Prologo
La pazzia e la sofferenza sono incatenate fra loro da una spessa corda di disperazione.
È un cappio intessuto di segreti e patimenti, una solida fune di affanni.
Molti pensano che il dolore renda pazzi, tuttavia allora io, che l'ho conosciuto molto presto e ho sentito le sue spire stringermisi intorno e intrappolarmi, dovrei già essere impazzita.
Ho sempre immaginato il mio dolore come tante tenebre che mi si attorcigliavano nel corpo, come delle disgustose sanguisughe che mi risucchiavano l'energia vitale, eppure non è sempre stato così, io e lui, ormai mio fidato compagno, non siamo sempre andati a braccetto.
C'è stato un tempo in cui il mio corpo mi apparteneva ancora, un breve momento in cui non ero intrappolata in un fisico all'apparenza tonico e giovane ma così stanco dentro, un periodo di cui conservo solo una labile memoria.
Quando avevo tre anni, per esempio, pensavo che avrei avuto un futuro nel cinema.
A cinque, reputavo di esser portata per il canto.
Sono ricordi così vecchi che a volte spolverarli è difficile, eppure sono tutto ciò che rimane delle mie speranze, di ciò che un giorno sarei diventata.
A sei,presi la mia prima lezione di ginnastica artistica e scoprii che forse quella era la mia strada.
Tre anni dopo, molto prima che la mia vita andasse in frantumi, decisi che da adulta tutti mi avrebbero conosciuto come la più grande ginnasta della storia.
Ricordo quegli anni con una luce diversa rispetto alla patina luccicante che di solito ricopre gli anni dell'infanzia, li conservo e bramo come il mio più grande tesoro, li catalogo e li rivivo per essere sicura di non dimenticare nulla, perché sono tutto ciò che rimane della vecchia me, di quella ragazzina che ancor sognava.
A quattordici anni caddi dalla trave subendo un infortunio e iniziai a sentire le soffocanti grinfie del dolore perenne avvolgersi intorno a me. Le sentivo strisciarmi sotto la pelle, un peso estraneo che volevo soltanto che scomparisse...
A quindici, capii che il dolore non sarebbe andato via.
A sedici, compresi che i dottori non potevano aiutarmi.
Stavo annegando nella mia disperazione, annaspando per tornare a galla e ricominciare a vivere.
Purtroppo, mi resi conto ben presto, la malattia era un peso che mi ancorava sul fondo, che mi imprigionava e mi teneva in catene.
A diciassette anni, abbandonai il mio sogno.
Arrivata ai diciotto anni, così, cerco ancora di fare pace col mio futuro, un avvenire che non sono certa di desiderare.
È strano come la vista possa cogliere così tanto di sorpresa, come i tuoi sogni possano essere spazzati via, come tutto possa cambiare per colpa di qualcosa che neanche vedi.
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