26. La tana del lupo
Era una giornata calda nel Paese del Fuoco.
Di rado si vedevano temperature così alte allo sbocciare della primavera e Jordan maledisse mille volte i suoi abiti spessi, mentre avanzava lungo un sentiero seminascosto dalla vegetazione. L'erba rigogliosa gli sfiorava le cosce e la borraccia contenente il liquore rimbalzava a ogni suo passo.
Mi ci vorrebbe proprio un bel goccio, pensava tra un'imprecazione e l'altra, rivolte a fasi alterne al prefetto della Terra e alle zanzare che infestavano quel luogo. Ma la borraccia era ormai vuota da ore e, senza gli effetti benefici dell'alcol, il suo umore stava peggiorando.
Inveì un'ultima volta, ma non fece in tempo a concludere la maledizione che una casupola in pietra gli si presentò davanti agli occhi.
Era circondata da un piccolo orto curato e affiancato da una stalla e un pollaio. Dal camino fuoriusciva del fumo nero e denso che scuriva il cielo limpido.
Jordan sollevò le sopracciglia, interdetto: non era ancora ora di cena.
Si avvicinò alla casa a passi cauti e occhi vigili, allungando il collo grassoccio per scorgere eventuali pericoli.
Lui, che era un guerriero, riconobbe subito l'odore della morte. Aleggiava attorno all'abitazione come una cupola oscura. Anche il sole parve farsi più freddo all'interno della recinzione pennellata di bianco.
Jordan inspirò a piene narici, sguainando la spada corta e impugnando un coltello nell'altra mano. Il sangue era fresco, fin troppo.
Spalancò la porta con un calcio e il tanfo metallico lo raggiunse come un'onda, investendolo da capo a piedi.
Una donna e un ragazzo giacevano a terra, sul pavimento di legno mezzo carbonizzato, i vestiti pregni di liquido vermiglio. Jordan li scavalcò con un balzo, senza rivolgere loro una seconda occhiata.
Non aveva paura dei morti.
Non dovette faticare molto a trovare ciò che cercava.
Sotto la luce di una finestra, all'interno di un cerchio annerito di cenere e carbone, c'era un ragazzo. La sua mano era sporca di sangue e stringeva con forza un pugnale, che veniva ritmicamente affondato nel petto di un uomo dai tratti duri e severi.
Il cadavere dell'uomo fissava con occhi vitrei il nuovo arrivato, in una muta accusa.
Jordan sogghignò: probabilmente non lo avrebbe aiutato nemmeno se avesse potuto.
Il respiro del ragazzo era spezzato e irregolare e il suo corpo era scosso da fremiti. Non alzò nemmeno lo sguardo sul prefetto: non aveva occhi che per il morto.
-L'attrazione del sangue... una volta che l'hai conosciuta è difficile staccarsene – commentò l'uomo sommessamente, riponendo nel fodero il pugnale ma continuando a brandire la spada.
Finalmente, la mente del ragazzo si distolse dalla sua macabra azione e due occhi ringhianti si posarono sul prefetto.
L'angolo della bocca di Jordan si piegò all'insù. Aveva riconosciuto lo sguardo spiritato di un assassino: era lo stesso che sfigurava il suo volto durante le battaglie o i suoi innumerevoli passatempi.
Il ragazzo si passò una mano sulla fronte, cercando di pulirsi dal sangue che gli imbrattava il viso, senza riuscirci.
-Chi sei? E cosa vuoi? – masticò mordace, la voce rauca mortalmente calma.
Ma Jordan sapeva che era solo una farsa: il petto di quel ragazzo ardeva di un fuoco di furia bollente che lo avrebbe consumato pezzo per pezzo.
Una volta che la lama di un assassino assaggiava il sangue, inevitabilmente, ne cercava ancora, bramando quel bacio scarlatto e violento con la fedeltà e il tormento di un'anima preda di pene d'amore.
Ma al termine di quel sentiero funesto non c'erano il morbido abbraccio o il bacio infuocato di un'amante.
No.
Lì, le uniche cose che sarebbero spettate a quel cuore maledetto sarebbero state un Dio nero armato di falce e una bilancia dorata per pesare i peccati.
E i peccati di un assassino erano sempre troppo gravosi per essere perdonati.
Jordan sorrise:
-Ho un affare da proporti.
Sul volto del ragazzo si disegnò un ghigno affilato.
-Non posso credere che tu abbia fatto questa strada da sola! – ansimò Gregor, tenendosi una mano sul petto, non appena uscì dal mortifero corridoio che conduceva al Monastero.
-Non ero sola – obiettai. – Con me c'era il Demone.
E come tutte le volte che pensavo a quell'oscuro ragazzo dagli occhi di un cobalto abissale, sentii le cosce tremare e il collo chiazzarsi di rosso. Mi affrettai a coprirlo con il cappuccio del giacchetto che, date le rigide temperature del Paese del Fulmine, avrei presto indossato.
Erika scrutò attenta l'orizzonte.
-Secondo le indicazioni dell'Abate, il nascondiglio del Demone dovrebbe essere in quella direzione.
Seguii il suo dito con lo sguardo e sospirai di sollievo quando constatai che si trovava a est. Avrei fatto volentieri a meno di un altro incontro con Chione.
-Smettetela di chiamarlo Demone – sbottò Gregor, contrariato. – Si chiama Ivan e potrebbe diventare un nostro compagno.
-Fino a quel momento, lo chiamerò come mi pare; poi si vedrà.
Erika mi rivolse un'occhiata affettata.
-Non è vero, principessa?
Non mi presi nemmeno la briga di risponderle a tono e iniziai la ripida discesa che costeggiava il versante della montagna. Ben presto mi abituai alla pendenza e aumentai il passo, saltando e facendomi sospingere dal vento ogni qual volta il sentiero si restringeva.
Ridacchiai, sentendo l'aria frizzante sollevarmi la treccia e accarezzarmi le guance con il suo tocco fresco e pungente.
Ignorai i richiami di Erika e Gregor, consapevole che non mi sarebbe potuto succedere niente. Se fossi caduta, mi sarei semplicemente lasciata planare sulla neve morbida, senza produrre nemmeno un fruscio.
Arrivai al termine del sentiero con le piante dei piedi che sfioravano il suolo e il volto accaldato nonostante il freddo.
Dovetti aspettare un'ora prima che i miei due compagni di viaggio mi raggiungessero.
-Se eri così energica potevi anche darmi un passaggio. Io sono quello infortunato, ricordi? – si lamentò Gregor a denti stretti, mentre uno zaino enorme gli oscillava sulle spalle.
-Oh, andiamo! Non sei tu il maschio alfa del gruppo? – dissi con tono canzonatorio, dandogli un buffetto sul braccio.
-Più che altro mulo da soma, direi – grugnì, facendo riferimento al suo carico, decisamente più pesante e ingombrante del mio e di quello di Erika messi assieme.
Erika alzò gli occhi al cielo.
-Non fare il melodrammatico! Sai benissimo che senza di noi saresti già morto.
-Noi? – inarcai un sopracciglio, stupita.
-Non montarti la testa, principessa; non sei nulla di speciale. Ma, mi duole dirlo, potrebbe essere un problema per i nostri stomaci se fosse Gregor a dover procacciare la carne.
Erika ghignò.
-Te lo immagini a rincorrere un coniglio sventolando la spada? Io sì e ti posso assicurare che sarebbe una scena memorabile.
Mi concessi una breve risata, mentre Gregor ci rivolgeva una smorfia.
-Sono contento di vedere che andate d'accordo solo quanto c'è da prendermi in giro – borbottò con il naso arricciato, anche se non sembrava troppo arrabbiato.
Gli diedi un'amichevole scappellotto.
-Forza, Sassoman, o farà buio.
E senza pronunciare un'altra parola, ci mettemmo in viaggio, accompagnati da un tiepido sole e da gelide e sporadiche nubi.
Compresi subito il perché i soldati di Brianne non si avventurassero nella foresta.
Gli alberi erano alti e fitti: le loro cime si stagliavano sul cielo terso, schizzi di selva scheggiati di bianco che risaltavano su un turchese di un'intensa brillantezza.
Data la presenza degli enormi rami era poca la neve che si depositava sulle radici degli abeti, ma non per questo la nostra avanzata fu meno difficoltosa. Il terreno era scosceso e a ripide salite si intervallavano profondi ma stretti dirupi, talmente oscuri da non riuscirne a identificare la fine.
Il ghiaccio rivestiva il suolo come un mantello e fummo costretti a fissare i ramponi sulle suole degli scarponcini per evitare scivolate e altre ossa rotte.
Perdemmo velocemente l'orientamento: non esisteva un vero e proprio sentiero da seguire e il sole era nascosto dalle fronde degli alberi. Lo sconforto si impadronì di noi.
-Potremmo tornare al Monastero e ritentare un altro giorno – propose Gregor, ma Erika scosse il capo con decisione.
-È tardi per farlo: verremmo raggiunti dal buio ancora prima di riuscire a uscire da questa maledetta foresta.
Si spostò i capelli dalla fronte con un gesto stizzito.
-Forse ci conviene fermarci qui.
Mi guardai intorno, nervosa.
-E farci divorare da un branco di lupi? No, grazie – rabbrividii. – Gli animali che popolano questi boschi non sono con quelli del Paese del Vento: sono più feroci e vivono in branchi numerosi.
Gregor deglutì, stringendosi nelle spalle.
-Cosa facciamo? – chiese sommessamente. Solo il silenzio rispose.
Percepii subito il cambiamento.
L'aria si fece elettrica e un soffio di vento più freddo degli altri mi fece tremare.
Ci stringemmo in cerchio, spalla contro spalla. Gregor estrasse con un sibilo la spada dal fodero e io sguainai il coltello che tenevo sempre nello stivale. Rimpiansi il mio arco, perso chi sa dove nel cuore dei Monti Arenas.
Ci guardammo intorno, circospetti, i muscoli tesi e pronti a scattare e il cuore che pompava sangue e adrenalina a un ritmo vertiginoso.
Gregor, accanto a me, ebbe un fremito. Gli lanciai un'occhiata interrogativa e lui si limitò a indicare verso l'alto, la punta del polpastrello fremente a indicare il cielo.
Aggrottai le sopracciglia, confusa, ma, non appena i miei occhi saettarono verso le fronde di quegli abeti ancestrali, sentii il respiro mozzarmisi in gola.
Lì, tra i rami più ombrosi, penzolavano due gambe lunghe e fasciate con pelli pesanti. Due scarponi dalla suola larga e spessa oscillavano nel vuoto in movimenti circolare che mi fecero girare la testa.
Il resto del suo corpo era avvolto in quell'ombra che sembrava calzargli a pennello, come una seconda pelle, e dovetti sforzarmi al massimo per riconoscere i contorni di un fisico snello e allenato, seduto su quel ramo con la stessa rilassatezza che io avrei ostentato nel bere un tè a casa di Kety.
Gregor fu il primo a riprendersi da quell'oscura visione.
-Ehm... ciao! – si schiarì la voce. – Tu sei il Marchiato del Fulmine, giusto?
Il silenzio del Demone non riuscì a scoraggiarlo.
-Ti volevo ringraziare per aver salvato me e Reyna; ti siamo debitori.
Spostò il peso da un piede all'altro, chiaramente in soggezione sotto quello sguardo che lo fissava dall'alto, impassibile e iridescente nel buio del cappuccio.
-Io mi chiamo Gregor e sono il Marchiato della Terra. Se non ti fidi posso farti vedere il Marchio, ma preferirei evitare, visto che potrei morire congelato.
Dalle sue labbra cianotiche uscì una debole risata a cui nessuno di unì e che si spense velocemente.
Il viso di Erika si aprì in un sorriso tutto zucchero e miele.
-Piacere di conoscerti! – cinguettò con voce soave; ma io mi accorsi comunque del veleno abilmente mimetizzato nel suo tono. – Ci piacerebbe scambiare due parole con te, ma non possiamo farlo se continui a rimanere seduto lassù. Potresti scendere, per favore?
Passarono interminabili secondi prima che, con estrema calma e scioltezza, la gambe del Demone decidessero di muoversi.
Con un movimento fluido, quell'oscuro e misterioso ragazzo si lasciò cadere nel vuoto e io soffocai un urlo mentre il Marchio si scaldava, pronto a riacciuffarlo al volo prima che il suo corpo raggiungesse il suolo dopo una caduta di innumerevoli metri.
Ma prima che potessi fare qualunque cosa, le sue mani si serrarono su un ramo, facendolo arrestare con le dita strette attorno alla corteccia sporca di resina, in una muta sfida alla forza di gravità.
Il Demone raggiunse il suolo con movimenti felini e scattanti – decisamente animaleschi – ma, quando le sue suole toccarono il ghiaccio che rivestiva le radici dell'albero, non un rumore venne generato. Atterrò a terra con un equilibrio e una grazia che mi ritrovai a invidiare, soprattutto dato il contrasto con la sua mole.
Fece un passo nella nostra direzione e io mi ritrovai investita in pieno da quella tetra oscurità che lo accompagnava sempre, in ogni istante. Ali di corvo emersero scure e demoniache dalla sua schiena, mentre sbuffi d'inchiostro riempivano l'aria tonante.
La mia pelle si cristallizzò sotto quel nero freddo e opalescente, screziato di tenebre così scure da privare di luce tutto il resto.
Tutto in lui andava a creare un perfetto connubio con il candore della neve e il baluginio degli spicchi di sole sul ghiaccio.
Provai a spingere il mio sguardo al di sotto di quel cappuccio ombroso, assottigliando gli occhi fino a ridurli a due schegge di nubi grigie, ma non riuscii a percepire altro che il doloroso castigo di un paio di iridi nate per tormentare i miei incubi.
Così chiare e iridescenti, così scure e affascinanti.
Lui, il Ladro di Luce.
Il suo capo si rivolse verso Erika e la sentii trattenere il fiato. Nascosi un ghigno soddisfatto nel notare che non ero l'unica subire gli effetti devastanti di quella presenza demoniaca.
-Parla – il rombo di un tuono scosse la foresta da cima a fondo e solo in quel momento mi accorsi dell'innaturale silenzio che ci aveva accolto durante quegli attimi di timore ancestrale.
Il sorriso di Erika si incrinò nel percepire l'ordine nascosto in quell'unico vocabolo e la sua gola vibrò nell'ingoiare un respiro tremulo. La vidi affondare i denti nel labbro, chiaramente intimidita dall'aura assoggettante del Demone.
Quando riuscì a racimolare il giusto coraggio, decise di imitare la schiettezza e la parsimonia di parole del suo interlocutore.
-Siamo alla ricerca dei Marchiati – mormorò, sondando il volto nascosto del ragazzo con voce cauta. – Il nostro scopo è uccidere Tyros e deporre il suo regime tirannico. Ci aiuterai?
Il Demone fece un altro passo nella nostra direzione e io sentii il sangue ribollirmi nelle vene, mentre mille saette invisibili mi facevano sfrigolare il petto.
I suoi occhi screziati d'oceano e imbevuti di tenebra non fissavano Erika.
No.
Il luccichio metallico di quello sguardo affilato e carezzevole insieme era puntato su di me.
Lo sentivo sulla pelle, tra i capelli, nelle ossa.
E, sospinto dal vento che, in quel momento, mi fu nemico, mi arrivò il suo odore.
Circondato dalla foresta era ancora più intenso, ancora più soggiogante e io mi persi in quel soffio di muschio e rugiada, di fulmini e temporali.
Il cuore rischiò di scoppiarmi nel petto.
Ancora una volta, il Demone comprese il mio turbamento – anche se forse non ciò che lo aveva scatenato – e, con un movimento troppo secco per la sua grazia sinuosa, si voltò.
La sua voce ci raggiunse quando già si era allontanato di qualche metro.
-Seguitemi.
E i miei piedi si mossero da soli nell'ubbidire a quell'ordine, calpestando il mio orgoglio e ogni sorta di ragionevolezza che credevo di possedere.
Quelli di Erika e Gregor fecero altrettanto.
Il Demone ci condusse di fronte a una caverna, nascosta da fronde scure e circondata da massi e ghiaccio sporco.
-Vivi qui? – chiese Gregor in un sussurro.
Il ragazzo incappucciato annuì e alcune ciocche di quei capelli scuri che avevo già visto si ribellarono al giogo del cappuccio e scivolarono all'aria aperta.
Inevitabilmente, i ricordi di quando si era spogliato senza alcun preavviso nella mia camera mi sommersero e io mi ritrovai ad annegarci dentro, pervasa dallo stesso terrore che mi aveva assalito di fronte al corpo nebuloso in un'infuriata Borea.
Nascosi le guance arrossate sotto i palmi, fasciati da i miei consunti guanti di pelle. Forse sarebbe stato più saggio se avessi indossato quelli foderati di lana che Gregor aveva insistito perché comprassi ma, nonostante le dita congelate esposte all'aria gelida della montagna, non provai il minimo ripensamento.
Quei guanti, con le dita tagliate da forbici arrugginite, erano un regalo di mio padre. Così non ti daranno fastidio mentre usi l'arco, mi aveva detto.
Il rancore e il rammarico mi avvolsero il petto, ma non ebbi tempo di disperarmi perché, spostando un ramo, il Demone ci fece cenno di entrare.
Fui l'ultima a mettere piede in quella grotta e, nello sgusciare tra la parete di umida roccia e la fronda immobilizzata da quelle grandi mani scure, la mia spalla sfiorò un petto ampio e solido.
Feci un salto all'indietro, come scottata, e questa volta fui certa di sentire i suoi occhi cangianti farsi più freddi sotto il cappuccio.
Mi feci velocemente da parte, distanziando i nostri corpi e sperando che lui non cogliesse il calore sprigionato dal mio.
Mi concessi un istante per guardarmi intorno e, troppo presa dal ragazzo alle mie spalle, registrai solo una penombra avvolgente, il ticchettio di alcune gocce d'acqua che scivolavano giù dalle numerose stalattiti presenti e il profilo di un giaciglio improvvisato.
Solo in seguito colsi le pelli lanose appese alle pareti che grondavano umidità, il tepore di alcune braci calde e mazzolini di rametti di pino e fiori essiccati a rendere l'ambiente più accogliente.
Quella grotta aveva il suo stesso odore, decisi, e anche se non possedeva i comfort di una casa vera, aveva un che di silenziosamente ospitale.
Mi ritrovai a immaginarmelo lì, sdraiato sul letto, a fissare il soffitto con occhi malinconici o a scheggiare un ramo con un coltello, magari per trasformarlo in un'arma letale.
E forse era meglio concepirlo con la silente curiosità della fantasia, il Demone.
Almeno non avrei sentito quei brividi tutte le volte che mi passava di fianco, sempre troppo vicino, sempre troppo lontano; non avrei sentito il fiato perdersi negli abissi profondi che si ritrovava in volto, talmente inaccessibili da fare paura; non mi sarei vista privare di ogni mio colore, ogni mia luce, dai graffianti artigli oscuri del Ladro.
-Sedetevi – ci disse con quel tono che più che un invito, faceva apparire ogni sua parola come un ordine.
Intimoriti, ubbidimmo e ben presto mi ritrovai ad accarezzare con dita pensose il morbido tappeto scuro, affondando le dita nella pelliccia mora. Mi chiesi se anche i suoi capelli avessero la stessa consistenza e mi ritrovai con un pizzico di spaventoso imbarazzo a sognare di poterne saggiare la morbidezza con le mie stesse mani.
Mi spinsi contro il fianco di Gregor, seduto accanto a me, sperando di trovare un po' di conforto. Subito il suo braccio andò a circondarmi le spalle, in un gesto affettuoso e protettivo insieme, tratto da quel codice di muti scambi che condividevamo e sembravamo conoscere alla perfezione.
Il Demone si accomodò di fronte a noi, incrociando le gambe lunghe e appoggiando sulle ginocchia quelle mani macchiate di tenebra, in attesa.
Gregor mi incitò a parlare con un colpetto del gomito e io mi ritrovai a guardarlo male. D'altra parte mi aveva avvertito: il coraggio non era una delle virtù di cui disponeva.
Tossicchiai per schiarire la voce, ma all'inizio, quando provai a parlare, mi uscì solo un debole rantolo.
Lui notò il mio disagio e, senza che avessi bisogno di chiedergli nulla, si allontanò fino a occupare l'angolo più lontano del morbido tappeto, nascondendo il capo dietro quella coltre ombrosa oltre la quale si era barricato.
E così, liberata da quella tediosa e silenziosa oppressione, iniziai a raccontare.
Descrissi con minuzia di particolari la mia storia e quella di Gregor, le motivazioni del suo viaggio e il perché io lo avessi seguito. Gli parlai dei pericoli in cui sarebbe incorso se fosse venuto con noi e dei soldati che erano sulle nostre tracce.
Lui mi ascoltò senza interrompermi mai, gli occhi del Ladro che, nel buio della caverna, rilucevano di tutti i colori che avevano rubato e di cui il resto del suo corpo sembrava privo.
Quando terminai, avevo la gola secca e le labbra screpolate dal freddo.
Il Demone spostò lo sguardo prima su di me e poi su Gregor, ci fissò per secondi interminabili e, infine, annuì bruscamente. Poi, senza alcun preavviso, il suo dito scuro si allungò in direzione di Erika.
-E tu? – chiese, rivolgendosi direttamente a lei. – Cosa hai... da raccontare?
Erika, rimasta silenziosa fino a quel momento, sciolse la sua posa di sale per assumerne una di freddo marmo.
-Nulla. Non ho nulla da dire – gracchiò, le labbra contratte e la bandana talmente calata in fronte da coprire quasi completamente gli occhi pece. – Le cose importanti le ha dette tutte lei.
Il Demone la soppesò con calma infinita, senza muovere un muscolo, e io, come tutti, mi ritrovai a trattenere il fiato.
E feci bene. Perché quando parlò e mille fulmini precipitarono su di noi, sentii l'ossigeno strabordare dai miei polmoni senza che io potessi fare niente per fermarlo.
-Verrò.
E io non seppi se esultare di gioia o piangere di dolore.
-Sei sicuro? – domandò Gregor per la millesima volta, mentre il Demone preparava il suo zaino. – Se vuoi pensarci ancora un po' possiamo aspettare...
Trattenne un mugolio di dolore quando una feroce zampata di Erika lo colpì sullo stinco.
Il Demone annuì senza voltarsi e, pochi istanti dopo, ci raggiunse con in spalla uno zainetto minuscolo in confronto alla sua schiena e una lancia dall'aspetto minaccioso in pugno.
-Sei pronto? – chiese Erika e, per l'ennesima volta, lui fece cenno di sì con la testa.
Gregor fece un timido passo in avanti.
-Ehm... – iniziò, impacciato. – Mi è stato detto che ti chiami Ivan e mi stavo domandando se per te fosse un problema se noi ti chiamassimo per nome.
Mi lanciò un'occhiata nervosa che ricambiai, per poi riportare lo sguardo sul ragazzo incappucciato.
Con il capo reclinato in avanti e una tendina di capelli mori a sbucare dal cappuccio, sembrava pensieroso. Lo vidi ticchettare con un dito sull'asta della lancia prima di alzare nuovamente la testa.
-È da... molto tempo, che nessuno mi chiama per nome – mormorò quasi tra sé. I suoi occhi nascosti si soffermarono su di noi con un'intensità di commovente e dolorosa malinconia. – Ma... va bene. Potete... farlo.
Gregor si aprì in un sorriso luminoso.
-Grazie, Ivan.
Le braccia del ragazzo incappucciato ebbero un fremito nell'udire quelle parole e, per la prima volta, la gelida oscurità che circondava il Demone si fece un po' più calda.
Ci pensò Erika a spezzare la magia.
-Tutto molto commovente, certo – arricciò il naso con disappunto. – Ma visto che dovremo viaggiare insieme, forse sarebbe il caso che tu ci mostrassi il tuo volto.
Senza bisogno di farselo ripetere, i gomiti di Ivan si piegarono verso l'alto e le sue mani d'inchiostro andarono a sfiorare la pelliccia che gli rivestiva il capo.
Quando questa ricadde, infine, sulle sue spalle, sentii ricrearsi quella magia che avevo già percepito nella piccola stanza grigia del Monastero di Riolite.
Un'ombra di capelli mori gli scivolò dolcemente sul petto e il suo volto ombroso si rivelò alla luce, con quella sua pelle olivastra e i pozzi di tenebra screziati di blu e argento.
Schegge di lame di luce rubate gli si riversarono nello sguardo iridescente, con quelle pupille perforanti e irriverenti che sembravano avere il potere di privarti perfino dell'anima.
-Il Ladro di Luce... – sentii sussurrare a uno sconvolto Gregor. Mi sentii quasi consolata nel comprendere di non essere stata la sola ad aver avuto quello stesso pensiero.
Anche Ivan udì quelle parole e le schegge cobalto annegarono dentro il nero petrolio dei suoi occhi.
Tornò il Demone.
Con un gesto secco si tirò su il cappuccio e ci diede le spalle.
Quando parlò, la sua voce tonante parve amara come fiele, graffiata da una rabbia sommessa ma ugualmente vibrante.
Mi sentii trapassare il cuore da mille saette bollenti mentre, dalle sue labbra dischiuse a mostrare in un lampo il candore dei denti, uscivano parole che grondavano sangue.
Anch'esso nero come il cuore del Demone.
-Io non sono il Ladro di Luce.
Angolino piccinopicciò: 🦝❤
Non so se è una mia impressione ma, da quando è comparso Ivan, il livello dei capitoli è salito. Voi che dite? 😏🔥
Sono molto soddisfatta di questa parte (anche se probabilmente cambierò idea nell'arco della settimana) e pian piano sto spargendo qua e là indizi importanti. Chi sarà lo strano ragazzo che ha incontrato Jordan all'inizio del capitolo? Qualche idea? 🤔
Cosa ne pensate invece del nostro Demone preferito? Io lo adoro! 😍 E mi raccomando: ricordatevi la storia del Ladro di Luce perché vi tormenterà per un bel po'. ❄✨
Detto questo vi saluto; ci vediamo (?) presto con il prossimo aggiornamento! 💞
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro