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Capitolo VII


" Come fa a non piacerti il cioccolato?! "

Addentai la mia fetta enorme di torta ai tre cioccolati, senza preoccuparmi della cioccolata fusa che mi stava scendendo in un denso rivolo ai lati della bocca.
Con un tovagliolino in mano, Vincent si sporse dalla sedia di fronte a me e mi pulì le labbra in un gesto sorprendente delicato. Mi aveva trovata ancora sulla panchina, gli occhi arrossati e il respiro spezzato, e in totale silenzio e senza cercare di scoprire nulla, mi aveva trascinata a mangiare qualcosa.

Gli ero grata per avermi offerto la possibilità di sfuggire ai miei funesti pensieri senza farmi domande e, allo stesso tempo, avevo l'impressione che sapesse perfettamente ciò che era successo. Per un istante, i nostri occhi si incatenarono gli uni agli altri, il sguardo azzurro ghiacciato che scivolava intensamente sul mio castano miele.

Sentii qualcosa fiorirmi nel petto, un meraviglioso bouquet d'emozioni che avrei esaminato più tardi, posandosi proprio sopra il nodo che mi artigliava il cuore

" Preferisco di gran lunga la frutta" mi rispose, riferendosi alla macedonia con lo yogurt che aveva davanti.

Gli sorrisi di rimando e per un attimo mi chiesi se fosse possibile cristallizzare quel momento e viverlo per sempre. I graziosi tavolini rosa e le pareti in tinta del piccolo locale in cui Vincent mi aveva trascinata erano il palcoscenico perfetto per la deliziosa scena che bramavo di ricordare. La felicità di essere lì con lui, unita alla quantità spropositata di ibruprofene che avevo ingurgitato, mi stavano regalando delle ore preziose e meravigliose, che in cuor mio speravo non finissero mai. Anche se sapevo che la malattia sarebbe tornata a breve per riscuotere altre energie e altre giornate, durante quella splendida merenda ebbi quasi l'impressione di essere una semplice ragazza, impegnata a vivere la sua commedia romantica.

Ahimè, sapevo che la mia specialissima e personale commedia romantica sarebbe stata intervallata da lunghi drammi e che gli osservatori più appassionati avrebbero quasi potuto definirla una pellicola drammatica.

" Sei eccezionalmente strano" esclamai con la bocca piena, prendendo un sorso della mia cioccolata calda non proprio in linea con la stagione.

Quando, in uno spettacolare sfoggio d'audacia, lo misi a parte di ciò che pensavo riguardo al nostro dramma d'amore, Vincent mi guardò con un sorriso imbambolato, prima di accorgersene e aggiustarlo nel solito ghigno.

Mio malgrado, gli sorrisi di rimando.

Lui indicò la mia tazza piena a metà del dolce liquido scuro.

" Nella mia vecchia città c'era un bar specializzato in bevande calde. Bea e Livvy andavano matte per il loro latte aromatizzato alla fragola."
Vincent sembrò perdersi per un attimo nella memoria e un'espressione malinconica gli adombrò il viso.

"Era bella, la vostra vecchia casa?"

" Oh sì." Ci fu un lampo di rimpianto nella sua voce roca, subito mascherato da un verso per schiarirsi la gola.

" Adoravo quella casa e amavo la città."

" Allora perché vi siete trasferiti?"

A un tratto un'atmosfera gelida si posò su di noi è mi chiesi se non avessi sbagliato a chiederglielo.
Una sbirciatina alla sua espressione corrucciata e improvvisamente poco disponibile mi chiarì che sì, avevo decisamente sbagliato.
Lui, d'altro canto, rifletté su quello che mi stava per dire.

" I miei si sono lasciati. Non è stato un divorzio pacifico."

Il suo tono di voce, insieme all'ineluttabilità che il momento mi trasmetteva, mi fecero capire che il discorso era chiuso.

Nonostante sperassi che la sensazione di leggerezza non sparisse mai, quando l'effetto della pillola d'ibuprofene iniziò a scarseggiare mi sentii nuovamente come uno straccio.
Mancava meno di mezz'ora al coprifuoco, così entrammo in un grande negozio di souvenir.
Speravo che la pausa mi avrebbe fatta stare meglio, eppure percepivo le gambe pesanti come macigni e la forza abbandonarmi.

Ancora una volta la mia malattia stava reclamando un pezzo di me, solo che stavolta avevo già perso dei cocci durante la giornata.

Sfinita e distrutta emotivamente e fisicamente, non riuscii a fermare in tempo una lacrima solitaria e, nel terrore che Vincent mi vedesse, mi rifugiai nel camerino di prova della sezione abbigliamento.
Nello specchio, scorsi una me che non riconoscevo: i capelli sfuggivano alla crocchia che avevo in testa, gli occhi erano arrossati e pieni di lacrime e la mia scintilla vitale era completamente spenta.

Ero abituata alle '' crisi '' della mia malattia, quando il dolore era così terribile da non poter fare altro che accasciarmi e soffrire in silenzio, tuttavia non credevo di esserne travolta proprio durante la gita. Quel viaggio, dopotutto, si stava rivelando una continua altalena di emozioni.

Come posseduta, iniziai a passarmi le mani sule braccia, a conficcare in profondità le unghie.
Mi graffiai un migliaio di volte, seppellii il dolore sotto altro dolore, divenni un grumo di disperazione.
Quando la prima goccia di sangue fuoriuscì da un graffio, mi fermai come se mi fossi svegliata da un sogno.

Allora, le lacrime si fecero copiose e mi presi la testa fra le mani, avvolsi i capelli intorno alle dita e tirai leggermente.

Vincent mi trovò in quel momento.

L'espressione che aveva in volto non era di disgusto o pietà, come avevo creduto; nei suoi occhi brillava la scintilla di chi aveva riconosciuto un'anima affine.
Ci conoscevano da pochissimo, eppure mi sembrava di conoscerlo da sempre.

In un sussurro roco, così basso che pensai di averlo immaginato, disse:

"Fa male ovunque, vero?"

Annuii lievemente e lui imprecò sottovoce. Capii che si sentiva in colpa per non essersene accorto e il cuore mi si strinse di un sentimento così intenso da non riuscire a decifrarlo.

" Forza, Bella Addormentata, appoggiati a me." Mi strinse a sè e mi aiutò a uscire dal negozio.

Ogni passo era una vera e propria tortura, ogni volta che alzavo il piede non sapevo se sarei riuscita a continuare a camminare o se sarei caduta e non mi sarei più rialzata.
Mi fece sedere su un muretto e si mise accanto a me.
Le sue braccia muscolose mi avvolsero completamente e mi sostennero, finché non fui completamente accoccolata su di lui.
Poggiai la testa sul suo petto e percepii le sue labbra che si posavano delicatamente sui miei capelli, baciandomi lievemente.

Tremavo in tutto il corpo, così forte che Vincent fu costretto più volte a farmi aggrappare a lui.
Dopo un tempo infinito, una dolorosa eternità, mi ricomposi abbastanza da non sembrare sofferente.

Di lì a poco, i professori si raggrupparono e iniziarono a fare l'appello e rimproverare i ritardatari. Infine, si misero tutti in marcia e io fui costretta a cercare di seguirli.
Appena misi un piede a terra, il ginocchio cedette e la gamba si piegò, seguita a ruota dall'altra.
Mi aggrappai istintivamente alla prima cosa che mi capitò a tiro, che il caso volle fosse proprio Vincent.

Tenendomi alle sue braccia, lui mi attirò ancora più a sé e dopo, in un movimento fulmineo, mi prese in braccio. Mi ritrovai avvolta fra le sue braccia e mi raggomitolai il più vicina possibile.
Emisi un leggero lamento, preoccupata che qualcuno fra i professori ci vedesse, ma lui mi zittì sottovoce.

" Riposati amore, ci penso io a te."

Così, evitando accuratamente gli insegnanti e i nostri compagni, iniziò a camminare con le mie braccia avvolte alla nuca e il mio viso premuto sul petto.


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