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I

Mi svegliai.
Non avevo idea di quante ore avessi dormito, ma il mio corpo era del tutto indolenzito. Le gambe mi facevano male e tremavano per la fatica ad ogni mio movimento. Allungai una mano lungo la coscia e solo allora sentii che il mio corpo era totalmente gelido, al punto che le mani avevano perso sensibilità.

Aprii gli occhi di scatto, preoccupata di cosa stesse succedendo.
Non vidi niente.
Ero finita in una sala buia, decisamente molto umida ed il mio corpo stava congelando.
Non ricordavo nulla, né il perché fossi finita lì, né qualsiasi evento prima di ciò, come se la mia memoria fosse stata azzerata.
Mi alzai in piedi di scatto, a fatica, e battei la testa. Con un gemito caddi in ginocchio. Alzai lo sguardo, ma in mezzo a tutta quell'oscurità era difficile vedere qualcosa. Mi toccai la testa nel punto in cui avevo battuto ed una sensazione di sollievo si accese in me quando la mano gelida venne in contatto con la cute.
Alzai l'altra mano verso il soffitto, e capii con difficoltà che doveva essere molto basso, perciò era meglio proseguire a gattoni.
Mossi alcuni passi, fino a quando con la mano, nonostante la mia poca sensibilità al tatto, mi accorsi di star tastando della carne. La tastai meglio, nella speranza di capire più specificamente cosa fosse quella sostanza compatta e ossuta che mi ritrovavo davanti. Poco dopo capii. Era una mano. Era impossibile non riconoscerla. Si sentivano la superficie liscia delle unghie, le ossa delle dita e le nocche, aveva 4 spazi che separavano le dita l'una dalle altre ed un palmo liscio attaccato ad un polso piccolo e ossuto.
Non ero sola. Qualcuno era lì con me, ma non poterlo vedere in faccia per via della troppa oscurità mi metteva ansia. Non potevo sapere se quella persona, probabilmente femmina data la lunghezza delle unghie, fosse ancora viva o fosse ferita, e al pensiero di ciò, un brivido mi scese lungo la schiena e con paura e disgusto allontanai la mano che stavo toccando.
Proseguii gattonando ancora per un po', fino a quando non inciampai su qualcosa di ingombrante. Lo toccai leggermente ma ormai avevo capito di non essere sola. Probabilmente ero inciampata sul torace di qualcuno che stava ancora dormendo, esattamente come poco fa stavo facendo io prima del mio risveglio.
Proseguii ancora un po', non so quanto mi spostai dal punto in cui mi ero risvegliata. La stanza era buia, altri corpi erano sdraiati a terra, e per questo proseguii con cautela cercando di non pestarli. Poco dopo mi accorsi che nonostante il mio corpo fosse ancora gelido, l'aria che si respirava all'interno della stanza cominciava sempre a farsi più calda ed irrespirabile, al punto che, senza accorgermene, caddi per terra inerme.

Al mio risveglio, la scena che mi trovai di fronte era diversa.
La stanza non era più buia, ma brillava di una luce intensa che mi impediva di aprire completamente gli occhi. Aprendoli leggermente, vidi delle ombre sopra di me, delle sagome indefinite che giravano in tondo.

"È morta?"

"No, si sta svegliando!"

Sentii delle grida, delle urla, ma mi sembravano tutte voci molto lontane dal punto in cui giacevo io.
Lentamente, riuscii ad aprire meglio gli occhi e solo allora mi accorsi che le immagini che vedevo non si stavano muovendo,ma era la mia testa a girare e a farmi male. Misi a fuoco quelle sagome e notai che in realtà erano persone, attorno a me, che cercavano di svegliarmi.

"Stai bene?!"

Mi chiese un ragazzo dai capelli biondi toccandomi il viso.
La gola era secca e non riuscii a rispondere se non con un lieve movimento del capo.
"Si Simon, la ragazza sta bene."
Disse una donna al ragazzo, per poi voltarsi verso gli altri corpi inermi che sembravano cadaveri.

"Aiutiamo gli altri adesso."

Il ragazzo mi allungò una mano per aiutarmi a mettermi in ginocchio e quando gliela strinsi rimasi stupefatta che il mio tatto fosse tornato normale.

"G-g-grazie"

Dissi con fatica e solo allora mi accorsi di non ricordare nemmeno il suono della mia voce.
Spaventata, mi guardai attorno.
La sala era enorme, piena di gente sveglia che sembrava preoccupata di essere finita in quel posto. Probabilmente anche loro non ricordavano nulla della loro vita passata esattamente come non la ricordavo io.
Le persone continuavano a parlare ininterrottamente, si sentivano pianti, grida ed un vociare continuo e, a stento, si udiva in lontananza un rumore metallico che sembrava diventare più forte ogni secondo che passava.
Poi, il ragazzo si spostò per aiutare la donna.
In ginocchio riuscii ad osservare meglio quel poco che potevo vedere del mio aspetto fisico: i piedi scalzi e sporchi, le gambe magre ed ossute, i capelli castani e lunghi che mi scendevano lungo il seno, coperto da una veste leggera e sporca che probabilmente si fermava poco più su del ginocchio.
Mi spaventai quando vidi che il palmo della mia mano era completamente colorato di  rosso. Lo annusai. Odorava di sangue.
Improvvisamente mi tornò in mente la botta che avevo preso prima alzandomi in piedi. Chissà quanto tempo era passato. Mi toccai la testa e sentii i miei capelli unti e appiccicosi a causa del sangue ormai secco.
Dovevo essermi fatta molto male, eppure il mio corpo freddo mi aveva impedito di sentire troppo dolore.
Continuai a guardarmi attorno stordita. Ero preoccupata, tra tutti i volti presenti in quella stanza nemmeno uno mi era familiare. Non avevo ricordi della mia vita passata, non ricordavo nemmeno il mio nome e nemmeno avevo idea di come fossi finita qui dentro.
Sentivo il rumore metallico diventare sempre più forte sebbene non avevo idea da dove provenisse e mi sembrò che la stanza divenisse sempre più calda.
Iniziai a gattonare velocemente facendomi spazio tra la gente sveglia e quella accasciata a terra, nella speranza di trovare qualcosa o qualcuno che avrebbe potuto rinfrescarmi la memoria, ma nulla.
Il rumore si faceva sempre più forte, il suo suono era diventato fastidioso come quello di un allarme, e scandiva ogni secondo che passava. Dal fastidio, posai le mie mani sopra le orecchie. Alzai lentamente lo sguardo verso l'orizzonte. Mi sembrava di vedere una porta in lontananza ed attorno molte persone che cercavano di aprirla.
Poco più sopra, sembrava esserci un orologio.
Un piccolo schermo segnava "00:30".
Un secondo dopo, capii che non si trattava di un orologio, ma di un timer.
Restavano solamente pochi secondi, scanditi da questo fastidiosissimo rumore, e poi cosa sarebbe successo?
Mi accorsi che una lacrima scendeva lungo il mio viso e subito l'asciugai passandoci un dito sopra.
Non era il momento per farsi prendere dal panico.
Mancavano 5 secondi.
Sentivo il mio cuore scoppiare ed andare a ritmo con il suono fastidioso che riecheggiava ormai nell'immensità della stanza e si fermò solamente poco dopo, quando il tempo sembrò essere scaduto.
Per un instante non accadde nulla.
Poi, successivamente, la porta si aprì.

Le persone che come me erano rinchiuse in quella stanza erano restie a proseguire, eppure, dopo poco tempo, alcune decisero di entrarvi.
Li seguii.
Ormai ero talmente spaventata che nulla mi avrebbe messo ancora più paura.
Stare in quella stanza di certo non conveniva, c'era troppa gente, troppo caldo ed il soffitto così basso impediva di alzarsi in piedi per sgranchirsi le gambe.
Mi feci spazio tra la folla cercando di avvicinarmi meglio alla porta ed in poco tempo riuscii ad oltrepassarla.
Essa dava accesso ad una sala fresca, sicuramente meno calda di quella in cui ci eravamo svegliati e totalmente buia.
Il soffitto era alto e riuscii per la prima volta a mettermi in piedi. Non vedevo nulla, e la cosa non aiutava.
Misi un piede davanti all'altro barcollando leggermente, non mi ricordavo più come si facesse, ma fatti un paio di passi iniziai a camminare meglio, a stare in equilibrio in modo perfetto.
Mi voltai verso la porta ancora aperta. Una luce fioca filtrava nel buio della stanza.

"Entrate"
Dissi guardando i ragazzi posti attorno alla porta che mi guardavano con un misto di terrore e di stupore.

"Sembra tutto tranquillo"

Dissi, e sentii la mia voce rimbombare.
A quanto pare, questa stanza doveva essere molto più grande rispetto all'altra e sicuramente molto più vuota.
Quando i miei occhi si abituarono al buio riuscii presto ad intravedere facilmente altre sagome che come me vagavano in cerca di qualcosa.
Forse cercavano una via di fuga, eppure quel posto ne sembrava privo.
Gironzolavo per quella stanza senza una meta precisa, tastando le pareti fredde per capire meglio dove mi trovassi, quando ad un tratto, nell'oscurità della stanza, ci fu un lampo di luce ed una luminosa tv si accese al fondo.
L'immagine era fissa su un uomo sulla cinquantina.
I capelli brizzolati, la viso leggermente squadrato e con alcune rughe, gli occhi ormai spenti dall'età ed un ghigno stampato in faccia. Era un primo piano, che permetteva di poter vedere quell'uomo solamente dalla testa alle spalle, ma da quel poco che si poteva vedere, era evidente che egli fosse vestito con un'elegantissima camicia bianca con sopra una giacca di colore blu.

"Benvenuti partecipanti. Se state vedendo questo video, è perché vi siete svegliati dal lungo sonno."

Queste furono le prime parole che sentii pronunciare da quell'uomo, così strano, ma dal viso familiare.

"Troverete strano il fatto di ritrovarvi in un posto che non conoscete, di vedermi e soprattutto di non ricordare molto della vostra vita precedente, ma vi pregherei di prestare attenzione a ciò che vi dirò e di tenere da parte i vostri dubbi."

Fece una pausa, deglutì, e strinse le mani davanti a lui.

"Vi abbiamo rinchiusi qui per un esperimento."
Disse.
"Un esperimento seguito da molti scienziati e psicologi di tutto il mondo, ma di ciò non dovrei parlarne. Ciò che dovrete sapere è che presto sarete al sicuro. Vi trasporteremo in un campus e vi assegneremo casualmente a degli alloggi. I vostri compagni di stanza saranno la vostra squadra. Dovrete uccidervi a vicenda: solamente il team più forte riuscirà a sopravvivere e a fronteggiare tutte le migliori squadre dei 12 distretti."

A quel punto, tra la folla scattarono un brusio e delle grida di rivolta.

"Il vostro distretto è il numero 7"
Continuò l'uomo sullo schermo.

"Se osservate la vostra spalla, potrete vedere un segno, un marchio che abbiamo deciso di farvi quando ancora stavate dormendo. Questo segno è uguale per tutte le persone facenti parte dello stesso distretto."

Decisi di tirarmi su la manica della veste per osservare la spalla. La luce debole sprigionata dalla tv permetteva di farmi intravedere appena il tatuaggio che mi avevano fatto. Si trattava di una luna con un sette disegnato più in basso e accanto un nome: Kriss.

"Detto ciò, ci risentiremo presto."
Disse ancora l'uomo con lo stesso ghigno di poco prima, all'inizio del video.

"Cercate di restare in vita finché non vi daremo il via per iniziare ad uccidervi. Buona fortuna."
Disse, poi il televisore smise di dare segnali.

Eravamo tutti lì, ancora davanti allo schermo, paralizzati, il sangue gelato nelle vene, gli sguardi sbigottiti ed increduli. Ci guardammo, e capimmo che da quel momento il nostro incubo sarebbe iniziato.

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