Capitolo 9
9 settembre 1944. L’inglese era rinchiuso nel campo di concentramento di Rudzica.
Non l’avevano messo con gli altri prigionieri, era, da solo, in una piccola stanza buia. Gli avevano lasciato i suoi abiti, il pantalone marrone scuro e la camicia bianca, ma avevano preso il giaccone e il bracciale temporale che aveva nascosto all’interno, prima che lo catturassero.
Andò verso la porta, che aveva una piccola finestrella con le sbarre e chiamò l’attenzione delle guardie.
Ad avvicinarsi, però, fu il generale dal viso cadaverico.
Sbatté la pistola contro le sbarre, facendo sussultare l’uomo dal futuro.
«La prego, mi liberi, non sono un ebreo, uno zingaro, un omosessuale…»
«Ma sei un inglese» evidenziò il generale.
L’Inglese sospirò. «Sì, ma, non sono qui per conto del governo britannico. Devo catturare una possibile spia, vi starei anche facendo un favore.»
«Una spia?» domandò il generale. «Beh, perché non lasci che la catturiamo noi?»
L’Inglese rimase in silenzio, pensando alla risposta migliore da dare a quella domanda.
«Credi che qui abbiamo bisogno del tuo aiuto? Ci occupiamo noi di questa fantomatica spia, non preoccuparti.»
Il generale gli diede le spalle.
«Aspetta.»
Tornò a guardare l’Inglese.
«Almeno, potresti liberarmi?» chiese, alzando verso la finestrella, le mani bloccate dalle manette.
Il generale mise la faccia attaccata alle sbarre.
«No.»
L’Inglese rimase fisso a guardarlo mentre si allontanava. Doveva trovare un modo per uscire di lì, prima che il passato potesse essere modificato.
~~
Intanto, i ragazzi arrivarono nella città di Rudzica.
Sascha aveva non poche preoccupazioni. Si chiedeva cosa sarebbe potuto accadere se i suoi compagni avessero scoperto ciò che accadeva realmente lì, in quei campi?
“Quanto sarebbero rimasti sconvolti? E se ci scoprissero? Dovrei salvarli? Ma ciò implicherebbe la mia rivelazione al mondo passato” e ciò non poteva accadere, come gli avevano detto anche i signori dal futuro che aveva incontrato. Avrebbe dovuto sacrificare i suoi nuovi amici, la ragazza di cui era innamorato, pur di tenere intatta la linea temporale?
Girarono un po' a vuoto per la città, poi, finalmente, riuscirono ad arrivare al campo di concentramento.
Hans guardava quella grande costruzione come un pirata avrebbe guardato il suo tesoro.
«È lì che dovrebbe essere mio padre» disse, con la speranza che le sue parole fossero vere. Suo padre era lì, molto probabilmente, a pochi passi, l’assassino della sua bella, dolce e coraggiosa madre, solo perché aveva aiutato degli ebrei.
“È l’ora di fargliela pagare.”
Anche Greta stava ammirando il campo, non con la stessa enfasi o con gli stessi sentimenti con i quali lo stava guardando Hans. Lei era intimorita, agitata, avrebbe potuto rivedere le sue sorelle, ma in che stato? Le avrebbe potute trovare vive, ma c’era, forse, anche il rischio di trovarle senza vita. Scosse la testa, non voleva avere pensieri negativi, doveva rimanere concentrata e pronta a fare di tutto per portarle via, nel caso le avesse trovate.
Helene, al contrario, provava gli stessi sentimenti di Hans. Aveva un presentimento, Wilmut, l’uomo che aveva ucciso la ragazza che amava, era lì. Ne era certa.
Rudi, era più simile a Sascha, preoccupato, ma cercava di nasconderlo, e cercava di dare coraggio agli amici, soprattutto a Helene. Forse, dovette ammetterlo, provava qualcosa per lei. Ma la possibile relazione pareva troppo complicata. Ma avrebbe voluto provarci, prima di morire, possibilmente.
Sorgeva una domanda nella mente dei ragazzi: come entrare senza fare una brutta fine?
«Ci penso io» rispose Sascha, alzando la mano, correndo via e tornando dopo pochi secondi con delle uniformi naziste.
Non gli chiesero come le avesse recuperate. Trovarono un posto dove cambiarsi, nascosero per bene le loro cose tra dei rami colmi di foglie gettati a terra e andarono verso l'entrata del campo.
Quella di Sascha era, stranamente, molto più pulita. Gli stava larghissima, come ogni cosa che indossava, d’altronde.
«Siete assolutamente convinti di voler entrare?» insisteva, ancora, Sascha, sperando in un cambiamento di all’ultimo minuto.
«Sì. Entriamo dai» disse Hans, con molta convinzione.
Sascha rimase un attimo dietro, mentre loro già iniziarono ad incamminarsi. Li guardava sconsolato, scosse la testa, gli balzò in mente, per qualche secondo, l’idea di stordirli e portarli via, ma, per quel gesto, avrebbe perso la loro fiducia.
Forse stare lì ad aiutarli, era davvero l’idea migliore.
Entrarono, dunque, dalla porta principale, con un altro gruppo del personale che stava passando in quel momento lì vicino, fu abbastanza facile.
Tesissimo, una volta entrati dentro, Sascha poté tirare un sospiro di sollievo.
«Adesso dove può essere tuo padre?» domandò, frettolosamente, l'islandese.
«Non lo so» Hans provò a studiare velocemente la geografia del posto. «Tu sai, per caso, come sono organizzati questi campi?»
Sascha alzò gli occhi al cielo. «No, non lo so. Non faccio mica l'architetto.»
«Non sai mai niente» si lamentò il biondino. «Ci penso io» disse Hans dando le spalle ai suoi compagni e analizzando gli edifici, secondo strani criteri, per trovare quello in cui avrebbe potuto lavorare suo padre.
Rudi interruppe quella ricerca dicendo che, probabilmente, se si fossero divisi avrebbero potuto setacciare più velocemente quel posto enorme.
«Una considerazione che poteva tenersi per sé» borbottò Sascha calando lo sguardo a terra, vedendo, poi, quando rialzò il capo, gli amici già allontanarsi. «È un incubo.»
«Stare qui mi fa uno strano effetto. Mi vengono i brividi» ammise Helene.
La stessa sensazione la iniziarono a provare un po' tutti.
«Che bastardi» disse Greta, infuriata per ciò che vedeva. Ancora nulla in confronto alla totale realtà.
«È orribile. Trattare le persone in questo modo.» commentò, ancora, Helene.
Il gruppo, quindi, si divise, Sascha e Greta da una parte, Rudi ed Helen da un'altra e Hans da un'altra ancora.
~~
Durante la ricerca, Sascha si fermò ad osservare un gruppo che gli passò vicino. Vide i loro visi, esausti, tristi, avevano perso ogni tipo di speranza.
Volendo avrebbe potuto liberare tutti, forse anche abbastanza facilmente. Volendo avrebbe potuto liberare tutti i prigionieri rinchiusi in tutti campi di concentramento. Avrebbe potuto impedire la morte atroce di tante persone innocenti.
Volendo sarebbe potuto andare a Berlino e mettere la parola fine a quella guerra.
Era lì, con le giuste abilità per salvare quelle persone, ma era costretto a rimanere solo lo spettatore di uno spettacolo orrendo.
Greta si accorse che qualcuno stava venendo nella loro direzione e, perciò, avvertì il compagno, perso nei suoi mille, velocissimi, pensieri.
Sascha si voltò e si ritrovò un nazista davanti.
«Tutto bene qui?» domandò, stranito, il soldato.
«Sì. Tutto bene» rispose Sascha, mentre vide Greta coprirsi dietro di lui. «Va a farti un giro» aggiunse con tono scontroso.
Il soldato, come caduto sotto ipnosi, obbedì e si allontanò.
«Ti vedo turbato» disse Greta appena furono di nuovo soli.
Sascha non si voltò verso la ragazza, rimase fermo a guardare altri malcapitati che gli passarono davanti agli occhi.
«Scusami, è che sono convinto che non sia stata una buona idea venire qui.»
«Capisco come ti senti, è straziante vedere tutto ciò, persone trattate come schiave, è orribile.»
Sascha staccò finalmente gli occhi da loro e ritornò sulla ricerca.
«Tu potresti salvarli tutti? Potremmo…»
«No» rispose secco il ragazzo, notando il viso di Greta, la sua espressione sorpresa, davanti alla sua decisa negazione.
«Non adesso» rimediò subito. «Non siamo pronti, finiremo solo per fare più casini. Ma un giorno, sappi, che tutto questo finirà.»
“Finirà?” pensò tra sé il ragazzo ricordando, come giusto che sia, che finita questa guerra ne sarebbero iniziate tante altre.
La guerra fredda, le Coree, il Vietnam. Gli americani con la loro “democrazia” credendosi i padroni del mondo e i litigi con qualsiasi paese, il terrorismo, guerre civili ovunque, Israele e i suoi continui crimini contro l’umanità.
“Cose che potrei risolvere con i miei poteri.”
Perso nei suoi pensieri, Sascha camminò, dimenticandosi della persona che era al suo fianco.
«Sascha?» Greta non lo trovò più.
Fece un respiro profondo, deglutì e prese coraggio ad avventurarsi da sola per il campo.
Setacciò una buona zona, iniziando a capire meglio ciò che accadeva veramente in quel posto.
Per quello che sapeva, vedeva una condizione dei prigionieri ben peggiore, ciò che la toccò molto fu la visione di certe donne piangere, insanguinate.
La curiosità e la voglia di verità, spinsero la ragazza ad indagare.
Senza farsi scoprire, riuscì a parlare con alcuni “detenuti”. La indirizzarono in un posto preciso.
«Vuoi sapere cosa ci fanno veramente qui? Vai all’edificio grigio scuro vicino all'infermeria. Lì vedrai tutto più chiaro.»
Greta raggiunse quella costruzione grigia. Non passava nessuno da quelle parti, fortunatamente.
Entrò dentro.
Niente, c'era solo un'altra porta davanti a lei.
La aprì.
E così vide. Vide cosa accadeva agli ebrei, agli zingari, alle persone che venivano rinchiuse nei campi. Vide i corpi, vide i macchinari che usavano quei mostri per sterminarli.
Perse qualche battito, le faceva male il petto, le mancava l’aria, le tremavano le mani.
Senza fare rumore, chiuse tutto ed uscì. Respirava affannosamente, le girava la testa, la vista era offuscata.
Provò a chiamare colui di cui aveva bisogno, ma non le uscì la voce.
La situazione peggiorò quando andò a sbattere contro qualcuno. Alzò gli occhi e vide i soldati che entrarono in casa sua la notte che uccisero i suoi genitori e presero le sorelle.
«Scu… scusatemi» disse tremante e a voce bassa.
«Si sente bene?» domandò uno di loro, non riconoscendola.
«Sì, certo. Grazie» rispose Greta.
Li aveva riconosciuti.
Si allontanò da loro. Faceva anche fatica a muoversi.
~~
Hans si sentì toccare la spalla. Forse, più che toccare, gli era sembrata una puntura… no. Una scossa.
Quando si girò, vide Greta. Era uno straccio, non riusciva a camminare, sembrava affaticata.
Non ci pensò due volte, e corse in suo aiuto.
~~
Dall’altra parte del campo, c’erano Helene e Rudi che si imbatterono in un generale, adulto, dai capelli corti di colore biondo scuro, con dei folti baffi.
«Voi chi siete? Non vi ho mai visti.»
Helene disse subito che erano nuove reclute, e il generale ci credette subito.
«Mh… Bene. Io sono il generale Müller. Siete giovani. Avrete più o meno l'età di mio figlio Hans.»
Helene sbatté le palpebre.
Aveva sentito bene? Era il padre di Hans. Ci erano riusciti, l'avevano trovato, totalmente a caso.
«Hans? È un bel nome» disse la ragazza.
«Se avete bisogno di qualcosa, mi trovate nel mio ufficio.»
Müller gli diede le spalle e si allontanò, abbastanza indeciso. Si fermò a parlare con un soldato. Mentre discutevano lanciò un’occhiata veloce ai due ragazzi. Fecero un cenno di assenso e tornarono ognuno sulla propria strada.
Helene e Rudi si scambiarono uno sguardo, si capirono al volo.
E iniziarono, dunque, il pedinamento.
Pochi passi dopo, ritrovarono Hans e Greta.
Rudi li invitò a stare zitti. «Stiamo seguendo tuo padre.»
Greta, sorretta dall’amico, gli fece un cenno. Hans la lasciò camminare senza appoggio.
«Ce la faccio» disse Greta, ancora con voce bassa e tremante. «Seguiamolo.»
«Bravi» si complimentò Hans con gli altri due.
Seguirono Müller fino al suo ufficio.
Superarono facilmente la sorveglianza e arrivarono all'ufficio. Hans poggiò l'orecchio alla porta, non sentiva nessuno. Poi vide dallo spioncino, era solo.
Prepararono le armi ed entrarono.
«Mani in alto generale.»
Varcarono la porta prima Helene e Rudi, poi anche Hans e Greta.
«Salve, padre» esordì il biondino.
«Vai, Greta. Chiedigli delle tue sorelle» la incoraggiò Rudi.
Il generale era incredulo, suo figlio in compagnia di quelle persone, inferiori ai suoi occhi.
«Figlio. Chi sono questi?» disse deluso, inorridito. «E che diavolo stai facendo?» non riusciva a crederci. Il padre di Hans mostrava sul volto tutta la sua rabbia e nelle parola marcava il suo disprezzo.
«Loro sono miei amici!» gli urlò fiero Hans.
«Amici?» quell’affermazione lo fece ribollire ancora di più. «Dovrebbero essere tuoi schiavi. Noi siamo superiori!»
«Noi non siamo superiori padre. E vuoi sapere una cosa che ti darà tanto fastidio? Io aiutavo gli ebrei insieme alla mamma.»
«Lo sapevo, idiota!»
Hans si bloccò, non poteva credere a ciò che aveva sentito.
«Lo… lo sapevi? Perché l'hai uccisa allora? Perché haai ucciso mia madre e non hai fatto niente a me?»
«Perché dovevo? Tu sei mio figlio!»
Greta sentì dei passi. Non ebbe nemmeno il tempo di avvertire i compagni che entrò nella stanza il soldato con cui aveva parlato Müller poco prima accompagnato da tanti altri e, alle loro spalle, il generale dal volto cadaverico.
Helene lo riconobbe.
«Wilmut…»
«Voi non dovreste essere qui» disse Wilmut in tono minaccioso.
Sparò, senza battere ciglio, al petto del padre di Hans, uccidendolo.
«Perché lo hai fatto?» domandò Hans arrabbiato e sconvolto.
«Avrebbe parlato, conosce troppe cose.»
Il generale nazista li guardò uno a uno.
«Il vostro amico, Sascha, è con voi?»
Lo guardarono confusi.
“Come fa a sapere di Sascha?”
Helene, poco fiduciosa, vide un'unica via possibile, dunque, lanciò un fumogeno.
«Corriamo!» urlò Rudi, sparando a caso nel fumo per tenere lontani i nazisti.
Riuscirono ad uscire da lì, passando tra il fumo e i soldati storditi e scapparono dalla prima finestra che trovarono, fortunatamente, non era molto alto.
«Prendeteli!» ordinò Wilmut, indicando la finestra dalla quale erano usciti. Era eccitato, determinato, stava per incontrare il suo più grande nemico. Colui che aveva decretato la morte del padre.
Quasi in contemporanea, sia lui che Greta, avevano una sola domanda che gli girava nella testa: «Dove sei, Sascha?»
~~
Sascha passeggiava.
Sia per il freddo, sia per darsi un po’ quell’aria da tenebroso, che tanto gli piaceva, si era rimesso gli abiti che aveva procurato Hans per le missioni. Si alzò il cappuccio della giacca mimetica e lo scaldacollo, fino al naso. Provò a fischiare, ma gli uscì solo un suono sfiatato.
Andò verso una di quelle orrende costruzioni in cerca di qualcosa di buono da mettere sotto i denti, dopo aver già svuotato le cose personali di qualche importante ufficiale, ma trovò ben altro.
Si voltò alla sua destra, impietrito, guardava uno dei soldati in compagnia di una prigioniera semi nuda, aveva il seno di fuori, gli indumenti strappati. L’uomo aveva la cintura in mano e i pantaloni mezzi abbassati.
Quella vista portò a galla quel ricordo passato, che da sempre provava a cancellare.
«Allora?» disse, burbero, il nazista. «Che hai da guardare? Gira a largo! Trovatene una tutta tua!»
D’improvviso, fu come se il tempo si fosse fermato, le cose intorno a lui si muovevano con una tale lentezza da sembrare immobili.
«Il tempo non è che un’invenzione degli uomini, è una finzione, un’illusione» sentì alle sue spalle quella voce, quella donna, quella donna dai capelli rossi. «Chi sono loro per dirti cosa devi fare e cosa non devi fare? Come si può rimanere impassibili, dinanzi a queste azioni orrende? Solo perché “devono per forza accadere”.
«Si credono migliori di te. Non hanno la minima idea. Mostra loro chi è che comanda, punisci gli oppressori e libera gli oppressi. Corri, mio piccolo flagello.»
Tutto si mosse velocemente, poi, si tornò alla normalità.
Sascha aveva in mano il pugnale dorato, intriso di sangue. Ai suoi piedi, c’era il soldato nazista, senza vita, più a sinistra c’era, invece, la prigioniera, spaventata e ancora viva.
Sascha respirava affannosamente, guardò il corpo del soldato che aveva ucciso.
Aveva ucciso un uomo.
Il petto si gonfiava e si sgonfiava, gli occhi erano spalancati, non riusciva a crederci, non capiva bene come fosse successo, aveva tolto la vita a un uomo, aveva tolto la vita a un soldato.
Tornò sul sangue che gli colava sul guanto. Lo osservava curioso, lo studiava.
Realizzò.
Aveva tolto la vita a un nazista.
Il respiro si calmò, calò le braccia e guardò la povera donna maltrattata.
La donna si impressionò nel vedere gli occhi di Sascha, le sue iridi azzurre erano circondate da una sclera rossastra.
«Nasconditi» disse alla donna, con una voce piatta, priva di emozioni, ma fredda, che fece gelare il sangue della donna. «Scappa appena puoi.»
Guardò di nuovo il sangue che gli scorreva addosso, poi guardò verso il campo.
Era lì, in piedi, fermo a guardare, quando dei soldati arrivarono con i fucili puntati.
Arrivò un Comandante capo, più altro grado delle SS, un uomo alto e pelato.
«Cosa hai fatto?» ringhiò al piccoletto lì davanti.
Il suo corpo pareva emettere piccole scintille.
«Ti consiglio di arrenderti ragazzo, sei uno e noi siamo troppi per te.»
Sascha continuava a rimanere fermo, col pugnale sporco del sangue nazista.
Intanto arrivarono altri due Comandanti capo.
Sascha non li conosceva, ma erano i tre comandanti più temuti delle SS.
Il loro prestigio era riconosciuto a livello internazionale, i più bravi e valorosi soldati. Generali, comandanti degli eserciti Alleati, cadevano sempre quando si trovavano davanti loro tre.
Hitler si fidava molto di loro, erano super efficienti, come dimostravano i dati di quel campo di concentramento. Erano abilissimi combattenti, appunto, avevano ucciso tra i migliori nelle file avversarie.
Far fuori quel “mingherlino”, quel ragazzetto cagionevole, sarebbe stato un gioco da ragazzi, ne erano sicuri.
«Al mio tre sparate» disse il comandante pelato. «Voglio vederlo diventare una scolapasta, poi lo bruceremo, insieme agli altri.»
«Diamogli la giusta lezione che merita» disse il comandante con gli occhiali.
«Chi entra qui, oltre noi, non ne esce vivo» disse in tono minaccioso l’altro comandante, forse un po’ in là col peso per ciò che era il suo lavoro.
«Uno…»
Sascha strinse forte il pugnale nella sua mano.
«Due…»
Guardava con odio quei tre comandanti. Bramava il loro sangue, voleva le loro vite.
«Tr…»
Di nuovo, sentì quella voce.
«Uccidili tutti.»
«…e.»
Il comandante pelato si ritrovò col cuore infilzato. Sputò sangue e cadde sulle ginocchia, avendo di faccia il suo mietitore. Poté guardarlo per un breve secondo, infine, il corpo si accasciò al suolo.
I soldati spararono verso Sascha, che, però, si dileguò.
«Che stregoneria è questa?» domandò il generale con gli occhiali.
«Potrebbe essere uno di quei super soldati?» ipotizzò il comandante in carne.
«Impossibile, i super soldati non dovevano essere così.»
«Dove è andato» si guardarono attorno i soldati.
Videro solo una scia, che passò davanti a un gruppo di sei soldati, che caddero a terra, morti.
Si avvicinò verso i due comandanti, schivando vari proiettili. Era vero, erano abili.
Sascha sentì una potente energia scorrergli nel corpo, capì che qualcosa stava per accadere, dunque provò a controllarla e a indirizzarla verso i comandanti.
Un fulmine si schiantò vicino al comandante robusto. Crollò a terra stecchito.
Il comandante con gli occhiali era incredulo, come poteva essere vero ciò che stava accadendo. Era terrorizzato, ma cercava di nasconderlo.
Sascha gli arrivò alle spalle, passando attraverso il corpo, impugnando il pugnale, che nel passaggio aveva sfregiato i suoi organi interni.
Sascha fissò gli altri soldati arrivare in lontananza.
Alle sue spalle c’era la donna, con le braccia conserte e lo sguardo fiero.
«Li sterminerò tutti.»
~~
L’Inglese sedeva sul gelido e sporco pavimento di quella che, ormai, era diventata la sua cella. Quando un’esplosione lo fece balzare contro il muro al lato opposto.
Si rialzò subito. La testa e la schiena erano doloranti, ma, almeno, ora c’era un punto di fuga e le manette erano semi distrutte, fu facile rompere ciò che ne rimaneva e liberarsi.
Uscì fuori, non vedendo nessun soldato, ma trovando il suo giaccone, dove era ancora nascosto il bracciale temporale. Li indossò e si incamminò.
Sentiva, poco distante, un rumore di spari e esplosioni.
Si nascose dietro un muretto, poi alzò la testa per vedere dall’altro lato.
«Troppo tardi» disse rammaricato.
Davanti a lui c’era la devastazione.
Si rigirò, e consultò il bracciale. Doveva trovare il Viaggiatore e portarlo via, prima che facesse altri danni.
Ma quando attivò il bracciale, vide qualcosa di strano.
Non portava nessuna anomalia temporale.
Incredulo, riavviò varie volte il programma, ma il risultato non cambiava.
“La distruzione del campo di Rudzica non è un’anomalia temporale.”
«Non può essere.»
I libri di storia li aveva studiati migliaia di volte, e da nessuna parte si parlava della distruzione di quel campo di concentramento, nemmeno negli archivi più segreti.
Tornò a guardare la distruzione, mentre consultava il bracciale, che, improvvisamente, emise un segnale.
Sul display apparve un punto bianco, vicinissimo all’Inglese, era lui, il Viaggiatore.
Si guardò attorno.
Lo vide.
Sascha era in piedi su uno degli edifici dal quale scappavano numerosi prigionieri.
All’Inglese, quella posa fiera, autoritaria, imponente, che il Viaggiatore aveva mentre liberava gli innocenti, diede una sensazione familiare.
Il piccoletto saltò giù e andò ad affrontare gli altri soldati.
Infilzò il pugnale nel corpo del primo che gli andò contro. Mentre spingeva via il suo corpo arrivò un altro, pronto a sparare.
L’Inglese poté vederlo utilizzare il suo potere, poté vederlo muoversi così velocemente, e arrivare alle spalle del nemico che stava per mandargli una pallottola in testa.
Lo finì col pugnale, recidendogli il collo.
Era lui l’intruso, non potevano esserci dubbi.
L’Inglese lo osservava, rapito.
Dovette, però, girarsi quando sentì il rumore di uno sparo alle sue spalle.
Si voltò e vide Hans e gli altri.
«Sta bene?» domandò il biondino, che lo aveva appena salvato.
«Sì» li guardò sconvolto l’Inglese, per poco non veniva ucciso. «Grazie.»
I ragazzi si voltarono, stavano arrivando i nazisti.
«Forse è meglio se viene con noi.»
L’Inglese, immobile a terra, mosse la testa e, finalmente, si alzò.
«Forza, ci segua.»
~~
Wilmut arrivò all’esterno. Devastazione, morte, i prigionieri che correvano impauriti verso una possibile libertà.
Poi, ecco che lo vide.
Arrivò, fulmineo, davanti ai suoi occhi, sporco del sangue dei suoi colleghi.
Sascha notò il suo sguardo, era furioso.
Il generale Wilmut aspettava da tanto quel momento. Avere Sascha davanti agli occhi, sputargli in faccia tutto ciò che aveva fatto a sua padre e, conseguentemente, a lui. Farlo soffrire e, infine, ucciderlo.
Ma era paralizzato, non riusciva a fare o a dire niente, era finalmente lì, davanti a lui, era alla sua portata, ma niente.
Altri soldati andavano verso Sascha, che li anticipò, andandogli incontro e dandogli il ben servito.
Wilmut scosse la testa, ricaricò la pistola e provò a seguire il ragazzo.
~~
Hans e gli altri arrivarono nel mezzo del casino totale. Guardavano, sconvolti, i disordini che stavano accadendo in quel campo.
A terra era pieno di corpi di soldati morti.
«Questi erano tre Comandanti Capo» informò Hans. «I preferiti di Hitler.»
L’Inglese controllò, di nuovo il bracciale, ma non era cambiato nulla.
Prigionieri in fuga, alcuni, però, li videro anche a terra, senza vita.
«Che diavolo è successo?» Rudi non riusciva a crederci.
«Che sia stato…» Helene non volle continuare la frase.
«Troviamolo» ordinò Greta.
Lo trovarono più avanti.
Sascha stava prendendo a pugnalate un nazista.
Provarono a chiamarlo, ma non sentì. Provarono di nuovo, ma niente.
Non sapevano se avvicinarsi sarebbe stata una buona idea, Sascha sembrava aver perso il controllo.
Ma Greta rischiò.
«Sascha!»
Il ragazzo si fermò e si voltò verso di lei.
Respirava affannosamente e i suoi occhi iniziarono a schiarirsi.
Guardò i suoi compagni, e lo strano uomo che si era aggiunto. Iniziava ad avere un respiro più regolare.
«Vieni» Greta gli porse la mano. «Dobbiamo andare.»
Sascha esitò, guardò il nazista sotto di lui, col volto sfigurato dalle pugnalate.
Tornò da Greta, la guardò attentamente, lei gli sorrise.
«Andiamo via, Sascha.»
Le prese la mano e la seguì.
Con l’allarme che continuava a suonare incessante, i ragazzi, e l’Inglese, riuscirono ad arrivare alle mura.
Sascha fece uscire tutti, uno ad uno, facendoli passare attraverso il muro, esitando quando fu il turno dello straniero.
Fuori recuperarono le cose che avevano nascosto.
Alcuni soldati li raggiunsero e iniziarono a sparargli.
Sascha e i compagni provarono a ripararsi dai colpi, ma i nazisti aumentavano e si avvicinavano sempre di più.
Sascha iniziò a sentire qualcosa dentro di sé, una strana e potente energia.
Sott'occhio notò, ancora, la strana presenza di quella donna dai capelli rossi. I suoi occhi accesi non smisero di fissarlo. Ciò non lo faceva sentire a suo agio.
L'energia dentro crebbe, fino a fuoriuscire dalla sua mano per andare ad investire i nemici.
Nel casino, nella vasta distruzione, riuscirono a scappare.
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