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Il viaggio di Sascha pt.2

Mi risvegliai ancora con un leggero mal di testa. 

Mi ritrovai sdraiato su un letto di una casa apparentemente vecchia e sconosciuta, per nulla bella e pulita, a prima vista.

Mi accorsi di essere senza vestiti, e soprattutto di non avere indosso la biancheria. Tirai la coperta a me impaurito, chiedendomi come ciò potesse essere possibile, a casa mia non riuscivo a stare cinque minuti senza maglietta e lì ero totalmente nudo, in un letto sconosciuto.

Mi guardai intorno confuso, mentre cercavo di tenere dentro le emozioni che stavo provando.

Cercai di capire dove fossi finito.

Su un comodino lì di fianco vidi un bicchiere e dell'acqua, ne versai un po' e iniziai bere, ma non ingoiai, pensando potesse essere avvelenata, se non mi avesse fatto senso avrei anche sputato. Poi, giustamente, pensai del perché chiunque mi avesse fatto sistemare sul letto avrebbe dovuto avvelenarmi.

Non aveva senso.

Dunque alla fine bevvi.

Non sentivo rumori di gente che scappava, non sentivo rumori di esplosioni, non sentivo quasi niente, c'era un inquietante silenzio.

Ipotizzai che, forse, dopo ciò che era successo, ero l'unico a essere rimasto in vita, ma se così fosse stato, come ci ero arrivato lì? Chi mi aveva spogliato? Avrei mai potuto rivedere una partita del Napoli?

La mia mente iniziò a viaggiare in cerca di risposte.

Le immagini nella testa sembravano scorrere ad una velocità un troppo elevata.

Dopo un po' sentii dei passi, quindi mi voltai verso la porta, aspettandomi che qualcuno la aprisse nei secondi successivi.

E infatti, nella stanza entrò una ragazza.

Indossava un vestitino beige, credo, non sono bravo con i colori, molto trasparente, forse troppo, che metteva totalmente in mostra le sue… forme.

Ero imbarazzato, ansioso e terrorizzato.

Mi domandai chi fosse, mentre si avvicinava lentamente, ancheggiando. 

«Buongiorno. Io sono Stephanie» si presentò con molta cordialità.

Si sedette, dunque, sul letto con modi molto eleganti e provocanti, di fianco a me, che la guardavo con gli occhi spalancati. 

Temevo il peggio, ero davvero preoccupato, ma decisi comunque di presentarmi, «Io sono Sascha», e di fare una lunga serie di domande.

«È casa tua?» chiesi con non poco timore, mentre, nervosamente, muovevo le dita sotto le lenzuola.

Lei confermò. «Abito qui con mia madre.» 

«Lei sa che sono qui?» chiesi sempre più imbarazzato.

Stephanie raccontò che fu proprio la madre a trovarmi svenuto per strada e che mi portò lì, in quella casa.

«Ah. O-k. Do-do-dove sono i miei vestiti?» 

La ragazza arrossì. «I tuoi abiti? Li ho poggiati lì» disse indicando una sedia al lato del letto. «Pensavo volessi stare più comodo. Quindi te li ho tolti.»

Penso che in quel momento diventai completamente rosso. «Ah. È giusto, sì. Totalmente normale.» Con orrore notai che i miei panni erano anche piegati male. Che fastidio. Avrei voluto alzarmi e andare dritto lì per piegarli nel modo corretto.

Ma lei mi avrebbe visto senza niente addosso…

Fortuno che non mi alzai.

«Hai davvero un bel fisico» mi disse, così, all'improvviso.

Solitamente chi vedeva il mio fisico faceva altre considerazioni.

«Senti quando tu dici “qui”, cosa intendi? Qui siamo a...?»

«Parigi.» 

«Interessante» un viaggio lungo da Londra. «E sai parlare italiano?» domandai curioso.

«Italiano? Cos’è?» mi rispose confusa.

«La lingua italiana, dell’Italia…»

«Io parlo solo francese…»

Dovetti riflettere, forse ero ancora intontito.

Per sicurezza, posi una domanda strana. «E io che lingua sto parlando?»

«Francese…»

Poggiai la testa sulle mani e rimasi qualche secondo in silenzio. Iniziai a dire parole a caso nella mia testa, alcune italiane altre napoletane, poi le dissi a Stephanie.

«Allora?»

«Sì, parli francese» confermò di nuovo.

Non la presi bene, dovevo sembrarle veramente sconvolto. E in effetti lo ero, giustamente non sapevo spiegarmi il fatto che, senza accorgermene, riuscissi a parlare quella stupida lingua, senza offesa.

Anzi, offendetevi pure.

«Sei un ragazzo particolare» disse, mostrandomi un sorriso.

Dopo aver fatto questa scioccante scoperta le domandai se magari sapesse in che modo ero arrivato lì, e se fosse a conoscenza di qualcosa riguardo quella che sembrava essere un'invasione aliena. 

«Alieni? Cosa sono?» 

Dopo queste parole, iniziai a pensare che quella Stephanie fosse sempre stata fuori dal mondo. 

«Come? Gli alieni. Hai capito? Verdi, o grigi, brutti. Gli alieni» il suo sguardo non dava buoni segnali. «Hai un telefono? Potresti dirmi che giorno è oggi?»

«Oggi è il 12 luglio. Ma… cos'è un... telefono?»

«Come non sai…» stavo per chiederle come facesse a non sapere cosa fosse un telefono, ma in quel momento realizzai ciò che la ragazza aveva appena detto riguardo la data di quel giorno.

«12 luglio!? Era agosto, quando mi sono addormentato.»

Probabilmente avevo dormito per troppo tempo.

“E se fossi stato in coma in questi undici mesi? Intanto gli alieni hanno distrutto tutto, siamo arretrati e si sono perse le conoscenze che avevamo sviluppato… la mia famiglia… sono morti?”

«Forse hai preso una botta troppo forte. Colpa di qualche esplosione?»

Mi versai altra acqua, magari idratandomi sarei potuto essere più lucido.

Poi lei iniziò a pormi delle strane domande. «Tu eri lì? In piazza, in giro. Eri fra i rivoluzionari? Nella folla? Fuori la Bastiglia?»

Queste domande mi confusero ancora di più. Mi chiedevo cosa c’entrasse la Bastiglia.

«La Bastiglia? Che siamo nel 1789?» risposi, quasi ridendo per l’impossibilità della cosa.

«Sì, siamo nel 1789» lei però non rise, anzi, sembra serissima.

Mi paralizzai.

Mi appoggiai allo schienale del letto. Mi balenò l’idea che qualcuno, non so chi, mi stesse facendo uno scherzo.

“Un lavaggio del cervello? Magari gli stessi alieni. Non posso aver viaggiato nel passato… come poi?”

Qualcosa però che avevo dentro mi disse che ciò non era uno scherzo. Una strana sensazione mi diceva che tutto ciò che stava accadendo era realtà.

Cosa che ormai posso confermare, non ci sono più dubbi. Su quello, sulla “sensazione”,  anche se non ho idea di cosa fosse, precisamente. Sulla questione della lingua, invece, ne ho ancora molti.

Respirai affannosamente, il cuore mi batteva ad una velocità inimmaginabile. Ma mi ripresi velocemente, feci due respiri profondi e poi tornai a parlare con la graziosa ragazza seduta lì di fianco.

Ero calmo.

«1700... 89!? Nel pieno della rivoluzione francese!?» 

Dopo questa breve sfuriata feci altri due respiri profondi.

Ero calmo.

«Sei strano. Dici cose strane.» 

«Io? Dico cose strane? Puoi passarmi i miei vestiti, per favore?»

Stephanie stava per farlo ma quando mi guardò cambiò idea. La vidi girarsi verso i miei panni e, pochi secondi dopo, fissarmi senza battere ciglio. Decise infine di non prendere i vestiti ma di avvicinarsi ancora di più.

«Non stai bene?» le domandai dolcemente, almeno spero, ero un tantino impaurito.

Scossi la testa e provai a darmi delle spiegazioni, non per forza sensate. Non su Stephanie, ma sulla situazione circostante.

«Forse è stato qualcosa che ho bevuto alla festa.» 

Mi ricordai però di non aver bevuto niente alla festa e, soprattutto, di essere astemio.

«Forse qualcosa all'albergo. Forse l'esplosione...» 

Mentre continuavo a cercare una qualsiasi spiegazioni sensata, anche se ormai non sapevo più cosa potesse avere senso e cosa no, Stephanie era molto vicina e iniziò a baciarmi sul collo.

Smisi, immediatamente, di elencare le strambe teorie che stavo inventando, una di quelle dava la colpa ai piccioni, non ero molto a mio agio con il comportamento della ragazza.

«Ci stai provando con me?» le domandai guardandola, forse con un pizzico di timore.

«Perchè non ti piaccio?» domandò con un tono dolce, mentre si passava la mano tra i lunghissimi capelli biondi.

«No, non sto dicendo questo. Sei molto carina e socievole e aperta, sembra. Però non credi sia prematuro?» 

«Dai mia madre non è in casa, se è questo che ti turba» insisté Stephanie mostrando la sua sensualità. «Non tornerà prima di due ore. E tu sei così… affascinante.» 

Ovviamente apprezzai il complimento.

«Beh...  Lo sono. Solo che... io credo che... dovremmo... discuterne... parlare... delle possibili...»

Si mise a cavalcioni su di me, sulla coperta in realtà, e si tolse il vestitino, rimanendo completamente nuda.

“Proprio a me doveva capitare.”

Gattonò verso di me, che nel mentre provavo a indietreggiare.

Fortunatamente ci fu un rumore che attirò la sua attenzione.

«Mia madre.»

Velocemente si rivestì e andò via.

Mi guardai intorno e capii che potevo rivestirmi.

~~

Passò qualche oretta, la madre di Stephanie, Maria, era tornata a casa. Ci riunimmo per la cena.

Maria mi fece domande riguardo al luogo dal quale provenivo, sul perché fossi per strada svenuto, se sapessi come tornare a casa.

Risposi in modo vago, non sapevo bene come approcciare il fatto che, a quanto pare, provenissi dal futuro, il fatto che non sapessi come fossi arrivato lì e il fatto che non sapessi come tornare.

Toccando la tasca dei pantaloni mi accorsi di avere ancora i miei barattoli di disinfettante, mi sentivo meglio.

Mentre Maria e la figlia sparecchiavano la tavola, cominciai a sentirmi strano.

Tutto intorno a me sembrava fermarsi, come era accaduto prima dell'esplosione. 

Credendo fosse causa di un semplice mal di testa, salutai le due donne e andai a dormire.

Il giorno dopo mi alzai presto, avevo ancora quella strana sensazione alla testa della sera prima, uscii dunque a prendere una boccata d'aria.

Fuori, nel silenzio, mi sentivo molto a mio agio. Guardai il bel cielo azzurro, guardai il sole e ricordai che, in effetti, in quel periodo non esisteva il riscaldamento globale. Ma c'erano tanti altri problemi, come l'igiene.

Quella piacevole gita fuori casa venne interrotta dal ritorno di quel mal di testa, che, pareva, si facesse sempre più forte.

Tutto intorno sembrava fermarsi e poi riprendere. 

Mi piegai a terra per il dolore, mi tenevo la testa, sembrava che volesse scoppiare.

Migliaia di immagini apparvero nei miei pensieri.

Dopo attimi di estrema sofferenza, inspiegabilmente, mi ripresi del tutto.

Lì vicino notai, però, una cosa strana. 

«Questi fiori sono completamente immobili.»

Feci un passo verso di loro, ritrovandomi poi spiaccicato nel muro.

Mi alzai con attenzione e invitai, non si seppe precisamente chi, alla calma.

Guardai quel muro, lo studiai, e dedussi che quel danno arrecato era troppo insolito.

«Sono quarantacinque chili per un metro e sessanta, e nemmeno forse. Come posso aver distrutto sto muro?»

Gli diedi un colpetto, quasi mi ruppi la mano. Forse era il caso di tornare dentro.

Di nuovo, però, osservai quei fiori stranamente immobili.

Feci un passo verso l’abitazione di Stephanie, e della madre, e finii per schiantarmi di nuovo.

Mi rialzai compiendo lenti passi, cosa abbastanza complicata per me, quando scendevo con mia madre per le commissioni ogni tre secondi dovevo girarmi alle spalle e trovarla a un chilometro di distanza.

«Ci sto riuscendo, ci sto riuscendo...»

Alzai lo sguardo al cielo per trovare l’ennesima stranezza: un uccello che volava a rallentatore.

«Devo preoccuparmi?» mi muovevo avanti e indietro, il volatile rimaneva quasi fermo.

Solo quando mi fermai lo vidi muoversi in maniera normale.

Feci un passo e l’uccello rallentò, di nuovo, gli passeggiai sotto. Mi bloccai e lo vidi ripartire spedito.

Mi grattai la testa e mi strofinai gli occhi.

Feci altri test simili su due uccelli, su un uomo anziano e su una lucertola. 

Mi sedetti a riflettere.

Ero sicuro di non aver assunto sostanze di nessun tipo, ero sicuro di sentirmi bene. Quindi, o riusciuvo a rallentare il tempo o riuscivo a muovermi troppo velocemente per il tempo.

L’opzione giusta era la seconda.

«Lo credevo possibile solo nelle storie di fantascienza» dissi grattandomi il mento senza barba, liscio come… un bambino.

Sentii scorrere nel mio corpo una grande quantità di energia. Mi guardavo chiedendomi come potesse essere possibile.

Nel mio cervello scoppiò un'elevata agitazione mentre provavo a darmi spiegazioni. La mente iniziò a viaggiare ad una velocità allucinante, numerose, e inspiegabili, immagini mi passarono davanti agli occhi.

«Sto sognando? Forse sto dormendo. Sono ancora svenuto per terra a Londra e questa è la mia immaginazione. O forse sono morto?» 

«Non è un sogno» una sconosciuta e bassissima voce di una donna mi riportò alla realtà. 

In qualche modo quella voce mi donò sicurezza, tranquillità, serenità.

Incredulo osservavo la velocità con la quale si muovevano le mie mani, osservavo le cose intorno a me rallentare.

Così scoprii di aver il poter di muovermi ad una velocità inimmaginabile.

Abbozzai un sorriso, mi sentivo come… felice.

In quel momento, per qualche attimo, mi chiesi se sarei potuto diventare come quei personaggi che avevo visto nei film, nei fumetti, nei libri.

Avrei voluto condividere lo stupore.

Avrei voluto confidarmi subito con qualcuno, ma lì non c'era nessun amico, amica o parente, l'unica persona con cui avrei potuto farlo era Stephanie.

Dunque ci pensai un attimo. Lei era una sconosciuta di un'epoca passata, una sconosciuta che però pareva trovare piacevole la mia compagnia. Ovviamente.

Ero molto indeciso. 

«Tutto bene?» 

Mi voltai, Stephanie era lì, fuori la porta di casa, che mi osservava.

«Salve» salutai voltando la testa verso la casa.

Tornai a guardare davanti a me, poi mi girai completamente verso la ragazza e le andai incontro.

«Allora… tutto bene?» ripeté.

«Ehm…» mi grattavo il petto in cerca di una risposta. «Sì… Tutto a posto, non è successo niente di eclatante.»

«Sicuro?»

«Certo» le risposi con un finto sorriso. «Solo, mi chiedevo, siccome non so ancora come tornare a casa, se, per caso, se non sono di disturbo, se potessi…»

«Tranquillo» interruppe lo straordinario monologo che stavo per fare. «Puoi rimanere quanto vuoi.»

Le poggiai le mani sulle spalle, guardandola con occhi speranzosi. «Grazie Stephanie. Grazie.»

~~

Accettato ciò che mi stava accadendo, mi misi subito a lavorare e a prendere familiarità con le quelle mie nuove abilità. In qualche modo speravo che avrebbero potuto aiutarmi a tornare nel presente.

Usai tutta la mia conoscenza in materia, che derivava dai vari film, teorie. Cose che probabilmente non avevano niente a che vedere con la realtà, ma probabilmente sì, dovevo solo provare per capire.

Dopo nemmeno venti minuti già riuscivo ad avere un controllo sul quando correre e sul quando non correre. Nel tenere l'equilibrio e nella frenata avevo seri problemi, soprattutto nella frenata. Il muro che aveva colpito poco prima, lo disintegrai.

«Spero che conoscano un bravo architetto.» 

La testa mi consigliò di provare anche a correre sui muri, ma appena poggiai il piede su una parete, scoprii di non esserne capace.

«Ah... la mia povera schiena.»

L’idea successiva sembrava divertente: correre sull'acqua. Ci pensai per qualche secondo.

Alla fine gettai l’idea.

La fobia dell’acqua si fece sentire.

Decisi poi, non so secondo quale base, che mi ero allenato abbastanza, potevo prendermi una pausa per lo svago, per godermi questa gita nella quale mi ero improvvisamente ritrovato.

Facendo comunque attenzione, pensavo che se avessi fatto la cosa sbagliata avrei potuto cambiare il futuro.

Fra tutte le teorie che avevo dato, penso che fosse quella più sensata.

Iniziai la mattina di martedì 14 luglio.

A pochi passi dalla casa in cui ero ospite trovai uno di quelli che guidò il popolo insorto, Pierre-Augustin Hulin.

Lo seguii e, al momento giusto, mi avvicinai, con fare timido. Indosso avevo dei vestiti che Stephanie mi aveva prestato, li aveva comprati per un ragazzo di cui si era innamorata, ma fu rinchiuso in prigione. Non ho voluto sapere il perché.

Hulin si accorse di me e mi invitò ad avvicinarmi.

«Da dove venite giovane uomo?» domandò incuriosito.

«Da molto lontano» risposi vago, emozionato, ma attento a non farmi sovrastare dalle emozioni. «Ero qui in… vacanza. Ma poi è successo… ciò che è successo…»

«Giovane uomo, sono contento di averti qui al mio fianco, al fianco del popolo francese. Adesso andiamo a prenderci la Bastiglia.»

Guardavo meravigliato la folla in visibilio marciare decisa. Mi alzai il cappuccio in testa, misi una maschera e camminai al loro fianco.

Arrivammo lì, partecipai attento, concentrato, all'intero processo fino all'abbassamento del ponte levatoio.

Osservavo il tutto estasiato, ero un osservatore immobile, nel bel mezzo del casino più totale.

Fissai gli occhi sulla maestosa Bastiglia e su coloro che la circondarono.

~~

Nel mentre, tra la folla di civili dietro di lui, un’insolita donna, vestita con un insolito abito rosso e un cappuccio che le copriva il volto, lo osserva costantemente. 

Cautamente si faceva sempre più vicina al piccoletto e, allo stesso tempo, studiava gli eventi circostanti: una pallottola che venne sparata da una guardia reale, e un’altra guardia che correva verso il ragazzo.

Continuava a muovere passi verso di lui, cercando di capire se fosse necessario il suo intervento.

Ma, alla fine, si bloccò.

La pallottola, indirizzata alla spalla destra del ragazzo, appena arrivò a pochi centimetri da lui, venne colpita da una piccola scossa elettrica sprigionata dal suo corpo, e la guardia, che gli si avvicinava dalla sua sinistra, subì la stessa sorte.

Vista la situazione, la donna indietreggiò, perdendosi poi tra la folla.

~~

Mi voltai verso la guardia a terra.

«Tutto bene» gli chiesi piegandomi verso di lui.

L’uomo mi guardò confuso all’inizio, forse era sorpreso dal mio atteggiamento premuroso?

«Sì, grazie.»

«Stia attento, signore, ci saranno tanti tumulti in città.»

Lo lasciai, credo, in stato confusionale, e andai a invadere la fortezza insieme agli insorti.

Un casino pazzesco, mi feci largo, senza uccidere nessuno, poi scomparvi dal campo di battaglia.

Per il semplice “la testa così mi ha detto” andai anche a liberare i detenuti presenti. 

«Uscita anticipata, signori.»

«Cosa sta accadendo fuori, giovane?» domandò preoccupato uno dei prigionieri.

«La rivoluzione francese, amico… non hai studiato?»

Mentre i ribelli continuavano ad uccidere le guardie, uscii indisturbato dalla Bastiglia.

Mi misi a guardare le vicende da più lontano. 

Appagato, decisi di fare ritorno a casa di Stephanie.

Come prima gita poteva bastare.

Adesso era il momento di trovare qualcos’altro da fare.

Un paio di giorni dopo, quindi, riuscii a togliermi anche un’altra piccola soddisfazione: incontrare la regina Maria Antonietta.

Impacciato, ma cauto, mi avvicina a lei, senza farmi uccidere. «Quindi lei è la vera regina Maria Antonietta?» domandai, ancora abbastanza incredulo per ciò che mi stava accadendo.

«Perché, ne esiste una falsa?»

«Non saprei, per questo le ho posto la precedente domanda.»

«Che soggetto stravagante che siete. Da dove venite, bel giovanotto?» domandò la regina, mi era sembrato in tono provocante. Non sono in grado di dirlo con precisione.

«Signora, se le dicessi da dove provengo lei non mi crederebbe. Mi prenderebbe per pazzo.» 

«In questo periodo forse lo siamo un po' tutti.»

«Oh, regina… È da perdere la testa.» 

Inutile dire che avevo voluto incontrarla proprio per quel motivo.

Successivamente andai a incontrare Hulin, dopo aver ricevuto una lettera, che lasciò a casa di Stephanie. 

Il capo degli insorti si mostrò molto entusiasta nel rivedermi.

«Giovane uomo, sono contento di rivedervi» disse, infatti. «L'altra volta abbiamo fatto un buon lavoro.»

«Come mai volevate vedermi?» andai dritto al punto, con fare cortese.

«Il vostro essere così misterioso mi fa pensare che non sarà facile rivedervi. Allora… volevo darvi una cosa. Come segno di ringraziamento.»

Hulin prese una cosa da un mobile, un fodero dorato, dove all’interno c’era un pugnale: completamente in oro, punta affilatissima, grande circa 25 centimetri.

Affascinato da quell’oggetto, ringraziai Hulin. 

«Vi auguro ogni bene, piccolo Sascha.»

«Anche io a lei, signor Hulin. Entrerete nella storia.»

Dopo ciò mi concentrai sui miei poteri, facendo ogni tanto qualche giro in città.

Fino alla sera in cui decisi di provare a usare le mie nuove abilità per viaggiare nel tempo. Consideravo di essermi allenato abbastanza, nonostante fossero passati solo sei giorni.

Avevo intenzione di provare a viaggiare nel tempo. Anche se ancora non sapevo precisamente come, e se fosse stato possibile.

Stephanie non riusciva a dormire, entrò nella mia stanza e si sdraiò al mio fianco senza dire nulla.

Io sono uno dal sonno molto leggero, quindi, appena entrò, la sentii, mi svegliai e mi voltai subito verso di lei, con molta prudenza.

«Vuoi dirmi qualcosa?» le domandai mezzo addormentato.

«Sei sicuro che andrà tutto bene?» domandò con un tono di preoccupazione. 

Dopo l’avventura con la regina decisi di mostrarle i miei poteri, raccontandole anche tutta la verità. C’era stata qualche incomprensione, qualche difficoltà iniziale, ma alla fine lei accettò l’assurda verità che le posi davanti.

«Sei sicuro che funzionerà?»

Ammetto che non riuscivo a darle le giuste attenzioni, nemmeno a tenere gli occhi ben aperti, ero stanco. 

«Non del tutto… Ma ho fiducia.» 

«Perché rischiare se non ne sei sicuro? Non potresti aspettare un altro po’, così da esserne più sicuri?» 

«Non ce n’è bisogno» risposi in modo non così tanto comprensibile, per colpa del sonno. «Credo che questo sia il momento giusto.»

«Puoi dirmi qualcosa riguardo il futuro?»

«Purtroppo non posso. Potrei fare dei guai. Già l'aver interagito… mi sorprende che nessuno sia intervenuto a fermarmi o a portarmi indietro. Ma potrebbe essere che io sia l'unico essere umano a essere in grado di viaggiare nel tempo anche nella mia epoca. Non ti preoccupi che tua madre possa accorgersi che tu non sei nella tua stanza?»

«Mia madre ha il sonno pesante.»

«Ah... bene…» dissi afferrando le coperte e coprendomi quasi del tutto.

«Che ne diresti se faccessimo…»

Stava per chiedermi qualcosa, non so bene cosa.

Ma ormai mi ero addormentato.

~~

Era mattina, stavo per testare la mia teoria, correre così veloce da poter viaggiare nel tempo e tornare nella mia epoca.

Ero pronto. Diedi un veloce addio a Stephanie e poi mi recai fuori.

Alla fine dei conti, nonostante l'inizio leggermente traumatico, mi ero divertito a visitare una vecchia epoca, a interagire in essa.

Era stata bella anche l’amicizia con Stephanie.

Pensai che mi sarebbero mancati quei giorni all’insegna dell’anormalità, ma dovevo tornare al mio tempo, e capire cosa fosse accaduto con quegli alieni.

«Magari con queste nuove abilità potrei realizzare quel sogno di voler cambiare il mondo.»

Occhi fissi sulla strada che avevo davanti.

Le mani che non riuscivano a stare ferme, così come i piedi. 

Qualche respiro profondo e poi… Corsi. 

La mia idea… non funzionò. 

Corsi, e corsi, e corsi. Ma niente ero ancora lì.

«Avrò sbagliato qualcosa?»

Improvvisamente avvertii uno strano dolore alla testa, e un'incredibile dose di energia scorrermi per tutto il corpo. 

Mi piegai dolorante a terra mentre intorno a me succedeva qualcosa di inspiegabile.

Tutto si colorò di un grigio o un azzurro, era come se fossi intrappolato in un vortice.

Il dolore finì e riaprii gli occhi.

Avevo il respiro pesante.

«Sarà per l'asma?»

Mi ripresi un attimo e poi alzai lo sguardo.

«Ci sono riuscito?»

Ero in un altro posto, non ero più a Parigi.

Ero… non sapevo dov’ero, ma capii che non era la mia epoca.

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