57. Occhi d'argento
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
Ero uno spirito, un'anima di un bianco opaco e impalpabile sballottata da folate di un vento che non mi apparteneva più.
Le correnti d'aria mi trascinarono verso l'alto, così vicino al confine del cielo che mi sembrava di poter accarezzare le stelle.
Il ghiaccio iniziò a cristallizzarsi su gomiti e spalle, ma io non sentivo freddo. La meraviglia mi mozzò il fiato nell'osservare quell'armatura lucente e il mondo che si apriva al di là della barriera di nuvole.
Sotto di me, il Salice era solo un puntino.
Poi però mani di gelo mi afferrarono le braccia e mi sentii strattonare verso destra.
Mi ritrovai sopra un mare in tempesta, con cavalloni alti decine di metri e fulmini terrificanti che sfioravano l'acqua. Ero una pallida ombra tra le nubi fosche di furia.
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
Aguzzai la vista e, in lontananza, proprio dove l'orizzonte si mischiava nel nero dell'acqua e nel grigio del cielo, c'era un'isola. Non feci in tempo a formulare il pensiero che mi ritrovai a svolazzare lì sopra, trasparente e invisibile.
Era troppo piccola per essere un'isola. Sembrava più... uno scoglio.
Si ergeva in mezzo al mare sfidando la potenza della tempesta, testardo tanto quanto me.
Era ruvido, bigio e mangiato dalle onde; eppure sfoggiava con orgoglio cozze e coralli come fossero collane di diamanti e rubini.
D'improvviso, una luce fendette il temporale come il primo raggio dell'alba e lo colpì in pieno. Le cozze sulla sua superficie si illuminarono come lucciole nella notte.
Fu allora che lo vidi: uno spiraglio, una sottile fessura nella roccia.
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
Mi ci tuffai dentro.
Ma non mi ritrovai all'interno scoglio. Ero molto lontana da quel luogo.
Sopra di me vegliava un profondo cielo stellato. L'aria era calda e afosa: improvvisamente, era estate.
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
Ero su una collina dai dolci pendii coperti da boschi rigogliosi. Le chiome degli alberi solleticavano il ventre della notte, mentre gli occhi di gufi e civette lampeggiavano sulle loro fronde.
Il suono ritmato di tamburi rimbombava attorno a me, a tempo con il battito del mio cuore, e una folla di uomini e donne incappucciati danzava in cerchio attorno a un focolare. Le loro braccia, tatuate con inchiostro nero e rivolte verso il cielo, si muovevano scompostamente.
Una canzone dalle parole oscure e arcane si levò tra di loro quando uno degli inquietanti ballerini si staccò dal gruppo a passo di danza, avanzando verso il fuoco.
Schioccò le dita e un altare di pietra trasparente come vetro emerse dalle fiamme, mentre altre due figure trascinavano verso di lui una donna urlante.
-Vi prego! Vi scongiuro, mio signore!
Le sue suppliche vennero ignorate.
L'uomo misterioso fece un cenno con la mano e la donna venne fatta sdraiare sull'altare e immobilizzata.
-Vi imploro!
La donna si contorceva, cercando di sfuggire a quel crudele destino, mentre lacrime copiose le rigavano la pelle sporca di fango.
I tamburi iniziarono a risuonare più forti e decisi, con velocità e intensità crescenti.
Il coltello fu implacabile nel calare su di lei, proprio al centro del petto, strappando la stoffa del vestito bianco che indossava.
Un gemito strozzato fuoriuscì dalle labbra della donna e il suo corpo fu scosso da spasmi agonizzanti per qualche istante.
Poi si fermò. Sulla collina cadde il silenzio.
E mentre l'uomo le estraeva il pugnale dal cuore, un soffio di vento di una violenza inaspettata ruppe il cordino che gli teneva il mantello legato alle spalle, rivelando tatuaggi che coprivano ogni singolo brandello di pelle visibile.
Mani invisibili iniziarono a spingermi via, ma io riuscii a scorgere un ultimo particolare, rivelato dalla luce argentea della luna.
L'uomo aveva i capelli rossi.
E il rosso divenne splendore abbagliante davanti ai miei occhi.
Fui costretta a chiuderli per un istante per farli abituare alla luce.
Era giorno ed ero sulle mura di una rocca a strapiombo sul mare. L'aria salmastra mi riempì i polmoni e, per un istante, mi sentii di nuovo a casa.
Mi sporsi tra le guglie e un allegro vociare mi fece abbassare lo sguardo sotto di me, dove una ricchissima e fiorente città viveva spensierata.
L'acqua zampillava limpida da fontane incrostate di conchiglie e strane piante fluorescenti crescevano rigogliose sulle pareti delle case.
I bambini si rincorrevano tra i vicoli, le donne chiacchieravano accanto a un pozzo con secchi pieni sottobraccio e alcuni uomini ridevano fuori da un minuscolo locale dall'insegna di legno.
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
La loro pelle era scura, color cioccolato e incorniciata da capelli del medesimo colore. Ma ciò che più mi colpì furono i loro occhi: avevano iridi talmente chiare da sembrare bianche.
Per quanto mi sforzassi, non riuscii a ricollegare quella città ad alcun luogo di Valhaar.
-È bella la vista, non è vero? - chiese una voce calda e morbida accanto a me.
Sussultai e mi voltai di scatto. Feci per afferrare il pugnale, ma le mie dita d'aria si strinsero attorno al nulla.
Appoggiato a una delle guglie c'era un giovane dalla pelle scura e dai capelli mori lunghi fino alle spalle. Il suo sguardo era rivolto verso il mare.
-Chi sei? - domandai a mia volta.
Lui si girò con un lieve sorriso sulle labbra e gli occhi iridescenti puntati su di me. L'oro che bordava la sua casacca azzurra brillava alla luce del sole.
-Io sono colui che è perduto e sempre lo sarà.
Rimasi in silenzio, senza capire perché tutto in lui mi sembrasse familiare.
Il suo sguardo abbagliante si ammorbidì quando fece un passo verso di me.
-Mi piacerebbe passare altro tempo con te, ma lo spirito che ti governa ha fretta. Non posso trattenerti oltre.
Allungò le dita abbronzate verso di me e sobbalzai quando le sentii sfiorarmi il dorso della mano, a dispetto del mio momentaneo stato immateriale.
Fu un attimo.
Venni bruscamente strappata dal parapetto del castello fortificato e precipitai nel mare di un blu talmente intenso da ricordarmi un paio di occhi che conoscevo fin troppo bene.
E mentre affondavo negli abissi mi sembrò di udire la voce del giovane che mormorava:
-Il nemico è vicino. Stai attenta, sorella.
Nel mare scomparvi, nel mare riapparvi.
Venni sputata fuori dalle onde come una freccia da un arco e mi ritrovai nuovamente in cielo, sostenuta da un vento magico e misterioso. Questa volta, però, l'aria era grigia di un fumo di morte.
"Osserva, Marchiata. Osserva bene."
Ci misi un istante a riconoscere il luogo in cui mi trovavo.
Ero a Caleon. E il mio villaggio era in fiamme.
Il boschetto in cui ero solita rifugiarmi era ridotto a un ammasso di cenere e i resti delle case carbonizzate fumavano ancora.
Una rabbia profonda mi scosse le viscere mentre un ringhio furente mi risaliva in gola.
-Chi è stato? Voglio sapere chi è stato! – gridai allo spirito del Salice.
"Verità, verità, verità. Tu vuoi risposte, Marchiata. Ma non sarò io a dartele."
-Non puoi rifiutarti, non dopo avermi mostrato tutto questo!
Il Salice esitò, come se stesse valutando l'idea, e in quel silenzio le ceneri della mia città sembrarono urlare vendetta sotto di me.
"Potrei farlo, potrei dirti tutto. Ma per sapere ciò che vuoi devi prima rispondere a una domanda."
-Quale? Quale domanda?
Sentivo il fiato accartocciato tra le costole.
"Cosa farai ai responsabili? Quale sarà la loro punizione?"
Strinsi i denti con forza mentre sentivo il principio di una risata scuotere quella voce arcana e maligna.
-Non lo so ancora. Ma tutto questo...
E mentre continuavo sentii un'altra voce sovrapporsi alla mia, più bassa, più roca.
Una voce che conoscevo bene e che associavo a morte e dolore tra i boschi innevati del Fulmine.
- ...non lascia spazio alla misericordia.
Il Salice non mi diede la risposta e io urlai di frustrazione nel sentire il suo silenzio.
In un attimo Caleon scomparve e fui di nuovo in quella radura, circondata dai Segugi, mentre la daga di Raev affondava nel collo di Erika e quegli sfuggenti occhi neri si facevano vacui sotto il mio sguardo.
Qualcuno al mio fianco urlò. Mi voltai e mi rividi, accanto a Gregor e Ivan, che gridavo di furia e di disperazione. Rividi ogni singolo dettaglio di quei momenti, fino alla nostra fuga disperata.
Ma anche allora non me andai. Qualcosa mi teneva incatenata a quel luogo.
"Se è la verità che cerchi, forse qui ne troverai un frammento."
Raev riemerse dal folto degli alberi con i pochi Segugi sopravvissuti. Aveva il volto sporco di sangue ma non parve curarsene. Grugnì indicando il corpo di Erika a due dei suoi uomini.
-Prendetela – ordinò soltanto, mentre l'occhio cieco si puntava su di me, come se lui solo riuscisse a vedermi. – C'è qualcuno che la vuole.
E il corpo esangue di Erika venne trascinato nel fitto del bosco.
Una scia di sangue segnò la neve al suo passaggio.
C'era ancora della neve macchiata di sangue nella mia seguente visione. Ma questa volta era molta meno.
Un uomo dalla barba nera e dalla pesante scimitarra sfidava un Segugio con un feroce urlo di guerra. Ma io sapevo bene che a volte non bastava l'impegno.
Il Segugio era troppo forte e veloce per Danny il pirata.
Lo accoltellò a un braccio, spingendolo all'indietro fino a far aderire la sua schiena contro la corteccia di un abete.
Urlai, provando ad avvertire il mio padre adottivo del pericolo incombente. Un Segugio non avrebbe mai sbagliato il colpo decisivo.
Ma Danny era troppo stanco e il dolore iniziava a farsi sentire.
Stavo assistendo alla fine della leggenda dei mari.
O almeno così credetti.
Perché alle spalle del Segugio ci fu un lampo dorato e lui cadde a terra con un coltello conficcato nella schiena.
Davanti a Danny c'era un ragazzo magro, non troppo alto, con chiarissimi capelli biondi e limpidi occhi azzurri. Aveva una fibbia turchese legata in vita e brandiva un pugnale dall'elsa in corallo.
-Non c'è di che, Danny.
Un sorriso smagliante si aprì sulle sue labbra.
Sotto il mio sguardo, i denti del ragazzo si allungarono e divennero zanne acuminate. La foresta si fece più scura, più pericolosa.
Ero di nuovo nella Landa Maledetta e la bestia che aveva quasi ucciso Gregor ringhiava a pochi centimetri dalla mia faccia, gli occhi piccoli e minacciosi che promettevano morte.
Arretrai, provando a sfuggire a quell'essere terrificante, ma sapevo che le mie gambe fatte d'aria non ce l'avrebbero mai fatta a sostenere la mia corsa. Non sarei riuscita a scappare.
Puntai il mio sguardo di ferro in quello del mostro.
È già successo, ripetei nella mente come una preghiera. Non mi può fare nulla. È morto: Ivan l'ha ucciso.
"Cerchi la verità, Marchiata, eppure le tue parole non ne contengono nemmeno un brandello. Non tutti i morti restano tali in questi tempi di caos."
E la mascella del mostro si chiuse in uno schiocco di denti attorno alla mia gola.
Mi alzai di scatto, spalancando gli occhi e annaspando, mentre andavo con le mani a toccare il collo intatto.
Ero di nuovo nel mio corpo, sdraiata all'ombra dei rami del Salice sul lastricato semidistrutto. Attorno a me c'era solo oscurità; doveva essere calata la notte.
Avanzai gattonando, tastando a tentoni il pavimento freddo. Trovai un piede, poi un torace, e infine una testa.
-Non so chi tu sia ma svegliati!
Non lo fece. Inspirai, determinata: mi rimaneva un'unica soluzione.
Sollevai il braccio e calai con violenza la mano su quella che doveva essere la guancia del dormiente. Il rumore del mio schiaffo riecheggiò per diverse volte attorno a me... così come il lamento del povero sventurato.
-Reyna! – urlò Gregor afferrandomi il polso, forse temendo che avrei deciso di accertarmi ulteriormente che fosse sveglio. – Ma dico, ti sei rimbecillita?!
-Dormivi. E io avevo bisogno di te – cinguettai candidamente.
Non riuscivo a distinguere i suoi lineamenti, ma immaginai che la sua faccia in quel momento non esprimesse decisamente gioia o serenità.
-Cerchiamo gli altri – brontolò infine, lasciando cadere la questione.
Ci mettemmo poco. Ivan e Abel altri erano distesi poco distanti da noi; li svegliammo rapidamente.
-Certo che non si vede proprio nulla! – mi lamentai con una smorfia.
Non feci nemmeno in tempo a terminare la frase che una luce arancione risplendette a pochi passi da me.
Abel mi rivolse un ghigno vittorioso e sollevò un braccio, con la manica arrotolata fino alla spalla, avvolto da fiamme sfrigolanti.
-Non c'è di che – sogghignò mellifluo. Non lo degnai di una risposta.
-Dov'è Eve? – domandò Ivan.
Sussultai al suono della sua voce fin troppo vicina. Lui, così alto e scuro, si mimetizzava fin troppo bene nelle ombre.
Il profilo di riccioli biondi traballò mentre Gregor si guardava attorno allarmato.
-Dei, se quell'erbaccia troppo cresciuta le ha fatto del male giuro che la sradico.
Una fronda lo colpì in testa con violenza ma il Salice, stranamente, non replicò.
Fu allora che me ne accorsi: il silenzio attorno a noi era assoluto. Non il vento, non il frinire di una cicala, non verso di un gufo o di una civetta rompeva l'incanto di quell'oscurità priva di stelle.
Iniziammo a seguire il profilo di una radice, tastando con i palmi delle mani la sua superficie ruvida e tenendo le armi a portata di mano.
-Partiamo dal tronco – propose Gregor. – L'ultima volta l'abbiamo vista lì.
E lì la ritrovammo.
Eve era inginocchiata ai piedi del Salice, lo sguardo vacuo rivolto davanti a lei e le mani serrate l'una sull'altra come se stesse pregando. I lunghi capelli biondi le coprivano dolcemente le spalle.
Un verso strozzato mi fece voltare verso Gregor.
-Lei... la bambina... – mormorò, tentando inutilmente di mascherare lo sgomento sul suo volto.
Per un attimo, mi domandai se i suoi occhi non riuscissero a scorgere dettagli che io non ero in grado di vedere. Gli rivolsi un'occhiata confusa mentre mi avvicinavo a Eve.
Lei sussultò quando le posai una mano sulla spalla e si girò a guardarmi con gli occhi sbarrati. Era sconvolta.
Solo allora mi accorsi del bagliore argentato di fronte a lei, talmente luminoso che mi chiesi se uno spicchio di luna non fosse caduto proprio sulle radici del Salice.
Trattenni il fiato.
Petali blu intenso, polline di diamanti e un delicato stelo d'argento.
La Trina di Luna mi riempì lo sguardo, ancora più splendida e lucente di come mai sarei riuscita a immaginarla.
Sentii uno sfarfallio proprio al centro del petto, il trillo di una campanella e sbuffi di gelo a sfiorarmi la schiena.
Eve sfiorò un petalo e la polverina di diamanti le rimase attaccata al polpastrello.
-È spuntata proprio di fronte a me – mormorò con voce spezzata.
Una fanciulla benedetta dagli Dei. Il potere di travalicare il confine tra presente, passato e futuro.
Mi ritornò in mente la grazia eterea di Eve e le strane visioni di cui ci aveva parlato.
I suoi occhi enormi e febbricitanti si puntarono nei miei, in cerca di una smentita alla sua conclusione che però non potevo darle.
-Cosa significa?
Le strinsi le mani piccole e fresche tra le mie e la guardai negli occhi, talmente vicino che, per un attimo, i nostri capelli si sfiorarono.
E mentre il giorno e la notte si incontravano e noi diventavamo alba e tramonto, sussurrai:
-Sei la Trina di Luna.
Le fronde del Salice confermarono in un fruscio.
La luna splendeva sopra di noi quando uscimmo fuori dalla gabbia intricata del Salice. Ci sedemmo su alcune rocce al limitare della radura e Gregor si sporse verso Eve, curioso e preoccupato.
-Senti qualcosa di diverso adesso che sei la Trina di Luna?
La ragazza scosse la testa, la pelle ancora più pallida sotto il chiarore delle stelle. Le sue labbra erano bianche come gesso.
-No... io... non so come sia potuto accadere – mormorò in un soffio esitante. – Mi sono svegliata sotto quell'albero magico che... mi parlava. Mi ha detto tante di quelle cose che...
Si massaggiò la fronte con aria esausta.
-Mi ha detto di chiudere gli occhi e quando l'ho fatto...
-Cosa è successo? – la incalzò Gregor con gli occhi come due smeraldi luccicanti.
Eve si strinse la coperta che la avevamo dato sulle spalle, affondando con forza le unghie nella lana. Quando parlò, le sue labbra tremavano.
-Ho visto la Ruota del Fato.
Il vento si alzò improvvisamente, ululando. Rabbrividii mentre sentivo dita gelide accarezzarmi la nuca.
Feci un passo verso Ivan, forse per cercare protezione, e lui mi fece scivolare un braccio attorno alle spalle, stringendomi al suo fianco.
Abel incrociò le braccia al petto.
-È impossibile – masticò scuotendo i capelli rossi. – Nessun'anima in vita può vedere quelle cose e continuare a camminare in questo mondo.
Eve aggrottò le sopracciglia chiare, le ciglia tremolanti come un merletto dorato sopra cieli d'incanto.
-Era come... un grande ingranaggio – sussurrò infine, la fronte imperlata di sudore al solo ricordo. – Fluttuava in... no, non era una stanza... era come un grande spazio di un bianco accecante. C'erano cinque enormi troni vuoti sullo sfondo e un pavimento coperto di crepe. Non so come, ma... ma sapevo che sotto di esso c'era una voragine e che, se il pavimento fosse crollato, il mondo sarebbe finito. L'unica cosa a impedire che si sgretolasse sotto il peso dei troni erano dei fili luminosi che si diramavano dalla Ruota. Io... credo che fossero le nostre vite, quelle di tutti gli abitanti di Valhaar.
Corrugai la fronte, accarezzandomi nervosamente la treccia con la mano guantata.
-Come fai a esserne certa?
-Non lo sono. È più una... sensazione.
Gregor inspirò profondamente, afferrandosi con forza i capelli. Sembrava turbato, sperduto in ragionamenti sconosciuti e, a giudicare dalla sua espressione, decisamente non allegri.
-C'era qualcos'altro lì dentro?
Il viso di Eve, se possibile, divenne ancora più pallido.
-Sì – mormorò con un filo di voce, affondando i denti nel labbro. – C'era un'ombra, un mostro deforme fatto di tenebre. Tagliava i fili che tenevano insieme il pavimento e questo crollava, crollava pezzo per pezzo. E poi, legata con delle catene ai piedi della Ruota,, c'era... una bambina.
Gregor raddrizzò di scatto la schiena.
-Una bambina? – esclamò con tono strozzato, come se pronunciare quelle parole gli costasse uno sforzo immane.
Eve annuì.
-Aveva lunghi capelli castani e... stava piangendo. Mi chiedeva di aiutarla a liberarsi perché solo lei aveva il potere di fermare l'ombra, ma...
Il volto della ragazza prese una piega sofferente.
- ...ma io non avevo niente con me, e il pavimento continuava a crollare, e la voragine era sempre più grande, sempre più nera, e io non sapevo cosa fare, e...
Si coprì il viso con le mani.
-Ed è crollato tutto – soffiò infine. – Sono caduti nella voragine: la Ruota, i troni, la bambina e... e io.
E quasi mi sembrò di sentire una risata maligna risuonare tutt'attorno a me in una promessa che non avrei mai voluto vedere mantenuta.
Smisi di tremare solo quando la mano di Ivan iniziò ad accarezzarmi la schiena, disegnando ampi cerchi con il pollice. Affondai i denti nel labbro per impedirmi di sfiorarlo a mia volta.
-Mi sono svegliata di scatto e l'albero mi ha detto che erano passati tre giorni e che voi stavate dormendo da qualche parte sopra le sue radici. Ero talmente sconvolta che ho iniziato a piangere e... e una mia lacrima è caduta a terra. Poi... poi è spuntata la Trina di Luna. E siete arrivati voi.
Passarono diversi minuti in cui nessuno osò rompere il silenzio.
Fui costretta a ficcarmi le mani in tasca per non far vedere che tremavano. Questa storia, quella visione, era decisamente inquietante.
Inaspettatamente, fu Ivan a parlare.
-Non sono in grado di interpretare quello che hai visto, ma una cosa la so.
Il suo volto si confuse per un attimo con il buio della notte mentre le iridi selvatiche ed elettriche brillavano come stelle torbide e sfolgoranti.
-Se non ci sbrighiamo, non sarà un pavimento che si sgretola a ucciderci. Ma la spada del re non appena Jordan ci avrà portati incatenati al suo cospetto.
Abel sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Si passò una mano tra i capelli e le ciocche sembrarono lingue di fuoco tra le sue dita.
-Per una volta sono d'accordo con il gigante – sibilò in uno schiocco di denti. – Diamoci una mossa.
Mentre avanzavamo nella foresta scura in fila indiana, con Abel in testa che illuminava il sentiero davanti a noi, mi avvicinai a Eve.
-Mi dispiace – sospirai afflitta, indicando i graffi e i lividi di cui era coperta la sua pelle rosea. – Mi dispiace di non essere arrivata in tempo.
Se chiudevo gli occhi potevo ancora vedere quell'uomo caricare il braccio per scagliare un'altra pietra, mentre lei era riversa tra la polvere con lacrime e sangue che inzuppavano il suolo.
Eve mi sorrise, grata e delicata come solo lei sapeva essere. Se io ero la tempesta della sera – gelida e algida –, lei era il dolce sole del mattino, che sfiorava la fronte dei dormienti come una madre amorevole.
-Non è colpa tua, Reyna – cinguettò con la sua voce sottile. – È stata colpa mia che me ne sono andata.
Le afferrai una mano.
-Ti prego – la supplicai con occhi imploranti. – Ti prego, non farlo più. Se vorrai tornare a casa, non appena tutto questo sarà finito, ti ci accompagnerò io stessa. Non mi interessa cosa diranno gli altri. Io ti aiuterò.
Il sorriso di Eve si fece strada sulle sue labbra, per poi spegnersi un poco.
-Va bene – soffiò piano. Troppo piano.
Iniziò a barcollare.
-Eve! Che ti succede? – quasi urlai, preoccupata.
La sorressi per un braccio, un attimo prima che cadesse al suolo. Subito, gli altri ci furono vicino.
L'esile corpo di Eve era scosso da violenti tremori. Le spalle sobbalzavano a ogni respiro e la testa era gettata all'indietro, con i capelli sugli occhi e la bocca spalancata in cerca di aria.
-Eve!
Le spostai le ciocche dal viso e quello che vidi mi lasciò senza fiato.
I suoi occhi... i suoi occhi erano d'argento.
E non l'argento flebile e ammaliatore della luna. No, erano di argento liquido e puro, brillanti come specchi d'acqua al crepuscolo.
-Eve – la chiamò Abel a mezza voce, con le sopracciglia corrugate e le labbra serrate.
Allungò una mano verso di lei e le sfiorò le dita con una delicatezza che non credevo possibile da parte sua.
Ivan e Gregor si irrigidirono, pronti a scattare al primo passo falso di Abel.
Nonostante quello che aveva fatto, nonostante fosse a causa sua che Eve era quasi morta, non potevamo abbandonarlo al suo destino con i soldati che ci davano la caccia. Non eravamo crudeli, ma nemmeno degli stupidi. Lo avremmo tenuto d'occhio.
-Eve – mormorò ancora, come una preghiera.
Gli occhi di lei erano puntati su di lui, freddi e brillanti, e mi chiesi come facesse a non urlare, con quello sguardo puntato addosso.
Improvvisamente, Eve smise di tremare, sfuggì al tocco di quella mano coperta di lentiggini e si alzò di scatto in piedi.
La imitammo, preoccupati e terrorizzati da quegli occhi che sembravano in grado di vedere il flusso della vita scorrere in noi.
Per un attimo, compii il terribile errore di incrociare il suo sguardo.
E nelle sue iridi lunari mi vidi bambina, nascosta sotto un letto durante un temporale, con il mio pupazzo stretto al petto, il peso di una promessa che mi gravava sulle spalle e la consapevolezza dell'abbandono che mi graffiava il cuore. Mio padre mi aveva abbandonata; non mi avrebbe tenuto la mano mentre il cielo si scuoteva di tutta la sua rabbia. Ero sola.
-Catene – sussurrò Eve con una voce che non era sua, roca e affettata.
"Il Giorno e la Notte,
trofei di morte e di sangue.
Il dolore attende all'ombra della pietra maledetta,
parole di illusioni e giuramenti di vendetta.
Incanto di malie,
spade spezzate e promesse infrante e mantenute.
Con l'anima di pietra ritorna il passato,
la Lince combatte per il futuro sperato.
Coltelli di tenebra,
cuori di acciaio e inferni di paure.
Ali di Corvo come speranza nel tormento,
il fiore divino combatte contro il Tempo.
Fuggi e prega.
Lotta e uccidi.
Gli occhi di vetro osservano il destino.
Corri, non ti fermare.
Il Generale dimora nella città da dimenticare."
Il mio cuore batteva a un ritmo forsennato; lo sentivo rimbombare nelle orecchie. Mi scambiai un'occhiata con gli altri e trovai i loro visi pallidi come la falce di luna nel cielo.
D'improvviso, gli occhi di Eve tornarono normali, azzurri e smarriti. Si toccò la tempia e fece una smorfia, come se fosse stata colpita da un feroce mal di testa.
-Che cosa... – mormorò confusa.
Poi svenne e Abel la afferrò al volo prima che potesse sbattere la testa. La adagiò con delicatezza a terra e, mentre le fissava intensamente, mi parve di sentirlo sussurrare:
-È facile spezzare qualcosa di fragile. Era quello che cercavo di farti capire.
Aggrottai le sopracciglia e, a giudicare dalle loro espressioni, fui certa che anche gli altri avessero sentito quelle parole. Ivan serrò la mascella, ma rilassò finalmente la presa sulla sua lancia, come se quella frase gli avesse suggerito che Abel non era una minaccia. O almeno non per il momento.
Gregor si passò stancamente una mano sulla fronte, scostandosi i ricci biondi con insofferenza. I suoi occhi erano scuri come pece quando mormorò:
-Questa storia non mi piace.
Non piaceva nemmeno a me.
Era da un po' che non mi rimaneva così complicato scrivere un capitolo. È abbastanza lungo ed elaborato e contiene un sacco di indizi su ciò che succederà nei prossimi libri. 🤐
E io che all'inizio volevo scrivere una storia semplice e lineare! 😅
Cooooomunque... torniamo a noi! Per prima cosa abbiamo avuto le visioni di Reyna. C'è stata per caso qualche intuizione geniale? 🤔
Poi abbiamo scoperto che Eve è la Trina di Luna (qualcuno lo aveva ipotizzato tempo fa! 👏❤ ) e abbiamo letto la sua fantastica profezia che promette decisamente bene.
Capitolo leggerissimo insomma! 😂
Come sempre fatemi sapere se vi è piaciuto! A preso con il prossimo aggiornamento! ❤
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