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Capitolo 8 - Seba

Inaccettabile.

Lord Devon — Devon, Davon, o come si chiamava — di primo acchito gli era sembrato un tipo decente. Non aveva preso a male parole il valletto che aveva scordato di aprirgli la porta della carrozza, e aveva chiesto con inaspettata gentilezza ai suoi scudieri di sistemare i cavalli nelle scuderie. La maleducazione nei confronti dei sottoposti era il primo segnale di allarme per identificare una testa di cazzo. Lord Devon, purtroppo o per fortuna, aveva passato quel primo basilare esame.

Poi però aveva lasciato una dama ad attenderlo, da sola, sotto il sole. Inaccettabile.

Il fatto che fosse un uomo incredibilmente affascinante non lo toccava affatto. Non lo urtava a livello viscerale per motivi a lui incomprensibili. Assolutamente irrilevante.

Mentre tornava verso le mura della città con gli occhi fissi sulla nuca di Beatrice, Seba si chiese che cosa lei e il marchese si fossero detti mentre cavalcavano assieme. Lui aveva parlato molto. Lei aveva sorriso. Spesso. Un po' troppo spesso, anche se non con quella genuina rilassatezza con cui rideva con la sua dama di compagnia.

Avevano cavalcato fino quasi alla prima ansa del fiume prima di fermarsi e tornare indietro. Beatrice, rossa in viso dall'attività fisica, aveva gli occhi accesi di entusiasmo. Donandole quel cavallo superbo, il marchese l'aveva già conquistata?

Seba cercò di leggerlo dai suoi sguardi, dai suoi movimenti, ma la duchessina restava fiera e illeggibile come sempre.

E non lo aveva degnato di uno sguardo.

Almeno uno dei due sa qual è il suo posto, considerò Seba, nervoso e infastidito con se stesso.

Per cena, in onore del nuovo nobile ospite, fu organizzato uno sfarzoso banchetto di benvenuto. Enormi mazzi di fiori vennero preparati per decorare la sala da pranzo, i candelabri d'argento furono rispolverati e tirati a lucido; venne arrostita la migliore cacciagione, il cui profumo che si espandeva dalle cucine fece venire l'acquolina in bocca a mezza città.

All'ora prestabilita Beatrice passò lungo il salone appesa al braccio della sua dama di compagnia. Indossava un vistoso abito verde. Non rideva più, però: era compita e silenziosa.

Il marchese sarebbe stato loro ospite per circa un mese; dopodiché, se tutto fosse andato secondo i piani, si sarebbero celebrate le nozze nella cattedrale sotto lo sguardo benevolente delle Signore Celesti. Seba si chiese se Beatrice sarebbe stata felice con tale lord Vattelapesca. Mordendosi l'interno della guancia, si rispose che non erano affari suoi.

Fu tra la quarta e la quinta portata del lussuoso pasto che Seba — il quale stava cercando di non prendere sonno in piedi durante il turno di guardia — fu richiamato da un trafelato e sorridente Rafael, il quale lo avvisò che la duchessina era uscita da un ingresso laterale con la scusa di recarsi un istante nelle sue stanze e non era più rientrata.

"Non è più rientrata?" ripeté Seba per assicurarsi di aver capito bene: Raf non sembrava particolarmente sobrio. "Da quanto tempo?".

"Più di un'ora, ormai".

"Chi ti ha detto di diffondere la notizia?".

"Il duca. Oh e quella bella ragazza riccia".

"Smettila di parlare con la dama di compagnia della duchessa" lo ammonì.

"Ho appena iniziato".

"Appunto. Già troppo tardi".

"Non è rilevante al momento. Ciò che importa è che la signorina è sparita di nuovo, quindi vedi di darti una mossa".

"Io? E tu cosa pensi di fare?".

"La cercherò anche io. Con estrema calma, ovviamente, visto che non mi pagano extra per giocare a nascondino con la nobiltà".

Detto questo, girò i tacchi e sparì da dove era venuto.

Spiazzato dalla novità, Seba si prese un minuto per riflettere. La duchessa Beatrice era fuggita dal suo stesso banchetto. Era improbabile che fosse riuscita a uscire da palazzo, quindi doveva essersi nascosta da qualche parte al suo interno. Ma dove?

Scavò nella memoria. E la risposta fu chiara.

***

Qualcosa di pesante cadde a terra quando Seba entrò nella cantinetta sotto le cucine. Mele rotolarono dappertutto, infilandosi tra le casse di patate, gli otri di vino e gli scaffali stracolmi di provviste.

"Lady Beatrice?".

Dopo un lungo momento silenzioso, un'anta di una dispensa si scostò un poco.

Seba incrociò le braccia al petto e non si mosse.

Con uno sbuffo esasperato, Beatrice spalancò la dispensa e uscì allo scoperto. L'unica fonte di luce della cantina, la fiamma arancione di una lampada a olio, la fece sembrare dipinta a chiaroscuro.

"Come mi hai trovato?". Era infastidita, ma non arrabbiata.

"Le cucine erano la mia seconda ipotesi" rispose Seba con onestà. "E quando ho visto che nelle stalle non c'eravate, sono venuto qui. A quanto pare, avevo ragione".

Irritata, Bess si scostò i capelli dalla fronte. "Bravo. Vuoi un premio?".

Un fremito di euforia. Eccolo, il fuoco. C'era ancora, nascosto da qualche parte sotto le espressioni sottomesse e i toni perbene.

"Siete richiesta al banchetto, mia signora" si costrinse a dire, morsicandosi via il sorriso dalle labbra.

"Non ci penso proprio" replicò subito lei. "Ho sopportato abbastanza monologhi sulle migliori tecniche di apertura di una partita a scacchi e sugli arbusti da piantare in giardini con esposizione a sud-ovest. Grazie mille, ma per stasera penso di aver dato".

La guardò sollevarsi alacremente le gonne per arrampicarsi su una pila traballante di casse ammonticchiate. Cosa stava...?

"Avete intenzione di fuggire dalla finestra?".

"Sei perspicace, Corei".

Seba fece del suo meglio per non alzare gli occhi al cielo.

"Per andare dove, di grazia? Vi stanno cercando tutti. Ci sono soldati fino al-".

"Non lo so!" esplose lei, voltandosi di scatto. "Io voglio solo...!".

Prima di riuscire a finire la frase, Beatrice scivolò e cadde.

Con un unico gesto fluido, Seba la prese al volo.

"Milady, dovete...". Si bloccò per deglutire quando lei alzò i timorosi occhi verdi per incrociare i suoi. "... dovreste tornare alla cena".

La duchessa arrossì fino alla radice dei capelli. "No. Mettimi giù, per favore".

Seba eseguì diligente.

Una volta in piedi, Beatrice gli diede le spalle e si sistemò le gonne.

Un rumore di passi li fece sobbalzare.

In un battito di ciglia Beatrice si lanciò dentro la dispensa e chiuse le ante di legno. Seba rimase da solo, nel bel mezzo della cantina male illuminata, ad accogliere un garzone assai confuso dal trovare laggiù una guardia del duca. Il servo, dopo avergli fatto un timoroso cenno di capo, recuperò due otri di vino e sparì su per le scale.

"Se n'è andato".

Beatrice aprì uno spiraglio tra le ante e sbirciò fuori. Rassicurata, uscì dalla dispensa insieme a una zaffata di aglio e cipolla.

"Devo andarmene. Non ne posso più".

Seba la guardò. I capelli spettinati, i pugni chiusi stretti lungo i fianchi che vibravano di esasperazione repressa.

"Milady...".

"Hai detto che avresti fatto qualunque cosa per me".

Seba incassò il colpo con sofferta indifferenza.

"Aiutami a uscire" continuò lei ignorando il suo disagio, "e io... farò il tuo nome per gli Alati".

"Voi che cosa?".

"Ho ricevuto la lista stamattina, e ci sei anche tu. Ho una settimana per deliberare".

Disorientato, Seba si prese qualche istante per riflettere. A ogni membro della famiglia del ducato, raggiunta la maggiore età, venivano assegnati due cavalieri — gli Alati — come scorta personale; Beatrice, avendo passato un quarto della sua vita in un convento, non aveva ancora avuto questo onore, ma evidentemente i suoi genitori avevano valutato che fosse giunta l'ora di rimediare. Per un soldato di Benaco ottenere il titolo di Alato era il massimo prestigio, nonché un ottimo incarico, con paga tripla e molti privilegi. Nonostante questo...

"La facilità alla corruzione non è un buon indicatore per selezionare le persone a cui affidare la vita, milady" finì per dire con una certa durezza nella voce.

Lei parve offesa. "Non sarebbe l'unico motivo per cui sceglierei te" annunciò sollevando di nuovo l'orlo del vestito e tornando a scalare la montagna di legno che aveva eretto.

Seba la osservò e, seppur temendo la risposta, non riuscì a trattenersi. "Quali sono gli altri motivi?".

Interrotta la sua arrampicata, Beatrice si voltò per lanciargli un'occhiata eloquente. Seba si sentì perquisire pezzo a pezzo da quegli occhi verdi. Non gli piacque quella sensazione. O forse gli piacque un po' troppo.

"Lo sai perché".

Con i capelli sciolti a metà e la luce arancione che le danzava sulle guance, Beatrice sembrava davvero un dipinto a olio; Seba ne ritrovò rapito e, per un istante, seppe che la sua maschera aveva ceduto. La maschera di entrambi, in verità.

Distolsero lo sguardo.

Per alleviare l'improvviso imbarazzo, Beatrice si schiarì la voce. "E comunque non è solo per quello. Sei un ottimo soldato. A Fossalta sei stato l'unico a intuire il pericolo e ad agire in fretta, evitando il peggio".

"Ho fatto il mio dovere".

"Evidentemente lo hai fatto meglio degli altri; è merito tuo se sono ancora qui" ribatté lei. Poi abbassò il viso. "A tale riguardo, non ti ho ringraziato a dovere".

"Non è necessario".

"Lo è, invece. E adesso che ci penso" aggiunse titubante, "anche la notte precedente qualcuno avrebbe potuto tentare un attacco. Ma, grazie a te, io non ero nella mia stanza".

"Eravamo nella stalla" ricordò sobriamente Seba.

"Esatto. Perché tu mi hai permesso di andarci nonostante il protocollo. Quindi, forse, mi hai salvato due volte, Sebastian".

Fu una strana sensazione sentire il suo nome sulle labbra di lei. Non accadeva da molto tempo. Lo trovò fastidiosamente piacevole. Intossicante.

"Dovere, milady" ripeté solo, di nuovo rigido e nervoso.

Beatrice lo fissò per un lungo momento. Seba non riuscì a interpretare la sua espressione. Era come... delusa?

"Odio questa risposta" mormorò, infine, più a se stessa che a lui.

Il sottinteso fu una stilettata al cuore che Seba incassò con grande sportività.

"È la verità" replicò con penosa gentilezza. "È il mio dovere. Voi siete la figlia del duca. Io eseguo gli ordini".

Un moto di tristezza le adombrò il viso. "Siamo tutti incatenati a un ruolo che non abbiamo scelto, in balia delle decisioni altrui" mormorò cupa.

Seba ritenne saggio non approfondire l'argomento. Non mentre erano soli in una stanza semibuia, con Beatrice affranta e vulnerabile e tanto bella da sembrare uscita da un affresco.

Chiuse gli occhi, fece un sospiro esagerato e prese una decisione.

"Se volete evitare di essere trovata, dovete risalire in cucina, superare gli alloggi della servitù, passare per la lavanderia e poi uscire dal lato sinistro, verso il giardino aromatico" si sentì dire.

Cosa sto facendo? Ghilroi avrebbe avuto la sua testa su una picca se l'avesse scoperto a tramare la fuga della nobildonna dal suo stesso banchetto.

Beatrice parve per un attimo sconcertata dal repentino cambio di posizione — e dall'ormai insperato aiuto.

"Oh. Questa è una buona idea" disse infine. Fece per scendere dalle casse; accettò, con un'occhiata indecifrabile, la mano che Seba le porgeva per aiutarla nella discesa.

"Io, ovviamente, non vi ho detto niente" sottolineò lui quando lei fu al sicuro con i piedi per terra.

"Ah, noi non ci siamo proprio visti" replicò lei impertinente.

La scintilla di entusiasmo ribelle che brillò fugace nei suoi occhi ripagò Seba del peso del senso di colpa che sentiva nello stomaco.

"Non fatevi vedere".

"So essere furtiva quando voglio, Corei".

Non gli sfuggì il ritorno all'uso del cognome. Meglio così. Meglio mantenere le appropriate distanze.

"Ne dubito" gli sfuggì.

Lei gli lanciò un'occhiataccia, ma c'era una luce divertita nel suo sguardo.

"Sei congedato, soldato" gli disse con il suo migliore tono sprezzante da nobildonna.

Lui fece un inchino esagerato. "Ai vostri ordini, milady".

La duchessa emise uno sbuffo simile ad una risata, si morse le labbra e, dopo un ultimo sguardo, scomparve su per le scale.

Seba restò a fissare la porta chiusa per un minuto buono. Poi si maledì, salì i gradini e tornò al suo posto di guardia, avvertendo i colleghi che purtroppo non aveva trovato la fuggitiva.

Fu distratto per tutta la sera, preoccupato che Beatrice potesse venire scoperta nella sua fuga verso il giardino. Si sentiva complice di tradimento: la sua fedeltà era posta al servizio del duca, non a quello di sua figlia.

Non aveva idea, nel frattempo, di cosa stesse accadendo nella sala del banchetto. Probabilmente il duca e la duchessa stavano campando qualche fiacca scusa su un presunto malore della terzogenita, e lord Devon stava gentilmente concedendo la sua comprensione mentre dentro fumava di rabbia di fronte a quella incresciosa mancanza di rispetto.

L'indole ribelle di Beatrice era stata soffocata, ma non estinta: sotto la cenere era rimasta la ragazzina scontrosa che delle regole se ne infischiava. Aveva detto che lo avrebbe promosso da Falco a Ala. Diceva il vero? Se così fosse stato, la cosa lo lusingava e lo impensieriva al tempo stesso. Sarebbe stato un bell'aumento di salario; oltre al privilegio di poter alloggiare a palazzo e stare sempre nelle vicinanze di...

No. No. Pessima idea, Seba. Pessima idea.

Non poteva accettare quell'incarico: sarebbe stato un disastro annunciato. Un disastro di proporzioni epiche.

Allo stesso tempo, poteva non accettarlo, se lei lo avesse candidato?

Finito il suo turno di guardia, bruciando di fastidio e agitazione, Seba marciò sovrappensiero fino a ritrovarsi nella direzione in cui aveva consigliato a Beatrice di nascondersi.

Dovrei...?

No. Non avrebbe dovuto.

Si fece violenza e ignorò la porta che lo avrebbe portato al giardino aromatico, proseguendo deciso verso il dormitorio militare.

***

I giorni seguenti si susseguirono torridi e noiosi. Beatrice e il marchese si vedevano quotidianamente, per pasti, passeggiate o brevi cavalcate insieme — solo nel recinto, però. Seba li osservava da lontano con una brutta sensazione nella pancia. Il marchese continuava a fare buon viso a cattivo gioco davanti agli strani comportamenti della duchessina, ma era evidente che fosse sconcertato dall'intera situazione. Beatrice, invece, quando non spariva da qualche parte annuiva e sorrideva dimessa al promesso sposo, mentre il suo sguardo opaco suggeriva come la sua mente fosse in realtà ben lontana da lì.

Il giorno delle nozze si avvicinava, e ogni giorno che passava apriva un po' di più la voragine che Seba sentiva all'altezza dello stomaco. Era nervoso e distratto, facile da sottomettere durante gli allenamenti e da sorprendere quando era solo.

Nemmeno Beatrice sembrava troppo felice. Sorrideva ancora con gentilezza, ma era sempre più spenta e dimagriva a vista d'occhio. Cavalcare fuori dalle mura della città le era stato proibito; i soldati addetti alle scuderie erano stati avvertiti di segnalare con tempestività ogni caso di esemplare mancante.

"Seb. Il capitano vuole vederti".

Seba, appena rientrato da un giro di ronda, lanciò uno sguardo interrogativo sul collega che lo aveva interpellato, me questo fece spallucce e se ne andò. Si avviò quindi, meditabondo, verso gli alloggi del capitano.

Perché Ghilroi voleva vederlo? Negli ultimi tempi era stato meno diligente ai suoi obblighi, era vero, ma niente di peggio di altri suoi commilitoni perennemente fradici di alcol o bruciati dal gioco d'azzardo.

Attraversò i giardini fino a trovarsi di fronte agli alloggi del capitano, un edificio squadrato collegato a una delle due ali a C di Palazzo del Vento.

Bussò con educazione e attese di essere invitato a entrare. Disse al cameriere che sapeva dove andare, superò l'ingresso e girò a sinistra. La porta dell'ufficio di Ghilroi era accostata: la aprì per scoprire che non era il solo a essere stato convocato. Anche Ruth era lì, in piedi di fronte al capitano, il quale se ne stava seduto dietro a una scrivania ingombra di documenti. La soldatessa lo guardò con un'espressione che Seba non seppe interpretare.

"Mi avete fatto chiamare, capitano?".

Nell'ufficio, decorato con arazzi di proprietà della famiglia del duca, permeava un odore di legno costoso, inchiostro e olio per armi. Senza una parola, Ghilroi prese da una pila di carte una lettera chiusa da un sigillo di ceralacca e gliela porse.

Quando Seba vide la rondine stampata sul sigillo, gli venne un atroce dubbio; quando la aprì, ogni incertezza venne spazzata via in favore di una sconcertante realtà.

Era stato convocato per diventare un Alato.











Spazio dell'autrice
Ed eccoci con il capitolo 8! Sono curiosa di sapere cosa ne pensate <3
Vi avviso già che conto di finire i capitoli 9, 10, 11,12 e 13 (+ un probabile BONUS) nei prossimi giorni; questo dovrebbe coprire la pubblicazione per tutto il mese novembre. Per dicembre/gennaio invece mi prenderò una piccola pausa per strutturare il seguente arco narrativo della storia (anche con Cercasi mi sono data delle pause tra i vari "pezzi" e mi sono trovata bene: mi permette di avere una pubblicazione regolare).
Spero intanto che la storia fino a qui vi stia piacendo <3 Recensioni, critiche e fangirling sono più che benvenuti!

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