28. FILIUS HYDRAE
La regina era sparita nella stanza attigua e lui era rimasto solo. Sulla mensola del camino, una coppa esalava un profumo pungente. Galanár la sollevò, aspirò quell'effluvio di erbe, ma non riuscì a ricollegarlo a nulla che gli fosse noto. Con una punta di disgusto, ne ingerì il contenuto. Avrebbe preferito di gran lunga conservare tra le labbra il familiare sapore del vino. L'infuso era aspro e gli fece girare la testa, ma qualche minuto dopo cominciò a sentirsi più lucido.
Il fruscio della veste gli annunciò il ritorno di sua madre.
"Poco fa avete detto qualcosa", mormorò il giovane. "A proposito della mia ira e di un bersaglio sbagliato".
Lei sembrò ignorare del tutto la sua osservazione. Guardò compiaciuta la coppa vuota, poi tornò a squadrare il figlio.
"Ora che stai meglio", sancì con voce chiara, "ora possiamo parlare di ciò che è davvero importante".
Sembrava quasi che lei avesse già programmato tutto quell'incontro e che non intendesse fare deviazioni dai suoi piani. Quell'idea divertì il principe, perché sapeva di somigliarle.
"Parlate, allora", la invitò con voce cortese, ma sottilmente ironica. "Perché io, signora, non vi comprendo".
Lei lo fissò con occhi severi.
"Perché sei venuto ad Arthalion, Galanár?"
Lui sorrise e rispose con aria di celia.
"Perché sono stato invitato a presiedere le giostre".
"Non scherzare con me! Io so cosa sta accadendo a Foroddir, e io sola posso consigliarti".
Di fronte a quell'affermazione, il principe rinunciò allo scherzo e la regina proseguì.
"Quanti uomini ti ha dato mio padre?"
"Pochi, e non i migliori".
Lei non si era attesa quella risposta, perché cominciò a torcersi le mani, agitata.
"Non capisco... voi siete andati lì per aiutarlo".
"Credo che il re non si aspettasse un simile esercito. Forse il numero lo ha spaventato e lo ha spinto a questo atteggiamento cauto".
"E la linea di guerra?"
"Non indietreggiamo, ma non avanziamo. E sono stati fatti degli errori".
La regina cominciò a misurare la stanza a passi nervosi, sfilandogli davanti in silenzio. Infine si fermò e tornò a fissarlo.
"E così sei corso qui, a chiedere a Medthalion di mandarti i suoi uomini?"
"E ad Aermegil, e ad Amfalas, se fosse necessario", confermò lui, con voce decisa.
Laurëloth abbassò lo sguardo e scosse il capo, con un sospiro di delusione.
"Credevo che alla tua età, e dopo tante battaglie, avessi almeno messo da parte un po' di saggezza e di buonsenso".
L'espressione sul viso del principe si fece di colpo accigliata.
"Perché mi muovete un simile rimprovero?"
"Perché dovresti essere tu il bersaglio del tuo biasimo, non cercare in altri colpe che hai generato con il tuo comportamento irresponsabile! La Lega ha impiegato anni a digerire la notizia delle nozze di tuo padre, e ciò è avvenuto in un tempo in cui era tuo padre a essere indispensabile per la Lega, e non il contrario".
"Madre..."
"Siediti e ascolta", lo zittì.
Lui obbedì, ma dai suoi occhi schizzò fuori tutta la segreta irritazione per quell'imposizione.
"Come se non bastasse", proseguì la regina, "la Schiera elfica ti aveva mandato a dire che la presenza di un Elfo Scuro a corte non era gradita".
Galanár sbuffò con fare annoiato.
"Qualsiasi cosa non gradita al maestro Vargas è di per sé gradita alla mia persona", commentò.
"Su questo punto, purtroppo, non nutrivo dubbi. Ma, come ti ho detto prima, occorre avere talento nello scegliere amicizie e inimicizie, e il maestro Vargas ha reso grandi servigi ad Arthalion, che ti piaccia o no".
Quelle parole tremarono per un istante nell'aria della stanza, poi scomparvero. La regina rimase in attesa di una risposta che non arrivò. Il principe aveva socchiuso gli occhi, come se stesse riflettendo. Laurëloth comprese che era quello il momento in cui l'avrebbe ascoltata, in cui avrebbe potuto parlare con la passione di una madre che non vuole vedere morire il sogno del suo figlio più amato.
Galanár sentì che gli prendeva le mani. Aprì gli occhi e la vide seduta al suo fianco.
"Figlio mio, leggende e profezie servono a ricordarci l'origine e il senso della nostra vita. Rammenti il nome con cui vieni chiamato nelle storie e nelle ballate?"
"Il Figlio dell'Idra, il Principe del Sogno", rispose a stento, ancora incapace di comprendere interamente il senso di quella strana conversazione notturna.
"Sì, è così. Non dimenticare che, nella notte in cui sei venuto al mondo, tutti i bardi di Laurëgil hanno sognato di te".
Mentre ascoltava quelle parole, Galanár ebbe quasi l'impressione di perdersi. Un flusso improvviso di rapide visioni gli affollò la mente, obbligandolo a serrare di nuovo le palpebre. La voce di sua madre lo avvolgeva come il ritmo lento e rassicurante delle nenie elfiche che gli cantava da bambino per addormentarlo. Sentì che gli sfiorava il viso in una carezza e le immagini tornarono ad affastellarsi davanti ai suoi occhi, veloci, violente, devastanti. Non riusciva a evitarle, né a dare loro un ordine, mentre la ragione e la logica tacevano.
"Ricorda sempre chi sei e perché sei venuto al mondo: sei l'Idra che regge la fiamma, destinata a vincere Laurëgil, destinata a dominare il mondo. E rammenta la benedizione che hai ricevuto alla nascita: Lavato nel sangue degli Uomini perché nessuna arma lo possa ferire, lavato nel sangue degli Elfi perché nessuna magia lo possa colpire. Mezzo elfo e mezzo uomo, Galanár. Tu sei la virtù, la gemma e la perfezione di entrambe le razze, ed è per questo che sarai re, perché è scritto nelle tue stelle".
Il principe aprì gli occhi di colpo, come se una potenza inspiegabile lo avesse tirato fuori da quell'incantesimo e riportato in vita. Le mani di lei gli carezzavano i capelli di seta. Ebbe l'impressione di essersi riappropriato di qualcosa che aveva smarrito da tempo, come l'ombra di una memoria del passato che risorge improvvisa quando ormai non si rammenta più di averla perduta. I suoi occhi azzurri riacquistarono il loro taglio freddo e sicuro, e la sua voce tornò a essere quella con cui impartiva ordini e comandi ai suoi uomini.
"Avete ragione, madre: non tramandiamo leggende perché è piacevole. Lo facciamo per non dimenticare il nostro scopo su questa terra".
Laurëloth annuì e sorrise. Gli passò una volta ancora le dita tra i capelli.
"Adesso vai, e trascorri una notte gradevole".
Il principe si sollevò senza lasciarle la mano, quindi si chinò a baciargliela. Mentre compiva quel gesto, la regina lo studiò come se avesse voluto leggergli il pensiero.
"Amala, se la ami", disse. "E offrile tutti i tuoi migliori sentimenti. Ma non permettere a quella donna di farti scordare quale sia il più alto obiettivo della tua vita".
"Buona notte, madre", rispose con un sorriso amaro, congedandosi da lei.
Quando udì il rumore dei cardini, si accorse di quanto l'avesse atteso. Sapeva che lui sarebbe venuto.
Galanár la fissò dal vano della porta, indeciso, poi si chiuse l'uscio alle spalle.
"Questa stanza è troppo isolata e in quest'ala del palazzo fa troppo freddo durante l'inverno", osservò con voce fosca. "Vi farò preparare un'altra stanza negli appartamenti della regina".
Silanna rimase delusa da quell'esordio di conversazione e lo guardò gelida.
"Non desidero avere un'altra stanza, tantomeno vicino a quella di vostra madre. Questa va benissimo".
Il principe, suo malgrado, sorrise.
"Siete sempre la solita: testarda e impertinente".
L'elfa non mutò espressione. Lo osservava da quando era entrato: era nervoso, e di certo poteva intuirne la causa. Non voleva correre il rischio di essere presa d'assalto con qualche accusa, così decise che lo avrebbe anticipato. Si girò verso il grande camino acceso con un movimento studiato ad arte, così che la luce della fiamma viva le facesse risplendere la carnagione e i capelli, mentre gli negava il suo viso.
"Non è della mia impertinenza che dovreste preoccuparvi", commentò contrariata.
Con lo stesso gesto calcolato, girò il capo verso di lui, con un movimento languido che metteva in risalto la linea delicata del collo.
"Avreste dovuto insegnare al principe Edhel un po' di decoro, prima di invitarlo al vostro banchetto".
Il viso di Galanár si contrasse e una ruga si disegnò sottile tra le sopracciglia. Gli occhi azzurri si scurirono in un riflesso d'acciaio mentre la osservavano. Lei gli stava di fronte, circondata dal bagliore del fuoco come da un'aura magica, e quella vista gli dava il tormento.
"Tuttavia non mi siete sembrata infastidita dal suo gesto", replicò con asprezza.
"Infastidita?", sbottò lei aumentando il tono della voce. "Io ero esterrefatta, al tal punto da non sapere come reagire".
Simulava il suo sdegno con foga, cercando di figurarsi nella mente le azioni di Edhel come una enorme offesa nei suoi confronti.
"Che altro avrei dovuto fare?", continuò. "Alzarmi e andare via? Attirare l'attenzione dei presenti? Procurarvi imbarazzo con una scenata nel bel mezzo di un banchetto ufficiale?".
Lo avete fatto comunque, pensò Galanár.
Si lasciò sfuggire un gesto di sconforto per lui del tutto inusuale: si appoggiò contro una colonna del grande letto, la strinse con rabbia, poi nascose il volto, accostando la fronte alla mano che serrava l'elegante spirale intagliata nel legno.
"Io non so dirvi cosa sarebbe stato meglio fare", mormorò con un accento di profondo dolore, che si mescolava a una rabbia sorda. "So soltanto che avreste almeno potuto evitare di guardarlo a quel modo, sotto i miei stessi occhi".
Lei si sorprese: quella manifestazione di sofferenza non se l'era aspettata. In tutto quel tempo non aveva mai pensato che Galanár potesse affliggersi davvero per qualcosa che non fosse una battaglia. Assaporò il gusto della vittoria e si accostò a lui. Gli prese il viso tra le mani e cercò il suo sguardo.
"Non dite sciocchezze. Sapete bene che non ho occhi che per voi. Io sono vostra, Galanár".
Pronunciò quelle parole con voce dolce e melliflua, obbligandolo ad annullarsi nella piega delle sue labbra. Tuttavia, poiché non aveva mai sperimentato quel particolare tipo di dolore, Silanna non poteva prevederne le disperate reazioni.
"Mia", ripeté lui con voce fosca. "Non fate che ripeterlo, ma mai che me lo dimostriate".
A quelle parole, lei si lasciò sfuggire un moto di impazienza e si scostò, tornando verso il fuoco.
"Ancora questa storia! Siete noioso. Vi ho già spiegato cosa significhi essere un Daimonmaster. Non sono una servetta che potete prendere a vostro piacimento in un fienile, né una delle dame di vostra madre, che vi portate a letto quando ne avete voglia".
Lui non rispose subito. Silanna poteva sentire il suo respiro pesante alle spalle, ma decise che non si sarebbe voltata. Avrebbe frustrato i suoi desideri e gli avrebbe imposto il proprio volere, come faceva sempre.
"Voi siete testarda e impertinente", ripeté Galanár, senza più alcuna vena di scherzo nella voce. "E io ne ho abbastanza".
L'afferrò per un braccio, obbligandola a girarsi. La paura si disegnò negli occhi di Silanna nell'istante in cui se lo ritrovò addosso. Era fuori di sé. Che fosse per amore, desiderio, rabbia o gelosia, o per tutti quei sentimenti insieme, Silanna capì che in quel momento Galanár non avrebbe ascoltato le sue ragioni. La voleva a ogni costo. Lo esigeva il suo orgoglio.
Gettò un urlo e tentò di sottrarsi alla sua stretta, cercò un nascondiglio nella stanza, ma lui la inseguì, provando a trattenerla con la forza. Lei si divincolò, gli sfuggì di nuovo, ma alla fine, come una gazzella braccata da un leone, dovette arrendersi. Galanár la bloccò contro la parete, lasciandola senza via di fuga.
"E adesso, mia signora, per una volta sarà fatta la mia volontà, e non la vostra".
Strappò via il fermaglio che fermava il ricco drappeggio della tunica di seta. Lo osservò brillare nella sua mano e le sue insegne incise sull'argento gli parvero una beffa, in quel frangente. Gettò la spilla lontano. La stoffa, non più sorretta dalla fibbia, scivolò sul pavimento. Lei rimase nuda davanti ai suoi occhi, con il corpo brillante d'ebano, le spalle tornite, i seni perfetti, i fianchi seducenti. Galanár la fissò senza riuscire a respirare.
Silanna non si mosse. Guardò altrove mentre lui passava gli occhi su ogni centimetro del suo corpo ancora inviolato. Il tempo che stava impiegando a osservarla era una lenta e tormentosa agonia. Desiderò che lui facesse in fretta. Non avrebbe fatto storie, non avrebbe detto una parola. Aveva rischiato molto nella partita con lui e quella sera, sentendo ormai la vittoria in pugno, aveva sbagliato la sua mossa. Aveva perso e quello era il prezzo della sconfitta.
"Siete il mio principe e il mio generale", disse con un filo di voce. "Vi appartengo".
Era sua, finalmente, come una città conquistata dopo un lungo assedio. Con enorme sorpresa, Galanár scoprì di non provare nessun trionfante piacere. Le città assediate si consegnavano al vincitore con astio e disprezzo, e questo lui lo sapeva bene. Viveva da sempre circondato da uomini che lo servivano e lo riverivano, i cui gesti tradivano o il desiderio di compiacerlo o quello di sfuggire alla sua ira. Guardando Silanna e il suo corpo nudo, provò un desiderio nuovo e sconosciuto: voleva essere amato. Non obbedito. Essere amato da lei.
Prese un profondo respiro e allontanò da sé i pensieri più torbidi.
"Siete un dono troppo grande persino per un re", mormorò con voce rotta.
Si chinò a raccogliere la tunica da terra e la coprì.
"Non appartenete a nessuno", concluse.
Lei sbatté le palpebre, incredula. Era stata così vicina a cadere dal suo piedistallo che tremava ancora. Strinse la stoffa al seno, incerta su cosa fosse davvero accaduto in quei brevi istanti.
Galanár le diede un leggero bacio sulla fronte, poi se ne andò.
Non poteva immaginare che, lasciandola sola con le sue più segrete paure, le aveva appena inflitto un diverso tipo di dolore.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro