Il fantasma del violinista Parte 1
Quella mattina mi svegliai come di consueto presto, per fare i miei soliti esercizi mattutini di ginnastica. Era una giornata serena, di quelle che ti verrebbe voglia di uscire e godere di qualche bel raggio di sole. Ma a causa dei miei orari non avevo mai tempo, era già abbastanza se riuscivo a fare un po' di tapis-roulant. Passai un'oretta buona a correre, poi mi dedicai agli esercizi per la muscolatura. Annaspavo come un cane San Bernardo, avevo la gola secca, però una scarica di adrenalina mi pervadeva da capo ai piedi. Sentivo tutta l'energia scorrermi addosso, investirmi, per poi defluire via. Sapevo che dopo non sarei riuscita a reggermi in piedi dalla stanchezza. Ma quello era il mio momento e me lo volevo gustare fino in fondo, senza tante rotture di scatole, senza nessuno che ti gridava cosa fare e non fare. Mi fermai, andai a bere da una bottiglietta d'acqua. Guardai il calendario. Ma era domenica, che sbadata non ci avevo pensato. Gongolai al pensiero che quella giornata sarebbe stata dedicata completamente a me stessa. Lo squillo del telefono mi distolse da questi pensieri.
Rimasi basita, quando sentii chi era. Da quanto tempo non ci sentivamo! Era Federico, il mio compagno di classe delle superiori. Classe 1973. Ci eravamo persi di vista e adesso chissà cosa voleva dirmi.
Dopo i vari convenevoli mi annunciò che ci sarebbe stata una rimpatriata e mi comunicò la data e il luogo dell'incontro. Immagini nitide mi scorrevano davanti agli occhi. Che bel periodo era stato quello. Li avrei rivisti volentieri i miei compagni di classe. Anche se ci eravamo persi di vista, però il pensiero c'era. Il luogo dell'incontro mi lasciò interdetta: la fantomatica "Casa del violino" a La Spezia. Ne avevo sentito parlare e ci sarei voluta andare, ma non era visitabile. Era necessaria un'autorizzazione e loro erano riusciti a ottenerla. Era stato Federico, pensai, era lui che trafficava in queste cose. Anche ai tempi della scuola adorava il paranormale. Sì perché la casa del violino ha una particolarità. Sembra che sia infestata dallo spirito di un noto violinista, che si sollazza a suonare il suo strumento durante la notte. Molti l'hanno sentito e continuano ad udire il suono di quelle dolci note.
Beh, io ero contenta e gli dissi subito di sì, senza alcuna esitazione.
Poi chiesi chi eravamo e con mia grande sorpresa mi rispose che eravamo tutti.
Federico, un ragazzo dalla corporatura robusta, rosso di capelli e con le lentiggini. Era un po' goffo nell'andatura, era bravissimo a fare le imitazioni di Lilli Gruber. Federico, il ragazzo timido e studioso, che non esercitava alcuna attrattiva nelle ragazze, con quegli occhiali dalle lenti tonde, che gli coprivano metà del viso. Adesso era diventato un musicista, aveva trovato la sua strada.
Lo avrei rivisto volentieri e come lui tutti gli altri.
Questa rimpatriata era un'ottima idea.
Lo salutai calorosamente e ci mettemmo d'accordo, per risentirsi e organizzarsi per l'incontro.
Ripresi a fare gli esercizi con maggior foga, poi feci una doccia e uscii per andare al lavoro.
I giorni successivi passarono veloci e io contavo quelli che ancora mancavano al nostro appuntamento.
Finalmente arrivò il fatidico giorno. Staremo via una settimana. Ho preparato la valigia, sembra per un mese. È sempre così. Andammo con diverse auto. Il luogo dell'incontro pattuito era la piazzola di un distributore di benzina, poco prima dell'autostrada. Mi preparai, indossando indumenti comodi ma freschi per il viaggio e partii piena di belle speranze. Del resto ero sola, non avevo famiglia, non dovevo rendere conto a nessuno. Eccoli là, erano già arrivati quando parcheggiai la macchina. Mi avvicinai, cercando tra quelle facce i familiari volti dei miei compagni. Qualcuno era rimasto sempre uguale, altri erano più invecchiati, comunque li riconobbi tutti: Sara, Alessandra, Caterina, Federico, Stefano, Marino, Samantha, Costantino, Luisa. Osservai con attenzione un tizio calvo e pensai tra me e me: «No, non può essere lui». Paolo era un ragazzino timido, ma con tutti i capelli, raccolti in un'artistica treccia. E invece era lui, aveva perso tutti i capelli. Si avvicinò a me e mi disse:
"Barbara, sei sempre uguale". Tutti gli altri mi si fecero incontro. Baci, abbracci, e il "perché ci siamo persi di vista!" e che bella cosa rivedersi e via discorrendo. Ci raccontammo le nostre vite a pezzi e bocconi. In una settimana pensai che avremmo avuto tutto il tempo a nostra disposizione. Formammo le macchine. Io ero con Caterina, Stefano, Samantha, Luisa e Federico. Ero contenta perché avevo una cotta per Stefano. Mi faceva piacere rivederlo. Federico era tutto euforico. Parlava di tante cose, del suo lavoro di musicista, dei vecchi tempi e di quando ci divertivamo a scuola. Era uno spasso. Ripensandoci mi venivano le lacrime agli occhi. Quello era stato un periodo spensierato e senza preoccupazioni. Caterina era una ballerina e suonava il violino, Samantha dopo una laurea in economia, lavorava in banca. Tutti avevano trovato la loro strada, tranne io che ero sempre alla ricerca di qualcosa. Il mio lavoro non mi piaceva, non avevo famiglia e mi sentivo sola molto spesso. Quel giorno faceva caldo, l'auto divorava l'asfalto che appariva come bagnato in lontananza: il cosiddetto effetto Morgana. Ci fermammo per un ristoro all'autogrill. Federico mi si avvicinò :
"Barbara, ma tu cosa ne pensi di questa idea di trascorrere una settimana là? Hai un po' di paura?"
Lo guardai pensando che stesse scherzando. Gli detti un colpetto sulla spalla.
"Ma dai"- risposi ridendo." Non crederai alla storia del fantasma. Ma toglimi una curiosità. Perché avete scelto proprio quella location?"
"Sai com'è "rispose." I vecchi proprietari hanno da poco deciso di affittarla a singoli o gruppi o anche per eventi. Hanno deciso di ristrutturarla, però sempre con lo spirito di lasciarla il più possibile conforme all'originale. Questa storia del fantasma del suonatore di violino è da tanti anni che è in circolazione. Ci sono stati molti curiosi che chiedevano di visitare la casa e allora i vecchi proprietari hanno deciso di affittarla, così ci avrebbero guadagnato qualcosa.
Tu mi conosci bene, curioso come sono vorrei accertarmi se in certe leggende c'è un fondo di verità oppure si tratta solo di mere leggende metropolitane. E così mi sono detto: "Perché non andarci con i miei vecchi compagni di classe?"
"Certo, non fa una piega", risposi.
Risalimmo in macchina. Il sole era sempre più cocente, una palla infuocata, menomale che avevamo l'aria condizionata. Proseguimmo il viaggio nell'allegria generale. Quanti ricordi! Io e Stefano eravamo vicini, parlavamo del più e del meno, mi raccontava del suo lavoro: faceva il falegname. In effetti non aveva tanta voglia di studiare, alla fine aveva abbandonato gli studi.
Mi ricordavo di una festa in particolare a casa di Costantino. Mi ero ubriacata, bevendo solo qualche bicchiere di spumante secco ed avevo perso la testa come una scema. Avevo cominciato a stare male e Stefano mi era stato vicino tutto il tempo. Non ricordavo neanche più cosa mi aveva detto, ma mi era stato vicino. Davanti ai miei occhi, guardando fuori dal finestrino scorrevano panorami di colline e prati aridi. In lontananza iniziammo a vedere il mare, che si confondeva con il cielo. Ormai eravamo quasi arrivati. Percorremmo tutta la costa di La Spezia, poi a un certo punto prendemmo una deviazione e la strada iniziò a salire. Ci inoltrammo su per tornanti, fiancheggiati da boschetti. La luce del sole filtrava attraverso le foglie e i rami, creando giochi di luce. Era un luogo semi-deserto. Superammo il paesino di Sesta Godano, immerso nella campagna, dove vivevano solo 1325 abitanti. Il sole picchiava sempre più forte, noi eravamo accaldati e assetati. Fortuna volle che incontrammo una giovane a cui chiedere qualche informazione. La casa in questione la conoscevano tutti. Si trovava in cima al sentiero a poca distanza da dove eravamo arrivati. Risalimmo in macchina e proseguimmo per il sentiero in salita. Non udivamo nessun rumore, tutto sembrava sopito, annientato da questo silenzio, quasi innaturale. La strada stretta saliva ancora, fino a quando ci fermammo. Davanti a noi la casa violino. Pensavo fosse più grande.
Invece era piccola, si trattava di un'abitazione su due piani, dotata di una porta d'accesso di un colore verde pisello. Aveva un aspetto spettrale, che dava i brividi, forse sarà perché ero influenzata dalla leggenda del fantasma violinista. Davanti alla casa un pergolato e un albero di kiwi. Scendemmo dalla macchina. Eravamo tutti incuriositi, ci guardammo e poi aspettammo gli altri, che nel frattempo si erano persi.
"Eccoci qua" esclamò Federico, tirando fuori le chiavi della casa. Ci guardò tutti e poi vedendo le nostre espressioni preoccupate continuò:
"Suvvia ragazzi, non crederete alla faccenda del fantasma. Godiamoci invece queste giornate e via". Quindi ci fece cenno di dargli una mano con le valigie.
Eccoci qua, davanti al portone. Mamma, che emozione! Tra un po' varcheremo la soglia di una delle case più infestate d'Italia. Federico girò lentamente la chiave nella toppa, che nelle sue mani acquistò uno strano luccichio. Trattenemmo il respiro. La porta si aprì cigolando e alzando molta polvere. Silenzio, avvertimmo solo silenzio. Cercammo un interruttore della luce. Ecco, l'avevo trovato! Una luce a neon invase la stanza, si trattava dell'ingresso. Sui muri grandi ragnatele invadevano gli spazi e grossi ragni neri stavano in un angolo in agguato, aspettando le loro prede. Le pareti erano un po' annerite ed emanavano un odore forte di muffa. Spalancai prontamente le finestre. Ci sarà molto da fare qui nei prossimi giorni. Bisognava mettersi subito all'opera, se volevamo passare la notte qua. Continuammo la nostra perlustrazione. L'ingresso si apriva su un soggiorno disadorno, dove c'era un divano grande e una libreria, piena zeppa di libri, di ogni genere, come potei constatare. Mi ripromisi di leggerne qualcuno, appena possibile. Nella stanza adiacente c'era una cucina molto grande in legno, con un forno imponente in maiolica, che tuttavia aveva bisogno di una pulizia accurata. Per il resto aprii sportelli e trovai la più vasta collezione di pentole mai vista, ma che non erano usate da molto tempo. Lo si vedeva dalle ragnatele intessute sopra. Andammo a vedere gli altri ambienti della casa: c'erano anche tre bagni e le camere al piano superiore che erano arredate in modo spartano. In una di queste notai un armadio molto bello, finemente decorato. Io e Caterina incuriosite lo aprimmo. Dentro c'erano degli abiti ormai logori e appoggiato sulla mensola notammo la custodia di un violino. Toccai inavvertitamente la custodia e mi si trasmise automaticamente una vibrazione, che mi fece sussultare. Caterina, la violinista, con una sorta di timore reverenziale aprì la custodia e prese il violino in mano, lo appoggiò sulla spalla e iniziò a suonare una melodia struggente.
Le corde erano un po' logore e consunte, per questo il suono non era limpido e cristallino, ma un po' rauco. Feci segno a Caterina di rimetterlo a posto.
Forse il suo vecchio proprietario non era molto contento che qualcuno suonasse il suo strumento. Scendemmo di nuovo di sotto.
Ci dividemmo i compiti, per organizzarsi in modo tale che si potesse cenare e poi anche dormire qui.
Sinceramente non sapevo se saremmo riusciti a dormire, avevamo tante cose di cui parlare, che tutta la notte non sarebbe bastata.
Io e le ragazze ci mettemmo a pulire cucina, con detergenti che trovammo nel mobiletto e mentre facevamo questo parlavamo un po' di noi. Alessandra mandava avanti l'azienda di famiglia, possedeva una magnifica fattoria, dove organizzava eventi e corsi estivi per bambini, oltre a produrre vino ed olio. Ascoltavo affascinata e mi sembrava che l'unica vita non degna di nota fosse la mia. Sara era un'infermiera diplomata e lavorava nell'ospedale della città. Samantha lavorava in banca e Luisa faceva la ragioniera in un'azienda. Tutti avevano messo su famiglia, tranne io. Un'altra cosa che mi faceva sentire un po' a disagio. Chissà se ce l'avremmo fatta per la sera. Già mi immaginavo la scena di noi, seduti a tavola, con i calici di vino alzati, che ripercorrevamo i nostri ricordi scolastici. Il giorno volgeva ormai alla sera e dalla finestra di fronte si vedeva il sole che, dopo aver percorso la lunga traiettoria giornaliera, si tuffava dietro ad una nuvola, per poi scomparire sotto la montagna. Avevamo quasi finito. I ragazzi si erano messi all'opera con scopa, spazzolone e secchio ed avevano pulito tutti i pavimenti e anche i bagni. Alla fine, stanchi ma felici, eravamo molto soddisfatti del nostro lavoro. Grondavo di sudore e con la mano mi scansai una ciocca di capelli dagli occhi. Fu allora che Stefano si avvicinò a me, mi prese una ciocca di capelli tra le mani, la profumò e poi mi disse piano:" Hanno sempre lo stesso profumo. Il colore è diverso però. Ma ti dona questa tonalità, ti dona molto".
Ed io ovviamente ero lì che gongolavo, anche se mi imponevo di restare calma. Preparammo la cena in un clima molto conviviale, scherzavamo, ridevamo e qualcuno si divertiva a prendere in giro le scarse capacità culinarie di qualcuno. Alla fine rimediammo un sugo improvvisato con pomodoro, cipolla e basilico e per secondo carne mista con insalata e patate arrosto. A qualcuno era venuta l'idea di portare anche come dolce una cheesecake alla fragola. Cominciammo a bere un po' di vino, di produzione della fattoria di Alessandra. Era buono, quel liquido ambrato ti scendeva in gola, inizialmente molto dolce lasciava in bocca un retrogusto leggermente asprino. Ad un tratto sentimmo un urlo agghiacciante. Ci guardammo sbigottiti.
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