Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

06. LEMURES

Il principe di Arthalion avrebbe sentito la sua presenza in ogni istante. Avrebbe avvertito il suo tocco guaritore anche sul minimo graffio. Nessuna ferita sarebbe mai stata mortalmente grave grazie ai suoi ripetuti incantesimi, che si rafforzavano ogni volta che li recitava nuovamente. Silanna stava dando fondo a tutte le sue energie e a tutte le sue conoscenze, ma continuava a ripetere a se stessa che quello sforzo era necessario se voleva ottenere qualcosa. Era così vicina alla prima linea che i cavalli recalcitranti sembravano venirle addosso. Avrebbe dovuto indietreggiare e mettersi in salvo, ma non lo fece. Era decisa a rischiare. Restò immobile, con le palpebre serrate per non lasciarsi distrarre dall'orrore. Mentre gli uomini le cadevano accanto, schizzandola di fango e sangue, cercava con mano nervosa le sue Rune, le cui scritte arcane brillavano al tocco delle sue dita.

I fanti erano ingaggiati in un feroce corpo a corpo. Lo scontro si era fatto frenetico e tutto quell'ordine che Galanár aveva imposto con tanta cura ai propri reparti sembrava essere stato spazzato via dalla foga dell'azione. Le armi si intrecciavano sotto la luce argentea della luna, che era tornata a splendere dopo la breve tregua invocata da Silanna, e l'intera spianata era terreno di molteplici duelli.

I cavalieri caricavano con le lance i nemici ma, una volta disarcionati, erano costretti a difendersi con la spada dalle asce affilate dei guerrieri Troll. Gli incantatori, stretti al centro dell'esercito, creavano barriere di fuoco e, al contempo, tentavano di contrastare le magie naturali degli sciamani, che colpivano i soldati del principe più letali di qualsiasi altra arma. Renderli inoffensivi con un incantesimo o con una freccia ben scoccata non era un compito facile: si nascondevano abilmente tra quelle rocce che conoscevano bene e continuavano a lanciare i loro sortilegi senza tregua. Così gli uomini perivano, immobilizzati da radici che crescevano a dismisura sotto i loro piedi o inghiottiti dalle rocce che si aprivano di colpo per richiudersi sulle urla degli sfortunati. I pochi guaritori al seguito delle truppe facevano del loro meglio per strappare i feriti alla morte, ma erano del tutto inermi di fronte alla manipolazione arcana della natura.

A dispetto di quelle minacce e di tutto quel dolore, Galanár si sentiva leggero. Si era abbandonato ebbro alla battaglia, perché aveva compreso che qualcuno stava vegliando su di lui. Combatteva sicuro di poter rischiare, giostrando Ariendil con agilità e misura, e restava saldo sul suo destriero, senza più sorprendersi della delicata luce dorata che talvolta appariva a circondarlo in un abbraccio ristoratore.

Silanna era stremata. Nonostante il suo addestramento, rinnovare con tanta frequenza uno scudo protettivo si stava rivelando una fatica superiore alle sue forze. Si concentrò per l'ennesima volta, cercando di non perdere di vista l'elmo lucente di Galanár, che si impennava con violenza assieme al suo cavallo ogni volta che il principe calava la spada sopra la testa di qualche nemico. D'un tratto, però, qualcosa mutò in quella scena, e in maniera del tutto inattesa. Le parole che stava recitando con foga le morirono sulle labbra per la sorpresa: lo scudo magico che aveva tessuto attorno a lui non era stato più intaccato e non occorreva rinnovarlo.

In un primo momento, accolse con gioia l'opportunità che le era stata data di recuperare le forze ma, dopo quella pausa, si accorse che lo scudo reggeva ancora, inalterato e splendente di luce dorata intorno al cavaliere. Per qualche motivo inspiegabile, il generale sembrava non ricevere danni dalla battaglia, e non era la sua magia a preservarlo.

Furiosa, si guardò intorno alla ricerca del guaritore o dell'incantatore che stava operando quel sortilegio a sue spese, ma ciò che vide la lasciò ancor più sorpresa. Delle frecce, scoccate da un punto invisibile, colpivano inesorabilmente ogni guerriero che tentava di avvicinarsi al principe. Cercò di scoprire l'origine di quei dardi e, a pochi passi da lei, notò un balestriere in sella a un grosso stallone dal pelo nero, lo stesso che aveva intravisto prima dell'attacco. Era di corporatura robusta e aveva la barba rossiccia, come i capelli. Le insegne con i gradi dell'esercito di Arthalion che scintillavano sulla sua cotta di maglia non lasciavano dubbi: quello doveva essere il Mellodîn di cui aveva tanto sentito parlare, l'amico fidato del generale, senza il quale questi non sarebbe mai sceso in battaglia.

Quel pensiero le fece perdere concentrazione. In quel momento un tremendo guerriero con il corpo coperto di disegni rituali, a cavallo di una enorme bestia scura, si lanciò verso il centro dello schieramento, diretto proprio contro il principe. Vederlo e comprendere che la sua magia non sarebbe arrivata in tempo per proteggerlo fu per lei un attimo, non meno veloce di una raffica di vento. Con la stessa rapidità di quel pensiero, i suoi occhi videro Mellodîn sfrecciarle accanto e puntare il guerriero per fermarlo. Il troll gridò selvaggiamente all'indirizzo del suo prezioso obiettivo, ma fu travolto dall'impatto con la cavalcatura spronata all'attacco. L'ascia che brandiva in una mano calò con un colpo repentino e affondò sulla spalla del capitano.

Entrambi i contendenti scivolarono sul terreno, fianco a fianco. Mellodîn gettò un urlo di dolore e usò le sue ultime forze per conficcare un pugnale nella gola del nemico, facendolo accasciare sul campo senza neanche un gemito.

Riavutosi dalla sorpresa di quell'aggressione inaspettata, il generale smontò in tutta fretta dal suo cavallo e, con un solo colpo di Ariendil, tagliò la testa della bestia che si agitava tra la polvere, latrando inferocita. Si inginocchiò accanto al capitano e lo sollevò per recidere il cuoio che fissava gli spallacci lesionati della sua armatura. Quando fu riuscito nel suo intento, non ebbe nemmeno un istante di esitazione: si voltò in cerca dei suoi occhi dorati con un'espressione che era insieme di comando e di preghiera.

Silanna non si era aspettata l'imperiosa richiesta e la totale fiducia che lesse in quello sguardo. Lui l'aveva cercata in mezzo alla battaglia. Nel fragore e nel sangue, aveva guardato solo lei. Non poteva deluderlo, non in quel momento. Si accostò al generale che, puntellandosi al terreno con un ginocchio, cercava di sostenere il corpo dell'amico. Tolse il cappuccio per riuscire a respirare, estrasse le bende incantate e le fece aderire sui lembi di pelle crudelmente recisi dalla lama. Snocciolò una formula a fior di labbra e la fuoriuscita di sangue si arrestò.

Galanár non disse nulla, non la guardò nemmeno: i suoi occhi non si staccavano dalla ferita che lei stava sanando. Quando ebbe finito, Silanna indietreggiò e osservò con profondo disappunto la scena di cui era stata attrice fino a un attimo prima: aveva usato la magia più potente e tutte le bende che aveva con sé per guarire un semplice uomo.

Il primo pensiero del generale fu quello di affidare Mellodîn a uno dei suoi luogotenenti. Il secondo fu di vendicare col sangue la ferita inferta al suo migliore amico. Preferiva non tornare con la mente a quel terribile colpo d'ascia che era destinato a lui. Risalì a cavallo, baciò l'elsa insanguinata di Ariendil, quindi spronò i suoi soldati, incitandoli alla battaglia con voce energica, come non aveva potuto fare fino a quel momento.

"Suonate il corno!", ordinò, mentre dentro di lui l'idea del massacro prendeva nuovamente il sopravvento e gli faceva girare la testa. "Suonate il corno!"

Il grido riecheggiò e si ripercosse alle sue spalle, perdendosi in lontananza. Uno scudiero corse a spron battuto verso il canalone, raggiunse il centro della strettoia e alzò il corno verso il cielo. Soffiò con tutte le sue forze e il suono rimbalzò più volte sulle pareti di roccia, amplificato e roboante. Gli rispose, dal fondo della valle, l'urlo esultante dei cavalieri che sostavano in attesa. Uno scuotere di lance e uno sbattere di scudi si diffusero nell'aria prima della carica, poi i cavalieri si lanciarono al galoppo nel canalone per ricongiungersi all'avanguardia del loro generale.

Il suono degli zoccoli che rimbombava nello spazio ristretto giunse come una lugubre minaccia di morte alle orecchie dei Troll. Gli sciamani, intuendo il pericolo imminente, balzarono sopra i grossi lupi neri e, aggirando gli scontri, salirono per sentieri sconosciuti sulla cresta che sovrastava il passaggio. Con le loro litanie cominciarono a staccare blocchi di pietra dalla sommità, precipitandole sui soldati.

La prima pioggia colpì gli uomini di Galanár senza preavviso e molti rimasero schiacciati sotto le rocce. Il panico si diffuse in un lampo, mentre i cavalli, recalcitranti, cominciarono a impennarsi e cercarono di fuggire, schiacciando nella foga i fanti. Per un attimo in tanti pensarono che quel canale sarebbe diventato la loro tomba: non potevano proseguire, bloccati dalla furia degli animali che i cavalieri non riuscivano più a controllare, né si poteva tornare indietro, nel disordine generale dei soldati a piedi.

Galanár lanciò un'occhiata alle sue spalle, in direzione dell'imboccatura del canalone. Per quanto si sforzasse, non vedeva giungere nessuno alle spalle degli uomini già ingaggiati nella lotta. Cominciò a girare il cavallo intorno, inquieto, domandandosi cosa mai potesse essere accaduto alla parte di esercito che aveva chiamato alla battaglia. Stavano resistendo a stento, numericamente inferiori com'erano. Se il resto dell'esercito non fosse giunto in fretta, i Troll avrebbero avuto la meglio su di loro.

Fu a quel punto che Bellator di Thirindol, il nobile capitano di Medthalion che guidava la retroguardia dell'esercito, spinse indietro il cavallo a rischio della sua stessa vita e spronò gli uomini ad avanzare. Li fece passare di gran fretta sotto la pioggia di pietre e li condusse, quasi del tutto illesi, fino alla spianata.

Riscaldati dalla paura provata nell'attraversare il canalone ed esaltati dall'idea di essere appena scampati alla morte, i cavalieri si lanciarono con foga al galoppo, irrompendo con violenza sul campo di battaglia e spezzando con le lance le ultime resistenze del nemico. Le sorti della lotta, che fino a quel momento erano passate a favorire ora l'uno ora l'altro schieramento, si volsero decisamente da una parte. Ciò che era iniziato come uno scontro assunse sempre più l'aspetto di un massacro man mano che gli uomini, ormai sicuri della vittoria e aizzati dai lunghi mesi di sterili scaramucce tra le montagne, si lasciavano andare al violento sfogo delle proprie passioni.

Lo sterminio del popolo dei Troll proseguì per tutta la notte. Il sole, sorgendo a est, illuminò i corpi senza vita e l'accampamento devastato, macchiato dal sangue degli sconfitti. Sparuti gruppi di profughi si muovevano in lontananza verso le valli a oriente, in direzione delle terre degli Elfi, andando incontro a un destino ignoto.


NOTA DELL'AUTORE

I lemuri (in latino lemures, che significa "spiriti della notte") sono quanto di più vicino ai fantasmi ci fosse nella religione romana. Erano gli spiriti dei trapassati per morte violenta, che vagavano senza trovare pace. Ombre degli uomini viventi che erano stati, privi della coscienza di sé e di ogni memoria, essi non sapevano più chi fossero o cosa stessero facendo. 

Queste figure spettrali erano circondate da un'aura di puro orrore, al punto che erano state istituite le Lemuria, le più antiche feste dei morti celebrate a Roma, proprio per tenere lontani questi spiriti.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro