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48. La Marchiata dell'Acqua

Mi presi la testa tra le mani e affondai le dita nei capelli, mentre i battiti del mio cuore frastornato mi rimbombavano in testa.

Sa chi sono.

Era passata un'ora e Gregor non mi aveva cercata. Lo avevo spiato dalla finestra di camera mia mentre vagava per il giardino senza una meta, i capelli ricci a coprire gli intelligenti occhi verdi. Avanzava a passi lenti, facendo attenzione a non pestare i germogli, e ogni tanto si voltava verso la finestra, forse cercandomi con lo sguardo. Ma io mi nascondevo prontamente dietro le tendine ricamate.

I rami delle mie piantine gli sfioravano i pantaloni. Timo, lavanda e mirto: a breve sarebbero fioriti tutti e un profumo meraviglioso avrebbe riempito l'aria.

Mi strinsi al petto il cuscino, premendovi contro il naso, e artigliai il lenzuolo che sapeva di lavanda.

Adesso mi chiederanno di andare con loro. Cosa risponderò? E cosa diranno i miei nonni?

Emisi un sospiro esausto. Troppi pensieri mi affollavano la mente: vorticavano come foglie in balia di una tempesta. Non c'erano funi a trattenerli.

C'era un'unica cosa da fare in quelle situazioni.

Mi misi a dipingere. 





Non ero brava. Per niente.

I miei dipinti erano perlopiù schizzi astratti, macchie di colore che assumevano la forma dei miei pensieri.

La tela candida era già pronta su un cavalletto e mi fissava, in attesa. Un sole caldo e dorato illuminava il foglio.

Cosa vedrai adesso?, sembrava domandarmi. Deglutii, svuotando la testa.

Disposi le tempere sulla mia tavolozza, presi un pennello, lo intinsi nel rosso, chiusi gli occhi e iniziai. 





Quando socchiusi nuovamente le palpebre, non potei fare a meno di sussultare.

Sulla tela campeggiava un vulcano fumante – una montagna di fuoco e carbone –, con rigagnoli di lava che scorrevano lungo i suoi pendii. Sbuffi di cenere riempivano l'aria di un grigio pesante e avvolgente e nubi nere oscuravano il cielo di un funesto presagio.

Abbassai il pennello, fissando il disegno corrucciata.

Quel posto mi stava chiamando. E, per quanto terrificante fosse, sapevo che avrei dovuto guardare oltre quel calore di morte e quel rosso sanguigno.

Lo feci.

E una crepa si aprì di fronte ai miei occhi, proprio nel ventre del vulcano. Ne fuoriuscì una singola lama di luce, bianca e accecante come uno dei Cinque Soli della Creazione.

Allungai le dita, sfiorando la vernice ancora fresca e sporcando i polpastrelli con il nero del carbone e il grigio della cenere.

Là. Devo andare là.

Abbassai impercettibilmente lo sguardo e il candido bagliore si spense nell'angolo del mio occhio, incastrandosi tra le ciglia.

La mia mano destra fu scossa da un tremito e il pennello cadde a terra, schizzi d'inchiostro rosso che sporcavano le violette sull'armadio. Trattenni il fiato.

Alla base della tela, a guardarmi fisso senza la minima espressione, c'erano due occhi – uno azzurro e l'altro scuro –, l'eterocromia a ghiacciarmi le viscere.

Mi tremarono le ginocchia.

Non volevo sapere a chi appartenessero.





Sbattei le palpebre un paio di volte e il vulcano e gli occhi misteriosi scomparvero. Sulla tela, adesso, c'era solo un'enorme macchia rossa, sfumata di nero, grigio e azzurro.

Sospirai, accartocciai il foglio e lo gettai nel cestino, sopra decine di altri. Poi, riposi i pennelli al loro posto e sistemai il cavalletto in un angolo.

Mi pulii le mani con un panno, affondando i denti nel labbro. Quel disegno mi aveva turbata. Come tutti gli altri, del resto, mi ricordò la mia coscienza, mentre i miei occhi volavano sul cestino e sul numero spropositato di cartacce al suo interno.

Rabbrividii ripensando alla mia ultima tela, risalente a diversi giorni prima, che raffigurava il sorriso di un uomo dagli occhi azzurri che si intravedeva tra le lingue delle fiamme del fuoco greco.
Oppure a quella di quasi sei mesi fa: una barca in mezzo al mare, in balia di un uomo enorme e mostruoso fatto di vento e tempesta. O, ancora, alla prima che io avessi mai dipinto. 

Erano passati anni, ma conservavo ancora lo schizzo in un cassetto: una tomba nel deserto, circondata da macerie divorate da sabbia e polvere.

Ma forse io dipingevo proprio per quello. Non perché mi piacesse, ma perché riusciva a distrarmi dai miei pensieri, sostituendoli con altri – più terrificanti, forse – ma decisamente più astratti e remoti.

Scesi silenziosamente le scale, mentre dal giardino provenivano le voci dei nostri ospiti, probabilmente tornati dalle terme. Non dubitavo che, in quel preciso istante, Gregor li stesse informando sulla sua sconvolgente scoperta.

In un attimo, decisi la mia destinazione. Se loro erano in giardino, io mi sarei diretta in cucina.

I miei nonni erano già lì: Cinzia stava preparando il pranzo e Jin, appena rientrato, stava apparecchiando, posizionando piatti e posate sopra la tovaglia color carta di zucchero.

Agli occhi chiari e intelligenti di mia nonna non sfuggì il mio sguardo perso.

-Eve, – esclamò, asciugandosi le mani nel grembiule – perché quella faccia? Cosa è successo?

Senza dire una parola, mi avvicinai e la abbracciai, affondando il naso nell'incavo del suo collo e godendo delle sorprese ma affettuose carezze che diede sulla schiena.

-Sanno chi sono – mormorai soltanto.

Entrambi i miei nonni si immobilizzarono.

-Cosa?

-Sanno che sono la Marchiata dell'Acqua – aggiunsi in un sussurro. – Sono inciampata su una radice e mi si è strappato il vestito. Gregor ha visto il Marchio sulla caviglia.

Tutta colpa della mia sbadataggine.

Jin si avvicinò di un passo, squadrandomi serio in volto come non lo avevo mai visto. Le sue rughe sembrarono farsi un po' più profonde mentre si passava una mano sui capelli grigi, tirati ordinatamente all'indietro.

-Cosa ha detto? Ti ha fatto qualcosa? – mormorò a bassa voce. Non l'avevo mai visto così minaccioso; per un attimo, l'immagine di lui che si scagliava contro Gregor brandendo un bisturi mi danzò davanti alle palpebre.

-No! No, non mi ha fatto niente. 

Mi affrettai a scuotere la testa, accingendomi a sganciare la bomba.

-Anche lui è un Marchiato, così come lo sono Reyna e Ivan.

Le carezze di mia nonna di interruppero bruscamente e il volto di Jin divenne improvvisamente rosso come un pomodoro mentre boccheggiava come un pesce.

-Sono... Marchiati?!

Annuii, serrando le dita sulla gonna del vestito.

Il nonno si accasciò su una sedia, sistemandosi nervosamente gli occhiali sul naso.

-E così è giunto il momento, eh? Non credevo che sarei vissuto abbastanza per vederlo...
In un attimo, i suoi occhi furono nei miei.
-Se le voci che circolano sul loro conto sono vere, vorrà dire che ti chiederanno di andare via con loro. Cosa hai intenzione di fare?

Affondai le unghie nei palmi delle mani.

-Mi sembra ovvio: non andrò.

-Sei sicura, bambina mia? – Cinzia mi sistemò dolcemente i capelli ai lati del viso. – Ti sei allenata così tanto e così duramente per quest'eventualità.

Abbassai lo sguardo.

-Non sono una guerriera; sarei solo d'intralcio – replicai con un filo di voce.

-Questo non è vero – ribatté mio nonno, stringendo le ginocchia tra le mani. – Se non fosse per le nostre cure, adesso sarebbero morti o in fin di vita. Nessuno in quel gruppo sa nulla di medicina; tu puoi salvargli la vita. Non sempre essere d'aiuto vuol dire stare in prima linea sul campo di battaglia.

Cacciai indietro le lacrime.

-Dovrei lasciarvi qui da soli...

-Noi sopravvivremo; ti sei presa fin troppa cura di noi. Non vedi com'è ingrassata tua nonna negli ultimi anni? Una volta aveva un vitino invidiabile e, se adesso non è così, la colpa è solo tua che lavori al posto suo.

Mio nonno – il mio caro ma per nulla intelligente nonno – avrebbe dovuto immaginare che non era il caso di prendere in giro Cinzia mentre brandiva un mestolo.

Riuscì a schivare l'utensile per un pelo e questo si schiantò sul tavolo in legno d'acero, facendo tuttavia un bel buco sul ripiano.

-Potevi uccidermi! – deglutì mio nonno, gli occhi grandi dalla paura, mentre gli occhiali gli scivolavano fino alla punta del naso.

-Quello era lo scopo – sibilò mia nonna con inaudita ferocia.

Poi il suo sguardo fu di nuovo su di me e qualsiasi istinto omicida la controllasse scomparve immediatamente, lasciando il posto alla solita espressione cheta.

-Come he detto tuo nonno, – e lo fulminò con lo sguardo – noi non abbiamo bisogno di te. Certo, ci fa piacere averti qui e ti vogliamo un bene dell'anima, ma forse è giunto il momento per te di spiegare le ali e volare da sola.

-E... – dissi a bassa voce, con un groppo un gola – e se si dovessero spezzare? Cosa accadrebbe allora?

Cinzia mi sorrise.

-Allora era questo il problema... – mi accarezzò i capelli con dolcezza. – È normale aver paura, ma tu non sarai da sola. Quei ragazzi di là sembrano delle brave persone: se dovessi cadere, ti aiuteranno loro a rialzarti. E se credi di non conoscerli abbastanza per partire... punto su cui tra l'altro sono abbastanza d'accordo... diglielo! Conciati in quel modo non andranno da nessuna parte per diversi giorni. Prenditi il tuo tempo, impara a conoscerli e solo allora deciderai.

Jin si affrettò ad annuire.

-La tua bellissima e meravigliosa nonna – provò a rimediare con un grande e tremolante sorriso – ha perfettamente ragione.

-Eccome se ne ho! – esclamò lei, ignorandolo bellamente e voltandosi per tornare a preparare il pranzo.

Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta con decisione e, pochi istanti dopo, una testa di ricci biondi sbucò dallo stipite. Gli occhi verdi di Gregor si puntarono nei miei, seri come non li avevo mai visti.

-Scusa Eve, vorremmo scambiare due parole con te. È possibile? – domandò gentilmente.

Incrociai lo sguardo dei miei nonni, che annuirono e mi fecero un cenno incoraggiante.

-Va bene – risposi piano, sforzandomi di mettere un piede davanti all'altro e seguendo Gregor in giardino.







Reyna e Ivan ci stavano aspettando seduti compostamente sulle sedie in ferro battuto. Si trovavano sotto il pergolato che mio nonno aveva costruito l'estate scorsa e che avevo dipinto personalmente, riproducendo sulle colonnine bianche tralci di glicine in fiore. Dopo l'inverno la vernice si era rovinata e il disegno era un po' sbiadito, ma era ugualmente bellissimo. Cespugli di fragoline di bosco circondavano il pergolato e si incuneavano tra le assi di legno.

I tre Marchiati sembravano impazienti e mi guardavano con una luce nuova negli occhi, carica di aspettativa. Benya e Vidar erano invece rimasti in soggiorno a fare compagnia a Dafne e, se tendevo le orecchie, potevo sentirli confabulare qualcosa in merito al viaggio verso una certa Base Centrale.

-Ecco perché non mi hai cacciato di casa quando hai visto che avevo il Marchio! Ce l'hai anche tu – modulò Reyna, gli occhi grigi come il cielo d'inverno, non appena mi accostai a loro. – Posso vederlo?

Annuii e sollevai di qualche spanna il vestito, rivelando il Marchio impresso sulla pelle chiara della mia caviglia. Un po' di pelle d'oca mi ricoprì la gamba quando il vento d'inizio primavera mi solleticò la piega del ginocchio.

-Porto sempre vestiti lunghi per nasconderlo – li informai in un sussurro, le dita strette sulla stoffa frusciante e una risatina nervosa sul ciglio delle labbra. – Ma non ha funzionato, non è così?

Nessuno rispose.

-Siediti – disse ancora la ragazza, l'ordine imperioso ammorbidito lievemente, e io obbedii senza esitazioni.

Gregor prese posto alla mia destra. Fu proprio quest'ultimo a parlare, giocherellando nervosamente con l'orlo della maglietta.

-Chiacchiere di paese, decreti reali, manifesti nelle città... A Valhaar le voci circolano sempre molto velocemente, volano di bocca in bocca e di famiglia in famiglia. È per questo che sono certo che tu abbia già sentito parlare di noi.
Prese un respiro profondo e continuò.
-Tuttavia, voglio essere io stesso a raccontarti la nostra storia, perché mai nessuna voce riportata è uguale alla versione di chi ha vissuto la vicenda. Perciò, ti prego, ascolta quello che ti dirò; poi sarai libera di porre tutte le domande che vorrai.

Iniziò a raccontare.







-E dopo tutto quello che vi è capitato – mormorai con un filo di voce – volete ancora combattere contro il re?

Mi mancava il fiato e sentivo la schiena imperlata di sudore.

-Soprattutto per quello. Se quello che stiamo facendo non avesse senso, Tyros non si sarebbe scomodato a darci una caccia così serrata. Vuol dire che ci teme. Vuol dire che abbiamo una possibilità, per quanto remota – rispose Gregor e gli occhi di Reyna lampeggiarono di sfida.

-Non l'avevo mai vista in questo modo – commentò la Marchiata del Vento, un sorriso guerriero a piegare gli angoli della bocca e l'orgoglio ad illuminarle le pupille. – Stai finalmente iniziando a ragionare come si deve, Gregor!

-E cosa volete fare adesso? Dove andrete? – domandai ancora, affondando i denti nel labbro inferiore.

Gregor si appoggiò allo schienale, facendo una smorfia quando i punti di sutura gli tirarono la pelle.

-Se non è di troppo disturbo, approfitteremo della vostra ospitalità per qualche giorno ancora – disse, la muta domanda incastonata tra le iridi di smeraldo. – Ovviamente pagheremo il soggiorno; dovete solo darci un po' di tempo per racimolare denaro sufficiente e...

-Nessun disturbo – mi affrettai a dire. – E non dovrete ripagare nulla. Consideratelo un... omaggio. Un benvenuto in queste terre da parte della Marchiata dell'Acqua.

I tre chinarono la testa in segno di ringraziamento.

-Allora staremo qui finché non ci saremo ripresi completamente e poi ripartiremo verso il Paese del Fuoco, alla ricerca dell'ultimo Marchiato – concluse Reyna, squadrandomi con iridi di ghiaccio. – A questo proposito... sarai dei nostri?

Iniziai a giocherellare nervosamente con la manica del vestito e abbassai lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.

-Io... non lo so ancora. Vorrei conoscervi meglio prima di prendere una decisione del genere – sussurrai, stringendomi intimorita nelle spalle.

-È comprensibile – Gregor sorrise. – Non ti preoccupare: è una decisione difficile da prendere su due piedi. Non puoi capire quanto tempo ci ho messo a convincere questa testona! – e strofinò le nocche sulla testa di una Reyna decisamente poco contenta del trattamento.

-Guarda che la mia è stata una reazione del tutto naturale – ribatté offesa. – È questo qua – e indicò Ivan, alla mia sinistra, con il pollice – che non ha battuto ciglio.

Spostai il mio sguardo sul gigante seduto al mio fianco.

Dire che era imponente non avrebbe reso l'idea. Era una montagna. Mi sentivo minuscola di fronte a lui: gli arrivavo appena al diaframma.

Ciuffi di capelli serici gli ricadevano disordinatamente sulla fronte e tra di essi due occhi terribili e meravigliosi sfolgoravano di abissi marini di pece e cobalto.

Ivan, pur preso in causa, non commentò e la sua espressione rimase immutata.

Lanciai un'occhiata a Gregor.

-Ma... parla? – domandai perplessa, con le sopracciglia aggrottate. Anche un bambino del paese era muto e forse...

-Io parlo...

Sobbalzai sulla sedia quando mi sembrò che un fulmine di rombi e illusioni fosse caduto proprio alla mia sinistra, riempendo l'aria del fruscio dei boschi e dell'ululato dei lupi. Non avevo mai sentito una voce del genere.

- ...ma solo quando è necessario – aggiunse poco dopo, le labbra ombrose increspate in una piega di disappunto.

-Diciamo che non è un chiacchierone, ecco – disse Gregor, provando a mascherare un sorriso.

-E menomale. Già ci sei tu a blaterare tutto il tempo – borbottò Reyna a braccia incrociate.

-Cosa hai detto? – il Marchiato della Terra la guardò ad occhi spalancati, offeso come non lo avevo mai visto. – Va bene che a volte so essere logorroico, ma giuro che mi sto controllando!

-E allora controllati meglio perché parli talmente tanto che la tua voce la risento perfino nei sogni... o meglio, negli incubi.

Gregor corrugò la fronte.

-Non può essere tanto male!

-Oh, sì che lo è.

Per la prima volta colto da un istinto spontaneo, Ivan si passò una mano sul volto, emettendo un sospiro stanco tra le labbra increspate. Lo imitai, sentendo gli occhi addolcirmisi di fronte a quel gigante buono.

In un guizzo di pupille, Ivan intercettò il mio sguardo e il suo sorriso parve farsi un filo più caldo. Ma giusto un filo.

Tossicchiai per richiamare l'attenzione di Gregor e Reyna, che avevano continuato a battibeccare e sembravano sul punto di azzuffarsi. A giudicare dallo sguardo di lei non avevo dubbi su chi ne sarebbe uscito vincitore.

Abbozzai un sorriso.

-Sicuramente se venissi con voi non mi annoierei – commentai, provando a sdrammatizzare.

-Ti assicuro, Eve – sbuffò Reyna – che se verrai con noi rimpiangerai un po' di sana noia.

Per un istante, il silenzio fu riempito solo dal cinguettio di alcuni passerotti che si erano appollaiati sul ramo di un'antichissima quercia.

-Parlaci un po' di te – disse Gregor. 

Mi strinsi nelle spalle.

-Non c'è molto da dire. Fin da quando sono nata ho sempre vissuto qui con i miei nonni, ho imparato da loro l'arte medica e mi sono allenata nell'uso dei miei poteri.

Gli occhi del ragazzo si illuminarono di una luce curiosa.

-Facci vedere qualcosa.

Umettai le labbra screpolate, cercando in me il flusso di energia che mi scorreva nelle vene, nel Sangue degli Dei.

Alzai un dito e centinaia di minuscole goccioline di rugiada che imperlavano l'erba del giardino si sollevarono in aria. Le fusi insieme fino a ottenere una grande bolla che feci fluttuare sopra le nostre teste e le ordinai di assumere la forma di un cavallo. La mia creazione nitrì, scuotendo la criniera liquida, e galoppò sul tavolo per un po'. Poi saltò giù e si infranse su una piantina di timo.

Tre paia di occhi furono su di me e io mi strinsi nelle spalle, imbarazzata.

-I cavalli mi riescono particolarmente bene.

-Deve essere per via dell'affinità con il Dio dell'Acqua – borbottò Gregor, assorto, prima di rialzare lo sguardo. – Sai fare altro?

-In realtà non molto – mormorai afflitta. – Posso dare all'acqua tutte le forme che voglio, deviare il corso di piccoli torrenti e respirare sott'acqua, ma nulla che sia molto impegnativo.

A Gregor quasi cadde la mascella.

-Sai respirare sott'acqua? – quasi urlò.

Un po' intimidita, annuii. Si passò una mano sulla nuca, un'espressione meravigliata stampata in volto.

-È... è eccezionale! Oh Dei, quanto vorrei essere il Marchiato dell'Acqua!

Reyna gli si rivolse con un cipiglio accigliato, labbra e sopracciglia increspate:

-Mi stai prendendo in giro? Tu sei Sassoman! Hai già le tue magie con le rocce!

-Ma io non posso respirare nella terra! È ingiusto!

-Disse quello che può modificare la morfologia del suolo a suo piacimento!

-Non è così facile – ribatté Gregor. – Ci sono un'infinità di fattori da considerare: la presenza di falde acquifere, il tipo di roccia prevalente, la presenza di stalattiti che potrebbero caderci in testa...

-Bah, bazzecole!

Fu a quel punto che Ivan intervenne, la sua mano a premere sul tavolo e la voce ad acquietare qualsiasi suono.

-Se continuate così – mormorò rivolto ai due litiganti – col cavolo che Eve verrà con noi.

Per un attimo ci fu solo silenzio. Poi, le loro risate riempirono l'aria.

-Se avessi saputo che per farti diventare così loquace sarebbe bastato litigare con questa testa di rapa l'avrei fatto già da tempo! – esclamò Reyna, posando gli occhi ridenti sul Marchiato del Fulmine. – Comunque hai ragione: forse è il caso di smetterla.

In quel momento, proprio mentre la ragazza di asciugava una lacrima incastrata tra le ciglia lunghe e scure, i loro sguardi si incrociarono. E mi sembrò che ne loro iridi si fosse scatenata una tempesta di fulmini e vento, con danze di foglie ed elettricità sfolgorante.

Poi, così come si erano trovati, i loro occhi si divisero e sulle guance di Reyna comparve un discreto rossore. Ma, in breve tempo, anche quello scomparve e il ricordo di ciò rimase solo nel mio sguardo stupito e in quello fin troppo consapevole di Gregor. Quest'ultimo sollevò gli occhi al cielo, esasperato e accigliato come mai l'avevo visto.

Mi schiarii la voce, mettendo su un sorriso tentennante.

-A quest'ora i miei nonni avranno finito di preparare il pranzo. Che dite? Andiamo di là?

Gregor fu il primo ad alzarsi facendo strisciare la sedia, un cipiglio scuro e divertito insieme stampato in volto.

-Sì, andiamo... – borbottò a mezza voce – ...prima che io mi lasci sfuggire una parola di troppo e mi ritrovi prima fulminato e poi sbatacchiato nel cuore di un uragano.

Per fortuna nessuno all'infuori di me lo sentì.

La mia risata cristallina ci accompagnò fino alla cucina.



Signore e signori, ecco a voi la numero 4! 

Cosa ne dite? So che ancora è prematuro, ma vi siete già fatti un'idea su Eve? Strane visioni affollano la sua mente... Cosa saranno mai? 

Comunque non sia mai che io vi presenti un protagonista normale! Nono, stranezze e assurdità qui ci piacciono molto.

E finalmente abbiamo un po' di tranquillità! Ancora niente morti e lotte all'ultimo sangue... non vi starete abituando a tutta questa pace, vero? 😏😂

Il nuovo capitolo arriverà presto! Buona serata!  💖

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