasciando cadere la borsa sul pavimento. Mi scrollai di dosso quella sensazione, cercando di convincermi che era solo la mia immaginazione. Due settimane erano un tempo sufficiente per chiudere qualsiasi questione, giusto?
Mi preparai una cena veloce, evitando di controllare il telefono. Non volevo permettere a Carlos di entrare nella mia testa, anche se il suo silenzio mi stava lasciando più domande che risposte.
Quella notte, però, faticai a dormire.
Sabato mattina mi svegliai presto, come se il mio corpo sapesse che qualcosa stava per accadere. Guardai fuori dalla finestra e, con mio sollievo, l’auto di lusso non c’era più. Forse era davvero stata una coincidenza.
Passai la giornata immersa nei libri, cercando di prepararmi al prossimo esame. Ma più cercavo di concentrarmi, più la mia mente vagava. Carlos non era il tipo da arrendersi, e il suo silenzio non faceva che rendermi ancora più inquieta.
Nel pomeriggio, il campanello suonò. Sobbalzai, il cuore che batteva forte. Per qualche assurda ragione, mi aspettavo di vedere lui sull’altra parte della porta. Ma quando aprii, trovai soltanto il corriere, che mi porgeva una scatola elegante e un biglietto sigillato.
Lo presi senza dire nulla, richiusi la porta e mi sedetti sul divano, fissando il pacco. C’era una parte di me che voleva ignorarlo, fingere che non fosse mai arrivato. Ma alla fine, la curiosità vinse.
Dentro la scatola c’era un vestito nero, semplice ma incredibilmente elegante, e una piccola busta con un biglietto all’interno.
"Le due settimane sono scadute. Stasera, alle 20:00. Non accetto un no come risposta."
Firmato semplicemente: C.
Mi mordicchiai il labbro, indecisa. Parte di me voleva strappare il biglietto, infilare il vestito nel fondo di un armadio e ignorare tutto. Ma l’altra parte…mi diceva di lasciarlo vincere.
Nonostante l'indecisione, decisi di non presentarmi. Se carlos pensava di poter sparire per due settimane e poi semplicemente tornare come se nulla fosse, si sbagliava di grosso. Non era così che funzionava. Non con me.
Spensi le luci e mi sedetti sul divano, lasciando che il silenzio mi avvolgesse. Non avevo intenzione di dargli la soddisfazione di credere che potesse decidere quando entrare o uscire dalla mia vita. Aveva lasciato un vuoto, e non poteva riempirlo a suo piacimento.
Dopo qualche minuto, il campanello suonò. Ignorai il suono, restando immobile. Un secondo squillo, poi un terzo. Alla fine, tutto tornò silenzioso. Guardai l’orologio: erano le 20:15. Immaginai l’autista che si arrendeva e tornava alla macchina.
Il telefono vibrò. Era un messaggio:
"So che sei lì. Apri la porta, Layla."
Fissai lo schermo per un momento, poi lo appoggiai sul tavolino senza rispondere. Non avrei ceduto. Se voleva una risposta, avrebbe dovuto impegnarsi di più.
Passarono altri minuti, poi il telefono vibrò di nuovo. Questa volta, il messaggio era diverso:
"Mi dispiace. Ho sbagliato."
Quelle parole mi colpirono più di quanto volessi ammettere. Per un attimo, mi venne voglia di aprire la porta, di ascoltare le sue spiegazioni. Ma poi mi ricordai del silenzio, del modo in cui mi aveva lasciata sospesa per giorni,settimane senza una parola.
Non risposi. Spensi il telefono e mi alzai, andando in cucina a prepararmi una tisana. Se Jackson voleva parlarmi, avrebbe dovuto fare di più che lasciare biglietti o mandare messaggi.
Non poteva pensare di farsi vivo quando voleva e aspettarsi che fossi lì, pronta ad accoglierlo.
La mattina successiva, mi svegliai con la luce del sole che filtrava dalla finestra e il telefono che vibrava sul comodino. Presi il cellulare con un misto di curiosità e fastidio, sapendo già chi fosse il mittente.
Carlos.
"Layla, stasera incontriamoci. Alle 20:00, al solito posto. Non accetto rifiuti."
Le parole erano brevi, concise, e soprattutto suonavano come un ordine più che una richiesta. Alzai un sopracciglio, infastidita dalla sua presunzione. Pensava davvero di poter sparire per settimane e poi tornare con questo tono autoritario?
Spensi lo schermo del telefono senza rispondere. Lasciai che il messaggio rimanesse lì, sospeso, proprio come lui aveva lasciato me.
Passai la giornata immersa tra lezioni e appunti, ma la sua presenza sembrava seguirti ovunque. Il tono deciso del messaggio mi risuonava nella mente, alternandosi tra un’irritazione crescente e un’inspiegabile curiosità.
Quando tornai a casa, trovai un mazzo di rose nere lasciato davanti alla porta. Non c’era bisogno di leggere il biglietto per sapere chi fosse il mittente. Con un sospiro esasperato, presi il mazzo e lo poggiai sul tavolo senza nemmeno dargli troppa attenzione.
Alle 19:30 il telefono vibrò di nuovo.
"Non ti vedo arrivare. Spero che tu non stia pensando di ignorarmi."
Mi fermai, fissando lo schermo. Carlos non stava chiedendo. Non stava implorando.
Mi stava praticamente sfidando.
Presi un respiro profondo, combattuta tra il desiderio di andare e quello di restare ferma sulle mie decisioni. Alla fine, digitai una risposta.
"Non una delle tue pedine, Carlos. Non sempre puoi avere ciò che vuoi."
Spedii il messaggio e lasciai cadere il telefono sul letto. Avevo bisogno di riprendere il controllo. Lui poteva aspettare. O forse, per la prima volta, avrebbe capito cosa si provava a essere ignorato.
Restai immobile, fissando la porta, ignorando le sue parole e il suono della sua voce che si faceva sempre più impaziente. Ogni fibra del mio corpo mi urlava di non cedere, di non dargli la soddisfazione di vedere che, nonostante tutto, stavo reagendo. Avevo preso una decisione, e questa volta non mi sarei fatta influenzare.
I colpi continuarono per un po’, poi divennero più rari, come se carlos avesse capito che non avrei ceduto. Non sapevo se fosse frustrato o se stesse cercando di prepararsi a un altro attacco, ma non importava. Non era più una questione di sfida, era una questione di principio. Non mi avrebbe piegata.
Nel silenzio che seguì, mi sedetti sul divano e cercai di concentrarmi sul film che avevo iniziato, ma la mia mente era altrove. Sentivo il battito del cuore, forte, come un monito. Ma dovevo mantenere la calma. Dovevo continuare a ignorarlo.
Il tempo passò e, dopo un po', i colpi alla porta si fermarono. Aveva desistito, finalmente. Non sapevo se fosse stato per il mio silenzio o per la sua stanchezza, ma mi sentivo sollevata. L'unica cosa che restava era la sensazione di essermi difesa. Avevo fatto ciò che dovevo fare.
Il giorno dopo, mi svegliai e il mio telefono vibrò. Non c'erano sorprese, sapevo chi fosse. Un messaggio di Carlos come ogni giorno, ma stavolta c'era qualcosa di diverso nel tono, forse più di rabbia che di richiesta.
"Sarà l'ultima volta che ti cercherò."
Per un attimo, mi chiesi se fosse davvero così. Se questa volta fosse stato l'ultimo tentativo. Ma non risposi, e non avrei mai risposto. Avrei continuato con la mia vita, come avevo fatto finora. Se avessi imparato una cosa da tutta questa situazione, era che nessuno, nemmeno Carlos, avrebbe potuto farmi cambiare rotta.
Mi alzai e mi preparai per la giornata, senza guardare il telefono, ignorando ancora una volta l'ombra di lui che si era insinuata nella mia vita. E per la prima volta da quando tutto era iniziato, mi sentii veramente libera.
I giorni passarono senza che Carlos si facesse sentire. Il silenzio tra noi era diventato pesante, ma allo stesso tempo liberatorio. Mi sentivo più forte, più indipendente, come se avessi finalmente ripreso il controllo della mia vita. La sua assenza mi dava la sensazione che il mondo fosse tornato al suo posto, che la normalità fosse stata ripristinata.
Tuttavia, nonostante la tranquillità apparente, c'era qualcosa nell'aria che non riuscivo a ignorare. Non era solo una sensazione, ma una consapevolezza che cresceva ogni giorno di più. Jackson non mi aveva dimenticata, e probabilmente non lo avrebbe fatto. Sapevo che, anche se non cercava di contattarmi, mi stava osservando. Quel pensiero mi faceva sentire un brivido lungo la schiena, ma non volevo ammettere quanto mi inquietasse.
Era come se fosse sempre lì, invisibile, ma presente, osservando ogni mio movimento. Mi accorgevo di sguardi rapidi quando entravo in un locale, di un silenzio che calava quando passavo vicino a certe zone della città. Non c'era bisogno di messaggi, di chiamate, di parole.
Carlos aveva il suo modo di far sentire la sua presenza senza dirlo, senza esporsi. Era qualcosa che avevo imparato a conoscere, ma che non mi rendeva affatto tranquilla.
Una sera, mentre camminavo per la città,
Mi fermai un attimo, come se sentissi una pressione invisibile sulle spalle, ma quando mi voltai, non c'era nulla di anomalo. Solo la vita che continuava intorno a me. Ma ero certa che fosse lui. Certe cose, certe sensazioni, non si potevano ignorare.
La settimana successiva, mentre entravo nel mio bar preferito, lo vidi. Non direttamente, ma in uno specchio. Carlos era seduto in un angolo, nascosto dalla penombra, il suo sguardo fissato su di me, ma senza alcun movimento, senza alcuna reazione visibile. Solo la consapevolezza che mi stava osservando.
Non mi fermai, Non sapevo se dovessi sentirmi minacciata o sollevata dalla sua attenzione, ma in ogni caso, non avrei mostrato alcuna reazione. Era chiaro che mi stava tenendo sotto controllo, che non mi avrebbe mai lasciata andare davvero. Eppure, nonostante la tensione, sentivo che avrei dovuto far fronte a tutto questo da sola.
Quella sera, tornai a casa con la sensazione che la sua ombra fosse sempre dietro di me, come una presenza costante e ineluttabile. Non volevo pensare a cosa significasse, non volevo ammettere che, in qualche modo, mi mancava. La sua presenza, il modo in cui mi faceva sentire viva, la sfida che mi lanciava con ogni sguardo. Ma dovevo essere forte. Non dovevo permettergli di farmi dubitare di me stessa.
Le giornate continuavano, e Carlos restava in silenzio, come se mi stesse dando spazio, ma io sapevo che non era mai lontano. Non potevo ignorarlo per sempre, ma per il momento, avevo il controllo. E non lo avrei lasciato prendere di nuovo il sopravvento.
Continuai la mia vita quotidiana, ma non c'era un angolo della città in cui non sentissi il peso della sua presenza. Ogni tanto, quando passavo vicino ai luoghi che frequentavamo insieme, mi chiedevo se fosse lì, nascosto, a osservare. La verità era che non potevo più ignorarlo, anche se non lo stavo cercando. Avevo bisogno di mantenere la mia indipendenza, ma il suo silenzio mi faceva impazzire.
Forse, alla fine, non sarei mai stata completamente libera da lui.
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