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Capitolo 22

Quando la catapecchia abbandonata esplose, Sascha e gli altri erano già fuori.

Impugnarono le armi e corsero verso due edifici più avanti, passando per il lato opposto a quello che dava sulla strada.

Arrivati abbastanza distanti, Hans buttò uno sguardo verso i nemici.

I nazisti erano alle porte di quella cittadina, ancora vicini alla prima casa. Riuscì a vedere anche Wilmut tra loro.

«Penso che non sapessero che eravamo lì» dedusse il ragazzo mentre studiava le loro mosse. «Butteranno giù tutti gli edifici finché non ci troveranno.»

«Noi o i nostri corpi» sottolineò uno dei soldati.

«Possiamo fuggire?» domandò un altro.

«Difficile» rispose Hart. «Dovremmo essere silenziosi e svelti, tenendo conto che loro sono più di noi, hanno dei mezzi e che dovremmo correre non si sa per quanto prima di raggiungere un posto sicuro.»

«Combattendo avremmo più possibilità?»

Hart sbuffò. «Può essere di sì…»

Nessuno di loro trovò convinzione nelle sue parole.

Posarono i sacchi e presero tutte le armi che poterono.

Hans si affacciò di nuovo.

I nazisti si stavano allontanando dalla prima casa, stavano per far esplodere la seconda.

«Se vogliamo provare a scappare dobbiamo muoverci.»

Helene fece da aprifila e iniziò a camminare verso l’interno della piccola cittadina.

Tutti la seguirono, mentre sentirono il rumore dell’esplosione.

«Sangue freddo, ragazzi» sussurrò Hans.

Sascha era nella parte finale della coda che seguiva Helene. Il corpo si muoveva in simultanea con loro, ma la mente era da tutt’altra parte.

Sguardo fisso a terra, vuoto.

Nella sua testa scorrevano velocemente immagini che non riuscì bene a decifrare. Sembrava fossero visioni di ipotetici futuri.

Greta era al fianco di Rudi, poco più avanti.

Entrambi, di tanto in tanto, si voltavano indietro e osservavano l’islandese.

Si scambiavano degli sguardi preoccupati, indecisi, vedevano che era perso. Era come se fosse un zombie, privo di anima e cervello.

Solo un semplice corpo che camminava.

Le immagini nella testa diventavano sempre più nitide.

Sascha vedeva una figura avvicinarsi.

La vedeva saltare.

Alle loro spalle.

Per poi attaccarli.

Il vociare delle persone davanti a lui si mescolò a quelle immagini.

Vedeva quell’uomo.

E lo rivedeva.

E lo rivedeva.

Saltava alle loro spalle per attaccarli.

E lo fece di nuovo.

E ancora.

E ancora.

Seguì l'istinto.

Sascha si voltò rapido, impugnando il pugnale e trafiggendo l’uomo che era saltato alle loro spalle.

Guardò la sua testa infilzata, cercando una spiegazione a ciò che era appena successo.

«Ci hanno trovati» disse uno dei soldati.

I nazisti li raggiunsero e iniziarono a sparare.

Il gruppo corse ai ripari, mentre Sascha rimaneva fermo, davanti ai nemici.

C’era qualcun altro con loro.

Avvertì il suo arrivo.

Sentiva la sua corsa pesante, il suo fiato.

Arrivò sfasciando un edificio intero. Un uomo alto più di due metri, era muscoloso, il suo volto era rosso, gli occhi erano spiritati.

Ci erano riusciti, avevano formato un Super soldato.

«Steve?» domandò Sascha.

L’omone ruggì verso di lui.

Sascha alzò il cappuccio e lo scaldacollo, pronto per affrontarlo.

Gli corse contro.

Il Super soldato si girò di profilo, facendolo, dunque, sbattere sul grosso braccio.

Sascha indietreggiò intontito per la forte botta, poi ritentò.

Il Super ripeté la stessa mossa precedente, ma il piccoletto non affondò il colpo, bensì saltò su di lui e ci si arrampicò, fino ad arrivare alle spalle.

Lo colpì con una ginocchiata e scese, mentre lui barcollava mezzo stordito.

Scosse la testa per riprendere il controllo.

Guardò inferocito il ragazzo, prese la carica e corse contro di lui.

Sascha schivò facilmente, gli andò alle spalle e gli diede un calcio sul polpaccio.

L’omone gridò per il dolore, ma si ricompose subito.

Sascha gli corse di nuovo contro.

Ci si arrampicò sopra, mirando ancora alla testa.

Ma il Super soldato lo aveva intuito.

Allungò la mano sinistra sulla sua schiena, ma il piccoletto gli scivolò via. Allungò, quindi, la destra e riuscì a prenderlo. Lo portò davanti ai suoi occhi e nel mentre avvicinò, con forza, il braccio sinistro alla sua piccola testa.

Il collo di Sascha fece una torsione innaturale, mentre il Super soldato lo colpì un’altra volta, poi lo lanciò contro un edificio, già mezzo distrutto.

Sascha alzò la testa verso il nazista gigante, che lo guardava con un gran sorriso sulla faccia.

Si voltò alla sua destra, dopo aver udito uno strano sibilo, e vide un razzo venire contro di sé.

Il Super soldato si avvicinava alle macerie soddisfatto, quando, improvvisamente, sentì una strana fitta nello stomaco e volò via, sopra un paio di soldati.

Riprese i sensi dopo lo schianto, alzò la testa e vide Sascha, sopra di lui, che impugnava il suo scudo.

~~

Mentre Sascha stava ingaggiando il combattimento col colosso, Hans e gli altri indietreggiavano ancora.

Si andarono a ripare dietro un altro edificio.

Uno dei ragazzi venne preso alla spalle da un proiettile e cadde a terra.

Hans, lo afferrò e lo trascinò al riparo, mentre un altro dei ragazzi ed Helene davano copertura.

Appena furono al riparo, il ragazzo che li aveva coperti venne colpito da un proiettile dritto alla testa.

Tutti rimasero pietrificati per qualche secondo.

«Sangue freddo, ragazzi» provò ad incoraggiarli Rudi. «Sangue freddo.»

«Dove sono Hart e Sascha?» domandò Greta.

«Sascha sta combattendo quello che credo sia un Super soldato» la informò Hans. «Hart l’ho perso.»

«Andrà tutto bene» provò a dire Helene.

«Andrà tutto bene» la seguì fiduciosa Greta.

«Sta arrivando…»

Helene e Hans si affiancarono a Rudi e lo videro.

«Wilmut.»

Avanzava, tranquillo e indisturbato, verso di loro.

~~

Il Super soldato si rialzò infuriato.

Emise un altro ruggito, ma Sascha rimase immobile a fissarlo.

Il nazista gigante caricò e si fiondò su di lui.

Appena fu quasi vicino, Sascha svanì.

Si guardò intorno e lo trovò alla sua destra.

Gli corse di nuovo incontro, ma Sascha andò via.

Girò e rigirò su se stesso, con gli occhi carichi di energia.

Lo vide, ringhiò e prese a correre.

Sascha si fece inseguire per un bel po’. Il Super soldato iniziava a risentirne.

All’ennesima volta, però, Sascha non scappò via.

Gli andò incontro.

Si fermarono l’uno davanti all’altro.

Sascha con la faccia quasi incastrata nel suo addome e lui che fissava il vuoto sopra la testa del piccoletto.

Serrò le labbra, ma non riuscì a trattenersi.

Sputò sangue.

Sascha tirò a sé il pugnale, che era stato conficcato all'altezza del cuore.

Il Super soldato dondolò un po’, poi crollò a terra, senza vita.

Sascha girò la testa e vide in lontananza Wilmut entrare in un edificio e dietro di lui, Hart.

~~

Wilmut era seduto su una poltrona, ingrigita dalla polvere.

«Sei ancora vivo» disse Hart, mettendo piede nella stanza.

«Michael…»

«Conosci il mio nome?» domandò, confuso, l’uomo dal futuro.

«Ti sorprende?»

Hart tirò fuori, lentamente, la pistola, mentre notò che lui era disarmato.

«Come fai a saperlo?»

Wilmut sorrise e si mise una mano sul volto.

«Oh, Hart… così ingenuo…»

L'Inglese lo guardò con espressione confusa.

«Tutto questo, Hart», disse scuotendo la mano con l’indice puntato, «è già successo.»

«In che senso è già successo?»

Wilmut gli rise ancora in faccia.

«La guerra, Sascha… era tutto già scritto.»

Hart abbassò il braccio che teneva la pistola in mani, Wilmut se ne accorse e senza farsi notare avvicinò a sé quella che aveva nella tasca posteriore della cintura.

«Per qualche ragione che non mi hanno spiegato, lui era qui. Ci fu la guerra e poi ci fu Sascha. Tutto quello che sappiamo sulla guerra, tutto quello che è successo… è stato Sascha.»

«Impossibile» scuoteva la testa Hart, non riusciva a credergli.

«Dici?» Wilmut sembrava divertito nel vedere il volto confuso dell’Inglese. «Perché le Wunderwaffen non erano mai nate? Per Sascha. Perché non si parla mai di Rudzica? Per Sascha. Perché i tedeschi non riuscirono a costruire la bomba atomica? Lo avevano, Hart. Lo avevano fatto. Ma, inconsapevolmente, il piccoletto l’ha resa innocua.

«Perché la guerra non è stata vinta dai nazisti?»

«Perché c’era Sascha?» concluse Hart, con lo sguardo fisso verso il pavimento.

Wilmut allungò il braccio all’indietro, prese la pistola e la nascose sotto al giaccone.

«E i miei superiori…»

«Sapevano tutto.»

Quanto avrebbe voluto averli vicino. Oltre a mandare l’umanità verso l’estinzione giocavano anche col tempo.

«Tu cosa c’entri?»

«Io servivo per uccidere il piccoletto, lo odiano più di ogni cosa al mondo, come me.»

«Perché dovresti odiarlo?»

«Nel futuro al tuo amichetto piacerà fare certi giochetti» iniziò a raccontare. «Spedì mio padre qui, in uno dei campi di concentramento, lo andò a mettere in una delle camere a gas.»

«Impossibile» era certo di dire che Sascha non avrebbe mai fatto una cosa così atroce.

«Oh, Michael. Al tuo amico piace tanto punire neonazisti, neofascisti, razzisti, pedofili anche in modi atroci.

«Ma mio padre sopravvisse, riuscendo a convincere tutti che fosse uno di loro. E così… ebbe me.»

«Perché ucciderlo?» Hart era sempre più confuso, aveva sempre più domande. «Cambierebbe la linea temporale. Anche la tua.»

«Sanno già come fare. Inglese ingenuo, avevano preparato tutto.»

Un fulmine invase la stanza.

Sascha si era unito a loro.

«Ecco il piccoletto» lo salutò Wilmut. «Incredibile, hai ucciso il Super.»

«Preparati a subire lo stesso trattamento.»

Sascha caricò il suo corpo, ma Wilmut lo interruppe.

«Credo che prima ti servirà sapere ciò che è successo lì fuori, Sascha. Non senti?»

In effetti, non sentiva più il grosso casino che c’era fino a poco prima.

Wilmut girò il polso e guardò l’orologio.

«Circa… oh… Più di cinque minuti fa ho sparato ai tuoi amici. Ormai saranno tutti morti.»

Sascha sgranò gli occhi.

Guardò Hart, poi tornò da Wilmut.

Sentì le gambe tremare, il cuore che batteva come se volesse scoppiare.

Corse fuori.

Si fermò in mezzo ai nazisti, che si voltarono subito con le armi pronte a sparare.

Ma si fermarono.

Così lenti da sembrare immobili.

Sascha era in mezzo a loro.

Abbassò cappuccio e scaldacollo, si piegò sulle ginocchia, aveva gli occhi lucidi, si sentiva come se gli mancasse il respiro.

Si rialzò e guardò dritto davanti a sé.

“Cinque minuti.”

Chiuse gli occhi.

Fece qualche respirò lento.

Riaprì gli occhi e corse.

Si aprì il wormhole, lo attraversò e ne uscì fuori in poco tempo.

Si guardò intorno.

Ci era riuscito, aveva viaggiato nel tempo, nel passato, andando nell’istante che voleva.

Vide davanti a sé Hans, Helene e Rudi.

«Indietro» urlava Hans. «Indietro.»

«Helene» la afferrò Rudi, riparandosi dietro la carcassa di una macchina nazista. «Se queste sono i nostri ultimi momenti, vorrei dirti che… beh, che io ti amo.»

Helene non disse niente, lo guardò fisso negli occhi, poi lo tirò a sé per baciarlo.

«Conbattiamo fino alla fine» lo incoraggiò lei.

Li chiamò.

Hans lo vide ma lo invitò a non intervenire.

«Stai indietro!» gli diceva. «Torna a casa. Mantieni la promessa.»

Anche Helene e Rudi lo videro.

Gli sorrisero. Gli fecero segno di andarsene.

Lui non lo fece, rimase lì ad osservarli, mentre una pioggia di proiettili cadeva sui loro corpi.

Sascha si immobilizzò.

Era sconvolto.

Avvertì poco distante la presenza di Greta, ciò lo riportò alla realtà.

Quando arrivò da lei, però, era troppo tardi, Wilmut lo aveva fregato.

Greta era seduta a terra, lacrimante, con tantissimo sangue che usciva dall’addome.

«Greta…» provò a dire il ragazzo con voce strozzata.

«No, non piangere Sascha» gli chiese lei, mentre tratteneva il pianto. «Devi essere forte, amore mio.»

Allungò una mano sul suo viso freddo.

«Devi resistere, mio piccolo Sascha. Ricorda la promessa che mi hai fatto.»

«Come…» la tristezza prese il possesso del suo corpo, le lacrime gli bagnarono il viso. «Non posso lasciarvi…»

«Sascha» lo interruppe lei. «Non sentirti in colpa. Noi siamo artefici del nostro destino. Se non fosse stato per te saremmo morti molto tempo fa.»

«Non puoi dirlo.»

«Invece sì. Guardaci, avremmo fatto questo anche senza di te e per noi sarebbe stata la fine. Tu ci hai donato una vita più lunga, una vita migliore, ti ci hai dato speranza.»

Sascha si portò una mano sugli occhi, nel tentativo di cessare il pianto. «Io non voglio perdervi. Non voglio perderti.»

«Shh…» Greta gli accarezzò il volto. «Ricorda la promessa.»

Sascha mosse energicamente la testa su e giù.

«Non voglio che tu mi veda morire.»

«Va bene» disse annuendo.

«Ti amerò per sempre, Sascha.»

«Ti amerò per sempre, Greta. Non ti dimenticherò mai.»

Greta lo tirò a sé per un ultimo bacio.

«Addio.»

Sascha si alzò.

Davanti a lui c’era la donna.

«Vendicali, mio piccolo Sascha.»

~~

Appena Sascha se ne andò, Hart tornò a fissare in cagnesco Wilmut.

«Sei un mostro» gli ringhiò contro.

«Sai, Hart. Sascha non era il mio unico obiettivo.»

«Ah, no?»

Wilmut scosse la testa, mostrando sempre quell’indelebile sorriso.

«Mi hanno dato il permesso di uccidere anche te.»

Hart non poté crederci.

«Cosa che in realtà cercano di fare da tempo. Come fecero con quei tuoi amici che stavano indagando troppo.»

«I mie… i miei amici?»

«Andiamo, Hart. Sei davvero poco sveglio.»

Hart, facendo qualche passo per la stanza e dando le spalle a Wilmut, si passò una mano tra i capelli.

Adesso tutto aveva senso, la loro inspiegabile e sospetta morte, nel periodo in cui compivano indagini sull’invasione aliena che avrebbe dato inizio alla fine della vita umana.

«Loro collaboravano con quell’eroe che tanto ami» aggiunse Wilmut, alzandosi dalla poltrona e tirando fuori la pistola. «Loro erano come lui, erano suoi discepoli, avevano dei poteri.»

Hart si considerò uno stupido, si era fatto prendere in giro con una semplicità incredibile.

Strinse i denti e guardò la pistola che aveva in mano.

Era ora di farla finita.

Si voltò di scatto verso Wilmut.

Entrambi spararono.

Wilmut sorrideva ancora, Hart invece si accasciò a terra, lasciando andare la pistola e tenendosi il fianco.

Wilmut gli si avvicinò, mentre caricava il colpo di grazia.

«Finito te andrò a finire il ragazzino. L’essere più pericoloso dell’intero universo. Ci credi, Hart?»

L’indice spingeva contro il grilletto.

«Lo hai sempre avuto…»

La canna spingeva contro la tempia.

«… davanti a te…»

Partì lo sparo.

Il tempo si fermò.

Il proiettile era entrato nella testa di Hart.

Tutto si mosse all'indietro.

Hart strinse i denti e guardò la pistola che aveva in mano.

Si voltò di scatto verso Wilmut.

Entrambi puntarono la pistola verso l’altro.

Partì uno sparo, ma i due non ebbero il tempo di premere il grilletto.

Un proiettile penetrò nel braccio di Wilmut.

Il generale nazista non ebbe nemmeno il tempo di guardare la ferita che vide Sascha, con in mano un vecchio revolver, saltargli addosso, afferrarlo per la testa e trascinarlo via, passando attraverso varie case e arrivando in mezzo ai soldati nazisti.

Wilmut fece un bel volo contro un carro armato, provocandone anche l’esplosione.

I soldati nazisti furono presi alla sprovvista.

Provarono subito ad impugnare le armi, ma Sascha li anticipò.

Sparò velocemente i colpi rimanenti del revolver, mandandoli tutti a segno.

Posò la pistola e si armò di pugnale e scudo.

Corse contro gli avversari, così velocemente che per loro fu impossibile accorgersi di lui.

Era diventato come una forza invisibile.

Cadevano come le foglie in autunno.

Con una facilità disarmante.

Il sangue schizzava da tutte le parti. Grandi pozze si formavano a terra, inondando i corpi.

Quelli “fortunati” vedevano i loro compagni venire massacrati dal nulla, prima che arrivasse il loro turno.

Tagli profondi si formavano sui corpi, sui visi, senza nemmeno avere il tempo di capire o vedere cosa gli fosse successo.

Fu uno spettacolo raccapricciante.

~~

Wilmut si rialzò.

Zoppicante e infuriato provò a correre verso Sascha.

Prese da terra un fucile legato al cadavere di uno dei suoi vecchi soldati.

Vide la sua preda.

Alle sue spalle si aprì un wormhole.

Venne afferrato e trascinato all'interno.

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