II
Confusa, barcollai e mancò poco che non cadessi.
Le gambe mi tremavano come foglie dalla paura e dall'agitazione di quel momento e anche la testa mi girava impedendomi di stare calma.
Mi sentivo svenire.
La vista appannata, le orecchie che fischiavano, il mio corpo che tremava.
Mi sembrava un incubo.
Mi diedi un pizzicotto sulla gamba, poi un altro e un altro ancora.
Non riuscivo a svegliarmi da quel brutto sogno, evidentemente perché lo stavo davvero vivendo.
Ancora non mi sembrava vero.
"Cercate di restare in vita finché non vi daremo il via per iniziare ad uccidervi."
Le parole di quell'uomo mi risuonarono nella testa. Io non avevo mai ucciso nessuno. Non ero nemmeno una ragazza violenta. Mi guardai attorno. Chissà quanti criminali potevano esserci attorno a me, sicuramente persone più violente di quanto lo fossi io.
Là dentro sarei durata poco.
L'unica opportunità che avrei potuto ottenere per sopravvivere era avere in squadra un assassino. Solo in questo caso, probabilmente, sarei riuscita a salvarmi.
Improvvisamente, il soffitto della stanza si aprì di colpo ed una forte luce piombò nella stanza fino ad illuminarla completamente.
Mi guardai attorno spaventata.
Il respiro affannato.
Pur non potendomi vedere in faccia ero certa di essere pallidissima.
Tornai a concentrarmi su quella luce.
Era impossibile fissarla a lungo senza sentire bruciare gli occhi.
Improvvisamente ricordai.
Possibile che fosse il Sole...?
Non avevo idea del perché, ma nella mia mente continuava a ripetersi incessantemente la parola "Sole".
Come poco prima si era aperto il soffitto della stanza, si aprì anche quel luogo oscuro. Le pareti attorno a noi si abbassarono lentamente rientrando nel terreno su cui appoggiavano i miei piedi, e dall'altezza di prima, vennero risucchiate dalla terra diventando leggermente più alte di un semplice gradino.
"Non muovetevi!"
Gridò una voce e subito mi voltai.
Alle nostre spalle, una pattuglia di uomini armati e vestiti in nero era pronta ad attaccare.
Ci trovammo all'aria aperta.
Forse era il campus di cui aveva parlato l'uomo elegante che avevo visto sullo schermo.
Una brezza leggera scompigliò i miei capelli castani.
Rimasi immobile.
Tutti rimanemmo immobili.
Fino a quando, velocissimi, arrivarono dei fuoristrada che si fermarono davanti agli uomini in nero.
"Caricateli qui."
Disse un uomo sul veicolo.
"10 persone su ogni auto. Ne stanno arrivando altre."
Continuò.
L'uomo in nero sembrò annuire con la testa.
Poi si precipitò vicino a noi prigionieri.
Lo vidi avanzare con decisione verso di me.
La pistola puntata contro.
Volevo scappare ma le gambe sembravano come paralizzate.
Mi strattonò per i capelli trascinandomi nell'ampio portabagagli del fuoristrada, ma pochi secondi dopo non fui più sola. In meno di un minuto, l'auto aveva già raggiunto le 10 persone da trasportare ed era pronta per partire.
Tutti rimasero in silenzio. Tenevano lo sguardo basso, come me, e sembravano spaventati.
Dai piccoli finestrini non si riusciva a vedere molto se non che una vasta vegetazione.
Ovunque si potevano osservare cespugli e arbusti. Sembrava ci trovassimo in una foresta.
Tornai a concentrarmi di nuovo sulle persone che mi tenevano compagnia.
Ero seduta vicino ad una ragazza piccola e minuta, dai folti capelli ricci e neri.
Per sbaglio, poco prima, i nostri sguardi si erano incrociati e avevo potuto intravedere i suoi occhi verdi e le labbra carnose.
Buttai uno sguardo veloce sulla sua spalla.
Tra la sua carnagione abbronzata, spiccava il tatuaggio con la luna e con il numero 7 poco più in basso.
Anche lei aveva un nome tatuato.
C'era scritto "Sole".
Al contrario di tutta la gente presente nel bagagliaio, lei aveva un viso famigliare sebbene non ricordassi dove l'avessi già incontrata.
Guardandomi meglio attorno, mi accorsi che con me era presente anche il ragazzo che mi aveva svegliata.
Simon, se non ricordavo male.
Anche lui teneva la testa bassa come tutti gli altri e mi impietosì parecchio. Non sembrava calmo come quando mi aveva svegliata, ma sembrava stesse cercando di nascondere le sue preoccupazioni.
Sospirai faticosamente.
Mi sentii mancare l'aria.
Guardai di nuovo il mio tatuaggio.
"Kriss". Che potesse essere il mio nome...?
Cercai di buttare uno sguardo sul tatuaggio di Simon: se era consapevole di chiamarsi in quel modo, probabilmente stava usando il nome che si era ritrovato stampato sulla pelle, ma non ci riuscii. Il tatuaggio era troppo piccolo e Simon troppo lontano perché io riuscissi a vederlo.
Ad un tratto il fuoristrada si fermò.
L'autista scese dal posto di guida e si recò ad aprire il bagagliaio.
"Siamo arrivati ad un appartamento. 5 persone devono fermarsi qui."
Disse con tono brusco e con occhi severi vedendo che nessuno sembrava propenso ad uscire dall'auto.
"Muovetevi!"
Gridò.
Nel sentire quelle urla, tre ragazze e due uomini scesero di fretta.
A vederla dal finestrino, quella casetta non era per niente carina.
Le assi in legno sembravano marcite, i rampicanti coprivano i vetri delle finestre stranamente ancora integri, e gli scalini che permettevano di recarsi all'entrata sembravano poco sicuri.
Il cuore cominciò di nuovo a palpitare freneticamente.
Volevo andare via di qua. Volevo tornare a casa. Non ero sicura di avere una casa fuori da questo posto dato che non lo ricordavo, però sicuramente conducevo una vita bella, dove non avrei dovuto uccidere per salvarmi.
Le grida di qualcuno fuori dall'auto mi distolsero da quel tipo di pensieri.
"Fermati!"
Sentii. Ed improvvisamente la macchina fece una curva stretta a tutta velocità che mi catapultò sul ragazzo seduto davanti a me.
"Scusami!"
Dissi abbastanza forte ma la mia voce risuonò come strozzata.
"Non volevo."
Dissi ancora alzando lo sguardo verso quel ragazzo.
Sembrava molto alto, la carnagione leggermente scura così come gli occhi, ed i capelli castani e mossi leggermente lunghi che gli ricadevano sopra gli occhi.
"Non preoccuparti."
Disse lui con un certo imbarazzo.
Gli guardai la spalla.
Anche lui come tutti aveva il tatuaggio del distretto, e poco più sotto anche quello che ipoteticamente poteva essere il nome.
"Julian" c'era scritto.
"Non metterti in mezzo alla strada! Avrei potuto investirti!"
Sentii gridare dall'autista.
"Scusami!"
Rispose l'altro.
"Ma più avanti la strada è bloccata. Abbiamo avuto un problema con il distretto 12."
L'autista tossì.
"Va bene allora, significa che voi altri dovrete alloggiare qui."
Alzai lo sguardo verso il finestrino per provare ad individuare la casetta che avremo dovuto condividere, ma attorno a me non vidi nulla oltre che alberi.
L'autista scese dal posto di guida per aprire di nuovo il bagagliaio.
"Siete arrivati."
Disse lasciandoci uscire.
Stava per rimettersi alla guida quando un uomo dagli occhi e dai capelli grigi, che era nel nostro gruppo, non gli urlò qualcosa.
"Dove sarebbe la nostra abitazione? In mezzo agli alberi?"
Domandò con tono brusco, al che la guardia si voltò.
"Beh, in mezzo agli alberi forse no..."
Disse facendo spallucce. Poi alzò un dito sopra di lui.
"...però sopra si!"
E a quelle parole tutti alzammo gli occhi verso il cielo.
Una casetta spaziosa, seppur piccola per cinque persone, fatta interamente in legno, si ergeva sopra i rami tra due alberi.
"Wow..."
Si lasciò sfuggire la ragazza riccia.
"Cosa dovremmo fare qui?"
Domandò all'autista il ragazzo a cui prima ero caduta addosso.
"Fate tutto quello che volete ma evitate di ammazzarvi finché non riceverete un segnale. Sarà la vostra casa finché resterete in vita."
Disse prima di mettersi al volante e sfrecciare a tutta velocità sulla strada che prima aveva percorso.
Ci guardammo senza dire nulla.
Eravamo troppo spaventati per parlare.
Poi Simon, senza aprir bocca, cominciò a salire sulla scaletta di corda che pendeva dalla casa sull'albero.
Tutti lo seguirono, e lo feci anche io.
Una volta salita, il panorama era mozzafiato.
Sul piccolo balconcino, su cui era presente un tavolo in plastica e delle sedie, era possibile ammirare gran parte del campus, sebbene le foglie e i rami di quella fitta foresta impedivano la vista.
"Non entri?"
Mi chiese l'uomo dagli occhi grigi fermo sull'uscio ed io annuii.
Una porta scorrevole in vetro divideva l'abitazione dal balcone e permetteva l'entrata in un piccolo salotto dotato di due divani, un piccolo tavolo in legno ed una tv.
Sul salotto si affacciavano due porte: una portava ad uno stretto corridoio su cui si trovavano due piccole camere da letto dotate di due letti a castello ciascuna, l'altra porta conduceva ad una piccolissima cucina attaccata ad un bagno con il minimo indispensabile: una doccia, un lavandino ed un gabinetto.
Sembrava impossibile vivere lì in cinque.
Probabilmente quell'abitazione era stata ideata per una coppia.
Poco dopo aver perlustrato la casetta ci ritrovammo esausti ed impauriti, seduti al tavolo sul balcone.
"Non ricordo nulla della mia vita precedente."
Dissi amareggiata.
"Io ricordo solo il mio nome."
Disse l'uomo dagli occhi grigi sospirando.
"Ma è abbastanza inutile come cosa dato che me lo ritrovo tatuato sulla spalla."
Disse indicandolo.
"Leo".
"Io a quanto pare credo di chiamarmi Kriss."
Dissi ridendo.
Era strano sentire il proprio nome per la prima volta.
"Io ricordo di avere una sorella di nome Kriss..."
Esclamò la ragazza riccia.
"Ed ora che ci penso, per tutto il viaggio in fuoristrada, ho sempre ripetuto il nome "Kriss" come se significasse qualcosa per me senza sapere cosa."
Continuò.
Io la guardai stranita ma non ricordando il mio volto, mi era difficile notare la somiglianza.
"Effettivamente siete molto simili."
Intervenne Julian, e più lontano, vidi anche Simon annuire.
"Credete che io e lei potremmo essere sorelle?"
Dissi con la voce che mi tremava in gola.
Non immaginavo di avere una sorella, e fu come averlo scoperto per la prima volta.
"Molto probabilmente"
Affermò Leo.
Effettivamente anche io, esattamente come la ragazzina, mi ero ripetuta il nome "Sole" più volte nella testa, e vedendola, il suo mi era subito sembrato un viso familiare.
Sole mi si buttò addosso abbracciandomi. Era così tenera, ed il suo abbraccio mi diede sicurezza. Tutta quella di cui avevo bisogno per affrontare questa nuova, spaventosa, avventura.
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