Capitolo 6 - Seba
L'esercito di Benaco era organizzato in tre reggimenti: i Gheppi, la fanteria; gli Sparvieri, i tiratori; e i Falchi, la cavalleria; per un totale approssimativo, tra soldati semplici, tenenti, sergenti, musici e sbandieratori, di seicento uomini pronti alle armi. A nessuno di loro, purtroppo, venivano risparmiate le noiosissime ronde lungo il perimetro del palazzo e della città.
"Sei pensieroso, Seba".
Rientrato a Benaco da ormai quasi una settimana, Seba era riuscito a evitare la duchessina Beatrice con grande accuratezza. Non poteva permettersi un'altra scivolata da cascamorto e, dal momento che la sua vicinanza non sembrava favorire l'uso del buonsenso, per limitare ogni rischio aveva deciso di risolvere il problema alla radice battendo in ritirata. Era quindi tornato alle sue faccende da soldato con un stato d'animo che era insieme sollevato e rassegnato.
Al commento della collega, Seba si riscosse. Ruth Malloi, sua attuale compagna di pattuglia, lo stava fissando con uno sguardo che non gli piaceva per niente.
"Sto bene" si limitò a dire.
"Mmh. Sei strano da quando sei tornato dalle Silene". E di nuovo quello sguardo, quello che avevano sempre le donne quando si trovavano davanti a un mistero da risolvere.
Sentendosi trasparente come vetro, Seba valutò se mentire ancora. Non fu necessario.
"Stai ancora pensando a Fossalta?" gli chiese la donna con tono canzonatorio. "Povero bimbo. Immagino che tu ti sia preso un bello spavento...".
Ruth, donna del nord, era nell'esercito da molti anni più di lui. Era stata la sua mentore, un ruolo che aveva svolto con la serietà e la devozione di una madre. Unico svantaggio: a volte si divertiva ancora a trattarlo come un poppante.
Colpito sul vivo nonostante l'abitudine, Seba le lanciò un'occhiata in tralice e continuò a camminare lungo le mura di protezione dei giardini ducali. "Non era per me che ero spaventato".
"Ah. Per la duchessina?".
Seba si accigliò. "Poteva succedere qualcosa di brutto".
"Certo".
"Mi stai prendendo in giro?".
"Forse".
Camminarono in silenzio per qualche minuto. Il cielo era perfettamente azzurro, non una nuvola in vista, e la frescura del primo mattino stava cedendo il passo all'usuale caldo torrido.
"Cos'è che ti preoccupa?" gli domandò lei. La voce era seria e accomodante, stavolta.
Seba esitò. "Che possa succedere ancora".
"Ghilroi ha detto che, in tutta probabilità, si è trattato di quei briganti girovaghi".
"In tutta probabilità, Ghilroi si sbaglia" sbottò Seba.
Ruth alzò le sopracciglia. "Cosa te lo fa dire?".
Seba non lo sapeva. Non aveva prove: solo sensazioni. Sensazioni, tra l'altro, rese poco oggettive da una serie di circostanze a cui non voleva nemmeno pensare, figuriamoci discutere. Di Ruth, però, si poteva fidare.
"Istinto" rispose.
Lei annuì lentamente. "Bisogna fidarsi della pancia".
"Sì, me l'ha detto qualcuno".
"Di sicuro una persona molto saggia".
Si scambiarono un'occhiata ironica.
"Se senti o vedi cose strane, tienimi aggiornata" concluse lei. "E adesso finiamo questo giro di merda, che ho una fame che mi mangerei un cavallo".
"Eccole le vere sensazioni di pancia" commentò Seba.
"Porta rispetto agli anziani, marmocchio, o ti butto giù dalle mura".
"Senza di me non avresti nessuno con cui duellare".
"Signore Celesti, è vero. I tuoi colleghi sono degli inetti, ultimamente. L'alcol gli sta bruciando i muscoli, oltre che il cervello".
"Sono io che sono straordinario".
"Straordinaria è solo la tua mancanza di modestia. Fila, avanti".
Scesero dal cammino di ronda e si avviarono verso la mensa.
Un bisbigliare diffuso annunciò a Seba che c'erano notizie interessanti in circolazione. Si sedette accanto a Rafael Derovi, anch'egli collega nei Falchi, gli rubò un pezzo di pane e gli chiese quali fossero le novità.
"Si parla di matrimonio. Ohi, è mio quello".
Il sorriso di Seba si fossilizzò mentre si lasciava strappare il tozzo di pane dalle dita.
Un matrimonio? Lì a Benaco, avrebbe solo voluto dire che...
"La figlia del duca?" chiese Ruth indifferente.
"Ovviamente. Con un signore di una città del sud. Un marchese. Bosconero? Collenero? Qualcosa del genere".
Seba mantenne un'espressione di pietra mentre abbassava la mano sul tavolo; dentro, però, si sentiva rimescolare il sangue.
Ecco perché l'hanno fatta tornare. Per darla in sposa.
Ed ecco spiegata la fuga dal convento, gli strani comportamenti e gli sbalzi d'umore. Non doveva essere stata una bella scoperta nemmeno per lei.
Fissando il piatto vuoto, Seba rimuginò sulle conseguenze di quella notizia.
Nessuna conseguenza, si obbligò a pensare.
Beatrice aveva ripreso il suo ruolo di nobildonna, si sarebbe sposata e si sarebbe auspicabilmente trasferita presso la dimora del novello sposo. Tutto questo entro...
"... la fine del mese" bofonchiò Rafael mentre masticava soddisfatto il riconquistato pezzo di pane.
Ottimo. I suoi ridicoli patemi d'animo stavano per finire. Non gli restava che evitare Beatrice fino alla fine del mese, e poi lei sarebbe sparita dalla sua vita. Un ottimo piano. Un piano intelligente.
Se solo avesse avuto la forza di metterlo in atto.
***
Dopo colazione non c'era molto da fare. In tempo di pace, tenere impegnati più di seicento uomini armati non era compito facile, e la maggior parte dell'esercito di Benaco passava il tempo a scialacquare il salario in taverne, bordelli e giochi d'azzardo, limitandosi a rispettare i turni di pattuglia e i blandi allenamenti solo per non vedersi decurtare la paga.
Seba e Ruth, seguiti a ruota da Rafael e un altro Falco di nome Ben, presero possesso del campo polveroso davanti l'armeria, decisi a passare il tempo dandosene di santa ragione.
Si tolsero le giacche rosse della divisa e recuperarono le spade da allenamento, quelle tutte sbeccate e senza filo, con le quali ci si poteva menare di brutto senza ritrovarsi con la gola tagliata.
Seba scelse la sua lama e la fece roteare un paio di volte. L'aria fischiò nel modo corretto alle sue orecchie.
"Allora, chi si fa sotto per primo?" domandò borioso posizionandosi nello spazio vuoto tra l'edificio e il recinto rotondo dei cavalli. Il caldo era insopportabile, una cappa umida e grigia che oscurava il sole.
Ben, un ragazzotto ben piantato con un vocione da baritono, si fece avanti con un mugugno. "Io. Te la devo far pagare per la volta scorsa, Corei. Il livido mi è rimasto per giorni".
"Ti ha fatto un favore, con quella brutta faccia che ti ritrovi" commentò graziosamente Raf.
Ben gli puntò contro la spada spuntata. "Tu sei il prossimo" minacciò.
I duellanti si misero in posizione. Seba con la spada bassa alla moglienese, Ben con la guardia alta e serrata. Si studiarono per qualche istante, poi Ben si lanciò per primo. Tentò un affondo di punta che andò a vuoto, facendolo barcollare in avanti; Seba scartò di lato e lo colpì forte, di piatto, sul fianco rimasto scoperto.
"Morto, fuori" annunciò piatta Ruth.
"Il duello più veloce del secolo" ridacchiò Raf con le braccia conserte. Emise un lamento quando si prese uno scapaccione dalla soldatessa più anziana.
Mugugnando scontento e con una mano a massaggiarsi il fianco dolente, Ben uscì dal campo di gioco. Rafael era già pronto a sostituirlo.
"Niente giochetti" lo ammonì Seba mettendosi in posizione.
Fintamente offeso, Rafael lo imitò. "Io non faccio giochetti".
L'aspetto di Rafael traeva in inganno. Con i suoi baffetti, i brufoli, il viso rotondo e i folti ricci castani, dava l'impressione di essere ancora un ragazzino; ma era in realtà uno spadaccino niente male, imprevedibile, rapido come un furetto e dotato di modesta forza nonostante la costituzione magrolina.
Stavolta fu Seba ad attaccare per primo. Mirò basso, pensando di riuscire a colpire l'avversario alla coscia; Rafael scattò rapido indietro e evitò l'affondo. Rispose con una parabola dall'alto che Seba parò per un soffio. Seba si lanciò al contrattacco con colpi sempre più aggressivi e ravvicinati; Raf cominciò a indietreggiare, affaticato dallo sforzo: era veloce, ma meno forte e preciso di Seba.
Raf deviò un affondo diretto al petto e le lame si incrociarono con uno stridio, troppo vicine al corpo di entrambi; Rafael ne approfittò per allungare una mano e afferrare l'elsa dell'avversario; tenendola ferma, liberò la propria spada e tentò un colpo al fianco sinistro.
Seba balzò indietro appena in tempo. "Sleale!" accusò.
Ansimando, Raf fece spallucce.
Senza lasciargli il tempo di riprendere fiato, Seba strinse la spada nella mano sudata e gli fu di nuovo addosso. In due mosse lo disarmò e gli puntò l'arma alla gola.
"Morto, fuori". Ruth saltò giù dalla staccionata. "Bravi bimbi. Ora basta giocattoli, però. Seba, fuori la ferraglia".
Ruth non si allenava con le armi spuntate. Seba non se lo fece ripetere due volte: aveva fatto di recente sistemare la sua spada a cesto d'ordinanza e non vedeva l'ora di provarla. La estrasse dal fodero e la fece roteare. Il sibilo in risposta gli disse che era perfettamente affilata.
Ancora su di giri per la vittoria precedente, si asciugò il sudore che gli scivolava dietro il collo e si posizionò a gambe larghe nello spiazzo.
Uno stormo di uccelli volò basso contro il cielo grigio. Annunciavano pioggia.
Ruth non attese che fosse Seba a esporsi per primo. Faceva sempre così; per dargli un vantaggio, diceva. Era inamovibile nella difesa e, quando attaccava, era precisa e brutale.
L'attacco calò dall'alto. Seba lo respinse con un gioco di polso. Ruth saltò indietro e si mise in posizione. Si studiarono camminarono in cerchio, lentamente, concentrati come fiere.
Un movimento sulla destra. Qualcuno stava entrando nel recinto dei cavalli. Un viso familiare. Un frusciare di gonne.
Beatrice.
Ruth colse quell'istante di distrazione, balzò in avanti e calò un fendente micidiale verso la spalla destra di Seba. Le spade strisciarono con uno stridio e si schiantarono all'altezza dell'elsa; Ruth allungò un braccio, afferrò Seba per il colletto dell'uniforme e lo scaraventò giù.
Schiena a terra, basito e ansimante, Seba si vide puntare in faccia una lama affilatissima.
"Sei morto" lo canzonò Ruth. Il suo sguardo, però, era serio.
"Sei stata scorretta" si ribellò lui.
"Te l'ho detto tante volte, Seba. Un morto non può lamentarsi delle scorrettezze".
Seba si allontanò la spada dal viso con un gesto stizzito. Ruth ritirò l'arma e gli porse la mano guantata per aiutarlo ad alzarsi. Lui le afferrò l'avambraccio e, in un unico gesto fluido, si sentì tirare in avanti fino a ritrovarsi naso a naso con la soldatessa.
"Quando si combatte non c'è spazio per le remore morali" gli scandì in faccia, ogni briciolo di divertimento sparito nella voce bassa e seria. "Se trovi il punto debole del tuo avversario, devi approfittarne. Un giorno o l'altro potrebbe andarne della tua vita. E io non ci sarò sempre per tirarti in piedi".
Lo lasciò andare con un'occhiata grave. Accigliato e anche un po' offeso, Seba la seguì con lo sguardo. Rinfoderò la spada e si sistemò la divisa sgualcita. Rafael e Ben stavano commentando l'ultima azione con frasi poco lusinghiere nei suoi confronti; Seba finse di ridere alle battute e si impegnò a mantenere l'attenzione sui compagni. Finché, purtroppo, non cadde altrove.
Risate femminili. Un suono spensierato e lieto che gli fece uno strano effetto: attirato come dal canto delle sirene, si voltò.
La duchessa Beatrice era davanti al recinto dell'armeria insieme a una ragazza che Seba non aveva mai visto. La nobildonna indossava gli abiti da cavallerizza: una gonna ampia e morbida senza cerchio e una giacchetta marrone abbottonata fin sotto il mento; i capelli erano stretti in una modesta crocchia sotto il cappellino da sole. La duchessa chiese allo stalliere di portarle un cavallo, si infilò i guanti da equitazione e attese chiacchierando con l'amica sotto il cielo che, nel frattempo, si era fatto livido. Un vento fresco e vigoroso si alzò dai campi mentre il primo rombo di tuono scosse le gonfie nuvole temporalesche.
"Ohi. Chi è quella servetta? Carina".
Rafael, che lo aveva affiancato silenzioso come un gatto, fece un cenno eloquente verso la nuova arrivata. Seba seguì il suo sguardo. Era una ragazza giovane, con i capelli mossi e castani, poco più bassa di Beatrice ma altrettanto dritta e atletica. A vederle affiancate, si poteva scambiarle per sorelle.
"È la nuova dama di compagnia della duchessa" riferì Ruth dietro di loro.
"Da quando?" si informò rapace Rafael.
"Da ieri. Viene dalle Silene. Ma voi dove vivete? Non sapete mai un cazzo".
Seba non disse nulla. Spostò lo sguardo dalla serva a Beatrice, che adesso era in sella e guidava il cavallo in tondo a un passo leggero; la sua dama di compagnia era appoggiata coi gomiti alla staccionata che delimitava l'area adibita ai cavalli. Chiacchieravano e sorridevano entrambe.
Seba le osservò con malcelata intenzione e, pur sapendo che era un errore, sperò che lei lo notasse e ricambiasse lo sguardo.
Non accadde.
Improvvisamente infastidito e nervoso, si voltò a recuperare la giacca e la spada sbeccata. "Rientriamo. Sta per piovere".
Sospettosa, Ruth lo squadrò senza fare commenti.
Lasciarono le nobildonne ai loro giri equestri sotto un cielo sempre più livido, salutandole con il capo quando passarono loro accanto.
Quando furono lontani a sufficienza, Rafael annuì e disse in tono solenne: "Confermo. Molto carina".
"Non farti strane idee, Derovi" lo redarguì subito Ruth. "Non è roba per te quella".
"Già. Finirebbe come con la sartina della duchessa madre" ricordò Ben, "che per poco non ci perdevi le palle quando il marito vi ha beccato".
"Cazzo, sì. Un eunuco" ridacchiò Raf. "Ma ne è valsa la pena. Aveva delle gran belle tette".
"Farai una brutta fine se non ti dai una regolata" disse Ruth impassibile.
Cominciò a piovere quando raggiunsero il viale. Seba lanciò un'occhiata furtiva alle sue spalle; le due donne ridevano ancora sotto il cielo plumbeo. Non sembravano intenzionate a rientrare.
Fissò la nuca della duchessina Beatrice e cercò di individuare il motivo del fastidio che provava.
Era per via di quello che era accaduto a Fossalta, si disse. Per quello non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: perché, in qualità di soldato al servizio del duca di Benaco, si sentiva in dovere di proteggerla e, a differenza dei suoi colleghi che avevano rapidamente depennato l'episodio come sporadica casualità, lui non si sentiva affatto tranquillo. E se fosse successo di nuovo? Chi stava vegliando su di lei in quel momento? Benaco non era la casetta di un podestà di campagna; ma non era nemmeno una rocca inespugnabile. E se qualcuno voleva farle del male...
Seba scosse il capo.
Doveva ficcarsi in testa che non era più una sua responsabilità. La sua responsabilità era finita nel momento in cui l'aveva riportata sana e salva oltre le mura di Benaco: fine della storia. Non c'erano altri obblighi tra loro. Era un Falco al servizio del duca, non un Alato personale della duchessa.
Eppure, mentre si voltava per tornare ai suoi obblighi, Seba si tormentava.
Spazio dell'autrice
Ehi ehi ehi, come andiamo? Torniamo al POV del nostro falchetto, entrano in scena nuovi personaggi e c'è una delle mie scene preferite: quella in cui si menano! Seba continua a farsi le paranoie e a lanciare sguardi sofferenti (non ricambiati, pare) verso una persona in particolare. Come sta andando? Vi piace? Non vi piace? Come state? Teorie? Fatemi sapere tutto :D
A prestissimo,
Emma
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