EXTRA: Le Cronache degli Elfi
Le Cronache degli Elfi è il libro che Galanár prende dalla biblioteca di Laurëgil e legge insieme a Silanna nel capitolo 18, Sicuti caelum deis...
Non mi serviva scriverlo davvero, visto che si tratta un libro interno alla storia e che ci viene sommariamente raccontato dai due protagonisti. Un po' per gioco, un po' perché sentivo il bisogno di gettare realmente le basi di Amilendor, alla fine l'ho scritto davvero. Ne è venuta fuori una piccola cosmogonia. Ho pensato di lasciarla qui come curiosità legata alla mia storia, anche se è un po' lunga e scritta volutamente con un linguaggio arcaico ed enfatico (sorry!).
Se siete curiosi di scoprire come il mondo ha avuto origine, andate pure avanti... buona lettura!
YÉNONÓTIË ELDAIVA
Delle origini del mondo e della creazione dei sacri Daimon
Tre sono le fasi del tempo.
Tre sono gli elementi che compongono gli esseri senzienti.
Tre sono gli Antichi Dei.
Vertici di una forma stabile e perfetta, gli Eterni che tutto sanno abitavano lo spazio quando Amilendor giaceva ancora silenziosa e vuota.
Amaurëa la Lucente, la maggiore e la più dotata tra gli Immortali, aveva amato Amilendor al primo sguardo e l'aveva desiderata come propria dimora. Fu lei che sognò lo spazio animato di forme e colori meravigliosi. Al suo risveglio narrò ai fratelli le bellezze che aveva osservato con la sua vista interiore. Arandor il Possente disse allora:
"Dividiamo lo spazio tra di noi, affinché ognuno sia libero di plasmare la materia secondo il proprio desiderio".
Quelle parole furono infauste, poiché generarono una lunga disputa tra quel dio e il suo gemello, Eär l'Inquieto per il possesso degli spazi.
Mentre Amaurëa tornava ad affondare nel sogno, nella speranza che nuove e più ampie visioni giungessero a lei, i due fratelli iniziarono a combattere, inseguendosi nelle volte senza tempo, senza giorno né notte, dove sole e luna regnavano insieme. Stremati infine da quella lotta che non avrebbe mai visto un vincitore, i due giunsero a un accordo: Arandor avrebbe preso le terre emerse ed Eär quelle che riposavano sotto le acque. Amaurëa, svegliata dal suo sonno, benedisse quella scelta e tenne per sé ciò che gli altri avevano lasciato: lo spazio sopra le terre e le acque.
Così fu stabilito nella notte dei tempi: di Amaurëa è il cielo e tutte le sue creature, di Arandor la terra e quanto essa contiene, di Eär sono le acque e i suoi fondali.
E gli Antichi plasmarono i loro regni. Per farlo, ognuno di loro diede vita a uno spirito, per avere soccorso nella sua opera. Amaurëa generò Vilya, colei che non può essere contenuta. Arandor modellò Nór, colui che muovendo gli altri è esso stesso immobile. Eär diede vita a Nén, colei che possiede la forma di chi la contiene. Quindi, unendo le loro forze, e di comune accordo, gli Antichi forgiarono Nár, l'Imparziale, affinché potesse illuminare e, al contempo, tenere a bada il potere degli altri tre spiriti con la sua forza distruttiva.
Così è narrata la creazione dei Quattro Grandi Daimon, che con il loro incessante lavoro forgiarono le immagini del mondo, fedelmente asserviti ai loro immortali signori.
Della nascita degli Eldar
Amaurëa aveva diviso la notte dal giorno e popolato le volte di nuvole e di stelle. Aveva dato asilo ai volatili e agli insetti, e regolato le direzioni dei venti. Quindi, dall'alto del suo regno celeste, vide che anche il resto del mondo stava prendendo l'aspetto delle sue visioni e ne fu lieta.
Così passarono i secoli e si alternarono le stagioni, mentre Amilendon risplendeva di vita e di prosperità.
Un giorno, però, Amaurëa fu colta da una profonda malinconia. Il cielo si oscurò e nemmeno Vilya riuscì a domare il disordine che emerse non appena la dea distolse il suo sguardo dalla sua creazione. Il turbamento che si generò nell'aere si abbatté perfino sulla terra e sulle acque. Neppure la sollecitudine di Arandor e di Eär riuscirono a riportare il sorriso sulle gote della sorella.
La Dea era innamorata della perfezione di Amilendor, ma non riusciva più a provare gioia di fronte a una melodia che si ripiegava in se stessa. Non vi era splendore nella luce, né delizia nei colori, se non potevano essere goduti da nessun altro. Desiderava condividere il suo regno con qualcun altro, ma sapeva che i suoi fratelli avrebbero osteggiato il suo desiderio.
Così la Dea, invocando l'oscurità della notte, si rifugiò su una piccola isola, Ernendir, e in quella terra nascosta e dimenticata diede vita alle creature che le sarebbero divenute più care.
Nel buio e nel silenzio, Amaurëa generò una sfera di luce e, con l'aiuto di Vilya, modellò le ciocche dei suoi capelli di platino, creando gli Eldar, gli Alti Elfi. Quelle creature avevano un corpo esile e longilineo. Erano chiari e delicati, ingentiliti da lunghe capigliature splendenti, dello stesso colore della chioma da cui erano stati creati. I loro visi erano armoniosi, i lineamenti morbidi, le orecchie sottili e lunghe come le piume dei grandi uccelli.
La Dea concesse loro vita immortale e profondità dello spirito. Gli Eldar erano veloci come il vento e la loro vista era acuta come quella di un rapace. Essi sapevano parlare con le nuvole e dominare le correnti del cielo. Amaurëa aprì loro gli occhi e la mente, mostrandogli tutta la bellezza del mondo. Li addestrò al rispetto e alla venerazione della natura, di cui rivelò misteri e segreti.
Così gli Eldar prosperarono nel clima mite dell'isola di Ernendir. Divennero abili nella caccia e nell'uso di ogni arma che sfruttava il vento. Frecce, dardi e giavellotti non fallivano mai il loro bersaglio. Allo stesso modo divennero maestri nella conoscenza delle erbe e nella pratica del culto magico della natura.
Amaurëa amò e accudì i suoi figli, ed essi l'amarono di riflesso, venerando ciò che lei aveva creato assieme agli altri Immortali.
Della nascita degli Atani
Un giorno, Eär l'Inquieto provò il desiderio di rivedere i fratelli e si levò dalle acque. Udendo un dolce canto portato dal vento, fu guidato fino alle spiagge di Ernendir e vide delle creature stupende che dimoravano all'ombra degli alberi. Avevano voci soavi e la luce della comprensione brillava nei loro occhi. Con l'arpa e con la cetra cantavano inni di lode ad Amaurëa, e la benedizione della Dea splendeva su di loro.
Eär provò grande ammirazione nei confronti di quegli esseri viventi. Neppure la più aggraziata delle sue piante, né il più colorato dei suoi pesci superava la bellezza degli Eldar. Ed Eär ne fu geloso, e desiderò possedere anch'egli uno stuolo di creature che lo venerasse e lo servisse nel modo in cui gli Eldar erano devoti ad Amaurëa.
L'invidia lo assalì per giorni, fino a quando il giovane e irruente Dio non prese una decisione: chiamò Nén e le ordinò di strappare alla sorella Vilya la verità su quella creazione. Quando Nén ritornò a rivelargli tutto ciò che aveva scoperto, con l'aiuto del suo daimon, Eär impastò l'argilla dei fondali più puri e le infuse la vita, plasmando gli Atani. Erano di statura inferiore a quella degli Eldar e la loro corporatura era meno slanciata, ma Eär li dotò di muscoli d'acciaio e di una forza superiore a quella dei loro cugini.
Tuttavia, una volta completata la sua creazione, il Dio si rese conto di aver agito spinto dal rancore e dal desiderio di imitare Amaurëa, senza realmente desiderare quelle creature. Lui, così abituato al silenzio delle profondità marine, si sarebbe stancato presto della loro musica, e persino il più dolce dei canti sarebbe diventato aspro al suo orecchio se fosse durato in eterno. Decise quindi di instillare l'intelletto in quelle creature, poiché ormai le aveva generate al mondo, ma non diede loro l'immortalità. Li tenne presso di sé fino a quando non si fu stancato di quella compagnia. Quindi decise di rimettersi nuovamente in viaggio, alla ricerca di nuovi fondali da abitare, lasciando la libertà a quegli esseri che aveva creato.
Il vuoto improvviso lasciato dal loro padre gettò gli Atani in un terribile sgomento. Nella confusione generale, alcuni di loro levarono lo sguardo verso il cielo e videro gocce rilucenti di splendore galleggiare in lontananza, su quelle altezze che essi non avevano mai osato esplorare. Decisero così di nuotare verso quel bagliore dorato. Una volta emersi dalle acque, gli Atani videro il cielo azzurro e la luce del sole, il fresco alito del vento che portava fino a loro le verdi foglie e il profumo della terra. Guidati dalla corrente, giunsero fino alla terra ferma e lì stabilirono la loro dimora.
Col passare del tempo, gli Atani persero la capacità di respirare sott'acqua, ma quell'elemento rimase indispensabile alla loro esistenza. Costruirono quindi le loro città in riva al mare, vicino ai fiumi o alle sorgenti, poiché non potevano sopravvivere a lungo in un luogo senz'acqua.
A differenza degli Eldar, la loro breve vita era compensata da una grande prolificità. Per lo stesso motivo gli Atani presero l'abitudine di tramandare di padre in figlio la propria storia, sfruttando i segni e le immagini della natura per meglio fissare gli avvenimenti nella memoria, affinché il loro passato non fosse annientato dall'oblio e dalla morte.
Amaurea ebbe pietà del loro destino e non li abbandonò. Insegnò loro il ciclo delle stagioni, affinché fossero capaci di coltivare la terra e trarne sostentamento, e li istruì a leggere i segni del cielo e il movimento delle stelle, per guidarli indenni nella navigazione. E gli Atani benedirono il nome di Amaurea nei secoli.
Così passarono i cieli e si sommarono i secoli. Gli Eldar e gli Atani prosperarono, ignari gli uni degli altri. Amaurea li vegliava dall'alto delle volte celesti, lasciando scorrere serenamente e liberamente le loro esistenze.
Dove si narra la caduta degli Eldar
Quando Eär tornò dai suoi viaggi, vide una vela che solcava i suoi territori in prossimità delle Terre Emerse. La seguì, e così conobbe il destino dei suoi figli, che egli aveva abbandonato e che credeva morti. Avevano superato i mari, erano scampati alle acque ed erano sopravvissuti. Eär udì anche i loro canti: gli Atani innalzavano inni alla Dea dell'alba e avevano completamente dimenticato il loro creatore, di cui razziavano le terre, solcandole con le loro navi e depredandole dei loro abitanti. Quella scoperta lo rese furente. Disteso nel fondo dei mari, nessuna delle sue lucenti e sinuose creature osava avvicinarlo, mentre egli covava in silenzio incubi di risentimento e rivalsa. L sue visioni, accresciute dall'isolamento, sprofondarono nel delirio, ed Eär concepì la vendetta contro ciò che Amaurea amava sopra ogni cosa.
Durante una notte di luna piena, le acque si innalzarono attorno all'isola beata di Ernendir e andarono a lambire le abitazioni dei figli di Amaurea. Eär ispirò sogni agli Eldar, mostrando loro gli Atani e la loro vita sulla Terra Emersa. Instillò nelle loro menti avide di sapere la curiosità nei confronti della nuova razza e avvelenò i loro pensieri, che sempre agognavano nuova conoscenza. Così il dubbio serpeggiò tra gli Eldar e interi giorni furono spesi in discussioni.
Molti di loro desideravano lasciare le sponde dell'isola e solcare i mari alla ricerca degli esseri che avevano visto in sogno. I più anziani si opposero a quella richiesta, sostenendo che dovesse esistere un motivo per il quale Amaurea, alla quale dovevano la vita e la conoscenza, non aveva dato loro alcun insegnamento riguardo all'esistenza di quelle creature. La Dea, inoltre, aveva dato ai propri figli ogni libertà e ogni dominio su Ernendir, a patto però che non l'abbandonassero mai.
Le ragioni della maggioranza ebbero infine la meglio sulle motivazioni degli anziani, così gli Eldar si mossero alla scoperta di nuove terre e di nuovi popoli, intenzionati a trovare e a conoscere ogni nuovo aspetto di ciò che esisteva oltre il mare. Nuove e stupefacenti rivelazioni si offrirono ai loro occhi nel momento in cui misero piede sulle Terre Emerse, ed essi passarono di meraviglia in meraviglia. Decisero di fermarsi in quei luoghi per poterne studiare la flora, la fauna e soprattutto quelle creature tanto diverse da loro nel pensiero e nella costituzione fisica. Si mossero, infine, in cerca di nuove forme di magia naturale, poiché quel territorio, coperto di foreste e di alberi secolari, suggeriva ai loro animi illuminati l'ombra dell'antica potenza divina che li aveva forgiati.
Così ebbe inizio l'inarrestabile caduta degli Eldar, così come Eär aveva pianificato e desiderato. Perché in Ernendir, Amaurea aveva posto un incantesimo che ne aveva alterato la struttura del tempo. Grazie a quella magia gli Eldar prosperavano senza mai morire e senza mai invecchiare, in una eterna, dorata giovinezza. Prendendo stanza in Amilendor, lontani dalla luce di Amaurea, sui loro volti presero a comparire i segni dell'età: gli Eldar avevano perso la loro immortalità. Il loro tempo era lungo, se paragonato alla brevità dei giorni degli Atani, tuttavia qualcosa di radicale era mutato nella loro esistenza. Assieme a quella conoscenza che avevano così fortemente perseguito, gli Eldar appresero anche il concetto di vecchiezza, decadenza e morte, in un processo che divenne presto sempre più evidente e ineluttabile.
E Amaurea vide ciò che era accaduto ai suoi figli e pianse.
Dove si narra della guerra di cielo, acqua e terra
Il pianto di Amaurea per la perdita subita dai suoi prediletti divenne inarrestabile. I cieli si aprirono e le piogge inondarono Amilendor. In breve nessuno, esseri umani e animali, fu più in grado di proteggersi dalle tempeste. Vilya sconvolgeva le nuvole senza controllo alcuno e incitava i venti, che vorticavano spazzando via ogni cosa. Le acque si incresparono e le montagne franarono. La terra si bagnò a tal punto da non riuscire a produrre nulla, gli alberi furono sradicati a dispetto delle loro immense radici. La distruzione si diffuse ovunque, senza che Nór riuscisse ad arginare l'onda d'urto di quella tempesta.
Allora Arandor si levò dalle sue montagne, seppe cosa era accaduto e decise di punire la malvagità del suo gemello, poiché la sorella gli era molto cara. Immerse le mani nelle montagne e ne estrasse delle creature di roccia. Servi fedeli al volere di Arandor, i Golem di pietra erano indistruttibili. Non avevano cuore né conoscenza, ma la loro volontà aderiva ai desideri del loro creatore, ed erano di una forza e di una resistenza fisica eccezionali.
L'esercito dei Golem marciò verso il cuore degli oceani. Essendo di pietra, non soffrivano né il freddo né la mancanza d'aria. Guidati dal desiderio di giustizia di Arandor, essi sterminarono le creature del mare che popolavano la corte di Eär. Così, mentre i cieli erano ancora sconvolti dal dolore della Dea del mattino, ebbe inizio la guerra tra terra e mare.
Come già accaduto all'inizio dei tempi, la potenza dei due gemelli era pari, così il loro scontro si protrasse senza che nessuno prevalesse sull'altro. I mari furono macchiati dal sangue e intorbiditi dalla sabbia sollevata dai fondali. Ernendir fu inghiottita dalle acque, e con essa affondarono tutte le antiche vestigia degli Eldar.
Infine Arandor, incapace di sopraffare Eär con le sue sole forze, evocò i poteri di Nór per poterlo imprigionare. Dalle profondità del mare, i vincoli della terra emersero come radici, cogliendo di sorpresa il Dio delle acque. Si avvilupparono attorno alla sua forma visibile, immobilizzandone gambe e braccia, e inchiodandolo sul fondale sabbioso. Con un incantesimo, Arandor incatenò temporaneamente lo spirito al corpo fisico, affinché non potesse fuggire, quindi andò a cercare Amaurea, per chiederle consiglio e porre fine a quella disputa.
Lo spirito del Dio si levò fino al firmamento, raggiunse Amaurea e le carezzò il viso e i capelli. Arandor asciugò le sue lacrime e sussurrò parole gentili al suo orecchio.
Così cessò la sventura nelle volte celesti e lo sconvolgimento dei vento e, quando l'occhio del cielo si fu diradato, Amaurea vide quanto disordine si fosse abbattuto su Amilendor. Tutte le meraviglie create erano state devastate. Gli Atani e gli Eldar, che si erano rifugiati nelle grotte e nelle caverne, erano stati decimati.
L'ira di Amaurea di fronte a quello spettacolo fu incontenibile. Rese imperituro l'incantesimo fatto su Eär, legando per sempre il suo spirito alla prigione del corpo incatenato nel fondo del mare. Ad Arandor impose un millenario esilio all'interno delle profondità delle sue cave montane. Radunò quindi i Quattro Grandi Daimon. Ad essi diede il potere di evocare daimon di natura minore e l'ordine di riportare Amilendor al suo antico splendore. Quindi rivolse il suo sguardo sulle creature senzienti, che erano state insieme origine e vittime inconsapevoli di quell'insano scontro.
Agli Atani restituì la loro patria lungo le rive del mare e la potestà su quelle terre. Ella tuttavia non aveva potere sulle leggi imposte da Eär alle sue creature. Non disponendo della facoltà di prolungare la loro vita, così fece loro un dono di diversa natura: diede agli Atani la capacità di provare grandi passioni, l'arte di amare e di odiare, di esaltarsi e di soffrire, affinché la loro esistenza, per quanto breve, fosse intensa e piena di ricordi.
Poi il suo sguardo si posò sui Golem, fedeli servitori di Arandor nella guerra, che giacevano abbandonati e inerti, privi di qualsiasi desiderio. La Dea ebbe pietà del loro stato e, in luogo del cuore di pietra, donò loro un cuore di carne. Da allora gli Eldar li chiamarono Casári, ovvero Nani nella lingua degli Atani. Essi andarono a popolare le montagne da cui erano stati generati e che conoscevano come la loro stessa esistenza. Grati alla Dea del mattino, ma pur sempre devoti a colui che li aveva creati, continuarono a servire Arandor delle Montagne nei millenni dell'esilio.
Agli Eldar, però, fu riservato un diverso destino. Essi avevano volontariamente rinunciato ai propri doni, abbandonando il paradiso creato per loro per inseguire la propria ambizione. Per questo Amaurea non gli restituì il dono dell'immortalità. Lasciò loro la libertà di espandere il proprio spirito e la propria mente, una vita estremamente lunga e una speciale resistenza a malattie e infermità del corpo, ma dispose che anche gli Eldar conoscessero la morte.
Tuttavia Amaurea amava ancora i suoi figli sopra ogni cosa. Pur non potendo mitigare il suo decreto punitivo nei loro confronti, concesse loro un ultimo dono, affinché essi non dimenticassero mai la potenza originale di cui erano stati dotati i primi abitanti di Ernendir.
La Dea del mattino così stabilì: sarebbero sorti in mezzo al popolo degli Eldar alcuni esseri dai caratteri eccezionali. Essi sarebbero stati in grado di controllare i poteri dei grandi Daimon, con i quali avrebbero stabilito un patto di alleanza e servizio per tutto il tempo della loro esistenza. Per mezzo di tale potenza, di cui dovevano essere i responsabili custodi, essi avrebbero potuto compiere grandi opere.
Fëantúri è il titolo di rispetto con cui tutti Eldar presero a rivolgersi a tali creature, ma la notorietà della loro straordinaria potenza e magia giunse fino alle terre degli Atani. Così, sebbene i rapporti tra queste due razze non siano mai stati amichevoli, gli Atani guardarono ai Fëantúri con estrema deferenza, chiamandoli nella loro lingua Daimonmaster.
Dei destini delle creature senzienti e delle guerre della Terra Emersa
Così ebbe inizio l'epoca del mondo, tale come noi lo conosciamo.
Gli Antichi Eldar presero stanza nel cuore della terra, lontano dalle tribù degli Atani, dove la foresta era più fitta e gli alberi più antichi. Chiamarono quella terra Laurëlindon, in memoria degli antichi canti che si levavano in Ernendir per benedire la luce dorata di Amaurea.
Il regno fu diviso, per poter meglio difendere i confini dai vicini regni dei Casári. Né con queste creature, né con gli Atani, gli Eldar intrattennero mai buoni rapporti, al di là della civile tolleranza. Verso gli Atani, in particolare, nessun amore potrà mai essere mostrato, dal momento che essi sono stati la causa indiretta della caduta della grazia avvenuta nei tempi remoti.
I Casári hanno condotto per secoli la propria vita al riparo delle grotte di Arandor loro signore, e per questo ancora poco è conosciuto di questa gente.
Nonostante la benedizione di Amaurea, essi vivono per la Materia, così come gli Atani coltivano l'Ingegno e gli Eldar sono gli eletti dello Spirito. La loro bassa statura e la mancanza di agilità è compensata dalla costituzione coriacea e dalla resistenza ai colpi d'arma e alle malattie, antico retaggio della roccia dalla quale furono creati. Esperti forgiatori del metallo e fini incisori della pietra, scavarono le loro città nel cuore della montagna, adornando le loro architetture di gemme preziose. Il numero crescente della popolazione e l'ingrandirsi delle loro miniere, li condusse a un aspro conflitto con gli Eldar, che videro mutare l'aspetto delle loro terre a causa degli incessanti lavori dei Casári.
I primi scontri si risolsero a totale vantaggio degli Eldar, che imposero ai Casári forti restrizioni sulla costruzione e lo scavo. Ma i Casári erano forti, e le loro armature e lame erano raffinate come quelle dei maestri forgiatori degli Eldar. Così i Casári tornarono a combattere e sbaragliarono l'intero esercito degli Eldar in uno scontro cruento oltre ogni immaginazione. Le Cronache narrano che i Casári, sebbene in numero inferiore, riuscirono a sopperire alla propria inferiorità fisica scendendo in campo sui loro terribili carri da battaglia, un'opera di ingegno che gli Eldar non avevano mai visto prima di allora.
Dove si tratta delle razze inferiori
Le conoscenze arcane sono proprie dello Spirito e la magia da sempre prospera presso gli Eldar. Lo studio e la pratica degli incantesimi sono stati tramandati e migliorati nel tempo. Affinché gli anziani Fëantúri potessero insegnare le arti ai più giovani, vennero eretti dei luoghi dedicati all'addestramento arcano e naturale. Il maggiore e più importante si trova ancora oggi a Valkano, tra le bianche montagne di Helegdir.
Avvenne tuttavia, nei tempi passati, che alcuni Alti Eldar, giunti al culmine della propria sapienza, desiderassero recuperare lo stato di grazia posseduta prima della caduta di Ernendir. Costoro cercarono di risalire alle fonti primigenie del potere arcano e iniziarono a praticare nuove forme di magie, incantesimi mai scritti in nessuno dei libri della tradizione. Essi erano dei Fëantúri e, in disprezzo al loro ruolo, osarono tentare di riunire i Quattro Daimon per far risorgere l'isola sommersa e recuperare l'immortalità. Con quel tentativo si opposero alla sanzione stabilita da Amaurea, incuranti della volontà della Dea e sicuri che il loro potere avrebbe concesso loro di raggiungere qualsiasi risultato.
Amaurea punì il loro orgoglio e la loro superbia. Mentre gli Eldar ribelli stavano svolgendo il loro rituale, piegando i Daimon alla loro scellerata volontà, la Dea intervenne. Sconvolse le loro menti e i loro piani, ritorse contro di loro la magia e li maledisse, perché si erano rivoltati contro l'amore della loro stessa creatrice. Fece risorgere l'isola dalle acque, ma la mutò in una condanna per i maghi che la volevano indietro. Essi furono condotti a Ernendir ed esposti non già al bagliore dorato che vi albergava un tempo, ma a una luce violenta e bruciante, che li attraversò infliggendo ai loro corpi terribili dolori.
Essi non perirono, ma portarono incisi sulla pelle i segni del tradimento. La loro carnagione bruciata divenne scura e i loro lucidi capelli d'argento furono mutati nel colore dell'inchiostro, il marchio perenne della maledizione di Amaurea su quella stirpe di maghi e sulla loro progenie per tutti i secoli.
Gli Eldar li chiamarono Moriquendi, Elfi Scuri nella lingua degli Atani. Per la loro colpa, essi furono banditi dalla società degli Eldar, e i loro discendenti sono per sempre esclusi da ogni gloria e onore della razza, perché i padri hanno osato porsi alla stessa altezza di Amaurea, Dea della creazione e nostra unica protettrice.
Esiste infine un'ultima stirpe di cui gli Eldar siano venuti a conoscenza e di cui si tratta in queste Cronache. Essa non sarebbe ritenuta degna di nota, se la sua vicinanza geografica alle terre degli Eldar non avesse costretto la nostra stirpe eletta a un vigile controllo sui confini. Non esistono fonti certe né scritti su questo popolo, che non possiede alcuna tradizione fuorché i canti dei propri sciamani, incomprensibili a qualsiasi orecchio che non parli la stessa lingua, così molto poco è noto sulle loro abitudini e costumi.
Un tempo incantatori, o forse negromanti, essi si dedicarono allo studio della natura disseppellendone i misteri più ambigui e remoti, e le loro menti furono corrotte dalle loro stesse scoperte. Riportarono in vita il culto di Eär che, dal fondo della propria prigione marina, non aveva mai cessato il suo tentativo di fuorviare le sue antiche creature. Si assoggettarono a questo Dio e, per tale motivo, furono esiliati dal consorzio civile e cacciati lontano.
Privati di cibo e di acqua, si adattarono a vivere nelle caverne, sulle aspre e inospitali montagne dell'Ambit, e col tempo il loro corpo mutò in forme deviate e bestiali. Conservarono inalterate le proprie conoscenze della magia naturale, dei veleni e delle pozioni, ma i loro costumi degenerarono verso forme primitive e selvagge.
Gli Atani li chiamano Troll. Per il possesso delle terre, una guerra è stata iniziata dai condottieri Atani ai danni di queste genti. Tuttavia è assai probabile che tale faida abbia origini ancor più arcaiche, poiché gli antichi Eldar tramandano nelle loro scritture che i Troll erano Atani, in un tempo remoto della loro esistenza.
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