Prigioniere e prigionieri
I prigionieri sono tutti uguali e le prigioni, a volte pure. Ognuno si ritaglia un carcere personale, un luogo da cui non si può o non si vuole andare via, a nessun costo o quasi. La "prigione" di Raffaella si trovava in un modestissimo bilocale nel rione Ferrovieri: caseggiati popolari degli anni 50, aggrappati al promontorio che chiudeva la spiaggia.
Quel giorno Raffaella era così stanca che non riusciva ad entrare nel box della doccia, perciò aggrappata al lavandino si limitava a lavarsi il viso, il collo, le braccia, le ascelle ancora madide: aveva lavorato per undici ore filate, era stata una fatica bestiale, un lavoro animalesco, un tour de force infernale: sciacquó con cura le mani, le asciugò, guardo' con attenzione la pelle del palmo: non era più gialla del dovuto? Avvicino 'la mano al naso, ecco, lo risentiva, c'era ancora quell'odore di marcio cosa aveva toccato? Rilavó le mani, le riasciugo',niente, era da dentro che arrivava quel lezzo, quell'aroma acido,immagino 'che anche gli altri potessero sentirlo, li vide gli altri ,ritrarsi con disgusto; forse é per questo che Roberto l'aveva lasciata, aveva sentito per primo quell'odore di fiori sfatti, quel presagio di decomposizione? Fin da bambina era perseguitata dagli odori, da piccolissima piangeva lamentandosi per un certo odore di Giacobbe, una puzza di gomma bruciata che solo lei era in grado di sentire ,sopratutto quando rimaneva a casa, da sola, nelle squallide stanzette, o quando, a scuola, restava seduta in un angolo, snobbata dalle compagne eleganti e smorfiose, mentre lei si tirava su una gonna troppo larga regalatele da una cugina più ricca. Sorrise comunque guardando il davanzale: i suoi gerani giapponesi erano fioriti e lei aspiró confortata quel lieve odore di menta che solo lei avvertiva.
Il treno delle sette passó sferragliando i binari correvano sulla scogliera artificiale e i grossi macigni di granito chiudevano una fantastica spiaggia, con una torre angioina che si stagliava contro il cielo turchino, era solo un antico fortino, una vecchia prigione militare borbonica ,abbandonata da molto tempo ,conosciuta con il nome romantico di torre di sabbia ,ma in effetti ,offriva rifugio solo ai piccioni e a Severino.
Nella stanza umida dell'antico fortilizio Severino cercava di vestirsi ,ma i bottoni sfuggivano maligni dalle asole e i dentini della cerniera ,si ostinavano ad incepparsi, Severino mugugnava ,pensava che pure gli abiti ,come i cani ,sanno parlare e i suoi dicevano di essere sporchi, imbevuti di vino tracannato in fretta, sudati e stanchi di coprire una pelle mal lavata, tutto congiurava contro di lui eppure il grosso sapone di Marsiglia si fece trovare senza difficoltà ,quel mattino e scorreva docile sulla sua pelle squamosa, e la nei mulinelli dell'acqua saponata Severino vedeva un altro gorgo che si ritraeva,era un fiume oscuro, che trascinava qualcosa ,ma cosa? Erano le sette e il treno passando scosse i vetri della finestra di Dora, a volte le prigioni sono delle piccole graziose villette a schiera come quella che la parsimoniosa parrucchiera ventiduenne aveva pagato con mutui e prestiti.
Dora era sveglia o per meglio dire aveva gli occhi aperti come la sera prima, non aveva dormito affatto, preparo 'stancamente la colazione ,poi indossó l'enorme camicione ,che nelle intenzioni ,avrebbe dovuto mascherare la sua obesità ,si guardo 'allo specchio e penso' mestamente che non ci sono vestiti più oltraggiosi di quelli destinati alle persone grasse: tessuti mediocri,colori obsoleti per quella parte dell'umanità che avrebbe dovuto passare inosservata o forse sparire del tutto; il camicione era pure mal tagliato , si quella mattina andava tutto storto, eppure fin dall'alba aveva sentito tintinnare delle campanelle, piccoli gingilli d'argento, come quelli che usava sua madre ,quando Dora era bambina ,la svegliava così ,agitando le piccole, preziose campanule.
I pendolari scivolavano stancamente verso sud col treno delle sette, ancora assonnati guardavano stupiti quell'angolo di paradiso: la spiaggia smisurata, grigia e morbida come un gatto certosino e stava aggrappata alla scogliera ,intorno era tutto deserto a parte la periferia abbandonata che come ultima propaggine della città ,si spingeva fino al promontorio, e si specchiava nel porticciolo ,cosparso di piccoli natanti.
In una di queste barche ,dormiva Nino detto bomboloni ,il ragazzo si alzo 'dalla cuccetta ,barcollo più del solito e guardo 'disperato i suoi pantaloni ,appesi alla gruccia :una gamba aveva sette dita di orlo in più dell'altra Nino si disse che pure la nell'armadio, proclamano la propria storia: erano i pantaloni di uno zoppo ,ma nonostante tutto Nino era di buon umore: aveva sognato quella notte e nel sogno era il nocchiero di una fantastica triremi e batteva tirannico i tamburi mentre gli schiavi sudati e imprecanti vogavano senza soste. Il passaggio a livello si abbassó scampanellando stava passando il treno delle sette, gli ultimi vagoni sfiorarono un branco di pecore che affamate venivano a brucare gli stenti cespugli che circondavano i binari c'erano pure delle capre che si spinsero fino alla piccola stazione, tre bassi palazzotti che chiudevano una specie di cortile: era un pozzo-luce invaso dai rampicanti, la sotto la luce entrava a stento e solo per poche ore: una rete metallica cercava di contenere l'esuberanza dell'edera, più giù proprio in fondo una povera bestiole si mosse a fatica e fece sentire la sua rauca giornaliera a protesta ma la rete d'acciaio che l'imprigionava scricchioló beffarda.
Severino uscì di casa e ancora una volta sentì lo scroscio di primordiali cataratte che precipitavano lentamente, soffici masse spumose, ma dove andavano? Quale zattera portavano? Quale paniere di vimini? Quale Mosè si sarebbe salvato quel giorno?
Quel giorno i binari brillavano infondo alla scarpata, luccicavano per quanto possa luccicare un metallo arrugginito con una ruggine mista ad urine, con le urine mescolate alla polvere, producevano un acre sentore, evocavano antiche disperazioni raccontavano storie di addii, di strade senza ritorno, intanto accanto ai binari degradati le belle di giorno stringevano raccapricciate le corolle, avevano orrore del sole, del caldo ormai rovente.
Il piccolo bambino era sfuggito alla madre: mentre lei spossata dal caldo già opprimente all'alba, indulgeva sotto una doccia tiepida, che aumentava il suo torpore, fu allora che il piccolo sgusciò via dal portone di casa rimasto misteriosamente aperto, il bimbo aveva appena cominciato a camminare, ed era simile a un goffo anatroccolo, aveva visto subito le rotaie brunite, le sfioró con le manine paffute, si scottó, si allontanó impaurito poi sali serio sulle traversine di legno e comincio a saltarci sopra: "uno, uno" scandiva era l'unico numero che conoscesse, così il bimbo avanzava sulle traversine di legno, nel caldo e il tempo era come rallentato, era simile al torrente che li accanto si muoveva mille e quasi gelatinoso, limpido, sui pochi lucci stupiti.
Pure il treno si muoveva torpido e goffo oppresso da chissà quale stanchezza, si spingeva con sforzo nel caldo, avanzava mostruoso e pesante sulle traversine di legno e quando il macchinista vide il piccino da lontano pure il sul orrore fu lento e soffocato, quasi subacqueo e lenta era la mano che forse verso il freno.
Intanto la madre oppressa dal caldo uscì dalla doccia e già sudava di nuovo avvolta nell'accappatoio: non vide il piccino nel box volse lenta gli occhi verso la linea ferrata e una ferma paura le si formó negli occhi perciò con passi felpati si diresse verso le rotaie, a piccoli passi, stremati d'orrore.
Il macchinista raggiunse lentamente il freno, il mostro d'acciaio aumentò la sua lentezza e sonnolento, sornione un una nuvola di vapore pesante si fermó davanti, proprio davanti a un passo dal bambino caracollante.
Nell'area colma di vapore, liquida, si perse il grido della madre.
Ma aveva urlato? Si c'era stato un urlo il verso gorgogliante di una bestia scannata, il grido giovane e amaro di chi viene colpito a tradimento si perde il rantolo portato via dalla corrente vorticosa del fiume, di corsa andavano i mulinelli e ora c'erano le rapide! Arrivó fino alle rocce del promontorio l'eco torno indietro proprio la dove Memo agonizzava e per cosa poi! Solo per aver corteggiato una sedicenne smorfiosa e prodiga di favori, solo per questo lui era stramazzato sull'asfalto molliccio per il calore, sventrato da un ragazzetto che dopo averlo sfidato solennemente e pateticamente a duello, alle cinque della sera sui binari arroventati con meno solennità e tanta più proditorietá gli aveva prima sferrato una testata, mentre Memo tramortito si portava le mani alla testa, l'altro lo aveva pugnalato la, nel ventre tenero e muscoloso nella pancia morbida di ex bambino perciò Memo con le mani strette al ventre resisteva, accanto al binario arrugginito aspettava i soccorsi intanto guardava attonito il suo sangue che in rivoli scivolava via, in larghi festoni, tanti nastri rossi che si perdevano accanto alle belle di giorno screziate di giallo e di vermiglio, arrivó infine una fiammante autoambulanza e la giovane sirena cantava stridula facendo vorticare i capelli blu;suonava a distesa anche il trombettista del settimo cavalleggeri e anche le trombe di Gedeone squillavano potenti, facendo cadere le mura verdi di Gerico... O era verde il telo salvifico della sala operatoria in cui lo avevano portato? Lo squillo potente giunse fino al pozzo di luce tra i palazzi: gli operai dell'Enel avevano tagliato e asportato quella pericolosa rete metallica che intralciava i cavi così subito dopo da sotto i rampicanti si mosse un'onda rosa era un'ala no erano due ali ali posssenti, piume rosa frenetiche che squarciavano le foglie avviluppate, un folle collezionista aveva ammucchiato di tutto in quel pozzo di luce :esotiche orchidee che marcivano ed esalavano zaffi di vaniglia e di acido solfidrico, cactus grandi e nani, uniti in un ammasso di spine e il fenicottero che si dibatteva in quel marasma provo ad innalzarsi, ma ricadde squarciandosi le ali, sulle punte delle strevizze, insanguinó i gelsomini, imbrattó le gardenie, le magnolie, le rose,tutte bianche corolle affogate tra le ortiche; il fenicottero affondo tra le felci ma fu solo una causa: riprese il moto possente delle penne e alla fine striando i muri di sangue imbiancati del pozzo il glorioso uccello rosa si tuffo nel cono accecante di luce e il suo piumaggio trionfante riempi l'azzurro del cielo, lo riempi prima di sparire lontano grazie a un insperata fuga.
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