Il tormento
Le mattine hanno questo di speciale, sono saporite, sono dolci, sono amare oppure salate dipende. Le mattine di Dora erano amare, amaro il caffè per risparmiare sulle calorie dello zucchero una misera ipoteca contro l'obesità: andando al salone Dora salutava la salumiera sua dirimpettaia, "la milanese", come veniva chiamata, anche se abitava alla torre di sabbia ormai da trent anni, pure lei era un monumento di donna, anche lei aspra e inviperita fissava i rotoli di carne che le deformavano i fianchi, acida, apostrofava fin dal mattino il povero garzone, garzone per modo di dire, perché Severino aveva cinquant anni e non faceva motto, "si si" -bofonchiava e spostava le cassette della frutta, sistemava le bottiglie dell'acqua minerale e quelle del latte, con attenzione, perché era ancora intorpidito dalla sbronza serale, i due litri di rosso, che accompagnavano la sua discesa nel sonno, nel baratro, nella bara della dimenticanza.
Poi al mattino bisognava riaprirlo il feretro, si recava in negozio salutava intontito la sua dirimpettaia, la Dora, col calore di una bestia bastonata che saluta un altro animale offeso, perché si diceva noi altri siamo tutti delle bestiole calpestate. Poi cominciava la solita teoria delle torture: uno dopo l'altro venivano al negozio tutti i suoi figli e tra una busta e uno sguardo di disprezzo mormoravano tutti la stessa parola: assassino.
Ed erano trenta anni che lo dicevano, tanti ne erano passati da quella notte in cui, ubriaco, aveva fatto rotolare dalle scale la sua sposa, ma era stato lui? E perché? Forse voleva spostare dal viso quell'indice troppo preteso, forse aveva solo barcollato, e come non barcollare? Si era ritrovato a 22 anni padre di cinque figli, aveva ancora l'acne, i capelli biondi e piumosi del più bel del quartiere e si era ritrovato sposato in fretta e furia con una quindicenne dalle terre prodigiosamente grosse, una ragazzetta, che ogni anno, con allarmante regolarità partoriva un bambino.
E la grappa sembrava un rimedio e bisognava respingere a volte delle animalesche profferte, e lui, così aveva fatto, aveva respinto.
Ma lei era morta, e gli anni in carcere dieci, la avevano convinto: lui era un assassino.
Appena fuori e per 20 anni ancora era continuato il suo calvario, e va bene si disse pure Cristo era stato inchiodato ma adesso non poteva bastare? Intanto nel salone Raffaella annusava frenetica l'aria sentiva tanfo di carogne putrefatte, di scarafaggi uccisi dall'insetticida ma sopratutto si sentiva il mefitico odore di Giacobbe: era il sentore dell'abbandono, dello squallore, della mediocrità e Raffaella annusava convulsa a destra e a manca cercando l'origine di quell'effluvio.
D'ora faceva finta di non notare il suo sconvolgimento ma Saro suo marito non faceva sconti e le disse maligno:
" e all'aria Raffaella sentì odore di nozze? E con ho? L'hai data la prova d'amore al tuo fidanzato? E dopo quanto tempo ti ha lasciata? Dopo 2 settimane? In aggiunta ai 6 anni di fidanzamento ? Caspita che fretta!"
E Raffaella tratteneva il respiro, respingeva l'odore penetrante di calzini sporchi, di sleep mai cambiati, e in più piegava la testa per non vedere passare da oltre la vetrina il suo antico fidanzato che non perdeva l'occasione di sbatterle in faccia la verità:
" come hai potuto pensare che uno studente in medicina, che un futuro medico si sarebbe potuto sposare con una parrucchiera? Ci pensi? Il dottore e la parrucchiera! E rideva sorpreso ma insieme offeso dalle pretese della ragazza.
Lei d'altronde si teneva a distanza da Roberto. Torceva il naso disgustato: c'era puzza di sudore sul voto di Roberto, un sentore di cipolle stufate, un odore di tremula, vigliacca, miserabile spocchiosa vanità.
E Raffaella si sentiva ignobile e inadeguata, perché i sogni degli altri erano nobili ed elevato mentre i suoi erano così ordinari e disprezzabili? Speranze dozzinali, mediocri trofei, coppe di stagno, solo questo l'aspettava? Eppure sua madre, stanca e sciupata la ascoltava con febbrile attenzione mentre Raffaella speranzosa le raccontava:
" sai mamma, tu ricordi la mia insegnante al corso di manicure?i ha detto che volendo potrei andare con lei al concorso di miss Italia, cercano delle truccatrici, al casting potrebbero piacere i miei lavori, si potrebbe succedere di tutto a Salso Maggiore.
E sua madre aggiungeva il solito diluvio di parole, le raccontava di Gina Lollobrigida, di Lucia Bose la contessa Marzotto, di Agnelli, di Guttuso, e di quando anche lei aveva la taglia 38 e quell'estate era stata eletta miss eleganza tutte e due sognavano assieme si passati modesti e remoti e su futuri incerti, brillava in fondo ai binari la luce del faro d'agosto, struggente e irraggiungibile, era così vicino ! E quel groppo alla gola il pianto si sarebbe sciolto, bastava raggiungerlo, era la con la sua luce benigna e intermittente. Bastava protendere le braccia e le dura avrebbero sfiorato da vicino quel soffice fagotto, quel piumosi rifugio, tenero tenero il futuro.
Piangeva pensandoci, intanto la luce del faro pareva ammiccare amichevole nella notte, sembrava dire: la felicità è qui avanti raggiungimi perciò lei continuava a sognare si vedeva limpidamente mentre con mano sicura e assolutamente maestra tracciava l'eye-liner sulle belle palpebre di Patti Pravo
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