35. Le Gallerie della Morte
Avevo letto molto riguardo la Città Vecchia di Brahar, ma niente avrebbe potuto prepararmi a ciò che vidi quel giorno.
I cunicoli che si snodavano nel ventre degli Arenas sembravano le gallerie di un antichissimo formicaio, lunghe e tortuose – alcune ampie e altre talmente strette da doversi chinare –. Erano state scavate millenni or sono dai Primi Uomini, quando Tyros non era ancora nato e la prima generazione di Marchiati governava Valhaar con saggezza ed equilibrio. Per lunghi anni, protetta dal clima spietato e dagli animali feroci, quella all'interno della montagna era stata la capitale del Paese del Fulmine. La sua prosperità, tuttavia, non era destinata a durare e, con il passare dei secoli, era caduta in disuso.
La Città Nuova – la Brahar che tutti conoscevano – si ergeva poco distante, aggrappata a un versante, sospesa nel vuoto e incassata tra due massicci vicini che la proteggevano dalle raffiche di vento. Molto più ampia e agevole, era diventata in breve tempo il polo principale di tutto il Paese del Fulmine, mentre la Città Vecchia si era spopolata.
Questa, tuttavia, mai definitivamente abbandonata, era diventata l'unico varco utilizzabile da profughi e fuggiaschi per entrare illegalmente a Brahar e aveva fornito un'attività particolarmente redditizia ai trafficanti, che si arricchivano grazie ai prezzi esorbitanti che quei disperati erano disposti a pagare.
Era stata una fortuna che Erika avesse sentito al mercato di Voltur dello stupefacente caso di Danny il pirata. Su di lui giravano centinaia di voci – delle quali molte inventate –, ma era un uomo d'onore e io preferivo dialogare con una ferrea moralità piuttosto che con la cupidigia del denaro.
Mi passai una mano sulla fronte, sbuffando. L'aria era poca e umida e, ben presto, mi ritrovai con i vestiti appiccicati alla pelle sudata e i pensieri atrofizzati dalla fatica.
Occhio di Pesce procedeva per primo, la torcia davanti a sé a illuminare il passaggio – anche se ero abbastanza certo che saremmo riusciti a vedere lo stesso, data la sua pelle cadaverica che, al buio, pareva brillare –. Da quando eravamo partiti non aveva spiccicato una parola e si limitava a lanciarci frequenti occhiate con i suoi occhi acquosi, forse temendo che potessimo perderci.
Reyna camminava in silenzio dietro di me. Da quando avevamo lasciato la taverna, non era stata molto loquace e non avevo idea di cosa le avesse detto Danny per turbarla così. Le sue sopracciglia fremettero sotto la fronte imperlata di sudore e io la studiai con occhio clinico, impensierito.
Era sicuramente molto affaticata per via dello scontro disputato, ma non avevo dubbi che il suo respiro affannoso fosse dovuto anche alla claustrofobia. Non ero rimasto sorpreso quando mi aveva confidato di non amare gli spazi stretti: la Marchiata del Vento – spirito dell'aria qual era – doveva patire immensamente in quel luogo sprofondato negli Arenas, senza un cielo sulla testa.
Io, invece, ero a casa. Circondato solo e soltanto da rocce, mi sentivo inarrestabile. Ero in grado di percepire ogni singolo granello di polvere attorno a me – come se i miei sensi si fossero amplificati – e di orientarmi alla perfezione, come se la mappa dei cunicoli della Città Vecchia di Brahar mi si fosse stampata in mente. Mi chiesi se, sforzando al massimo i miei poteri, sarei riuscito a creare nuove gallerie o a spostare quelle già esistenti ma, complice il timore di farci crollare il soffitto in testa, non osai sperimentare.
Mentre avanzavo nella semioscurità, portai una mano a toccare l'asciutta parete di roccia, sulla quale ancora si potevano sentire le incisioni lasciate da violenti colpi di scalpello.
Ci avranno messo secoli per creare questo posto.
Passai i pollici sotto le bretelle dello zaino, spostando le cinghie per distribuire meglio il peso non indifferente del carico. Ogni tanto ero perfino costretto a guardarmi alle spalle per controllare di non aver perso nulla durante il tragitto.
Era stato un regalo di Danny che, quando aveva scoperto che gli unici averi della sua bambina erano contenuti nella misera sacca lasciataci in eredità da Ivan, aveva letteralmente dato di matto e ci aveva costretto a portare con noi vestiti e coperte fresche di bucato, cibo a volontà e una quantità di denaro che mi aveva fatto rotolare gli occhi fuori dalle orbite.
Non sia mai che si dica in giro che Danny il pirata non è un uomo generoso!, aveva esclamato, battendosi orgoglioso il pugno sul petto.
Ero ancora perso nei miei pensieri quando notai che Occhio di Pesce si era fermato poco più avanti, all'ingresso di quello che sembrava un ambiente molto più ampio e luminoso. Io e Reyna ci scambiammo un'occhiata, prima di avvicinarci incuriositi. La fiaccola del mozzo scoppiettò quando gli fummo di fianco.
Semplicemente, alzai lo sguardo.
Un'enorme caverna si apriva a perdita d'occhio, talmente scura e profonda che per un attimo credetti che il cielo fosse caduto sopra le nostre teste. Solo una una pallida luce azzurrina rischiarava l'ambiente: mi sembrava di essere sott'acqua. Sottili rigagnoli gocciolavano giù dalle pareti di pietra chiara, ticchettando sul pavimento levigato e scivolando via in un lieve gorgoglio di fondo.
E mentre spostavo lo sguardo da una parte all'altra, senza riuscire a scegliere su cosa soffermarmi, mi accorsi che quella sala sembrava più una cattedrale. Eleganti colonne dal fusto sottile e dagli elaborati capitelli spuntavano un po' ovunque, gigli candidi che fiorivano tra le ombre e germogliavano dalle rocce, contribuendo ad alimentare l'alone di mistero che ci avvolgeva in una sorta di velata sacralità.
-Oh! – esclamò Reyna a bocca spalancata, non riuscendo, come me, a esprimere a parole la meraviglia di ciò che le stava davanti.
-La chiamano Grotta di Luce – chiosò Occhio di Pesce con voce piatta. – Si narra che sia stato il primo nucleo della Città Vecchia ed è da qui che partono le gallerie che vi condurranno a Brahar.
Annuii, ancora estasiato da tanta bellezza.
-Non appena posso, voglio cercare un libro su questo posto – borbottai tra me e me, ma Reyna, con il suo udito finissimo, mi sentì lo stesso.
-Non avevo dubbi – scherzò con un occhiolino e io le fui grato per aver tentato di alleggerire l'atmosfera.
Dalla morte di Erika e Ivan niente era più come prima. Mi sentivo svuotato, proprio come quando Vicky era partita e avevo perso mia madre.
Scrollai lievemente il capo, cercando di individuare la fonte di quel chiarore azzurrino. E, quando ci riuscii, rimasi senza fiato.
Il soffitto, invece che essere della consueta pietra chiara degli Arenas, era tempestato di gemme di una trasparenza assoluta, che infrangevano la luce in mille scaglie di un bianco abbagliante.
Sono...
-Non sono diamanti – mi precedette Occhio di Pesce arricciando il naso di fronte alla mia espressione esaltata. Sotto quel bagliore azzurrino, con la sua carnagione diafana, sembrava quasi morto, le vene un po' troppo violacee che spiccavano sulle tempie candide. – E, per quanto ne so, non è nemmeno una pietra particolarmente preziosa.
-E allora perché la estraggono? – domandai, indicando in lontananza delle piattaforme sopraelevate in corrispondenza della parete dell'ambiente.
Il mozzo scrollò la testa.
-Non so per quale assurdo motivo, ma queste rocce piacciono molto al re. E a partire dal momento in cui ha mostrato interesse per loro... via! Sono partiti gli scavi di questa falsa gemma. Tyros ne ordina così tanta che è stata chiamata la Pietra del Re. Mi chiedo cosa ci faccia...
Mi voltai verso Reyna, ma lei alzò le spalle: come me, non ne sapeva nulla.
-Non so voi, ma io vorrei sbrigarmi ad entrare a Brahar... – Reyna rabbrividì. – Non mi piace questo posto.
A me invece piaceva. E molto.
Quando glielo feci notare mi guardò con un sopracciglio inarcato.
-Nessuna sorpresa. Sei Sassoman dopotutto; questo è il tuo regno.
Risi piano, cercando di non far rimbombare la mia voce nelle gallerie.
Il mozzo si voltò verso di noi, gli occhi acquosi che ci fissavano con una strana luce.
-La ragazza ha ragione. Sarà meglio muoversi.
Quando passammo a poche decine di metri dai profughi quasi non mi accorsi di loro. Erano circa un centinaio e, contro ogni aspettativa, tra loro c'erano anche donne, anziani e bambini. Erano in silenzio, abbracciati l'uno all'altro per contrastare il freddo pungente delle gallerie, ombre azzurrine annegate in una silente disperazione.
Al nostro passaggio diverse teste si voltarono verso noi speranzose, illudendosi forse che fosse arrivato il loro turno per entrare in città. Ma non appena si accorsero che no, non eravamo noi i crudeli trafficanti che lucravano su di loro, tornarono a guardare il pavimento più cupi di prima.
-Perché sono lì? A prima vista non mi sembrano tutti criminali... – mi domandò Reyna a bassa voce.
-Infatti non lo sono... o non tutti almeno. I criminali hanno... come dire... passaggi semplificati, proprio come quello che stiamo usando noi adesso.
-In che senso? – la ragazza aggrottò le sopracciglia scure, mentre la treccia corvina le scivolava oltre la spalla.
-Ci sono due modi per entrare illegalmente a Brahar – spiegai. – Il primo consiste nel venire qui, mettersi in lista e attendere che arrivi il proprio turno per poter partire con una delle guide che, con ogni probabilità, ti deruberà di ciò che ti resta durante il viaggio.
-E il secondo? – mi incalzò.
-L'altra soluzione è quella di cui stiamo usufruendo noi adesso: rivolgerci direttamente a un criminale di alto livello e cercare di ottenere i suoi favori per scucirgli un prezzo ragionevole per il suo aiuto.
Gli occhi di Reyna si incupirono mentre si posavano sul volto emaciato di un bambino.
-È terribile... Un trattamento del genere è disumano.
-Hai ragione, ma noi non possiamo farci niente – sospirai affranto. – Adesso muoviamoci; se perdiamo d'occhio quel tipo mi sa che finiremo come loro.
C'era da dire che, per quanto magro e ossuto, Occhio di Pesce camminava davvero velocemente. Arricciai il naso mentre lo guardavo superare con un balzo una pozza d'acqua.
-Muovetevi, forza!
Rimasi interdetto di fronte a tutta quella fretta: all'inizio Danny era perfino dovuto intervenire per costringerlo a farci da guida!
Forse ha solo voglia di tornare velocemente a casa, pensai.
Ci incamminammo in un cunicolo ancora più buio dei precedenti e dovetti strizzare gli occhi per riuscire a distinguere qualche forma attorno a me. Occhio di Pesce ci faceva strada, lanciandoci di continuo i suoi sguardi acquosi e irrequieti. E, improvvisamente, quella sua eccessiva prudenza divenne qualcosa di troppo.
All'inizio avevo pensato che, a causa della sua lealtà verso Danny, fosse solo preoccupato che potessimo perderci.
Ma dovetti ricredermi quando comparvero i banditi.
Avevamo appena superato un'ansa della galleria quando spuntarono come funghi da dietro le oscure stalattiti e, in un istante, bloccarono entrambi i lati del cunicolo.
Non erano Segugi: non indossavano le loro maschere d'avorio né possedevano le loro affilate spade sottili. Anzi, sembravano mal assortiti con i loro spenti vestiti rattoppati, le scarpe bucate e i coltellacci da cucina in pugno.
-Dateci tutti i vostri averi e non vi faremo del male!
Per via dell'oscurità e delle maschere di stoffa nera, non riuscii a capire chi stesse parlando. Occhio di Pesce, intanto, scivolò nella loro direzione.
-Fatelo, – ci disse, la pelle diafana che riluceva e lo sguardo trasparente che ci fissava vittorioso – e sappiate che, se deciderete di combattere, potrete scordarvi la vostra guida. Resterete qui a marcire... per l'eternità.
Mi sentii strattonare all'indietro e due banditi mi sfilarono lo zaino di Danny dalle spalle, senza che potessi impedirlo.
Valutai se sfoderare la spada ma, in quello spazio ristretto non sarei riuscito a manovrarla al massimo. Quindi, prudente, attesi.
Ma così non fece Reyna.
Si spostò in avanti di un passo, portando i banditi a sollevare i pugnali. Aveva la mascella serrata e, tra le nubi grigie dell'iride, lampeggiavano fulmini e saette. Le sue pupille promettevano vendetta.
-Traditore! – sibilò, furiosa.
-Io? Traditore? – Occhio di Pesce ridacchiò. – E chi avrei tradito, di grazia? Quel verme di Danny forse? Oh no, lui non si è mai meritato nemmeno un briciolo della mia lealtà e del mio rispetto. Ho passato anni a lavorare come uno schiavo sulla sua nave e da lui non ho ricevuto nulla in cambio, se non la gentile concessione di seguirlo nella sua nuova vita da criminale. Quindi no, mia cara ragazza, io non sono un traditore.
Reyna fece un altro passo nella sua direzione, le braccia tese come per strangolarlo, ma la fermai. Non volevo che i banditi la pugnalassero.
Il monologo del mozzo, intanto, proseguiva.
-Questa sarà la mia ultima impresa e poi potrò dire di avere abbastanza soldi per permettermi una vita tranquilla in campagna, lontano da navi, criminali e soprattutto da Danny. Cosa potrei comprare con il vostro denaro? Forse qualche animale... Sì, ci sono! Mi ci comprerò una mucca! Di quella grandi e pasciute che fanno tanto latte e...
-Cosa facciamo? – mi sussurrò Reyna.
-Non lo so... – risposi di rimando. – Come sei messa con le energie?
-Non sono proprio a secco e credo di riuscire anche a fare qualche magia, ma nulla di troppo impegnativo. Mi dispiace, ma in uno spazio così ristretto non credo di riuscire a fare molto.
- ...brucherà l'erba del mio giardino e tutti i giorni, al mattino, la mungerò con le mie mani e...
Pensa, Gregor. Pensa.
Forse sarebbe stato meglio non averlo fatto, perché l'idea che mi balenò in mente era quanto di più folle il mio cervello avesse mai partorito.
-Ho un piano – le comunicai in un mormorio, mentre tutti i banditi erano ormai certi della loro vittoria e ascoltavano sognanti i discorsi di Occhio di Pesce sul loro luminoso futuro.
-Ci sono alte probabilità che ci procurerà la morte?
-Sì.
Reyna sorrise.
-Allora ci sto.
Se i banditi ci avessero stordito subito, forse non avrei avuto il tempo di elaborare il mio piano. Ma si sa, il profumo della vittoria inebria le menti al pari di una droga, offuscando i pensieri e allentando le precauzioni.
E io e Reyna ne avevamo vissute troppe per lasciarci paralizzare dalla paura.
Le afferrai la mano.
-Sei pronta?
Reyna annuì. E un soffio di vento spense le fiaccole.
-Cosa sta succedendo? – urlò qualcuno.
Chiusi gli occhi, perché nell'oscurità non sarei riuscito a vedere niente comunque e, in quel momento, la vista mi sembrò solo un impiccio. Scivolai su un lato del cunicolo, trascinando Reyna con me, mentre percepivo ogni singolo passo di ogni singolo bandito che brancolava nel buio. Sfiorai con i polpastrelli la parete di pietra levigata e questa si increspò sotto il mio tocco, proprio come la superficie calma di una lago.
E un varco si aprì nella roccia.
Balzai dall'altro lato e Reyna mi seguì, mentre il passaggio si richiudeva alle nostre spalle.
Ci ritrovammo in un altro cunicolo, un po' più ampio del precedente, con rade fiaccole a illuminarne il tragitto. Mi appoggiai a un parete per riprendere fiato.
Reyna si voltò verso di me con gli occhi luccicanti.
-E quello cos'era? – mi domandò con un sorriso smagliante.
-Ti assicuro che non lo so nemmeno io, – borbottai – ma devo dire che, da quando siamo entrati qui, mi sento più potente.
-Siamo nel ventre della Terra, Sassoman – sbuffò Reyna, alzando gli occhi verso il soffitto scuro. – Sarei stupita del contrario.
Poi si accigliò:
-Abbiamo lasciato gli zaini dall'altra parte!
-Non ti preoccupare, ci penso io – la rassicurai.
-Oh, io mi preoccupo eccome – grugnì, soffiandosi via dalla fronte un ciuffo scuro sfuggito alla treccia. – Cosa hai intenzione di fare, Gregor?
Sorrisi enigmatico.
-Lo vedrai.
E prima che potesse ribattere, aprii un altro varco nella parete e mi ci tuffai dentro.
L'ultima cosa che vidi furono le dita chiare di Reyna che cercavano di afferrarmi.
Viaggiare all'interno di un ammasso di rocce era un'esperienza strana ma, a modo suo, illuminante. Il corpo si faceva più freddo, adattandosi alla temperatura della pietra degli Arenas, e mi sembrava che anche i miei pensieri si fossero fatti più lenti, ibernati da un gelo affilato.
Cunicoli nuovi di zecca si aprivano davanti ai miei piedi, eseguendo i miei comandi talmente in fretta che sembrava quasi che fossi io a seguire i capricci del tunnel.
Mi fermai solo quando, frapposto tra me e Occhio di Pesce e i suoi scagnozzi, c'era solo uno strato di pietra sottilissima.
Sentivo le loro voci allarmate mentre ci cercavano, i loro passi irrequieti e le mani frettolose nel riaccendere le torce. Ma non glielo avrei permesso.
Io ero nato nel Paese della Terra, nel torrido deserto che circondava Ciet. Ero nato alla luce di un sole abbagliante e al caldo di una sabbia rovente.
Eppure, anche in quell'istante, circondato dal gelo e dall'ombra, non mi sentii fuori posto. Perché io ero il Marchiato della Terra e di terra in quel momento ne avevo fin troppa.
A Occhio di Pesce venne un colpo quando due braccia spuntarono dalla parete di roccia e lo ingabbiarono contro di essa.
-Oh Divino Re! – esclamò un attimo prima che la mia mano andasse a tappargli la bocca.
Lacrime copiose iniziarono a uscirgli dagli occhi vacui, bagnandomi il polso. Avrei dato oro per vedere la sua espressione e, spinto da quel desiderio, riemersi completamente dalla roccia in cui ero incastrato.
Occhio di Pesce urlò, ma il suo grido venne soffocato dal mio palmo.
-Mi dispiace, amico – gli sussurrai all'orecchio con voce melliflua. – Ma credo proprio che dovrai rinunciare a quella mucca.
E proprio mentre un bandito riusciva finalmente a riaccendere una torcia, mi tuffai nuovamente nella parete.
Era divertente sentire le loro urla terrorizzate quando gli arrivavo da dietro e gli picchiettavo sulla spalla o li spingevo l'uno contro l'altro.
Ben presto capirono che l'unica cosa da fare quando un demone delle montagne – come mi avevano definito loro – scagliava la propria maledizione era scappare.
Trattenni un'esclamazione di sorpresa: non credevo che degli esseri umani potessero correre così velocemente. Purtroppo per loro, però, il demone delle montagne aveva altri assi nella manica. Sbarrai loro la strada con un muro di pietra e, quando si voltarono per tornare indietro, feci la stessa cosa con l'altra uscita.
Erano in trappola.
-Ti prego, no... – piagnucolò un bandito, incurante che la maschera gli fosse scivolata in basso, rivelando una barba corta e ispida e un naso gocciolante.
-Restituite ciò che avete rubato e avrete salva la vita!
La mia voce, resa volontariamente più bassa e roca, rimbombò nell'angusto spazio in cui li avevo costretti.
-No! – strepitò Occhio di Pesce. – La mia mucca...
-Se è questa la vostra scelta...
Serrai le dita e le pareti si strinsero di circa un metro, generando un cupo fragore che mi fece tremare la cassa toracica.
-Non restituiremo lo zaino! – strillò ancora il mozzo con voce stridula ma, era palese, aveva perso ogni convinzione.
Affondai le unghie nel palmo e, dalla altra parte della parete di roccia, lo spazio si fece ancora più ristretto. Non potevo vederli, ma sapevo che, in quel momento, i banditi erano stretti l'uno all'altro, incapaci di muoversi, con le braccia tese lungo i fianchi e i respiri affannati.
-Va bene! – crollò quindi Occhio di Pesce, lacrime calde che gli bagnavano la pelle di un grigio malaticcio. – Riavrete il vostro zaino, ma non uccideteci – supplicò.
E io lo accontentai.
Sporsi un braccio dall'altra parte e, subito, la bretella della sacca donataci da Danny mi sfiorò le dita. Senza esitazione la tirai verso di me e ne verificai il contenuto. C'era tutto.
-Adesso ci liberi... mio signore?
Mio signore. Ridacchiai tra me; nessuno mi aveva mai chiamato in quel modo. Mi chiesi se fosse quello che provavano giornalmente il re e i prefetti: rivertiti da sudditi succubi del desiderio di ingraziarseli che rivolgevano la lealtà non a loro, bensì al potere.
La voce del mozzo si fece sentire ancora, piccola e tremante, forse timorosa che li avrei abbandonati lì, nel ventre della terra. Ma no, non l'avrei mai fatto. Io non ero crudele. Tuttavia, decisi comunque che divertirsi un po' non avrebbe fatto male a nessuno.
-Sai, credo proprio che non lo farò. Anzi, adesso potrei stare a guardare mentre venite spappolati nei cunicoli di cui vi vantate essere gli assoluti padroni – ghignai. – Eppure dovreste sapere che la Terra non ha padroni. Così come non ce l'hanno il Vento e il Fulmine, l'Acqua e il Fuoco.
Reyna, Ivan e gli altri due Marchiati che non avevo ancora incontrato erano liberi. Io ero libero.
E le pareti si strinsero ancora, fino a toccare i petti dei banditi in prima fila.
Seppi per certo che, se ci fosse stato qualcun altro al mio posto, si sarebbe crogiolato nelle loro urla terrorizzate. Ma non era da me.
Sospirai e, dopo un istante, loro furono di nuovo liberi. Non ascoltai nemmeno i loro ringraziamenti commossi e le loro urla sollevate.
Reyna mi stava aspettando.
Non ci misi molto a ritrovarla. In quel luogo sottoterra, riuscivo a percepire anche la minima vibrazione e una ragazza che prendeva a calci una parete di sicuro non passava inosservata.
Quando aprii un varco e spuntai nuovamente nel cunicolo, quasi venni evirato da una pedata di Reyna, che mi mancò per un soffio.
-Ma sei impazzita?! – la guardai con gli occhi spalancati, conscio di averla appena scampata bella.
A quanto pareva Reyna non era della stessa opinione.
-Io? Impazzita? Mi stai prendendo per il culo, Gregor? – si avvicinò a passi pesanti e si fermò a un centimetro dal mio volto. – Sei tu quello che è sparito per chissà quanto tempo e mi ha abbandonato qui da sola.
Abbassai il capo, mortificato.
-Almeno ho ripreso lo zaino... – tentai, contrito.
-E menomale! – sbottò, un tantino meno infuriata di prima, quel tanto che bastava per non farmi temere per la mia incolumità. – Si può sapere come hai fatto?
-Cavolo Reyna! Avresti dovuto esserci! – esclamai con un sorriso, ancora carico d'adrenalina. Le raccontai tutto. – Secondo me l'esperienza li ha traumatizzati.
Reyna assottigliò gli occhi grigi, mentre posava le mani sui fianchi.
-Non avresti dovuto lasciarlo in vita – mi rimproverò con tono cupo.
-Chi?
-Occhio di Pesce. Quel tipo ci ha tradito; meritava di morire e tu l'hai lasciato andare.
Non risposi allo sguardo accusatorio che mi rivolse. Abbassai il capo, cercando di nascondermi da quelle iridi affilate: il mozzo aveva solo tentato di derubarci, non era necessario ucciderlo!
Reyna sembrò intercettare il flusso dei miei pensieri e si voltò di scatto, iniziando a camminare lungo la galleria, la treccia corvina che le oscillava sulle spalle. Un sospiro seccato scivolò fuori dalle sue labbra, ma non osò dire altro.
Sapevamo entrambi che, in una simile discussione, nessuno sarebbe riuscito a spuntarla sull'altro.
Semplicemente, lasciammo cadere la questione.
Ciao a tutti!
Ecco a voi un altro dei miei capitoli chilometrici... e pensate che ho dovuto spezzarlo!
In ogni caso, oggi abbiamo assistito al tradimento di Occhio di Pesce e allo spauracchio che gli ha fatto prendere il nostro Gregor. Credevate che fosse il solito protagonista inutile! In effetti rischia di farsi ammazzare un po' troppo spesso, ma c'è da dire che gliene capitano di tutti i colori... 😂🤔
Ah, altra cosa importantissima: non dimenticatevi della Pietra del Re! Chiaramente, Tyros non è interessato solo perché luccica! 😂✨
Comunque cosa ne dite? Vi è piaciuto il capitolo? Il prossimo è già pronto quindi probabilmente lo pubblicherò domenica.
A presto! ❤
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