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42. TAM PROCUL EX OCULIS...

Tutte le certezze di Aidan erano messe a dura prova, e anche il suo cuore. Un cuore che era ancora troppo semplice, poco avvezzo ai compromessi, estraneo agli accordi e alle rese.

In quel primo incarico che Galanár gli aveva affidato, stava sperimentando la difficoltà del comando: quando aveva visto con i propri occhi la caduta di Valkano, la sua mente aveva vacillato. Nulla gli era parso più imperativo del tentativo di strappare quante più persone alla morte. Così aveva fatto il possibile e si era imposto di mantenere la lucida freddezza che per anni gli era stata insegnata, nello strenuo tentativo di limitare le perdite.

Quando Silanna era scomparsa dalla sua vista, però, Aidan era stato preso dallo sconforto: per la prima volta da quando era nell'esercito, aveva dimenticato gli ordini ricevuti. Era rimasto lì, ai piedi della vallata, bloccato e incapace di scegliere se proseguire o tornare indietro.

Il ritorno di Silanna fu per lui un sollievo e un tormento: la sorte aveva voluto assecondarlo, salvandolo dalle ire di Galanár, e assieme punirlo, togliendogli Edhel. 

Il suo primo pensiero fu quello di mollare il gruppo e andare a cercarlo. Stava per farlo, ma incrociò gli sguardi di quegli uomini e di quelle donne che attendavano un suo ordine, come se solo da lui fosse dipesa la loro salvezza.

Forse è così. Anzi, lo è davvero.

Quella presa di coscienza fu tanto bruciante da asciugare le lacrime che avrebbe voluto versare per la paura e la disperazione che provava. Considerò che la sorte non gli avrebbe arriso una seconda volta, se l'avesse sfidata con tanta leggerezza, e si decise a voltare le spalle a Valkano.

Non avrebbe esitato, non in quel momento. Avrebbe fatto ciò per cui era stato mandato.

Aidan guidò la spedizione in salvo senza battere ciglio, cavalcando ora in testa per indirizzarli, ora in coda per controllare che tutti stessero bene e che nessuno restasse indietro. A ogni passo del suo cavallo si chiedeva dove fosse il gemello e a che destino fosse andato incontro, ma aveva troppo rispetto della vita per tentare di giustificarlo. La difesa di quella gente era per lui un imperativo morale dal quale non poteva prescindere e veniva prima della salvezza di suo fratello. Un fratello che amava infinitamente, ma che aveva dimostrato di dare scarso valore alla propria esistenza. Non gli sarebbe sembrato onesto barattare quelle vite con una sola, per quanto preziosa essa fosse per il suo cuore.

Cercò un posto abbastanza distante e abbastanza sicuro, e fece allestire un accampamento di fortuna per la notte. Erano stremati da quella giornata e sarebbe stato folle non concedere loro un po' di riposo. Aidan supervisionò le operazioni con pazienza ma, appena soldati ed elfi si furono sistemati, montò a cavallo. Fece solo un cenno ai soldati di guardia, che non ebbero nemmeno bisogno di chiedere quali fossero le intenzioni del loro capitano, e si spinse sulla strada in direzione del monastero.

In cuor suo sapeva che Edhel non era morto, non ancora. Era sicuro, oltre ogni logica e ragionevolezza che, se quel tragico evento fosse accaduto, lui l'avrebbe sentito. La sua unica preoccupazione era quella di trovarlo, e di riuscirvi prima che sorgesse il sole.

Quando Aidan intravide in lontananza un purosangue che scalpicciava lento lungo il sentiero, muovendosi nella sua direzione, mise da parte ogni prudenza e frustò la sua cavalcatura con il cuore in gola. La notte era scura e il suo desiderio di trovare il gemello poteva trarlo in inganno, ma appena fu più vicino non ebbe alcun dubbio, perché anche l'altro cavaliere si era fermato, era sceso da cavallo e gli stava andando incontro per abbracciarlo.

Edhel aveva trovato il cavallo lasciato da Silanna tra le macerie e lo aveva spronato fin quasi a sfinirlo. Le forze lo avevano infine abbandonato, ferito com'era e prosciugato dagli incantesimi che aveva evocato. Quando la luce del sole era scomparsa, l'elfo aveva abbandonato la presa sulle briglie e lasciato che il cavallo seguisse il proprio istinto, pregando che fosse capace di trovare la giusta strada.

Quando Aidan lo strinse, Edhel quasi gli svenne tra le braccia, ma riuscì comunque a sorridergli con sollievo. Il gemello lo aiutò a risalire sul puledro, quindi legò l'animale al proprio e lo guidò fino all'accampamento.

Non appena lo fece distendere su un giaciglio, l'elfo cadde in un sonno profondo. L'arciere chiamò Silanna e la condusse con sé per mostrarle lo stato dell'incantatore. Lei gli diede appena un'occhiata, decretò che non aveva nulla di tanto grave da necessitare delle sue cure e affidò a un paio di novizi del monastero il compito di lenire le sue ferite con alcuni strani unguenti.

Il giorno dopo Edhel era già in piedi, e così entusiasta all'idea di ritornare a Formenos da lasciare Aidan senza parole. Il suo entusiasmo, però, non si rivolse mai a Silanna. Non la ringraziò nemmeno per il cavallo, che pure lo aveva salvato. Sembrava aver cancellato ciò che lei aveva fatto per aiutarlo.

Silanna dimenticò presto il bacio di Edhel e lo fece per due ottime ragioni: la prima era che doveva dimenticarlo; la seconda, che lui per primo sembrava averlo dimenticato. Si concesse giusto il lusso di ripensare a quel breve istante durante il tragitto che li riportò a Foroddir ma, non appena il viaggio si concluse, quel ricordo fu definitivamente sepolto.

Appena giunti in prossimità delle mura di Formenos, Silanna fu colta dall'ansia: c'era qualcosa di diverso, nell'aspetto del castello. Sembrava essere stato predisposto per ricevere ogni tipo di attacco e, a differenza di com'era stato in precedenza, era sorvegliato dagli armigeri. Lo stupore e la preoccupazione aumentarono quando scoprì che Galanár era ancora lì. Erano stati via per due settimane e non potevano sapere che, durante la loro assenza, molti eventi erano mutati, e non nella direzione che il principe Mezzelfo aveva sperato.

Galanár non aveva nemmeno fatto in tempo a preparare gli armamenti e partire alla volta del confine, che il re Anárion gli aveva scritto intimandogli di non muoversi da Formenos e, anzi, di prepararsi al peggio: il contrattacco tentato dagli Elfi non aveva avuto successo e le truppe erano state respinte nel loro territorio. L'esercito ripiegava verso il castello per limitare le perdite. Ben presto i Nani avrebbero riorganizzato le proprie forze e gli scontri si sarebbero spostati in prossimità della rocca. Come se questo non fosse stato abbastanza, gli uomini che Galanár aveva reclutato durante il suo ultimo viaggio ad Arthalion non avevano ancora raggiunto Formenos e ormai il tempo stabilito era trascorso senza che il principe avesse avuto notizie dei rinforzi.

Fu Mellodîn a dar loro quei ragguagli. Lo avevano trovato ad accoglierli al loro arrivo, e il comandante aveva mostrato eccessiva solerzia nell'andare incontro a Silanna e nell'aiutarla a smontare da cavallo. Avrebbe potuto giurare che non lo aveva mai visto tanto sollevato al pensiero che lei fosse lì. La scortò lungo le scale, mentre le riferiva quanto accaduto in sua assenza. Lei accelerava sempre più il passo, e tagliava i corridoi e le sale del castello tallonata dal comandante e da Aidan che, all'udire quelle novità, si era messo in allarme proprio come l'incantatrice.

Chissà come doveva stare, Galanár! Il pensiero della sua assenza le piombò addosso, schiacciandola: non si era resa conto, fino a quel momento, di quanto le fosse mancato!

Dopo l'ultima battaglia combattuta contro i Nani, il loro rapporto era tornato a essere altalenante: si sfioravano senza riuscire a stabilire un contatto, annaspavano senza trovare un equilibrio. La calma ristabilita dal bizzarro contratto stipulato ad Arthalion sembrava destinata ad avere vita breve ma, al ricordo di quella notte, Silanna si sentì afferrare da uno strano languore: aveva bisogno di vederlo subito.

Seminò i due uomini, salì di corsa l'ampio scalone che conduceva al piano nobile e superò i due scudieri che sorvegliavano l'ingresso della sala. Senza nemmeno farsi annunciare, aprì i battenti di legno e si precipitò all'interno.

Nella stanza, un ampio tavolo di legno ospitava la stessa mappa sulla quale avevano discusso le sorti di Valkano. Le candele, ai due lati, erano ormai consunte. Galanár sedeva al centro e attorno a lui c'era un via vai di uomini e di dispacci. Aveva l'espressione stanca e il volto contratto. Silanna indovinò subito che il principe doveva aver bevuto troppo e dormito troppo poco.

Senza avere sue notizie, i suoi giorni erano stati interminabili, e ancor di più lo erano state le notti. Infiniti cortei di messaggeri gli recavano notizie sempre più fosche e Galanár doveva essere pronto a riunirsi alle forze di Anárion nel più breve tempo possibile, eppure non riusciva a pensare di scendere in campo senza averla con sé o senza sapere che era viva. Così ogni giorno spediva un nuovo contingente che andasse incontro alle truppe del re, e intanto prendeva tempo.

Non c'era da stupirsi se il comandante Mellodîn aveva salutato il ritorno di Silanna con tanta gioia: l'insensata e pericolosa irresolutezza di Galanár doveva cessare. Ed ebbe fine, in effetti, nell'attimo in cui la vide.

Di norma il principe non avrebbe tollerato quel comportamento: irrompere a quel modo, nel bel mezzo di una riunione e senza fare annunciare il suo arrivo era di certo fuori dai suoi canoni. Quel giorno, però, ogni norma aveva perso valore: Silanna, con il mantello da viaggio ancora sulle spalle, carico di polvere e di fango, aveva accelerato una volta ancora il battito del suo cuore. 

Quando la vide sollevare il cappuccio e scoprirsi il capo, non riuscì a trattenersi. Si levò in piedi, aggirò il tavolo e gli uomini che lo circondavano, e le andò incontro.

"Sei qui!"

Lei, che si era preparata a ricevere un'occhiataccia e qualche brusco rimprovero, sorrise di fronte a quella reazione inaspettata.

"L'avevo promesso", disse. "Quando il vento avrebbe soffiato da Nord, ti avevo promesso che saremmo stati di ritorno".

Il principe non le diede il tempo di aggiungere altro. Strinse le mani attorno alla sua vita sottile e, senza riguardo alcuno per l'etichetta, la baciò. Lei lo lasciò fare, felice di quella sfacciata trasgressione, ma subito Galanár parve recuperare la sua abituale compostezza. Le prese le mani, si allontanò di un passo e le chiese notizie dei suoi uomini e della spedizione. A quella domanda, Silanna abbassò il capo e il suo viso si velò di tristezza.

"Aidanhîn è qui fuori", fu la sola risposta che fu in grado di pronunciare.

Galanár comprese e annuì.

"Fate entrare il principe Aidanhîn", ordinò allo scudiero che era di guardia.

Il giovane fece un inchino e aprì le porte. L'arciere fece il suo ingresso. Aveva un'espressione tesa che non gli apparteneva. Galanár lo scrutò con attenzione mentre lo interrogava: in qualche modo sembrava che quella pur breve spedizione lo avesse cambiato.

Aidan, da parte sua, non spese molte parole, ma si limitò a un resoconto secco e conciso. Un silenzio di piombo cadde nella stanza, mentre il ragazzo narrava ad alta voce la fine dello storico monastero di Valkano. Le frasi scarne da lui pronunciate riuscirono solo ad amplificare il senso di quella caduta, perché il dolore non usa mai molti termini per illustrare se stesso.

La capitolazione di quel mondo storico oscurò il cuore di tutti. Quando Aidan tacque, per diversi minuti nessuno parlò. Galanár si accorse che le ciglia di Silanna erano umide, ma finse di non averlo notato e spostò sul fratello la propria attenzione.

"Quanti superstiti?", chiese.

"Trentadue, generale. Due Alti Elfi, undici Maestri e diciannove novizi".

"Hai già dato disposizioni per farli sistemare?"

Aidan annuì e Galanár parve rammentarsi solo allora di qualcosa che avrebbe dovuto chiedere in precedenza.

"Edheldûr dov'è? Perché non è qui?"

Il fratello sembrò calibrare con attenzione le parole prima di rispondere.

"Si scusa di non essere venuto a porgerti il suo saluto, ma ha riportato parecchie ferite nello scontro ed è andato a riposare".

Non disse nulla, Aidan, della pioggia di fuoco e della disperazione del suo gemello. Né raccontò della sua insubordinazione, di come era tornato indietro mettendo a repentaglio la propria vita e quella della stessa Silanna, né di come era fortunosamente scampato al crollo della torre.

Edhel gli aveva narrato ogni dettaglio delle sue disavventure la notte successiva a quella in cui si era ricongiunto alla spedizione. Gli era parso esaltato in quell'occasione: quasi non aveva avuto bisogno di fare domande, perché l'elfo sembrava voler soddisfare ogni curiosità prima ancora che fosse esposta, ed era un atteggiamento inconsueto, visto che di solito doveva tempestarlo di domande per strappargli delle spiegazioni.

All'inizio aveva pensato di doversi considerare felice, vedendo che il gemello aveva reagito bene alla terribile esperienza appena vissuta. Più Edhel proseguiva nel racconto, però, più Aidan passava dalla sorpresa allo smarrimento, e infine alla preoccupazione: suo fratello sembrava del tutto indifferente alla tragedia che si era svolta sotto i suoi occhi e incosciente del grave rischio cui si era esposto entrando nell'edificio fatiscente. A sentir lui, quella spedizione era stata una magnifica avventura, mentre Aidan non riusciva più a nascondere il turbamento che gli causava quel pensiero.

Quando Edhel si era accorto del suo insolito silenzio e gliene aveva chiesto il motivo, Aidan, per la prima volta, non aveva avuto il coraggio di rivelargli quello che aveva dentro: poteva spiegargli l'enorme conflitto che era scaturito nel suo cuore, quella partita terribile che si era giocata tra la sua fedeltà di cavaliere e il suo dovere morale?

Aidan sbatté le palpebre un istante, si accorse di essersi perso nel ricordo di quella discussione e di non aver udito la domanda che Galanár gli aveva appena rivolto. Lo guardò con occhi smarriti, come per scusarsi.

"Devi essere stanco anche tu", concluse il generale, senza dare troppo peso alla sua distrazione. "Vai a riposare".

Aidan fece un lieve inchino col capo e lo ringraziò. Fece per andare, ma il fratello lo trattenne, mettendogli una mano sulla spalla con una confidenza che non aveva mai mostrato prima nei suoi confronti.

"Perché sei così turbato?", gli domandò a bassa voce.

Di fronte a quell'atteggiamento premuroso, tanto raro in Galanár, Aidan si sentì incapace di nascondere il reale motivo del suo rimpianto.

"Avrei dovuto fare di più", mormorò con un accento di dolore.

Galanár non comprese. Lo guardò come se volesse incoraggiarlo e sorrise.

"No, Aidan. Se tu e lei siete entrambi in questa sala, significa che hai fatto esattamente ciò che dovevi".

Il ragazzo serrò le palpebre. Avrebbe voluto protestare, ma non lo fece.

"E adesso vai".

Obbedì, senza aggiungere una parola. Se solo Mellodín fosse stato lì accanto, forse lui avrebbe capito ciò che il suo cuore non osava manifestare.

NOTA DELL'AUTORE

Tam procul ex oculis, quam procul ex corde è il proverbio latino da cui deriva il nostro famoso detto "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore" 😊

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