Il Fantasma
Si narrava di un fantasma, pallido come la neve e nero come la notte.
Quel fantasma non lo aveva mai visto nessuno, ma tutti a una certa ora della notte potevano udire la sua risata cristallina, spezzata come cristallo in frantumi; bastava solo recarsi tra quelle vie nere, deserte e pericolose, in quel vicolo bagnato dalla pioggia anche quando c'era sereno.
Si diceva che quel fantasma cercasse il suo amore, che ridesse solo per non piangere e che aspettava accartocciato in un angolo quel suo amante che non lo aveva mai raggiunto.
Era solo una leggenda, ma ogni storia aveva un fondo di verità. Qual era per lui? Forse solo l'aspetto: pelle diafana come la superficie della luna e capelli neri come le tenebre. Ma chi poteva saperlo se nessuno lo aveva mai visto? Oppure qualcuno esisteva? Impossibile, nessuno si sarebbe avventurato in quel vicolo sperduto in mezzo ai bar decadenti.
Eppure lui era lì, in quel vicolo a osservare la personificazione della morte, la sua morte.
La stava baciando, gli stava spalmato addosso mentre il fantasma se ne stava con le spalle rivolte al muro e le sue mani lo stringevano sui suoi fianchi, facendolo rabbrividire.
Quel fantasma aveva nome? Forse, ma in quel momento il suo cervello era troppo impegnato a registrare la morbidezza delle sue labbra e la dolcezza del suo sorriso e il suo battito cardiaco irregolare a causa di quelle braccia che lo stringevano e lo accarezzavano ovunque, insieme alle gambe; cui una era andata a insinuarsi tra le sue accarezzandogli il cavallo dei pantaloni che erano diventati insopportabilmente stretti.
Forse era ubriaco, perché i fantasmi non esistevano: almeno non così in carne.
Percepii quelle mani fredde e affusolate sollevargli appena la maglietta arancione e infilarsi sotto di essa, rabbrividendo a contatto con la sua pelle bollente.
«Sasuke...» sussurrò il biondo, staccandosi da quelle succulente labbra e guardandolo, affogando in quegli occhi neri come l'inchiostro, che portavano all'interno il gelo e il fuoco, l'amore e l'indifferenza.
Lui sorrise malevolo, gli occhi che gli brillavano freddi come spuntoni di ghiaccio e graffianti come gli artigli di una pantera pronta a colpire e divorare la sua preda.
Gli poggiò due dita sulle labbra e con l'altra mano rimasta intorno ai suoi fianchi se lo tirò più addosso.
«Siamo ubriachi.» sussurrò, spostando la mano e riprendendo a baciarlo mentre costringeva l'altro a schiacciarlo contro quella fredda superficie di mattoni bagnati e muschiati.
Era una bugia, nessuno dei due aveva bevuto così tanto da essere così ubriachi, ma Naruto non disse nulla e semplicemente si lasciò andare, ricambiando quel bacio che sapeva di morte e disperazione; di passione e di furia.
«Ubriachi di noi.» soffiò, passando a baciargli il collo, mentre il moro gli passava le braccia intorno al suo per averlo ancora più vicino e non lasciarlo mai.
Si narrava che quel fantasma non avesse mai detto "ti amo" al suo amato, che semplicemente lo avesse urlato con gli occhi e lo avesse protetto con tutte se stesso fino a perdersi in quel vicolo buio e dimenticato dal mondo.
Quel fantasma era spezzato dentro, si era gettato da un ponte, ma non era riuscito a morire, perché un angelo lo aveva preso al volo, afferrandolo per un braccio e rovinando quella caduta che lo avrebbe portato alla morte.
«Dobe.» fece sfrusciare ancor di più il suo ginocchio contro quell'intimità ormai dolorosamente rigonfia.
Naruto gemette appena, socchiudendo gli occhi e mordendo il labbro inferiore dell'altro.
I loro respiri caldi si mescolavano e si accarezzavano, trasformandosi in piccole nuvole di condensa bianche che si sperdevano in quella fredda notte dove non esisteva nulla, tranne che le loro mani che si cercavano e i loro corpi che si strusciavano l'uno contro l'altro nel tentativo di darsi calore in quel vicolo piccolo e buio, che tutti avevano dimenticato, tranne che gli amanti che bisognosi cercavano un luogo in cui rifugiarsi per amarsi sotto le chiare e lontane luci dei lampioni, distanti dagli sguardi degli altri disgustati da quell'amore travolgente e appassionante che poteva essere solo quello tra due ragazzi ancora adolescenti che credevano di poter scalare le vette più alte e cadere dai grattacieli e far così spuntare le proprie ali.
«Teme.» rispose meccanicamente, staccandosi e prendendo la sua mano.
Quel fantasma fatto di ghiaccio sorrise, caldo come il sole, ma silente come quei fantasmi della notte che erano i pensieri.
Intrecciò le loro dita e con il capo si poggiò alla spalla del biondo che era appena più basso di lui.
Si narrava che quel fantasma fosse forte e che non si fosse mai fatto mettere al muro da nessuno, che nessuno lo avesse fatto mai davvero suo.
Quel fantasma era un gatto randagio che non aveva mai accettato il collare di nessuno, tranne che quello del suo amante. Un gatto che guardava solitario alla luna da una finestra, aspettando che la sua anima gemella unisse la coda con la sua e che quel legame fosse per sempre.
I due ragazzi andarono nel loro posto segreto, quella torre diroccata, nascosa dall'edera e dagli alberi di quel parco pubblico che tutti evitavano la notte.
I loro occhi stavano già facendo l'amore brillanti, ancor prima di spogliarsi dei propri indumenti e iniziare a toccarsi, con le loro mani tremanti per il desiderio di darsi piacere ed esplorarsi, allo stesso tempo, lentamente.
Prima si tolsero le magliette, mettendosi l'uno di fronte all'altro. Poi entrambi posarono una mano sui loro ventri scolpiti, osservando nella notte sotto il chiarore della luna la diversità delle loro pelli: l'una bianca come la neve, l'altra scura come il caramello.
Risalirono entrambe come se stessero danzando e quella fosse la loro libidinosa ed erotica coreografia, che però non avevano mai provato, ma che stavano improvvisando guidati dalla curiosità di conoscersi, aumentando così il loro spropositato desiderio di aversi.
Le loro mani camminarono fino al petto, stuzzicando appena i reciproci capezzoli, ma solo per qualche istante, perché appena più sopra c'era qualcosa di più bello che produceva un suono singolare, bellissimo in ogni sua forma ed imperfezione: il battito del loro cuore.
Entrambi ascoltarono l'uno quello dell'altro e lentamente alzarono di nuovo i loro sguardi. Affogarono, di nuovo, piombarono tra le torbidi acque di quel loro amore giovanile che sarebbe potuto durare per sempre o evaporare al solo, ma a loro il futuro non importava, non in quel momento.
Il desiderio tornò irruento a farsi sentire e non potendo più aspettare Sasuke si gettò su Naruto, che perse l'equilibrio e cadde tra quei ciuffi d'erba che erano cresciuti spontanei tra i ciottoli e i detriti di quel pavimento ormai rovinato dal tempo e dalle intemperie.
Si baciarono e le loro mani andarono alla ricerca della reciproca pelle graffiandola.
I pantaloni insieme all'intimo ben presto sparirono ed entrambi rimasero completamente nudi, le loro menti ormai lontane, ovattate come le loro orecchie che potevano udire solo i loro gemiti.
Erano due angeli senza paradiso, destinati a precipitare all'inferno, ma a quell'età, la loro età, non era un problema perché non esisteva alcun Dio a cui affidarsi e ogni cosa era dolore, perfino l'amore era qualcosa di cui non ci si poteva fidare: sia quello familiare che non.
Eppure esistevano piccole eccezioni, come quella che stavano vivendo loro due in quel momento: quella di un amore bruciante, che avrebbe potuto distruggerli o rafforzarli, che non aveva alcuna base solida per il futuro ma che in quel momento valeva la pena di vivere.
Un amore che sapeva di sale e di stelle.
Le loro gambe si intrecciarono, incatenandosi, mentre le loro bocche si divoravano e i gemiti si levavano nella notte come ululati alla luna.
«Sasuke...» gli occhi di cristallini di Naruto erano liquidi e scuri, erano di un azzurro particolare ed indescrivibile, come mare e cielo fusi nello stesso luogo. Nessuno avrebbe potuto dipingerli, nessun poeta avrebbe potuto scrivere di quelle iridi magnifiche.
Uno spreco, ma anche una fortuna per qualcuno di possessivo come il moro che ghignò e gli divaricò le gambe selvaggiamente, stuzzicando dapprima il suo anello di muscoli e poi insinuandolo appena all'interno, per poi ritirarlo maligno, tremendo e sadico.
Nei pantaloni lì accanto, in una delle tasche prese un tubetto di lubrificante. Si fece scivolare il liquido sulle dita, stando ben attento a che l'altro lo vedesse per creare più aspettativa.
Un fragrante odore di fragole e arance si spanse nell'aria carica di tensione e che profumava di sesso e amore.
Sasuke iniziò a prepararlo paziente, mentre nel frattempo lo mordeva ovunque sul collo e sullo sterno.
Un dito alla volta, avanti e indietro, sforbiciando e allargando quella stretta apertura che presto lo avrebbe accolto e che gli avrebbe dato il piacere più puro e primitivo di tutti.
«B...Basta... ti voglio.» lo scongiurò Naruto, ribaltando le posizioni e mettendosi sopra di lui.
Sentiva il vuoto nel suo ventre, tra le sue carni e nella sua anima. Aveva sete di riempirlo, voleva riempirlo e doveva.
Bramava di sentire il seme dell'altro al suo interno, scaldarlo e marchiarlo perché quello era l'unico modo che aveva per sentir dire all'altro un tacito "ti amo" che sapeva non avrebbe mai pronunciato a parole fino a che non sarebbe stato pronto e ancora non lo era, perché aveva paura, come lui.
Si impalò piano, mentre Sasuke lo guardava mangiandolo con gli occhi, ma riuscendo solo a posare le sue mani su quei ritti e scolpiti fianchi guidandolo sempre più giù.
Quando il suo membro fu completamente inglobato fu difficile per l'Uchiha non iniziare subito a muoversi.
Per distrarsi gli accarezzò quel glabro petto bellissimo e muscoloso, illuminato dalla luna. Scese fino a raggiungere il pube biondo e ne accarezzò i piccoli riccioli trasparenti, fino a che non accarezzò quella staffa ritta e dolorante, con cui iniziò a giocare.
La pompò appena e poi ne accarezzo la punta.
A quel punto il compagno iniziò a muoversi sopra di lui, dapprima lentamente poi sempre più veloce gemendo e poi urlando di piacere, intrecciando le dita con le mani dell'altro.
Si baciarono più volte e più volte sussurrarono i loro nomi fino a venire.
Si narrava di un fantasma che la mattina lasciava da solo nel proprio letto il suo amante, poiché era uno spirito vagabondo.
Quel fantasma non voleva essere freddo, ma semplicemente era inadatto ad amare e di fonte a quell'emozione non aveva mai saputo come comportarsi.
Quel fantasma aveva sempre desiderato una gabbia, di catene che lo ancorassero al terreno. Per questo amava essere schiacciato contro i muri, ma odiava essere controllato e domato.
Era uno spirito libero, ma allo stesso tempo bisognoso di un paio di braccia che potesse chiamare casa.
Quando però Naruto si svegliò il suo fantasma era ancora lì, che dormiva nudo tra le sue braccia, freddo come un ghiacciolo e acciambellato come un gatto contro di lui alla ricerca di calore.
Sorrise.
Sasuke non era un fantasma. Lui era lì e non lo avrebbe mai lasciato cadere, sarebbe stato il suo angelo e lo avrebbe tenuto stretto tra le sue braccia fino a che le rughe non gli sarebbero spuntate sul viso.
Forse era una convinzione azzardata, un'illusione giovanile che avrebbe aperto mille ferite, ma lui era fatto così: sperava nell'impossibile e lo realizzava, sempre.
«Ti amo Teme.» sussurrò, coprendo entrambi con una delle loro magliette e poi riaddormentandosi, mentre l'alba sorgeva spazzando via le tenebre della notte; mentre i primi raggi del sole trasformavano quel fantasma in un fragile fiore nelle mani del suo angelo.
(T!ex^
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