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49. Il mistero della Base

Era passato tanto, troppo tempo da quando avevo vissuto in una casa vera. Mi sembrava un'illusione; ero certo che una di quelle mattine, al risveglio, mi sarei ritrovato in un'umida grotta sugli Arenas, con il gelo che mi mordeva la pelle e i Segugi attaccati alle costole.

Mi sentivo strano a tenere in mano le posate – Gregor diceva che impugnavo la forchetta come se volessi cavare un occhio a qualcuno –. Per non risultare sconveniente, a tavola copiavo impacciatamente i movimenti altrui, stando attento a non fare niente che altri non avessero fatto prima di me; ero sempre l'ultimo a sedersi, ad alzarsi e a mangiare. Da un certo punto di vista era stressante.

Ma poi ricordavo che, se in quell'istante avessi deciso di uscire a fare una passeggiata, al mio rientro sarei stato accolto dai pasti caldi di Jin e Cinzia e dal sorriso di Eve.

Quella ragazza era minuscola. Fin troppe volte avevo lanciato occhiate corrucciate al suo piatto per assicurarmi che mangiasse abbastanza.

Un giorno, presi da parte Gregor e Reyna per esprimere i miei timori. Avevo sperimentato sulla mia pelle i morsi della fame e non avevo alcuna intenzione di lasciare che qualcun altro subisse quello che avevo dovuto sopportare io. Gregor e Reyna, tuttavia, mi risero in faccia.

-Se tu che mangi troppo, amico – sogghignò Gregor. – Eve è circa un quarto della tua massa corporea: è naturale che mangi meno di quanto non faccia tu.

-Ma... anche Reyna è piccola, eppure mangia più di lei – provai a obbiettare con le sopracciglia aggrottate.

L'aria attorno a me si fece gelida come una bufera di neve. Le ante delle persiane sbatterono sui vetri con talmente tanta forza da far sobbalzare il povero Jin, intento a cambiare la fasciatura di Dafne.

Gregor sussultò, le labbra tirate in una linea, e scosse la testa con vigore, assumendo un'espressione terrorizzata.

Delle unghie mi si conficcarono nel braccio.

-Stai insinuando qualcosa forse? – mi domandò Reyna con dolcezza, il volto disteso in un sorriso innaturalmente ampio.

Mille campanelli di allarme mi suonarono in testa.

-No – mormorai a mezza voce. – No, nulla.

Reyna annuì:

-Bene.

Mi diede le spalle e l'aria tornò alla sua normale temperatura.

Con la coda dell'occhio, scorsi Gregor che, decisamente sollevato, alzava il pollice in segno di approvazione. L'avevo scampata bella.




Episodi di quel tipo – di una quotidianità disarmante – si susseguirono per un mese tra le mura di quella casetta incuneata nel bosco. 

Nel frattempo, noi guarimmo completamente. Dafne riuscì finalmente a muovere qualche passo e, dopo tre settimane di riposo forzato, disse di sentirsi molto meglio. Benya tuttavia non era convinto e non la perse di vista nemmeno per un attimo nel corso del suo lungo ricovero, pedinandola sia in casa che in giardino con il volto dipinto di ansia e preoccupazione.

-Se vuole camminare, che cammini – sostenne invece Vidar con un'alzata di spalle, mentre addentava una mela. – Prima o poi dovrà pur rimettersi in piedi. 

Inutile dire che si beccò le occhiate contrariate di tutti, le quali però non riuscirono a scalfirlo. Si limitò a ignorarle e a scagliarci addosso il torsolo della mela.






L'erba era soffice e umida tra le mie dita quando ne strappai un ciuffetto. Me lo portai davanti al volto e inspirai profondamente, cercando di memorizzare gli odori di quella terra. Tutto, nel Paese dell'Acqua, sapeva di funghi e fiori di bosco; in quello del Fulmine, di pino e di neve.

Lasciai che il vento lo sospingesse via, trascinandolo insieme a sé, forse verso il mare o forse verso le dune di un deserto lontano.

Il prato sul quale avevo riposato per ore aveva ormai preso la forma della mia schiena e il cielo era terso sopra la mia testa. Mi piaceva quel posto: era tranquillo, così incastrato nella natura. Mi ricordava le mie origini, tra impervie montagne e foreste selvagge.

Stare in casa spesso mi soffocava. Il soffitto era sempre troppo basso, le sedie troppo piccole e io troppo alto, troppo ingombrante. Invece all'aperto tutto sembrava della mia dimensione e non c'era nessun mobile contro cui sbattere e nessun quadro da urtare.

-Ivan! – una voce squillante mi chiamò dal limitare del bosco. – Vieni, stanno partendo!

Sollevai le palpebre assonnate; il profumo dell'erba bagnata e il canto di passeri e usignoli mi cullavano come la ninnananna appannata della mia infanzia. Ma mi feci forza e mi sollevai lentamente, appoggiando una mano al fusto rugoso di una quercia.

-Ivan! – Gregor mi chiamò ancora una volta, a gran voce. Era appoggiato alla staccionata candida che circondava la casa e sventolava un braccio per attirare la mia attenzione.

Lo raggiunsi a passo spedito, coprendo con due falcate tutto il prato punteggiato di margherite, e saltai la recinzione senza il minimo sforzo.

Il ragazzo mi guardò con un sopracciglio increspato e un cipiglio divertito.

-Hai dell'erba tra i capelli.

Mi affrettai a passare una mano tra i ciuffi scuri e diversi fili verdi si adagiarono dolcemente a terra.

-Gli altri stanno partendo; non vuoi salutarli? – continuò Gregor con un sorriso un po' malinconico. I tre Ribelli ci sarebbero mancati.

Annuii.

-Reyna? – domandai poi.

-Ah, l'ultima volta che l'ho vista era sotto il pergolato insieme a...

In un lampo, la sua espressione cambiò e un pensiero improvviso gli oscurò lo sguardo. I tratti del suo volto si fecero allarmati.

Gli lanciai un'occhiata interrogativa e Gregor deglutì, pallido come un cencio.

- ...insieme a Vidar.

Spalancai gli occhi.

-Merda.

-Oh Dei, si uccideranno!

Senza indugiare oltre, corremmo verso il pergolato.






Li ritrovammo praticamente sul punto di sgozzarsi a vicenda. 

Erano entrambi a terra, con i capelli sporchi di fango e foglie. Reyna era seduta a cavalcioni su di lui e cercava di sfilargli dalle dita l'arco argentato, che Vidar probabilmente le aveva rubato.

Le sedie e il tavolino di ferro volteggiavano a mezz'aria in balia di raffiche di vento furioso e diverse piantine avevano i rami spezzati. Eve non ne sarebbe stata contenta.

I capelli corvini di Reyna le svolazzavano attorno al capo, mentre fissava il ragazzo con aria omicida e si tendeva come una corda per recuperare l'arma, ancora fuori dalla sua portata.

Una stilettata mi colpì il fianco nel vederli così vicini, il corpo di lei così premuto contro il suo. Se la situazione in cui li avessi trovati fosse stata diversa, probabilmente gli avrei dato un pugno.

Ci mettemmo diversi minuti a separarli. Gregor fu costretto a ricorrere a tutte le sue non indifferenti capacità diplomatiche e io alle mie indiscutibili doti fisiche. Nonostante tutto, un paio di cazzotti ce li beccammo lo stesso.

-Dove cavolo sono Benya e Dafne? – imprecò Gregor, esasperato. Mentre sollevava Reyna per staccarla da Vidar, le ragazza gli aveva involontariamente rifilato una violenta gomitata; il suo zigomo si stava già gonfiando.

-Sono entrati un attimo a controllare di aver preso tutto – sibilò Vidar spostandosi il ciuffo appiccicato alla fronte e lasciandosi cadere su una poltroncina di vimini che era sopravvissuta alle raffiche di vento – e questa bestia mi ha aggredito.

Reyna spalancò gli occhi mentre le sue dita ebbero uno spasmo, proprio come se volessero stringersi sulla gola di qualcuno.

-Io? – esclamò incredula. – Sei stato tu che hai osato toccare il mio arco senza permesso. La colpa è solo tua, brutto...

-Okay, okay. Calmiamoci tutti! – intervenne una voce alle nostre spalle.

Mi voltai e il riflesso caldo della pelliccia di una volpe entrò nel mio campo visivo. Dafne sorrise, avanzando con le braccia sollevate.

-Non voglio litigi oggi.

-Sono d'accordo – aggiunse Benya, comparendo al suo fianco. I suoi occhi infossati sembravano più luminosi quel giorno. – Oggi le nostre strade si dividono ma...

- ...ma si rincroceranno presto – lo interruppe Gregor stringendogli la mano. – In questo ultimo mese siamo sopravvissuti ai Segugi, all'esercito di Brianne e...

-E alle tue battute idiota!

Gli occhi verdi del Marchiato della Terra fulminarono Reyna, che gli rivolse un sorriso colpevole.

- ...e alle mie battute idiota.
Sul volto di Gregor si aprì una smorfia.
-Ma quello che conta è che siamo arrivati fin qua. Insieme. Siete stati i migliori compagni che avrei potuto desiderare. Grazie.

Reyna annuì vigorosamente, guardando i tre Ribelli.

-Mi duole dirlo, ma sono d'accordo con Gregor. La vostra presenza al nostro fianco è stata confortante oltre ogni misura. Sono contenta di avervi conosciuto... chi più, chi meno – e lanciò un'occhiata truce a Vidar.

Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo.

-Potrei dire la stessa cosa, Marchiata – ma all'angolo della sua bocca comparve il barlume di un sorriso sincero, non il solito ghigno irrisorio che gli deturpava il volto.

E mentre lo guardavo darci le spalle e avanzare verso il cancelletto senza voltarsi indietro, mi domandai se non ci fosse molto di più dietro quello sguardo tagliente e quei coltelli affilati.






Di fronte a noi rimasero solo Dafne e Benya, gli sguardi puntati su di noi, in attesa.

-Dove andrete adesso? – chiese loro Reyna.

-Con la distruzione del Rifugio, il Fulmine è perso. Non abbiamo più appoggi lì – spiegò Benya. – Raggiungeremo la Base Centrale, dove riceveremo i nuovi ordini del Generale.

-Avete già un'idea su quello che vi chiederà di fare?

-Ci sono due opzioni, – Dafne sollevò due dita – o ci spedirà in un'altra sede minore, oppure resteremo lì e ci occuperemo di... beh, qualsiasi cosa il Capo voglia.

Il suo sguardo volò per un istante sulla nuca bionda di Vidar che, in lontananza, era appoggiato alla staccionata e ci dava le spalle, e i suoi occhi si adombrarono.

-Noi in un caso o nell'altro saremo relativamente al sicuro, ma lo stesso non posso dire di Vidar.

Gregor si accigliò.

-E perché? Non resterà con voi?

-Molto probabilmente no. Vidar di solito non resta molto tempo alle basi.

-Di cosa si occupa allora? – la incalzò Gregor.

Dafne esitò e incrociò per un istante lo sguardo di Benya. Al suo cenno di assenso, sospirò.

-Queste sarebbero informazioni strettamente riservate ma, dopo tutto quello che abbiamo passato, sono certa che di voi ci possiamo fidare. Consideratelo un ringraziamento. Non siamo stati solo noi ad aiutare voi; saremmo morti se non vi avessimo incontrato. Sappiate però che non lo dovrete dire ad anima viva: solo pochissimi, anche tra i Ribelli, conoscono l'identità dei nostri Corvi, delle nostre spie.

-È questo che è? Una spia? – domandò Reyna, stupita. – Cosa fa esattamente? Si veste di nero e va in giro a interrogare le persone?

Benya si passò una mano sulla testa calva.

-Magari fosse solo questo – sospirò. – Vidar si infiltra nelle reti di informazioni di Tyros, assumendo un'altra identità. Il suo è un lavoro lungo, che dura anche diversi mesi, e solo raramente i risultati riescono a ripagare la fatica e il rischio.

Strinsi le labbra, puntando gli occhi sul ragazzo in questione. Ma se nella testa di Gregor e Reyna vorticavano infinite domande, la mia era vuota.

Vidar era un enigma e il mistero attorno a lui si sarebbe dipanato solo al momento giusto. Oppure sarebbe rimasto tale per sempre.

-Voi invece cosa farete?

-A prescindere dalla decisione di Eve, cercheremo l'ultimo Marchiato e proveremo a convincerlo a venire con noi – lo sguardo di Gregor cercò il mio e quello di Reyna. – Poi, se tutto andrà nel verso giusto, ci riuniremo a voi. Adesso siamo Ribelli a tutti gli effetti e preferirei essere affiancato da persone che lottano contro il governo da tempo e sanno cosa aspettarsi, piuttosto che lanciarmi contro il re senza uno straccio di piano.

Reyna grugnì un verso di approvazione e mi sembrò che il medaglione al mio collo, decorato con l'Ariete e l'Allodola, si facesse più pesante. Era quello di Benya e non avrei mai voluto privarlo di quel simbolo, ma lui mi aveva detto che sarebbe servito più a me che a lui e che, in ogni caso, ne avrebbe trovato un altro una volta raggiunta la Base.

-Come faremo a trovarvi? – domandai a bassa voce, come se temessi che orecchie indiscrete fossero in ascolto.

Negli occhi affusolati di Dafne brillò una luce pericolosa e un sorriso dal taglio di orgoglio e mistero le affilò le labbra piene. Le sue parole mi sembrarono una profezia.

-Siamo nati dalle fiamme della ribellione, dalle ceneri degli sconfitti, e lì risediamo. Andate dove il sole è grigio e il sangue della luna scorre nei fiumi, dove la terra è di carbone e le rocce di ossa e diamanti. Lì dovrete rinascere dalle vecchie spoglie secondo il rinnovo dell'Ariete e superare l'incanto dei sogni dell'Allodola.

Tra di noi intercorse uno sguardo confuso. Avevamo percepito tutti quell'innaturale tensione nell'aria, quel peso a schiacciarci la colonna vertebrale: quelle non erano parole dette tante per dire. Erano le parole degli Dei.

Poi, così come era comparsa, la pressione sulle spalle si dissolse.

Vedendoci perplessi, Benya spiegò:

-Solitamente l'ingresso dei novizi alla Base Centrale avviene con l'aiuto di un Ribelle più anziano che possa guidarli ma, visto che nessuno di noi potrà restare con voi e accompagnarvi, dovrete superare da soli le prove che vi si staglieranno davanti. Ma ricordate: se fallirete...

-Oh, fammi indovinare... moriremo? – sbuffò Gregor.

-Esattamente.

-Un classico... – borbottò il ragazzo.

-Ma perché dobbiamo farlo? Queste prove sono per i novizi ma noi siamo già Ribelli – intervenne Reyna, sventolando il medaglione.

-C'è una differenza tra essere novizi e novizi alla Base Centrale. A noi servono braccia, quindi non ci preoccupiamo se tra i Ribelli entrano anche pazzi ed esaltati. Basta che combattano. Ma non credere che faremmo mai avvicinare questa gente al nostro Generale e ai nostri segreti – rispose Dafne.

-Beh, in effetti ha senso – osservò la Marchiata. Poi, si accarezzò con le dita chiare la treccia corvina, assumendo un'espressione vagamente offesa. – Ma perché tutto questo mistero? Non potete semplicemente indicarci la posizione?

Dafne le posò una mano sulla spalla, indosso un'espressione dispiaciuta.

-So cosa state pensando; vi assicuro che noi ci fidiamo di voi. È solo che...

-Solo cosa? Basta indicare un punto sulla cartina!

La donna scosse la testa, i capelli come rame fuso sulle sue spalle, e non rispose.

-Pregate di non scoprire mai il perché io non l'abbia fatto – mormorò. E la conversazione fu chiusa.

Benya alzò gli occhi infossati a studiare la posizione del sole.

-È tardi – constatò. – Ci conviene andare, se non vogliamo passare la notte nel bosco.

I due Ribelli annuirono e fu l'ora dei saluti.






-Vado a chiamare Eve e i suoi nonni, allora – disse Reyna, facendo per rientrare nell'abitazione.

Dafne la fermò scuotendo i capelli ramati.

-Non ce n'è bisogno: ci siamo già salutati questa mattina e comunque non sono in casa. Jin e Cinzia sono al villaggio ad aiutare gli abitanti con le decorazioni per una certa festa e Eve sta dando una mano a una famiglia della zona che è a letto con una brutta influenza.

Per un istante ci fu solo il cinguettio di passeri e usignoli; poi Gregor si fece avanti.

-Grazie, grazie davvero – disse loro, mentre li abbracciava uno ad uno. Reyna fece lo stesso.

Poi, Benya e Dafne si voltarono verso di me e li rividi in quella caverna, quando mi avevano salvato la vita, Benya a lucidare la spada e Dafne a cambiarmi la fasciatura. Anche loro sembrarono ricordare perché un sorriso andò a ornare le loro labbra e una luce ne addolcì gli sguardi.

Le braccia della donna mi scivolarono sulle costole, stringendomi a lei.

-Stammi bene, gigante – sussurrò. – E smettila di fare l'eroe: per quanto tu possa essere grande e grosso, se ti lanci su una spada, quella ti taglia lo stesso.

-Lo terrò a mente – mormorai, ricambiando l'abbraccio.

Benya si limitò a guardarmi e disse soltanto:

-Sei un uomo del Fulmine. Noi non ci pieghiamo, non ci spezziamo. Siamo il ghiaccio e la roccia, il ferro e la spada. Dimostra a tutti che nei cuori di coloro che vivono nel gelo, divampa il fuoco della rabbia.

Annuii e, per una volta, chinai il capo.

-Lo dimostreremo insieme, non appena il re vedrà che coloro che credeva di aver ridotto in catene, non solo si ergono in piedi davanti a lui, ma impugnano la mannaia che lo decapiterà.

Un rombo lontano sugellò quella promessa.




Quel giorno, i tre Ribelli si lasciarono il Paese dell'Acqua alle spalle. Li avremmo rivisti solo molto tempo dopo.

Ancora non lo sapevamo quando li salutammo con le lacrime agli occhi, ma la Ruota del Fato non conosceva la clemenza e aveva ben altro in programma per noi.

Presto i miei incubi avrebbero smesso di restare tali e noi avremmo conosciuto il vero Ladro – l'originale, il primo – fatto di fuoco e di morte.

Il Rosso.








Eve tornò solo nel primo pomeriggio e ci trovò sotto il pergolato a chiacchierare.

-Sono partiti? – domandò, accostandosi al tavolo. Quel giorno indossava un vestito turchese realizzato con un tessuto sembrava avere la stessa consistenza delle ali delle farfalle. Doveva essere costoso.

Gregor annuì e lei chiese ancora:

-Voi invece quando li seguirete?
Poi arrossì, rendendosi conto del possibile fraintendimento.
-Non... non sto assolutamente dicendo che voglio che ve ne andiate! Per nulla! È che...

Abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi grandi e luminosi dietro un velo di ciocche bionde.

-È che non ho ancora deciso cosa fare – sussurrò infine.

-Non ti devi preoccupare – rispose Gregor con dolcezza. – Noi partiremo tra tre giorni, ma non sentirti obbligata a venire con noi solo perché hai il Marchio; ci hai già aiutato molto in queste settimane.

Eve annuì, gli occhi ancora un po' opachi. Poi, d'improvviso, il suo viso si illuminò.

-Prima di partire dovete assolutamente partecipare alla festa! – trillò allegra. – Non potete mancare!

-Di che festa si tratta? – domandò Reyna, curiosa.

Cambiò posizione sulla sedia e, nel compiere il movimento, la treccia scura le scivolò oltre la spalla, lasciando scoperta la curva morbida e nivea del collo.

Distolsi velocemente lo sguardo, cercando di ignorare i sentimenti contraddittori che mi si agitavano nello stomaco. Da una parte volevo avvicinarmi, toccarla. Dall'altra, un istinto primordiale mi suggeriva di fuggire il più lontano possibile da lei, prima che fosse troppo tardi.

-È la festa più importante del Paese dell'Acqua. Vengono da tutta Valhaar per vederla.

Gregor schiccò le dita, come se il ricordo gli fosse sovvenuto proprio in quell'istante.

-Ma certo! – esclamò, colpendosi la fronte con la mano. – Come ho fatto a dimenticarmene?

Poi, notando gli sguardi persi di me e Reyna, si accigliò.

-E voi come fate a non conoscere la Festa della Trina di Luna?

Reyna sbuffò, sprofondando nello schienale.

-Scusami tanto, cervellone, ma non tutti amano rinchiudersi nelle biblioteche di qualsiasi città visitino! E poi si può sapere cosa cavolo è la Brina di Luna?

-Trina – la corresse Gregor, aggrottando le sopracciglia con aria lievemente saccente. – Si chiama Trina di Luna ed è... – guardò Eve in cerca di conferma – un fiore, giusto?

-Esattamente – convenne lei. – È senza ombra di dubbio il fiore più raro di tutta Valhaar e non è per niente facile vederne uno. La leggenda narra che ne nasca uno ogni cento anni e che abbia polline di diamanti, petali di zaffiro e gambo d'argento.

-Una bella fortuna! – osservò Reyna. – Perché ne nasce uno ogni cento anni?

Eve intrecciò le mani dietro la schiena, pensierosa.

-Ci sono ipotesi discordanti. C'è chi dice che le Trine nascano dalle lacrime dei Cinque, i quali, ogni secolo, si affacciano dal cielo per osservare i progressi dell'umanità; e chi, invece, sostiene che abbiano un'origine totalmente diversa.

-Quella pagina del libro era strappata – commentò Gregor con un'avidità nello sguardo che non gli avevo mai visto. – Qual è la seconda ipotesi?

La ragazza sospirò, accomodandosi con grazia su una poltroncina di vimini.

-La seconda ipotesi dice che la Trina di Luna sia legata all'anima di una fanciulla del Paese dell'Acqua, benedetta dal sangue divino. Stando alla leggenda, questo donerebbe ai suoi occhi una vista più acuta di qualsiasi altra, che le consentirebbe di travalicare il confine tra presente, passato e futuro. Ma questo non è un dono che gli Dei distribuiscono con generosità: solo una ragazza ogni cento anni avrà il potere di far sbocciare una Trina di Luna e l'incarico di guidare il popolo lungo la retta via.

Il solo soffio del vento accolse le sue parole.

Dopo un attimo di silenzio, Gregor si strofinò le mani e mise su un gran sorriso.

-Beh, sicuramente sarà una bella festa. Non mancheremo!








Il sole stava tramontando quando Reyna mi venne a cercare.

Mi trovò seduto a gambe incrociate sotto la solita quercia a lucidare la lancia che mi aveva regalato Brent, illuminata dei riflessi rossastri del sole morente, immerso nella quiete del crepuscolo.

-Sono tornati Jin e Cinzia – mi disse, mentre la treccia ordinata le scivolava oltre la spalla. – Vieni, tra poco si mangia.

Alzai lo sguardo su di lei, ma non osai incrociare i suoi occhi. Quel giorno aveva indosso un paio una camicia bianca e larga che le arrivava quasi a metà coscia, un paio di pantaloni scuri e aderenti e degli stivaletti scamosciati.

-Non ti vesti come Eve – osservai.

Reyna serrò le labbra, un cipiglio scuro in volto, e io mi chiesi cosa avessi detto di sbagliato.

-Sono più comoda così – rispose, aspra e secca, mentre voltava il capo per nascondere il volto.

Non replicai e mi limitai ad alzarmi in piedi. La foresta attorno a noi era calma e silenziosa, accarezzata dal fresco vento della sera. Feci per incamminarmi, ma non avevo compiuto che un paio di passi quando mi accorsi che non mi stava seguendo.

Mi voltai verso di lei, interrogativo, e vidi che aveva gli occhi freddi e decisi puntati su di me. Le iridi di ferro e argento mi squadravano in volto e io mi domandai con sgomento se non fosse riuscita a vedermi il cuore, che tenevo gelosamente sepolto sotto le tenebre del Demone. 

Inconsapevolmente, mi irrigidii. Stava arrivando, lo sentivo.

-Cosa intendeva Brianne quando ha detto che hai ucciso i tuoi genitori?

Affondai i denti nell'interno della guancia, fino a percepire il sapore metallico del sangue inondarmi il palato. Abbassai il mento, facendo scivolare i capelli sulla fronte.

-Intendeva quello che ha detto.

Mi girai verso l'abitazione, deciso a chiudere lì la conversazione. Avrei dovuto immaginare che, in quanto a tenacia, la Marchiata del Vento era una degna avversaria.
Mi si piazzò davanti con una mano sul fianco e un dito puntato contro il petto, un ringhio fermo a metà della gola.

-Rispondi.

-L'ho fatto.

Tentai ancora di superarla, ma lei si spostò sbarrandomi la strada.

-Rispondi – ripeté.

Cosa avrei dovuto dirle? Avrei forse dovuto raccontarle di quando avevo trovato i miei genitori appesi a un palo, con le orbite vuote e i corvi a mangiare loro le viscere?

No, non avrei potuto. Perché con la domanda successiva mi avrebbe chiesto le motivazioni.
E io ero colpevole.

La paura mi attanagliò il petto, mentre il fiume di ricordi mi oscurava lo sguardo. 

Lei non doveva sapere.

C'era un squarcio nella mia armatura e io conoscevo un solo modo per richiuderlo. Dovevo affidarmi alle ombre, al mio più potente alleato, addormentato da diverso tempo accanto allo sterno.

Mi era rimasta una sola cosa da fare, una sola via di fuga.

Divenni il Demone.

La notte sembrò calare improvvisamente su di noi, mentre l'aria si faceva più fredda. Il ghigno sardonico si aprì come una crepa profonda sulla mia pelle.

-Sì, li ho uccisi io – confermai a voce bassa e roca. – Cosa farai adesso?

La vidi trattenere il fiato, mentre facevo un passo in avanti e la mia ombra la copriva totalmente.

-Non può essere vero – mormorò in un soffio.

-Eppure è così – le ringhiai ad un centimetro dal viso, così vicino che potevo sentire il suo fiato caldo infrangersi sulla mia pelle d'inchiostro. – Cosa vuoi da me? Vuoi sbattermi in faccia tutta la mia mostruosità?

Le sue iridi grigie si fecero tormentate.

-Non... non sei un mostro – balbettò con lo sguardo puntato a terra; non ne sembrava più tanto sicura. – Ma perché... perché l'hai fatto? Cosa ti avevano fatto?

Sentii la stilettata proprio al centro del petto, dove una ferita che avevo passato anni a far rimarginare si era riaperta in un istante. Il Demone reagì e lo fece a modo suo, con una pugnalata altrettanto forte e altrettanto precisa.

-E perché tuo padre ti ha abbandonata? – percepii una sorta di compiacimento nel vederla sussultare. – Cosa gli avrai mai fatto?

Mi pentii delle mie parole nell'esatto istante in cui le pronunciai.

Dai suoi occhi del colore del cielo d'inverno iniziarono a piovere lacrime di sale e io percepii distintamente il senso di colpa stringermi rovi di spine attorno al mio cuore nero.

Non volevo. Io non volevo.

Ma lei c'era riuscita. Aveva superato il muro di ghiaccio che mi teneva nascosto al mondo e io sapevo che avrebbe avuto paura di me, che sarebbe fuggita via.

Perché io non ero altro che schegge di tenebre e saette di gelo.

Sarei stato la sua rovina, proprio come ero stato la loro.

-Sei proprio... sei proprio... – mormorò con le spalle che sobbalzavano per i singhiozzi trattenuti.

I suoi occhi erano argento liquido e io avrei voluto solo stringerla a me e asciugarle le lacrime.
Ma non potevo. Non potevo.

E il Demone, impietoso, non ne aveva avuto abbastanza.

-Dillo. Forza, dillo – sibilai, incapace di trattenere le parole sul palato. – Sei proprio un mostro. È quello che sono. Mi chiedo solo come tu abbia fatto ad arrivarci solo ora.

Mi sarei aspettato uno schiaffo. Mi sarei aspettato che mi colpisse come aveva fatto con Vidar quella mattina.

Invece, Reyna abbassò lo sguardo, mi voltò le spalle e scappò nel fitto della foresta.

Avrei voluto chiamarla, scusarmi, implorare il suo perdono in ginocchio. E invece rimasi lì, fermo, a guardarla scomparire tra le querce.

Quella sera non tornò a casa e io, non riuscendo a sopportare gli sguardi interrogativi di tutti, mi chiusi in camera senza aver toccato cibo.










Non odiatemi. Vi prego.

So che quando chiedevate nuovi sviluppi tra Ivan e Reyna probabilmente non intendevate questo. Ma purtroppo era un passo necessario.

Ivan non è più da solo tra i boschi e deve imparare a uscire fuori dalla sua bolla di silenzio e segreti. E Reyna è irruenta e impulsiva: non poteva aspettare i suoi tempi. Ahimè, lo scontro era inevitabile.

Comunque... cosa ne pensate del capitolo? Quante minacce di morte mi arriveranno in giornata? 😂

Sperando che non abbiate già assoldato un sicario, vi auguro una buona giornata. A presto! ❤


P.S. Ci tengo a specificare che il termine "Trina di Luna" (che è anche il mio nome utente) è un omaggio a Rick Riordan e alla saga di Percy Jackson. Compare infatti nella traduzione italiana de La Battaglia del Labirinto, mentre nella versione originale è chiamata "moonlace". In entrambi i casi si tratta di un fiore, probabilmente identificabile con l'Ipomoea Alba, tuttavia le somiglianze finiscono qui. Mentre nel libro dello "zio Rick" viene appena accennato, l'importanza che il fiore ha in questa trilogia è ben diversa. Del tutto originale è infatti il legame tra la Trina (fiore) e la ragazza benedetta dai Cinque. 
Scusate per l'interminabile spiegazione, ma ci tenevo a darla!

A proposito della Trina, chissà, forse qualcuno avrà già le sue ipotesi... 😏😉

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