Capitolo VIII
Stretta fra le braccia di Vincent, udivo il suo cuore battergli forte nel petto e mi crogiolavo nel calore emanato dal suo corpo.
Sostavo fra l'incoscienza e la veglia, percepivo gli arti dilaniati dai dolori e allo stesso tempo non li sentivo affatto.
Le lacrime si erano arrestate velocemente, non sapevo se perché le avessi terminate o per timore di bagnare la maglia di Vincent.
Quello stato di mezzo in cui mi ritrovavo appariva come un nido, un luogo sicuro in cui potermi riposare al riparo dagli incubi.
L'incedere lento e posato di Vincent mi permetteva di restare immobile nella sua presa, con le mani avvolte intorno alla sua nuca.
Quando riemersi da quel sogno, capii che stavamo entrando in hotel e che gli altri, a cui Vincent aveva fatto in modo di non avvicinarsi mai troppo, si erano già dispersi fra i corridoi e le camere.
Fui travolta dall'imbarazzo quando mi resi conto di chi restava ancora nella hall: Val, un ghigno divertito sulla faccia, insieme ad alcuni suoi amici.
“ Aspettami qui, Bella Addormentata” mi disse Vincent mentre mi lasciava delicatamente su un divanetto.
Cercai di richiamarlo, ma lui si era già allontanato e riavvolto nella coltre scura che usava indossare per proteggersi.
Con un'espressione indecifrabile in volto, lui si avvicinò a Val e gli tirò un pugno prima ancora che io mi accorgessi di ciò che stava accadendo.
Ebbi appena il tempo di cogliere il movimento del suo corpo che già Val si teneva un mano sul viso e sfidava con lo sguardo Vincent.
Dopo accaddero tre eventi in rapida successione: Val cercò di colpire Vincent, lui schivò il colpo e, dopo avergli rivolto un sorriso canzonatorio, mi riprese in braccio mentre chiamava l'ascensore.
L'ultima cosa che vidi prima che le porte di questa si chiedessero fu Val, un tovagliolo a tamponare un rivolo di sangue che gli colava dal sopracciglio e un'espressione di puro odio in volto.
Nonostante sapessi che era sbagliato, provavo un immenso piacere, anche se non ero certa che Vincent lo avesse fatto per me.
“ Perché lo hai colpito?” gli chiesi mentre le porte si aprivano al piano della mia camera.
Cercai di rimettere i piedi a terra, ma lui me lo impedì stringendomi più forte a sé.
“ Se lo meritava, ho sentito le cose orribili che ti ha detto, avrei voluto farlo molto prima. Stavo per intervenire che tu ti eri già fatta valere.”
Mio malgrado le mie labbra si incurvarono in un sorriso ed evidentemente anche lui se ne accorse perché mi sorrise di rimando.
“ Non pensiamo più a quell'idiota, Bella Addormenta” mi sussurrò all'orecchio mentre, dopo aver prelevato le chiavi della stanza dalla tasca dei miei jeans, aprì la porta tenendomi con l'altro braccio.
Con tre grandi falcate raggiunse il letto e vi adagiò il mio corpo ancora sfinito.
Un brivido mi percorse la schiena, cogliendomi di sorpresa come un fulmine in una giornata di sole.
Ero sempre stata attratta da lui da quando l'avevo conosciuto, ma solo in quel momento mi resi conto che non si trattava più solo del suo corpo.
Desideravo che le sue belle labbra mi sorridessero, che i suoi occhi di ghiaccio mi scrutassero nell'anima. Bramavo il modo in cui mi chiamava ''Bella Addormentata'', l'espressione divertita del suo sguardo quando scherzavamo, l'incredibile profondità emotiva che in quei giorni mi stava permettendo di conoscere.
Non mi era mai capitato di provare sentimenti del genere per un ragazzo; con Val, avevo amato l'idea dell'amore che speravo potesse darmi, adesso invece mi stavo innamorando di ogni lato, aspetto e spigolo di Vincent, di tutto ciò che mi stava donando e che speravo di donare a lui.
Perché nonostante la coltre di odio che lo circondava, nonostante le maniere brusche che aveva con tutti tranne che con me, nonostante i misteri della sua vita che dovevo ancora portare a galla, agognavo un suo sguardo, un suo sorriso, un suo bacio.
Smaniavo per percepire di nuovo il collegamento che si era creato fra noi quando mi ero abbandonata contro il suo petto, la vicinanza dei nostri cuori e delle nostre menti.
Per la prima volta mi sentivo accettata completamente per quella che ero, sapevo che la malattia non sarebbe potuta diventare uno scoglio fra noi.
Malgrado le fitte lancinanti alle gambe, i dolori alla base della schiena e il bruciore dei graffi, l'unica cosa di cui mi importava era quel dolce e scorbutico ragazzo.
Come guidata da una forza invisibile, mi aggrappai al suo braccio, tirandolo verso di me.
Volevo di più, volevo tutto, volevo lui.
Vincent si calò verso di me, che da sdraiata continuavo a strattonarlo per indurlo ad avvicinarsi, finché i nostri visi non furono a un soffio di distanza. Le nostre labbra si incontrarono, dando il via a un lungo bacio appassionato. Non sapevo se fossi stata io a iniziare il bacio, o se lui si fosse avventurato per primo, forse era stata un'azione così spontanea e naturale da non aver bisogno di essere
approfondita.
La sua bocca era dolce e morbida, pronta a schiudersi contro la mia.
Sfruttando la sua inclinazione verso di me lo afferrai dal braccio e gli feci perdere l'equilibrio.
Vincent finì sopra di me, tenendosi puntato sui gomiti per non appesantire il mio corpo stanco. Notai come stesse facendo in modo di sfiorarmi soltanto e lo apprezzai perché, per quanto ammetterlo fosse un boccone amaro, il dolore non se ne era mai andato.
Quando ormai fui rossa di baci, Vincent si staccò da me e puntò le pupille dilatate sul mio viso. Uno strano guizzo brillava nei suoi occhi, come se avesse vinto ciò che bramava da tempo. Mi accarezzò uno zigomo, poi l'altro, infine mi lasciò una scia di baci lungo la mascella e il collo, provocandomi un gemito soffocato. Ogni volta che la sua bocca si posava su di me, fuochi d'artificio mi scoppiavano nel petto e riverberavano lungo tutte le mie membra.
Vincent mi posò due ultimi baci sulle clavicole e poggiò un polpastrello sul punto di giuntura di queste, appena sotto la mia gola, come a sfidarmi a voler dire qualcosa. Lasciò vagare lo sguardo su di me, finché questo non si perse sulle mie braccia.
Con estrema delicatezza, ripercorse ogni singolo graffio sulla mia pelle con dita leggere.
Ad un tratto si bloccò, la mano ferma a mezz'aria e gli occhi che all'improvviso cercavano i miei.
“ Perché l'hai fatto?” mi chiese con voce roca, riferendosi ai graffi.
Ragionai su quale fosse la risposta giusta, domandandomi se dire la verità fosse troppo triste per quel momento. Poi però rammentai che la nostra storia non sarebbe mai potuta essere completamente allegra e spensierata, che anche quei baci erano il frutto di un tormento che ci accomunava. Sapevo che oltre alla mia malattia avrei dovuto scoperchiare il passato di Vincent, avrei dovuto sopportare i ricordi dolorosi di qualcun'altro, eppure avevo la certezza che insieme ce l'avremmo potuta fare. Sentivo che c'era ancora qualcosa che mi sfuggiva, un passaggio obbligatorio che non riuscivo a raggiungere, ma accantonai le preoccupazioni per fermarmi sul momento che stavo vivendo.
“ A volte, quando il dolore è troppo acuto, mi illudo di riuscire ad avere il controllo. Provocarmi altro dolore è la prova inconfutabile di poterne controllare almeno una parte, di avere almeno una scelta. È l'unico modo che ho per non impazzire dietro all'impotenza che la Fibriomialgia mi suscita.”
Presi un respiro tremante, in attesa della risposta di Vincent.
Lui annuì, come se se lo fosse aspettato.
Con un movimento repentino si sollevò e si levò la felpa, mostrandosi per la prima volta da che lo conoscevo con le braccia scoperte. Un tatuaggio di una sciabola, simile a quelle che portava alle orecchie, gli adornava l'interno dell'avambraccio, le linee nere e decise che sembravano voler estirpare qualcosa.
“ La mia prima azione da maggiorenne” spiegò.
Mi afferrò la mano e la portò dritta sul disegno, facendo in modo che i miei polpastrelli vi aderissero perfettamente. Scoprii dei leggeri rigonfiamenti orizzontali, come dei...
“ Tagli?!” lo osservai sconvolta, chiedendomi cosa nascondessero ancora quegli occhi di ghiaccio. Avevo a malapena la consapevolezza di quanto fossi stata indelicata, mi sembrava di vivere tutto attraverso un vetro scuro.
“ Tutta la mia adolescenza” disse “ ci combatto da allora.”
Mi si strinse il cuore mentre toccavo tutta quella sofferenza, mentre le mie dita sfioravano anni di disperazione. Nessuno dei due disse la parola che aleggiava nell'aria, un po' come quando mi rifiutavo di dire il nome della mia malattia. Purtroppo però, non dare un nome a qualcosa non significa che questa non esiste.
Vincent spostò il suo peso verso destra, finendo per sdraiarsi accanto a me. Non tolse la mano dalla mia, così si intrecciarono e un sorriso fiorì contemporaneamente su entrambi i nostro volti.
“ Io ti ho parlato di me, adesso tocca a te: dimmi come ti è venuta la malattia “ disse ritrovando la voce.
Comunicavamo solo con sussurri e bisbigli, come timorosi che parlando a voce troppo
alta il momento si spezzasse.
“ In realtà è stato uno scambio equo. Io ti avevo detto della Fibromialgia, tu adesso hai pareggiato i conti.”
Vincenti scoppiò a ridere come se avessi detto la cosa più divertente del mondo.
“ Va bene allora, le tue cause per le mie.”
Mi voltai di fianco, in modo tale da guardarlo, ma lui mi sorprese nuovamente e si mosse fulmineo
affinché mi appoggiassi al suo petto.
“ Ero una ginnasta, sai? Ed anche brava, bravissima! Volteggiavo e danzavo come nessuno sapeva fare, dominavo l'aria, sembrava quasi che volassi.”
Rivangare quei ricordi mi fece salire un groppo in gola, ricordandomi quanto quella situazione mi facesse ancora soffrire.
“ Io e Dee ci siamo conosciute così, prima ancora di imparare a scrivere. Per un po' la mia vita fu meravigliosa, così tanto che a volte penso che baratterei dieci anni pur di rivivere un solo minuto di quell'idillio. Immagino che comunque non fosse destinato a durare, che io non fossi destinata a durare.”
La mano di Vincent si strinse ancor di più alla mia, le nostre dita che si accarezzavano a vicenda.
“ Avevo quattordici anni quando, durante un esercizio particolarmente difficile, caddi malamente. In cuor mio capii subito che qualcosa in me era cambiato, che qualcosa si era spezzato. Speravo che, dopo il periodo di ricovero, tutto sarebbe tornato come prima. Poi arrivò il dolore. Più mi ripetevo che stavo ancora guarendo e più mi accorgevo che non era possibile, che erano passati anni.”
Lasciai andare uno sbuffo, ricordando la disperazione che permeava quelle memorie soffocate e gettate nell'oblio dei miei pensieri.
“ Il mio corpo non mi apparteneva più, dopo ogni allenamento stavo male per giorni e anche quando li saltavo sembrava che mille aghi mi stessero attraversando come lame. Lasciai la ginnastica a sedici anni, fu una frattura importante nel mio rapporto con Dee. Nel profondo, in quel luogo di sé dove sono custoditi i sogni più nascosti, ho continuato a sperare che fosse tutto un enorme errore, almeno fino a quando, poco più di un anno fa, non ho iniziato a fare ricerche per conto mio. I medici non potevano aiutarmi e così, nella disperazione, consultai tutto ciò che mi capitò a tiro, dai siti internet fino ai grandi tomi universitari. Dicono che il dolore renda pazzi, ma rende anche piuttosto determinati.”
Vincent mi ascoltava silenzioso, abbracciandomi di più quando la voce mi tremava.
Liberando un lieve singhiozzo, continuai a raccontare la cronaca della mia vita.
“ È stato in questo modo che ho scoperto di avere la Fibromialgia, una malattia sulla quale si sa poco e niente e che si crede sia dovuta, oltre che a una componente ereditaria, anche a un traumatico evento scatenante. Da allora mi batto per avere una diagnosi, almeno un pezzo di carta che attesti realmente ciò che mi affligge, che faccia in modo che non mi additino più come una pazza. Anche se non ho trovato alcuna cura, scoprire le cause del mio dolore mi ha aiutato a stare meglio, nonostante la coltre scura che ha gettato sui miei sogni.”
Ormai piangevo a dirotto, inzuppando la maglia di Vincent e costringendolo a stringermi più forte a sé per placare le lacrime. Non mi ero mai resa conto di quanto avessi bisogno di raccontarlo a qualcuno. Dee era una grande amica, eppure la malattia era sempre stata un tabù troppo grande per il nostro rapporto. I miei genitori invece mi erano stati accanto, certo, tuttavia non sopportavo il dolore che scatenavo nei loro occhi ogni volta che accennavo alla fibro, tanto da preferire il restare in silenzio.
Vincent mi asciugò le lacrime con la mano libera e mi diede un bacio sulla fronte.
Dopo posò le labbra su ciascuno dei miei occhi umidi, sulla punta del naso e ai lati della bocca. I suoi baci delicati mi lasciarono senza fiato e in qualche modo riuscirono a tirarmi di nuovo su il morale.
“ Avanti, adesso tocca a te piangere” gli dissi scherzosamente.
“ Ai suoi ordini, sergente” mi rispose, ricordandomi il personaggio di un libro di cui non rammentavo il nome.
“ La mia storia è molto più breve della tua” cominciò poggiandomi le labbra sulla tempia.
“ È cominciato tutto per via di mio padre, l-lui...era v-violento, picchiava mia madre e si sfogava su di me e le mie sorelle.”
Notai che la voce gli tremava e gli poggiai una mano sul petto, cercando di calmare il suo cuore impazzito. Vincent, ne ero certa, mi stava rivelando cose che non aveva mai confidato a nessuno e volevo che percepisse tutto il mio sostegno.
Lui spostò lo sguardo dalla mia mano al mio viso e un leggero sorriso gli spuntò in volto, scomparendo con altrettanta velocità con cui era nato.
“ Mia madre non aveva la forza di lasciarlo, né le possibilità economiche, così ho passato l'adolescenza a racimolare risparmi e a svolgere lavoretti per i vicini, sperando un giorno di poter salvare lei e le gemelle da lui.”
Posò la mano libera sulla mia sul suo petto, spingendomi ad ascoltare il suo battito cardiaco.
“Come se non bastasse lei ha cominciato a dissociarsi dalla realtà, si è data all'alcol e ha affogato il dolore nella bottiglia. Poi, poco più di un anno fa, hanno diagnosticato un tumore fulminante a mio padre. È morto nel giro di qualche settimana.
Ricordo che quando ci comunicarono la diagnosi il mio cuore saltò un battito.
Pensai che fosse dolore sordo invece, più tardi, solo nella mia stanza, capii che si trattava di euforia... i-io vedevo finalmente un futuro, l-le mie preghiere erano state ascoltate.
Sono una persona pessima se affermo che la sua scomparsa è stata quanto di migliore potesse capitarci?!”
Alzai di scatto la testa per rispondergli, per consolarlo, per dirgli che non era una persona cattiva se voleva solo sopravvivere, ma lui mi respinse contro di sè invitandomi al silenzio. Allora compresi che non voleva conforto o aiuto, desiderava solo essere ascoltato da qualcuno.
Quando riprese la sua voce si era abbassata di diverse ottave:
“ Così ci siamo trasferiti qui, il più lontano possibile da quella casa infernale e dopo... dopo ti ho incontrata.”
Lo osservai, confusa da quell'improvviso cambio d'argomento.
Vincent fece in modo di incontrare i miei occhi.
“ Tu credi all'amore a prima vista, Bella Addormentata?”
“ Io...” ragionai sulla domanda e un'infinità di momenti diversi, di istanti rubati in cui ci eravamo scambiati sguardi,mi si affastellarono in mente.
“ Io credo di sì” conclusi.
Con un rapido movimento del corpo mi bloccò al materasso e mi incorniciò il viso con le dita.
I suoi occhi azzurro ghiaccio mi incendiarono l'anima.
“ Ti amo” disse “ lo so sin da quando ti ho vista per la prima volta in classe, sin da quando abbiamo parlato dopo che eri svenuta, sin da quando ho capito che eravamo anime affini.”
Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere che lui suggellò quelle parole, e la promessa che comportavano, col bacio più bello della mia intera vita.
Era un bacio di felicità, di tormento, d'amore e di tristezza.
Era la fine e l'inizio di tutto.
Era tutto ciò che avevo sempre sognato.
Ricordo gli ultimi giorni di quella settimana come un'insieme di splendide memorie inondate dal sole. Quando le nostre bocche non erano impegnate a scambiarsi baci mangiavamo montagne di dolci e parlavamo. Parlavamo per ore di qualsiasi cosa, spaziavamo fra tutti gli argomenti.
I nostri cuori battevano in sincrono, le nostre menti erano allineate, le nostre anime si stavano conoscendo a vicenda.
Nella sventura, immersi fino al collo nelle memorie del nostro passato, insieme eravamo felici.
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