55. La volontà del Fuoco
Il capo dei Segugi afferrò le mani tremanti di Brianne e le stinse tra le proprie, grandi, callose e piene di cicatrici.
-Andrà tutto bene – provò impacciatamente a confortarla, guardandola intensamente con l'unico occhio sano.
La donna scosse la testa, i lunghi capelli mori che le serpeggiavano lungo le braccia.
-Non è vero... – mormorò con un filo di voce. – Mi punirà e... e finirò come Darren. Ma non credo che Tyros si farà scappare un altro prigioniero.
Le dita di Raev si serrarono sulla pelle di lei, stringendole i polsi con forza. I capelli biondo cenere gli scivolarono sul viso, nascondendo occhi e cicatrice, mentre si chinava in avanti per depositarle un lieve bacio sulla pelle morbida della guancia.
Le labbra del Segugio indugiarono lì per un istante per poi scivolare oltre, fino all'orecchio.
-Non lo permetterò. Sai che non lo farei mai – ringhiò con ferocia. – Dovessi staccare la testa al re con le mie mani, non...
Proprio in quell'istante, l'enorme portone d'ebano intarsiato si spalancò, rivelando la sala del trono.
Il sorriso di Ulric fu la prima cosa che videro.
-Benvenuti, – li accolse con freddezza. – Venite, il Re vi aspetta.
Brianne rabbrividì quando il Segugio ignorò il protocollo e si fece avanti per primo. Avanzò deciso lungo il tappeto scarlatto che conduceva al trono ombroso senza attendere il suo prefetto, che dovette allungare il passo per stargli dietro.
-Mio re, – lo salutò Raev con garbo ma fermezza.
Un lampo di bianco nella sala avvolta dalle tenebre. Era la mano di Tyros che indicava verso il basso. Ciò che imponeva era chiaro: dovevano inchinarsi.
Brianne ubbidì, mettendosi in ginocchio ai piedi del trono, i capelli come una cascata a nascondere il volto timoroso.
-Entrambi – ordinò il sovrano, con una punta di irritazione a graffiargli la voce solitamente piatta.
Solo in quel momento il prefetto del Fulmine si accorse che il suo amico più fidato non aveva accennato a imitarla.
-Raev, – sibilò, il cuore che le rimbombava nelle orecchie – fallo.
-No.
L'occhio di ghiaccio del Segugio rimase puntato sulla figura del re, di cui si scorgevano solo alcune ciocche corvine che facevano a pugni con la carnagione di un bianco osseo.
Il profilo del polso di Tyros, solcato da sottili vene azzurre, tremò per un istante tra le tenebre del trono.
Ulric avanzò verso di loro, avvolto in una preziosa tunica azzurra rifinita d'oro. I polsini impreziositi con zaffiri sembrarono catturare la poca luce che osava sfidare il buio della sala, mentre il Primo Consigliere gesticolava animatamente.
-No? – dilatò le narici, oltraggiato. – Come osi? È il tuo sovrano.
Raev scoprì i denti in un ringhio silenzioso, ignorando le mute suppliche di Brianne.
-Non è a lui che ho giurato fedeltà.
Ulric fremette di indignazione. Stava per replicare quando Tyros si alzò lentamente dal trono, avvolto in abiti scuri e in un mantello del colore del sangue.
Scese dalla pedana su cui si trovava a passo cadenzato, ritmato come i ticchettii di un orologio e, mano a mano che una lama di luce rivelava la sua figura, Raev poté scorgere per la prima volta due occhi che parevano abissi di morte.
Ma non tremò. Non implorò pietà come facevano solitamente gli altri.
Rimase ritto in piedi, il mento alto e la mascella contratta, come se si trovasse in uno dei suoi soliti scontri mortali contro il Demone.
Il re gli si accostò, la cicatrice mostruosa come quella del Segugio a tagliare la linea del mento e il capo inclinato.
-Interessante... – mormorò tra sé, studiandolo attentamente. – La volontà del fuoco, eh? Era da un po' che non incontravo qualcuno in grado di sfidarmi così apertamente. Potrei avere un incarico per te.
La volontà del fuoco. Raev aveva sentito solo leggende, mormorii in punta di labbra pronunciati con gli occhi che scrutavano la sala per vedere se qualcuno stesse origliando.
Si diceva che in un tempo remoto, decine di millenni addietro, gli Dei non fossero cinque, ma sei. Il Sesto, gemello del Dio del Fuoco – nato insieme a lui dal ventre del Caos e dal soffio del Vuoto –, scomparve improvvisamente eoni addietro.
La sua perdita incrinò irreparabilmente il cuore del Fuoco che, straziato dal dolore, quasi impazzì, riducendo in cenere tutto ciò che era stato precedentemente creato. Se gli altri Dei non l'avessero fermato, quel giorno Valhaar non sarebbe esistita.
Fu proprio su quella terra che voleva distruggere che caddero le sue lacrime. Ma coloro che furono bagnati da quella pioggia di fiamme non morirono.
Il Dio del Fuoco infatti non si era arreso alla scomparsa del gemello perduto. Giurò sul cielo e sulle stelle che lo avrebbe ritrovato. E quegli uomini ricevettero in dono la sua stessa ferrea volontà.
La volontà del fuoco.
Raev non perse tempo a ragionare su quelle parole. Tyros aspettava una risposta.
-Io eseguo gli ordini di un'unica persona – ribadì ancora il Segugio, in un latrato che risuonò nella sala scura.
-Eppure quella persona è inchinata al mio cospetto – gli fece notare Tyros, riducendolo al silenzio. – Alzati Brianne – ordinò poi.
Il prefetto obbedì e cercò lo sguardo di Raev che, tuttavia, sfuggì al suo.
-Ti voglio domani nella sala del Consiglio per discutere di alcune questioni. Voglio che partecipi anche quest'uomo e gradirei che fosse più... obbediente. Puoi fare qualcosa per soddisfare la mia richiesta? – domandò retoricamente con voce piatta.
-Ovviamente, mio re – si affrettò a dire la donna. – Le auguro una buona serata.
E afferrò il braccio del capo dei Segugi per trascinarlo verso il portone, prima che sfidasse ulteriormente la pazienza del re.
Tyrso, tuttavia, li fermò.
-Aspettate.
Il suo dito pallido andò a indicare il corpo di Raev.
Un istante dopo, il Segugio sentì chiaramente le sue ossa cigolare sotto il peso di una forza antica come la terra.
Crollò a terra, cercando di incamerare aria, mentre la cassa toracica gli veniva schiacciata da un comando invisibile e crudele.
Brianne emise un verso strozzato.
-Raev! – si chinò su di lui con le mani tremanti, senza sapere cosa fare. – Cosa ti succede?
Ulric, lì accanto, ghignò maligno.
Il re fece un passo nella loro direzione e, ignorando i suoni spezzati e sofferenti di Raev, gli spinse la suola della scarpa elegante sulla testa, costringendolo a premere la fronte sul pavimento gelido.
-Un piccolo promemoria per il capo dei Segugi, – disse, la sentenza di tenebre e gelo che calava dall'alto – per ricordagli l'importanza del rispetto e della devozione.
Le dita cineree del sovrano si chiusero in un pugno e il suono di grida e di ossa spezzate riempì l'aria.
Tyros si girò in uno sbuffo del mantello sanguigno.
-Potete andare – comunicò loro, mentre Brianne affondava i denti nel labbro fino a farlo sanguinare.
Il respiro del prefetto si fece irregolare mentre scostava i capelli biondo cenere di Raev dal suo volto contratto dal dolore. Le sue mani arpionarono i vestiti di lui.
Il re era sempre stato una persona accorta e maniacale. Eppure, quel giorno, un dettaglio sfuggì ai suoi occhi d'ossidiana.
Tyros non vide la promessa di morte che riluceva limpida e minacciosa nello sguardo del prefetto.
Perché lei era una donna del Fulmine. Non si piegava, non si spezzava.
Lei era il ghiaccio e la roccia, il ferro e la spada. E nel cuore di coloro che vivono nel gelo, divampa il fuoco della rabbia.
Non si accorse della vendetta che reclamava il suo sguardo.
Ne avrebbe pagato le conseguenze.
Sapevo che sarei dovuta rimanere al calduccio nel mio sacco a pelo mentre avanzavo lentamente verso Abel, portando con me il kit medico.
Era seduto accanto al focolare, talmente vicino che ero certa gli si sarebbero bruciati gli abiti. Il fodero della sua spada gli pendeva dal fianco, nel caso il turno di guardia avesse reso necessario il filo della sua lama.
Gli altri stavano dormendo e sapevo che avrei dovuto farlo anche io, se non fossi voluta svenire il giorno seguente. Ma non potevo guardarlo con tutti quei lividi che gli macchiavano la pelle coperta di lentiggini.
Abel osservò ogni mio passo con occhi feroci e io quasi inciampai per il nervosismo.
-Cosa vuoi? – ringhiò con voce bassa e roca.
Non risposi e iniziai ad armeggiare con le cinghie dello zainetto.
-Cosa sei venuta a fare? – domandò ancora, protendendo le spalle in avanti con aria aggressiva.
-Sono qui per dare una mano – risposi in un soffio che si perse negli scoppiettii del fuoco. – Sono qui per rendermi utile.
Un lampo di irritazione sfolgorò nelle sue iridi nocciola quando srotolai delle bende di lino.
-Non ho bisogno del tuo aiuto. Torna a dormire – grugnì scoprendo i denti.
-Non posso farlo se so che sei ridotto in queste condizioni.
-Non c'è nessuna condizione qui. Vattene.
-Eppure questo livido dice il contrario – mormorai, toccando appena una macchia violacea sul polso. – E questo – proseguii facendogli notare un'abrasione sull'interno dell'avambraccio. – E ancora questo – indicai il suo zigomo gonfio senza osare sfiorargli la pelle.
Abel strappò via la sua mano dalle mie e scrollò le spalle.
-Non è niente. E, come ho detto, non ho bisogno del tuo stramaledetto aiuto.
Non mi lasciai intimorire dal suo tono. Intinsi le dita in un barattolino pieno di una pomata alla salvia e iniziai ad applicarla sul suo polso.
-Ma sei sorda?! – latrò ad un centimetro dal mio viso. – Ho detto...
-E io ho detto – lo interruppi con gentilezza – che sono un medico. E visto che, come non hai mancato di farmi notare, sono negata per il combattimento, sarebbe estremamente scortese impedirmi di rendermi utile per almeno quel poco che so fare.
Per un istante, Abel rimase a corto di parole. I suoi occhi nocciola mi squadravano fissi, mentre le fiamme del focolare gli danzavano tra le lentiggini.
Infine, emise un basso sospiro.
-Sbrigati.
Annuii, trattenendo appena un lieve sorriso. Applicai la pomata anche sull'abrasione e poi gli fasciai il braccio.
-Non è necessario – borbottò, provando a ritrarsi.
-Non sapevo fossi un medico – replicai piano, mettendo a tacere le sue proteste.
Terminai la fasciatura e poi rivolsi la mia attenzione al suo zigomo violaceo. Ivan non ci era andato piano con lui quando lo aveva colpito con il pomolo della spada di legno.
Spalmai con tutta la delicatezza di cui ero capace la pomata sulla sua pelle gonfia e spaccata, mentre l'odore di salvia ci circondava come una nube profumata.
Abel contrasse la mascella e strinse i denti, fulminandomi con un'occhiata.
-Fa male – biascicò a mezza voce.
Continuai imperterrita mentre sentivo le sue pupille che mi trafiggevano come braci infuocate. Non appena terminai, riposi in silenzio la pomata nello zaino e feci per ritornare al mio sacco a pelo.
-Aspetta – disse Abel.
Mi voltai verso di lui, in attesa.
-Perché... – si passò una mano tra i capelli rossi – perché mi hai aiutato?
-Perché no?
-Ti ho spinta oggi. Ti saresti potuta fare male e tu sai che l'ho fatto apposta, così come lo sanno Ivan, Reyna e Gregor. L'ho fatto perché non mi importava.
-E adesso ti importa?
Abel non rispose.
Sospirai, sentendo i capelli biondi scivolarmi sulle guance, e mi accomodai al suo fianco.
-Ti ho aiutato perché volevo farlo – risposi senza guardarlo, tenendo gli occhi puntati sul fuoco. – E non mi interessa che tu mi abbia spinto. Anzi, forse sono addirittura contenta che tu l'abbia fatto.
Abel aggrottò le sopracciglia e io proseguii:
-Voglio bene agli altri, ma loro mi trattano... come una bambola di porcellana, fragile e indifesa. E io lo sono, non lo nego. Ma non voglio ricevere trattamenti di favore. Non voglio che ogni volta qualcuno mi chieda se sono stanca e voglio riposare per un po', non voglio che qualcuno si offra di portare il mio zaino per me, non voglio essere esonerata dai turni di guardia.
Abel rimase in silenzio e il fatto che non mi stesse cacciando mi sembrò un invito a continuare.
-Gli voglio bene e so perché lo fanno. Ma... per tutta la vita sono stata all'ombra di qualcuno. Tutti mi conoscevano come la nipote di Jin, la nipote del medico migliore del Paese dell'Acqua. E io speravo che, partendo con loro, le cose sarebbero cambiate. Che anche io avrei potuto rendermi utile, diventare qualcuno. È per questo che ero felice quando mi hai spinto. Perché almeno tu non mi hai trattato come qualcuno da proteggere a tutti i costi.
Le mie labbra si piegarono in un sorriso triste mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime.
-Ma forse il mio destino è proprio questo, restare nell'ombra. Forse... forse non sarò mai in grado di sbocciare, di vedere la luce.
Mi morsi l'interno della guancia e strinsi l'orlo della mia maglietta tra le dita.
Abel mi stava guardando, lo sentivo. Lasciai passare qualche istante prima di alzare gli occhi.
I suoi erano fissi, contemplativi, e la sua pelle luminosa come non mai. All'inizio non compresi da dove venisse tutta quella luce, non poteva essere già sorto il sole.
Poi abbassai lo sguardo sulle mie mani.
E le vidi circondate da una polvere di fuoco. E lo stesso le braccia, le gambe e le spalle.
Braci ardenti sfrigolavano attorno a me senza bruciarmi, rivestendo la mia intera essenza di un chiarore caldo e fatato.
Puntai su Abel uno sguardo meravigliato. E la vidi, la risposta, incastonata tra le sue pupille taglienti.
Non ero più nell'ombra.
Nei giorni seguenti Abel mi permise di fare il turno di guardia con lui. Restava perlopiù in silenzio, sempre vicinissimo al fuoco, lo sguardo fisso sulle fiamme, e ignorava ogni mio tentativo di fare conversazione. Poi, non appena il suo turno finita, aspettava che io tornassi nel mio sacco a pelo e andava a svegliare una Reyna sempre particolarmente imbronciata.
-Posso vedere il tuo Marchio? – gli domandai una sera.
Abel si voltò in uno schiocco di denti.
-Perché? – domandò, arricciando il labbro superiore.
Mi strinsi nelle spalle.
-Non l'ho mai visto. Ero solo curiosa – pigolai.
Abel mi fissò per un istante che mi parve lunghissimo e poi scosse la testa, ostentando un ghigno tutt'altro che rassicurante.
-Per fartelo vedere dovrei spogliarmi. E non credo che tu voglia questo. Non è vero, mia cara Eve?
Arricciai il naso in una smorfia di disappunto, mentre sentivo le guance prendere fuoco.
-Immagino... immagino di poterne fare a meno – sussurrai, abbassando lo sguardo.
Abel sorrise compiaciuto e tornò a guardare il fuoco. E mi parve che nei suoi occhi ci fosse tanto, troppo da dire. Fissava le fiamme come se non sapesse scegliere se amarle o odiarle.
-Perché... perché sei qui, Abel? – domandai dopo un po'.
-Cosa intendi?
-Tutti noi ci siamo uniti a Gregor quando ce l'ha chiesto, dopo aver sentito le sue motivazioni, e sia io che Reyna abbiamo esitato a lungo prima di accettare. Tu invece sei venuto da noi, sei andato incontro al pericolo senza conoscerlo.
Abel inspirò profondamente e chiuse gli occhi, mentre i riflessi delle braci ardenti gli si riflettevano sul volto.
-Perché trovarvi, unirmi a voi, era un passo verso la libertà.
Quando socchiuse le palpebre i suoi occhi mi parvero scuri e tormentati come non mai.
-Sei mai stata in catene, Eve? Ti sei mai sentita vuota, con la sola compagnia del tarlo del dolore a divorarti da dentro? Hai mai desiderato porre fine alla tua stessa vita?
Scossi la testa, senza fiato.
-Bene. Perché io l'ho fatto, a lungo e con disperazione. E porto le cicatrici del mio passato cucite addosso.
Sentii il petto chiudersi in una morsa, mentre sfioravo il dorso della sua mano con dita tremanti. Non osai incrociare il suo sguardo.
-Cosa ti è successo, Abel? – domandai infine, talmente piano che, se non fossi stata io stessa a muovere le labbra, avrei dubitato che quelle parole fossero state effettivamente pronunciate.
La sua bocca si tirò in una linea, mentre contraeva la mascella.
-Non vuoi saperlo.
-Sì invece. Ti prego, io... non lo dirò agli altri – lo supplicai.
E mi sporsi verso di lui, una mano sul suo braccio e l'altra a stringergli l'orlo della maglietta spiegazzata.
I suoi occhi caddero lì, dove una striscia della sua stessa pelle spuntava da sotto la stoffa. Per un attimo trattenne il fiato.
E poi caddi a terra, mentre il ciocco di legno su cui ero seduta rotolava via.
Sentii il calore, non più la carezza tiepida della polvere di fuoco dell'altra sera, ma fiamme bollenti che mi scottavano il viso.
Un muro di fuoco sfrigolante mi separava da Abel.
-Non toccarmi – ringhiò con una rabbia in volto che non gli avevo mai visto e i pugni stretti lungo i fianchi. – Non devi toccarmi.
Abbassai lo sguardo costernato sulla mia mano, sul cui palmo giaceva un brandello della sua maglietta.
-Mi dispiace, io... – mormorai mortificata. – Io...
-Che succede qui?
La voce di Gregor mi interruppe, mentre Reyna mi aiutava a rimettermi in piedi. Gli occhi del Marchiato della Terra erano scuri come il bosco di notte.
-Che succede? – ripeté con calma letale.
Reyna fissava Abel con i denti in vista e i capelli spettinati. Mi sembrava di poter intravedere il suo Marchio bruciare sotto il guanto.
-Niente – scossi la testa frastornata, sentendo i capelli sfiorarmi le clavicole. – Non è successo niente.
Gregor non fece in tempo a replicare che un'ombra calò su Abel.
Ivan lo avverrò per la maglietta e lo spinse a terra. La punta della sua lancia sfiorava il collo del ragazzo.
-Hai trenta secondi per darmi un buon motivo per non ucciderti.
Abel sorrise e rimase in silenzio. E io ripensai alle parole che mi aveva detto, alle preghiere di morte che aveva rivolto.
Mi feci avanti, mentre il muro di fuoco scompariva.
-Va tutto bene, Ivan. Non è successo niente.
I suoi occhi torbidi si puntarono su di me.
-E allora spiega, prima che decida di ammazzarlo.
Affondai i denti nel labbro, torcendomi le mani.
-Io... sono stata un po'... brusca.
Reyna emise una risata secca.
-Tu? Brusca? Ma non dire scemenze. Adesso glielo faccio vedere io a quel...
-È vero – insistetti io. – Abel era stato molto chiaro sul fatto che non mi volesse intorno e io... io ho insistito per fare il turno di guardia con lui e l'ho tormentato con le mie domande e...
-E allora come mai il muro di fuoco? – domandò Gregor.
-Era per... tenermi lontana. Ma non mi ha fatto del male. Lo giuro!
Lentamente, seppur riluttante, Ivan spostò la lancia dalla gola di Abel. Il ragazzo si rimise in piedi, spazzolandosi i vestiti e continuando a sogghignare.
-Il mio turno non è ancora finito. Potete anche tornare a letto – sibilò velenoso.
Gregor gli lanciò un'occhiata, mentre Reyna gli rispose con un grugnito. Ivan invece lo squadrò dall'alto e... gli diede un pugno.
Forte. Troppo veloce perché potesse schivarlo.
Mi sembrò di sentire io stessa il dolore quando il sangue iniziò a colare dal naso di Abel.
E mi chiesi se solo io avessi visto che, nonostante tutto, non aveva perso il suo sorriso.
Il mattino seguente Reyna mi prese da parte.
-Perché volevi fare il turno di guardia insieme ad Abel?
Sotto il suo sguardo indagatore, mi morsi il labbro.
-Voglio fare anche io la mia parte. Non voglio ricevere un trattamento di favore rispetto a voi. E lui non ha protestato quando ho iniziato a tenergli compagnia. O almeno, non fino a ieri.
Reyna scosse la testa con un sospiro. La treccia corvina le ondeggiò su una spalla.
-Avresti potuto chiederlo a me. Sai che non ti avrei detto di no.
Le rivolsi uno sguardo sinceramente stupito.
-Ma io credevo... – balbettai. – E Gregor e Ivan hanno detto...
Reyna sollevò lo sguardo al cielo, sbuffando:
-Da quando in qua io faccio quello che dicono quei due? – mi posò una mano sulla spalla. – E se ne avessi parlato anche con loro sono certa che ti avrebbero permesso di tenergli compagnia nei loro turni. Loro... loro non lo fanno perché non si fidano di te. È solo che sono protettivi, fin troppo. Ma entrambi hanno perso molte persone a loro care e non credo che riuscirebbero a sopportare altre perdite.
Abbassai lo sguardo, sentendomi un po' in colpa. Non avevo mai pensato al loro punto di vista, ma...
-Io non voglio fare un turno di guardia insieme a qualcuno. Lo voglio fare da sola. Quello con Abel era... un ripiego.
Reyna fece una lieve smorfia.
-Sei stanca, Eve. Tutti noi lo vediamo. A fine giornata ti reggi a malapena in piedi.
-Posso farcela! Mi sto allenando duramente per...
La Marchiata del Vento mi interruppe sollevando una mano.
-Siamo tutti consapevoli dei tuoi sforzi, ma queste terre sono pericolose tanto quanto quelle del Fulmine. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia.
-E questo cosa c'entra? – domandai con la fronte corrugata.
-C'entra che, se sei troppo stanca, potresti essere meno attenta. E minor attenzione comporta un maggior pericolo.
Le sue parole mi colpirono con forza, proprio al centro del petto. Nella mia testa iniziarono a rimbombare parole di fiele.
Sei inutile. Sei solo un peso.
Un peso. Ecco cos'ero.
Alzai lo sguardo su Reyna e sentii i muscoli delle guance protestare quando li distesi nel mio miglior sorriso.
-Hai ragione – mi sforzai di trillare.
Un peso.
Reyna ricambiò il sorriso, senza accorgersi dei denti del tormento che mi mordevano il cuore.
Resterai sempre nell'ombra.
Questa volta, non c'era nessuna polvere di fuoco a illuminarmi.
Non riuscivo nemmeno a guardarli negli occhi.
Erano lì, attorno al fuoco, a parlare degli argomenti più vari. Distribuivo sorrisi distratti, ma nessuno sembrava notare cosa mi passasse per la mente.
Sarei dovuta rimanere a casa con i nonni. Avrei fatto un favore a tutti.
Una lacrima solitaria mi scivolò sulla guancia. Mi affrettai ad asciugarla con la manica della maglietta: non volevo che la vedessero.
Mi guardai attorno.
Gregor, Reyna e Ivan erano seduti attorno al focolare e chiacchieravano del più e del meno. Bastava un'occhiata per capire quanto fossero in sintonia: erano guerrieri che avevano vinto battaglie, compagni che avevano vissuto avventure e amici che si erano guardati le spalle a vicenda nei momenti di avversità.
Gregor e Reyna stavano ridendo per qualcosa e perfino Ivan aveva un'espressione distesa, calma, mentre i riflessi delle fiamme gli illuminavano gli zigomi alti.
Per un attimo, mi chiesi se non fossi stata troppo ingenua a credere che avrei potuto davvero far parte del loro gruppo.
Fu allora che la sentii. Una pressione alla nuca, come la puntura di uno spillo.
Mi voltai. Due occhi color nocciola mi fissavano seri, fermi in un'immota concentrazione, tra ribelli ciocche rosse che parevano lingue di fuoco.
Mi pietrificai, mentre le pupille penetranti di Abel mi sondavano da testa a piedi, soffermandosi su ogni mio dettaglio con un'attenzione quasi ossessiva.
E quello che vidi, riflesso in esse, altro non era che un incendio.
Mura di fiamme e scintille roventi mi riempirono le iridi e quasi mi sentii evaporare, sbuffi caldi nell'aria fresca della sera.
Era quello che succedeva quando l'Acqua incontrava il Fuoco.
Mi allontanai dall'accampamento cercando di non farmi notare, la mente focalizzata su un unico pensiero: scappare, sottrarmi a quegli occhi che mi aprivano il petto in due e mi guardavano il cuore, nudo, con una crudezza che mai avevo sperimentato.
Avevo compiuto appena qualche passo nel fitto del bosco quando due mani mi afferrarono da dietro e mi spinsero contro la corteccia dura di un albero senza il minimo riguardo.
Mi scappò un lamento di dolore e provai a divincolarmi da quella stretta, ma un palmo caldo, bollente, mi si premette sulle labbra. I miei refoli spaventati si infransero sulla pelle del mio aggressore.
-Sta' buona, sono io.
Solo in quell'istante sollevai gli occhi su di lui.
-Abel... – mormorai, un po' rinfrancata. – Cosa...
Il ragazzo si avvicinò a me e mi sovrastò con il suo corpo asciutto e nervoso. Era vicino, troppo vicino: potevo contargli le lentiggini sulla pelle.
-Cosa ci fai qui? – sbuffò e un sorriso retorico e tagliente gli si aprì in volto. – Dovrei chiederlo io a te.
Aprii la bocca in uno sfarfallio di ciglia, le labbra ancora premute contro le dita di lui:
-Volevo fare una passeggiata.
-Di sera? Nel bosco? Da sola? – mi incalzò. – E in ogni caso non intendevo questo.
-Avevi detto che non volevi ti toccassi – soffiai a mezza voce.
Abel rispose con una smorfia furente e, se possibile, mi spinse ancora di più contro l'albero, la stoffa dei miei vestiti stretta nel pugno e il petto a pochi millimetri dal mio.
Un sorriso bieco gli piegò le labbra nel notare le mie guance che prendevano improvvisamente fuoco.
Per un istante riemersi dal mio smarrimento. Non riuscivo a capire se a scottare era il palmo della sua mano premuto sulle mie labbra oppure i miei stessi respiri che si infrangevano sulla pelle di lui.
L'aria fresca della sera sgusciava tra i nostri corpi. Distanti, ma mai quanto i nostri cuori.
Ma allora da dove veniva tutto quel calore che mi inondava il sangue?
-Intendevo, – continuò con voce bassa e roca – cosa ci fai qui con loro?
E, vedendo la mia espressione, aggiunse:
-Tu l'hai chiesto a me, io lo chiedo a te.
Presi un respiro quando, finalmente, la sua mano mi lasciò libera di parlare liberamente.
-Sono una Marchiata – risposi semplicemente, come se quello bastasse a esprimere il groviglio di emozioni che si era fatto strada in me il giorno della partenza.
Abel arricciò il labbro superiore e mi guardò dall'alto, le iridi nocciola incastrate tra le ciglia.
-Vattene – mormorò tra i denti. – Ho sentito le belle parole di Gregor, l'altro giorno. Sono solo un mucchio di stronzate. Sei solo un peso per noi.
Per un attimo, mi domandai se non fosse stato proprio lui a mormorarmi quelle parole all'orecchio, quella mattina. E io, che non ero mai stata in battaglia, le sentii conficcarmisi nel fianco come se avessi ricevuto una pugnalata.
Ma il Marchiato del Fuoco non aveva finito di infierire.
-Cosa credevi? Che avresti trovato un modo di renderti utile? La gente come te, assolutamente incapace di vedere la propria inutilità, – sputò con voce aspra e rabbiosa – è quella che disprezzo di più.
Serrai le palpebre, ma le lacrime scesero lo stesso lungo le mie guance, traditrici, mentre singhiozzi trattenuti mi scuotevano le spalle.
-Vattene – ripeté ancora Abel, impietoso come un Dio – e non tornare mai più.
Non avevo nulla con me: né un coltello, né una coperta, né provviste.
Ma l'Acqua, quando sgorgava tra rocce taglienti o si lanciava nel vuoto di una valle, non seguiva la ragione.
E così non la seguii io.
Puntai un'ultima volta lo sguardo nel suo: né un lampo di dispiacere, né una scintilla di soddisfazione. Gli occhi del Marchiato del Fuoco erano, in quel momento, della freddezza più totale.
-Salutami gli altri – sussurrai in un debole singhiozzo.
E me ne andai.
Quella notte non dormii.
Ci avevo provato a lungo e invano, ma strane visioni invadevano i miei sogni.
Vedevo occhi di un'eterocromia spiazzante fissarmi malvagi dall'alto, montagne di fuoco e di fiamme e il polso martoriato di una donna che riemergeva dalle tenebre di una prigione. Non riuscii a scorgere il suo volto, ma solo il lampo di un ghigno di sfida.
Dopo un po', infine, rinunciai. Raggomitolata contro le radici di un albero, stretta nei miei vestiti e con i pantaloni sporchi di terra, piansi in silenzio.
Volevo tornare a casa. Non sarei mai dovuta partire.
Nella mia mente balenarono i volti dei miei nonni. Cosa avrebbero detto quando mi avrebbero visto tornare? Sarebbero rimasti delusi?
Poi, con orrore, un'altra domanda: sarei riuscita a raggiungere il Paese dell'Acqua? La mappa ce l'aveva Gregor e io non conoscevo minimamente quelle terre.
Il panico mi assalì e non mi abbandonò nemmeno quando i timidi raggi del sole tinsero il cielo dello stesso rosa pallido del mio vestito preferito.
I miei abitini! Sembravano passati anni da quando ne avevo indossato uno! Certo, i pantaloni erano più comodi e funzionali ma...
I miei pensieri vennero interrotti da un brontolio.
Mi guardai attorno terrorizzata. Un animale? Un lupo forse?
Mi spinsi ancora di più contro la corteccia quando un secondo brontolio riempì l'aria. Un secondo dopo, constatai con un pizzico d'imbarazzo che veniva dalla mia pancia.
Proprio in quel momento mi accorsi di una sottile colonna di fumo che si alzava all'orizzonte. Un villaggio!
Mi alzai in piedi di scatto, improvvisamente rinfrancata. Forse avrebbero potuto darmi un cavallo o indicare la strada del ritorno!
Camminai molto e a lungo, arrancando faticosamente tra gli arbusti e graffiandomi le caviglie, finché non mi sembrò di udire il gorgoglio di un fiume. Non ci pensai due volte a dirigermi in quella direzione: avevo la gola secca e l'impellente bisogno di sedermi a riposare.
Il profilo del corso d'acqua apparve ai miei occhi come un miraggio. Il fiume scorreva lento e placido tra le rocce, circondato da un canneto.
Una barchetta in legno solcava i flutti e tre pescatori stavano gettando le reti per provare a catturare qualche pesce.
Mi fiondai in quella direzione facendomi largo a forza tra le canne, misi le mani a coppa e bevvi lunghe sorsate. Rinvigorita, mi sedetti a gambe incrociate, decisa a lasciare un attimo di respiro ai miei muscoli stanchi.
Le mie pupille saettarono di lato quando un movimento brusco mi fece sussultare. La barca si era ribaltata.
Le urla dei pescatori riempirono l'aria: uno di loro era rimasto sotto la canoa. Dopo un tempo che mi parve lunghissimo, riuscirono a tirarlo fuori da quella trappola mortale e trascinarlo a riva. Ma era troppo tardi: non respirava più.
Mi diressi velocemente in quelle direzione per vedere se potevo fare qualcosa per aiutare.
Uno dei due superstiti iniziò a correre verso il villaggio, gridando a gran voce per chiedere aiuto. L'altro pescatore, nel frattempo, stava premendo con forza sul petto dell'uomo, provando a fargli sputare l'acqua che gli era finita nei polmoni.
Si voltò verso di me con gli occhi sbarrati.
-Non respira più!
Lo scostai gentilmente e posai due dita sul collo dell'uomo. Dopo qualche istante, il verdetto: niente battito.
Ma non mi sarei arresa così. Mi tirai su le maniche fino ai gomiti e appoggiai una mano sul suo petto, chiudendo gli occhi.
-Ma che diamine...
Non gli risposi nemmeno.
La sentivo, l'acqua che era nei polmoni dell'annegato. Era lì e aspettava solo i miei ordini.
La accontentai.
Un istante dopo, un fiotto d'acqua uscì con violenza dalle labbra dell'uomo che, finalmente, tornò a respirare.
Emisi un sospiro di sollievo.
-Come ti senti? – domandai mentre quello mi guardava turbato e scombussolato.
Non ricevetti mai la sua risposta.
-Sei una Marchiata... – fu il sussurro alle mie spalle, che in un attimo divenne un ringhio. – Sei uno di quei mostri!
Mi voltai verso il pescatore proprio mentre il suo collega tornava dal villaggio con altri due uomini.
-È la Marchiata dell'Acqua! – urlò loro quando mi furono vicini.
Indietreggiai di un passo, improvvisamente consapevole dell'errore madornale che avevo appena commesso.
I quattro uomini, grandi e grossi come orsi, avanzarono minacciosi verso di me.
-Gli esseri come voi dovrebbero essere estirpati dalla faccia della terra!
Uno di loro sputò a terra e allungò una mano per afferrarmi un polso. Mi ritrassi, incespicando all'indietro con gli occhi spalancati.
Dovevo scappare, dovevo...
Qualcuno mi afferrò per i capelli, strattonandomi a terra e spingendomi il viso contro la polvere.
Un dolore lancinante mi trafisse il fianco: un calcio, proprio sulle costole. E poi un altro e un altro ancora.
Portai le mani alla testa mentre lacrime calde colavano copiose sulla mia pelle e cadevano sul terriccio fangoso. Urlai per il dolore quando mi scagliarono contro un paio di sassi, con forza, con rabbia, incuranti delle mie suppliche di smetterla.
-Ci fermeremo solo quando sarai morta, piccola bastarda! – rise uno di loro. Con la coda dell'occhio lo vidi caricare un altro calcio.
Ma non mi importava più: il dolore stava scemando e la mia coscienza – ormai scivolata via – era legata a me solo da un ultimo filo.
Quella volta, però, niente mi colpì.
Tra le mie palpebre frementi, mi parve di vedere la fine del mondo.
Crepe divelsero la terra da cui spuntarono lingue di fuoco e il vento iniziò a fischiare, mentre saette di un blue elettrico si schiantavano al suolo.
Sentii urlare il mio nome. Ma era tardi.
I miei occhi si chiusero.
Giusto nei commenti del capitolo precedente avevo nominato Raev... ed eccolo qua, per vostra grande gioia! Non esultate troppo, mi raccomando. Comunque chissà, magari qualcuno lo sta iniziando a rivalutare (speranza vana la mia, lo so). 😂
Ma andiamo subito al clou di questo capitolo interminabile... il nostro amatissimo (o forse, a questo punto, odiatissimo) Abel! 🔥
Diciamo che se fossi una lettrice in questo momento proverei sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Decisamente contrastanti... Ammettetelo, nella parte della polvere di fuoco è stato troppo carino!
Comunque cosa ne pensate di lui? Avrà avuto le sue ragioni oppure è solo una testa di rapa che farà a breve una brutta fine? 🤔
Per non parlare poi della povera Eve! So che un po' mi odiate per tutto quello che combino ai miei personaggi. 😅
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto! A presto! ❤
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