Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

9. Un nuovo inizio

Mi svegliai diverse ore dopo, con le stelle che iniziavano a sbiadire e i caldi raggi solari che spuntavano all'orizzonte.

Mi misi seduto, cercando di ignorare il cielo che sembrava roteare sotto i miei occhi. Avevo i muscoli intorpiditi come dopo una lunga giornata di lavoro e le tempie che pulsavano. I miei vestiti erano pieni di sabbia; mi graffiava la pelle.

Sollevai gli occhi arrossati dal pianto e trovai la capanna distrutta e il terreno che io e mia madre avevamo dedicato ore a coltivare devastato da innumerevoli crateri.

Sono... sono stato io?

Ma certo che ero stato io. Chi altri avrebbe potuto?

Vidi del sangue per terra, accanto a un elmo. E non provai niente.

Né rabbia, né soddisfazione, né tristezza, né pietà.

Niente.

Solo dolore.
Del tipo più profondo, che penetra la carne come aghi, fino alle ossa, fino al cuore.

Mi alzai, lo sguardo freddo puntato ovunque tranne che sul corpo riverso ai miei piedi. Mi passai una mano sul volto: avevo le labbra screpolate e la gola talmente secca da bruciare. Avevo urlato.

Avanzai verso le macerie della casa. Spostai un palo di legno, incurante delle schegge che mi entravano nelle dita, e spinsi via un'altra tavola. Non sapevo cosa stavo cercando; sentivo solo il bisogno di scavare tra i ricordi ormai distrutti della mia infanzia.

Poi, li vidi. Erano ancora lì, ancora intatti.

Strinsi tra le dita tremanti i due omini di terracotta. Quello più alto era una donna, mentre quello più piccolo era un bambino.
Eravamo io e mia madre. Li avevamo modellati insieme, il giorno del mio decimo compleanno.

Le lacrime mi salirono agli occhi mentre ripensavo a quel giorno.
Avevamo lavorato vicini, in silenzio, ma con i sorrisi stampati in faccia. Ogni tanto mia madre mi guardava, ridacchiava per la mia statuina informe e mi faceva una carezza.

Afferrai la maglietta, all'altezza del cuore, e la strinsi tra le dita.

Le lacrime mi bagnarono il viso, incontrollabili. Potevo sentire il sale sulle labbra.

Piansi sommessamente, a denti stretti, graffiandomi la faccia, il collo e le braccia, nella speranza che il dolore fisico avrebbe sostituito, prima o poi, quella spada di morte che sentivo nel petto.

Poi, d'improvviso, la disperazione fece posto alla rabbia, alla furia più brutale.

Presi le statuine e le sbattei a terra. Ci saltai sopra, le feci a pezzi. Spaccai tutto, lentamente, con metodo, senza tralasciare nulla. Strappai le coperte, i vestiti, ridussi in brandelli i vasi e le stoviglie, spezzai le travi del tetto.

Alla fine, non mi rimase più nulla da rompere.

Guardai le mani che tremavano, sporche di sangue e fango. La gola mi faceva ancora più male di prima. 
Avevo gridato. Ancora.

Abbassai lo sguardo esausto e i miei occhi catturarono il profilo di un oggetto mezzo sfondato. Quasi senza accorgermene, mi avvicinai. 

Era il cofanetto di mia madre.

Il gelsomino intarsiato sulle sue pareti era stato completamente distrutto dalla mia furia e di quel misterioso contenitore non rimaneva che qualche pezzo di legno.

E, lì accanto, il suo contenuto.

Le mie dita graffiate volarono leggere sopra alcune monetine di bronzo e argento, scivolate fuori da un sacchetto che ne conteneva altre.
Poi, però, la mia attenzione venne catturata da qualcos'altro.

Lo presi in mano, soffiandoci sopra per levare lo strato di polvere che lo nascondeva.

Era... un medaglione.

Un nastro sottile passava per un minuscolo forellino realizzato lungo il bordo del ciondolo, su cui erano state incise diverse tacche di cui non compresi il significato.
Il metallo con cui era fatto era spento e opaco; doveva essere stato realizzato molti anni fa. Su una faccia, erano rappresentati due animali: un uccello di cui non riconobbi la specie e una sorta di capra con corna enormi e ricurve.

Era quello che mia madre mi stava nascondendo? Che motivo c'era?

Scossi la testa e lo lasciai cadere a terra, tra la sabbia e le macerie.

Non sapevo ancora cosa quel medaglione aveva rappresentato per mia madre. E cosa avrebbe rappresentato per me e per l'intera Valhaar.







Mi avvicinai barcollando al corpo esanime di mia madre. Fino a quel momento non l'avevo mai guardata.

Era stesa su un fianco, i capelli biondi sparsi per terra, tra la polvere. La girai.

La pelle era pallida e fredda. Gli occhi erano appena socchiusi e un rivolo di sangue era fermo a un angolo della bocca.

La abbracciai, tenendola stretta per qualche minuto, i condotti lacrimali ormai prosciugati.
Poi, con l'anima vuota, mi misi a scavare a mani nude, imbrattando ancora di più le dita e le unghie. Quando la buca fu pronta, presi il cadavere di mia madre e lo depositai al centro. 

Arrischiai un'ultima occhiata al suo viso pallido.

-Io... io vorrei dire qualcosa, ma... – strinsi i pugni mentre mi tremava la voce – ma non so neanche come esprimere un ringraziamento senza risultare banale.

Il vento soffiò debolmente tra le macerie, per la prima volta silenzioso e quasi impercettibile.

Presi un respiro profondo, mentre racimolavo il giusto coraggio per compiere quell'ultimo passo. Per lasciarla andare.

Perché quel saluto avrebbe reso tutto ciò qualcosa di vero e indelebile.
L'avrebbe reso un fantasma che mi avrebbe tormentato per il resto della vita.

-Io... quello che sto cercando di dirti è che... ti voglio bene. Avrei voluto dirtelo un'ultima volta. Grazie di tutto, mamma.

Tirai su con il naso. Non avevo più lacrime da versare.

Iniziai a ricoprire la buca con le mani immerse nel terriccio e, di nuovo, sentii quella tensione alle viscere, quella scarica elettrica che mi correva nelle vene.

Guardai in basso, sorpreso, ma non poi così tanto. Per la prima volta, avevo usato i miei poteri e accettato la mia natura.

E mentre calavo mia madre nella terra, compresi chi ero veramente. Avrei potuto negarlo, ma non avrebbe avuto alcun senso.

Io sono Gregor.
Io sono il Marchiato della Terra.







Quando mi rialzai, un sospiro tremulo mi rotolò fuori dalle labbra.
Ero solo. Percepii il peso enorme di quella parola e iniziai a temerla più della morte.

Ma quando stavo per abbandonarmi alla disperazione, uno scricchiolio mi fece tornare in me.

Una figura incappucciata mosse un passo nella mia direzione, mentre il suo mantello veniva scosso da un alito di vento.

Tirai su con il naso e tesi i muscoli, pronto a combattere e deciso a non rendere vano il sacrificio di mia madre. Avrei vissuto.

-Chi sei? E cosa vuoi da me? – ringhiai come un animale ferito.

La persona di fronte a me alzò le mani in segno di resa.

-Ehi, ehi, ehi! Non ho assolutamente intenzione né di ucciderti né di combattere! Tu sei Gregor, il Marchiato della Terra, giusto?
E rivelò il suo viso, il cappuccio che le si afflosciava sulle spalle, mostrando una cascata di riccioli neri che incorniciava un viso dai lineamenti marcati e dai profondi occhi scuri. Era uno di quei volti senza età: avrebbe potuto avere dai trenta ai cinquant'anni.

E questa chi è?

La scrutai con le sopracciglia aggrottate. Non mi sembrava un pericolo.

In ogni caso, ora che avevo perso tutto, non avevo più niente da temere. Annuii, la desolazione nel cuore.

Lei sorrise e dentro i suoi occhi scorsi un luccichio che non fui in grado di identificare.

-Piacere, io sono Erika. Sono una specie di... ehm... di non so che.
Si passò una mano sulla nuca.
-Sono stata molte cose in passato...

Rimase un attimo interdetta quando le dita le rimasero incastrate tra i capelli ricci. Le ci volle un po' per liberarle e, non appena lo fece, mi rivolse un sorriso imbarazzato a cui non feci nemmeno caso.

Una folata di vento alzò un polverone di sabbia tra di noi e fui costretto a ripararmi gli occhi. Lei non fece una piega.

-Adesso sono solo una cartomante. Strano, vero? – ridacchiò e mi fece un sorriso sghembo.

-Cosa vuoi da me? – chiesi, mentre la consapevolezza che quella donna non fosse completamente sana di mente si faceva strada dentro di me.

-Voglio che tu venga con me – rispose, calma e pacata.

-Perché dovrei?

Lei inclinò leggermente il capo:

-Perché da solo moriresti e io posso insegnarti a usare i tuoi poteri.
Allargò le braccia, indicando il disastro che avevo combinato.
-Non mi pare che tu sappia controllarli poi così bene.

-Sei una Marchiata? – domandai, tendendo le spalle.

Erika rise.

-No, ma so parecchie cose sul vostro conto. Se mi seguirai, riceverai un addestramento che ti permetterà di cavartela in un po' tutte le situazioni e troverai in me una compagna molto... – si bloccò, cercando la parola giusta – ...affidabile.

Le domande mi vorticavano in testa a una tale velocità che fui costretto a sbattere più volte le palpebre per fare ordine nella mia testa. Quando riportai la mia attenzione sulla donna, vidi che mi guardava con un'intensità tale da fare paura. Anche la più piccola traccia di ilarità era scomparsa e, di punto in bianco, il suo sguardo sfuggì al mio.

Mi diede le spalle e alzò lo sguardo al cielo.

-Chi credi che abbia mandato quei soldati a ucciderti? – domandò quindi.

-Sei stata tu?

-No.

Le credetti. Non potevo fare altrimenti.

-E allora chi è stato?

Si voltò, i suoi occhi come schegge d'ebano che mi trafiggevano la pelle.

-Ti ho osservato a lungo, Gregor, e mi sono fatta un'idea su di te. A quanto pare avevo ragione, – si avvicinò ad ampie falcate e si portò ad un paio di centimetri da me – sei proprio un ingenuo. Un ingenuo bambinone che non sa nulla sul mondo.

A quelle parole mi infuriai, per poi stupirmi del mio stesso comportamento. Non ero mai stato così irascibile. Forse qualcosa dentro di me si era spezzato irreparabilmente.

-Non sai nulla di me – ringhiai.

Lei sorrise, caustica e sfuggente.

-Oh, questo non è vero. So più cose su di te di quanto non ne sappia tu.

Forse per la sicurezza con cui disse quelle parole, forse per quegli occhi talmente scuri da non lasciare intravedere nemmeno le pupille – però le sentivo squadrarmi, leggermi l'anima come fosse un mazzo di tarocchi –, non replicai e lasciai cadere l'argomento.

Il sole sembrò farsi improvvisamente più freddo.

-Non hai risposto. Chi è stato a mandare quei soldati? – chiesi ancora, l'urgenza che faceva capolino nella mia voce.

Erika sbuffò, infilando le mani nelle tasche del pesante mantello.

-Vorrei tanto vedere quanto ci metteresti ad arrivarci da solo, ma purtroppo non abbiamo tempo. Il tuo spettacolino con le rocce ha dato parecchio nell'occhio. Sono già sulle tue tracce.

Rabbrividii, mentre Erika si avvicinava al mio orecchio e sussurrava:

-La persona che c'è dietro l'assassinio di tua madre è.. – fece una pausa – il re.

Per un attimo non sentii niente. Poi, le parole di quel soldato mi rimbombarono nella mente.

"Sono due fottutissimi anni che ti cerchiamo. Ma oggi, finalmente, per volere del nostro nobile e magnanimo sovrano, libereremo la terra dai demoni come te."

Sentii la gola improvvisamente secca.

-Come fai ad esserne sicura?

-Diciamo che ho alcuni informatori – rispose, schiva.

Rimasi in silenzio, sapendo che non sarei riuscito a cavarle una parola di più. Il vento ricominciò a soffiare e, finalmente, posi quella domanda che tanto mi premeva.

-Cosa ci guadagneresti a portarmi con te?

Con un gesto fluido si portò i capelli dietro l'orecchio e mi osservò per un istante, sorridendo famelica.

-Come immagino avrai capito, non ho il minimo interesse nel portare a spasso ragazzini orfani.
Strinsi i pugni, ma mi sforzai di non replicare.
-Io voglio voi: i Marchiati.

L'ombra di un sorriso sardonico le spuntò all'angolo della bocca.

-Valhaar è piena di gente pregna di nobili ideali che spera nella caduta del regime di Tyros, che opprime i deboli e condanna gli innocenti – mi guardò negli occhi. – Io non sono una di loro.

Aggrottai le sopracciglia, interdetto.

-Il mio è uno scopo puramente egoistico. Non so che farmene di tutte quelle belle parole e di quei buoni propositi – continuò con un'alzata di spalle.

-Quindi stai cercando i Marchiati perché ti aiutino a deporre Tyros?

-No. Io lo voglio morto

I peli mi si rizzarono sulle braccia e, di fronte a quegli occhi così tormentati, tremai.

-Voglio vederlo inginocchiato ai miei piedi. Voglio vederlo piangere e supplicare il mio perdono. E quando, infine, calerò la spada, voglio che sappia chi si trova davanti. 

Rabbrividii, ma cercai di non darlo a vedere. Dalla sua espressione dubitai di esserci riuscito.

-Per quale motivo? – chiesi tanto per distogliere la sua attenzione da me. Mi sembrava di essere un indifeso topolino in balia di un gatto affamato.

-Questo non ti è dato saperlo – replicò, fredda.

Racimolai tutto il mio coraggio, prima di replicare:

-Se l'unica cosa che vuoi è uccidere il re, perché non lo fai tu stessa o non paghi un sicario?

Erika mi lanciò un'occhiata minacciosa.

-Credi che non ci abbia già pensato? Il re non è un comune mortale, solo la mano degli Dei può ucciderlo.

-Io non sono un Dio.

-È vero, – concordò – ma non sei nemmeno totalmente mortale. Sei l'essere che più si avvicina a una divinità sulla faccia della terra.
La sua mano sventolò rapida davanti alla mia faccia.
-Tu e gli altri Marchiati, ovviamente.

Il mio sguardo si spostò sul cumulo di terra smossa sotto cui mia madre avrebbe riposato per l'eternità.
No, non ero nemmeno lontanamente un Dio.

-Una volta che Tyros sarà morto, cosa farai? Reclamerai tu stessa il trono?

Erika scrollò il capo, sbuffando.

-Non me ne frega niente del potere. 

Poi mi sorrise, un luccichio felino negli occhi. 

-Se sarai bravo e rispetterai il nostro accordo, potrei anche risparmiare qualche pezzo del suo corpo per te. Potrai farci quello che vuoi.

Non risposi. L'idea era allo stesso tempo allettante e disgustosa. Avevo bisogno di tempo per capire quale parte di me avrebbe prevalso: quella misericordiosa o vendicativa?

Erika mi scrutò attentamente.

-Accetti?

Mi allontanai di qualche passo; non sarei stato in grado di ragionare lucidamente sotto quegli scuri occhi glaciali.

Valutai attentamente tutte le possibilità, prendendomi il tempo necessario e cercando di ignorare la donna che, dietro di me, sbuffava e scalpitava.

Di vivere da solo non se ne parlava. Dopo aver fatto fuori quei due soldati, l'esercito mi sarebbe stato alle calcagna e dubitavo fortemente di essere in grado di sopravvivere senza aiuti.
Non avevo scelta: la risposta affermativa era l'unica possibile.

Alzai gli occhi al cielo e osservai le nuvole bianche sfilare sotto il mio sguardo.
E lì, sotto i raggi di quel tiepido sole, il mio dovere mi comparve davanti agli occhi con sorprendente chiarezza.

Lo accettai. Lo dovevo a mia madre.

Ripensai a quel bambino, morto anni prima al villaggio, e a sua madre rimasta da sola. Ripensai a Vicky, che aveva dovuto lasciare a tredici anni la sua casa, suo padre e tutto il suo mondo.

Chi si sarebbe preso cura dei deboli? Chi avrebbe combattuto gli oppressori?
E, senza che nessuno avesse bisogno di chiedermelo, mi addossai quella responsabilità, quel terribile onere.

Mi ricordai di ciò che mia madre, tempo addietro, mi aveva raccontato su Axor. Sarei stato io a rovesciare la medaglia, a sciogliere il pesante giogo che imbrigliava l'intera società.

Fu in quel momento, non appena mi feci carico di quella pesantissima incombenza, che trovai la determinazione per compiere il passo decisivo, per lasciarmi il passato alle spalle.

Da lì, non sarei più potuto tornare indietro.

Pronunciai un'unica, singola parola:

-Sì.

Quel giorno, lasciai il Paese della Terra senza voltarmi indietro.







Allora gente! Cosa ne pensate della scelta di Gregor? Ha fatto bene a seguire Erika o si è appena imbarcato in qualcosa più grande di lui? 🚢⚓

A proposito di Erika... Vi siete già fatti un'idea sul suo conto?

Devo dire che, per quanto mi riguarda, trovo la sua personalità... sfiancante. 😓

È senza ombra di dubbio il personaggio che (almeno per adesso) mi sta dando più filo da torcere. Se non lo si fosse capito, Erika è un tipetto particolarmente eccentrico e la sua storia (che non ho alcuna intenzione di rivelare) non aiuta a semplificare il personaggio. In ogni caso, avrete modo di osservarlo da soli. 😉

E devo ammettere che il mio imperdonabile ritardo con gli ultimi capitoli è dovuto principalmente a lei. Ho riscritto questa parte ben quattro volte prima di arrivare alla versione attuale, l'unica che riusciva a soddisfarmi. Spero di avervi fatto incuriosire almeno un po' sulla nostra importantissima Erika. 



Da questo momento in poi comincia il nostro viaggio. Tenetevi forte!

P.S. Per due chiacchiere o chiarimenti sulla storia, mi trovate sul mio profilo Instagram @trinadiluna. ❣

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro